Mi trovo a scrivere questo articolo dopo ben 9 anni dalla vicenda perché alcuni personaggi hanno ben pensato di tirare fuori una vecchia vicenda per (tentare di) screditare il mio nome.
Riassunto per chi non conosce la storia: nel 2013, quando gestivo Writer’s Dream, una casa editrice di Varese mi querelò per diffamazione. Fui condannata in primo grado e, come racconta un articolo de “Il Fatto Quotidiano“, mi fu attribuita la responsabilità di commenti che non avevo scritto io:
Il blog è stato trattato come un qualunque giornale cartaceo, per cui Linda, in qualità di responsabile della pubblicazione, secondo il giudice – che cita espressamente la legge sulla stampa del 1948 – avrebbe dovuto intervenire censurando i commenti diffamatori: “Noi non siamo una testata giornalistica – puntualizza lei –, a prescindere da questo non mi sottraggo dalle mie responsabilità, non penso che basti nascondersi dietro la parola ‘blog’ per eliminare gli oneri del controllo, non sono per la rete anarchica, sono la prima a professare e chiedere rispetto per tutti. Detto questo non siamo onnipresenti e onniscienti. Nel caso specifico ancora oggi non sono riuscita a trovare i commenti oggetto della condanna”.
Come dichiarato, procedetti a ricorrere in Appello e infine il mio caso arrivò in Cassazione, dove la corte decise di annullare la sentenza e rimandare nuovamente il caso in Appello.
Il 1 ottobre 2019 la Corte di Appello di Milano mi assolse “per non aver commesso il fatto”.
Se vi interessano altri articoli che raccontano la vicenda potete leggere il commento dell’avvocato Guido Scorza sulla mia prima condanna o l’approfondimento che scrisse Bookblister all’epoca.
Tuttavia, ricordate l’epilogo di questa storia: sono stata assolta per non aver commesso il fatto. Non ho diffamato nessuno, mai.
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Comunque tutto è bene quel che finisce bene.