- 1. Chi è Emmanuele Jonathan Pilia?
- 2. Come nasce D Editore e perché parlare di anarchia può (e deve) essere punk
- 3. Piccole CE vs grandi gruppi: una sfida che parte dal rifiuto dei circuiti mainstream
- 4. Distribuzione capillare? Una grande illusione (e anche un po’ un autogol)
- 5. Finanziamenti e macero: cosa succede davvero dietro le quinte dell’editoria
- 6. Come siamo arrivati fin qui?
- 7. Bibliodiversità
- 8. Che ruolo ha l’editoria indipendente oggi (e perché sembra un faro con la luce spenta)
- 9. Oblivion Fair: nascita di una fiera
- 10. Un solo desiderio per cambiare tutto
- Bonus
1. Domanda di rito per iniziare: presentati al pubblico e a chi non ti conosce, e se riesci fallo in meno di 100 parole!
Ciao! Sono Emmanuele Jonathan Pilia, direttore editoriale di D Editore e fondatore – assieme ad altri pazzarelli come me – di Oblivion, fiera del libro, del fumetto e dell’irrazionale! Ogni progetto che conduco ci spruzzo sopra un pizzico di anarchia (o in alcuni casi, proprio barili)!
2. Come nasce l’idea di fondare D Editore e come si promuove una casa editrice indipendente focalizzata su tematiche anarchiche e sociali?
Ho scoperto l’anarchia a soli 14 anni, ed è una cosa che mi accompagna da quell’età. Ho sempre vissuto con un certo malumore questa patina di polvere che sembra applicarsi sopra ogni discorso legato all’anarchia, che è una classe di filosofie viva e vitale. L’anarchia noi la immaginiamo come colorata e punk, non in bianco e nero e accademica – come troppo spesso viene promossa. Così, abbiamo dato vita al nostro progetto nel 2016!
3. Quali sono le principali sfide che una casa editrice indipendente affronta nel competere con i grandi gruppi editoriali italiani?
La principale, e unica, sfida che l’editore indipendente deve affrontare è resistere a entrare nei circuiti mainstream: non sono progettati per un editore che fattura meno di 3-4 milioni di €, ed entrare in quei circuiti è matematicamente incomprensibile e imprenditorialmente avventato.
4. Un paio di mesi fa abbiamo parlato con Silvia Costantino di effequ del processo di distribuzione dei libri in Italia. Potresti rinfrescarci la memoria, parlandoci di quali ostacoli incontrano le piccole case editrici nell’accedere a una distribuzione capillare?
Il fraintendimento è quello di volere – o anche solo potere – avere una distribuzione capillare. In Italia ci sono circa 8.000 punti vendita legati ai libri: quanti editori stampano ALMENO 8.000 copie? Chiaramente è un’illusione che ci autoimponiamo.
Inoltre, è sciocco voler essere distribuiti in catene librarie appartenute a gruppi editoriali. Entrate in una Feltrinelli o in una Mondadori: tranne eccellenti eccezioni, i bancali in bella mostra sono di editori dei rispettivi gruppi. Spesso tali catene chiedono dei soldi per essere esposti in maniera visibile (e si tratta di pagamenti dell’ordine di diverse centinaia di euro per punto vendita). Perché un editore indipendente dovrebbe desiderare questo? Il punto è che siamo poco preparati imprenditorialmente: pensiamo a bellissimi cataloghi di nicchia, ma vogliamo venderli alla massa. Questa è un’anomalia! Certo, in Italia ci sono poche, pochissime, librerie di genere (librerie femministe, librerie esoteriche, librerie fantastiche) e la maggior parte sono librerie che hanno gli stessi generi merceologici delle librerie generaliste, con magari dei focus (penso alla bella Bookish, che aveva un catalogo abbastanza vario ma con un bel focus sul Giappone, alla Libreria Esoterica il Sigillo di Padova o al Centro Studi Anarchico Libreria Anomalia). Ma sono troppo poche, rappresentano l’eccezione. Quando vivevo in Inghilterra, mi stupiva l’esistenza di così tante librerie legate solo e unicamente al fantastico, solo e unicamente alla giustizia sociale, solo e unicamente alla filosofia. Sono luoghi di incontro che catalizzano l’attenzione di intere aree, perché chi organizza eventi conosce strettamente il settore. Data questa assenza di offerta in presenza di domanda, mi viene da chiedere in che modo vengono gestiti i finanziamenti legati all’editoria: dove vanno queste decine di milioni di euro? Quali festival sono promossi? E soprattutto, perché le strutture, ogni volta che vengono fondate, provano a fare “all in”, nonostante lo storico di fallimenti piuttosto evidente?
5. Finanziamenti a monte, macero a valle: come influiscono questi snodi sulle strategie di pubblicazione e gestione delle scorte?
Al di là di quanto si pensi, il macero è una percentuale ridicola dell’intero mondo editoriale. Al massimo, si può parlare di magazzini pieni di invenduti. E qui si innesta il funzionamento dei finanziamenti, che spesso cercano di informare l’intera filiera. Molti dei bandi legati all’editoria sono costruiti in modo da spingere librerie e biblioteche ad acquistare libri. E fin qui il modello potrebbe funzionare, se non fosse che spesso vi è un obbligo di passare presso la distribuzione, che trattiene percentuali considerevoli dell’intera somma, ed escludendo di fatto chi non cede al ricatto di essere distribuito da strutture come Messaggerie o ALI1.
6. Secondo te come siamo arrivati a questo punto? Cosa ha fatto sì che l’Italia avesse questa forbice così ampia fra le big – che pubblicano, distribuiscono e vendono – e le piccole medie CE che faticano?
Non ho una risposta univoca, e senza dubbio vi sono più elementi che ci hanno guidatə fin qui. C’è da dire che potremmo sottolineare che la difficoltà di far agire le organizzazioni Antitrust2 non ha di certo aiutato. Ma anche le aspettative degli editori, abbindolati dalle promesse dei grandi gruppi, non ha aiutato.
Il settore del libro è contraddistinto da una spaventosa immaturità imprenditoriale – e chiaramente me compreso: non sono immune da questa critica. Non sappiamo leggere i report, non sappiamo gestire i nostri numeri, non sappiamo valutare attentamente le cose che facciamo.
Il perché è semplice: perché per noi è più importante l’aspetto culturale che quello economico. Lo dimostra la grande presenza di attori economici che hanno due o tre lavori, spesso lontani da quelli legati ai libri. Si fanno i libri per passione, con l’illusione che “sarò io quell’unə su mille che ce la farà”, e questo è il più grande veleno del nostro mercato. Ci sottoponiamo a contratti spesso vessatori (e questa seconda persona plurale riguarda tuttə: librerie, case editrici, traduttorə, associazioni, ect) perché amiamo troppo i libri. Certo, bisogna amarli, ma questa cosa bisogna darla per scontata, altrimenti l’intero settore scomparirà. Si legge sempre più, si vendono sempre più libri, eppure il settore è in crisi: com’è possibile che non si faccia 2+2?
7. Un’altra domanda “rituale” che ci piace fare è legata al termine “bibliodiversità”, spesso citato come un valore fondamentale per garantire una pluralità di voci nel panorama editoriale. Ritieni sia davvero un valore o rischia di diventare uno slogan privo di sostanza? Soprattutto alla luce delle recenti decisioni volte a limitare la presenza di CE “esterne” sugli scaffali dei punti vendita di catena, cioè nella maggior parte delle librerie.
Non è un tema che mi scalda particolarmente, se penso a quanta letteratura borghese, letteratura accademica, cataloghistica viene prodotta.
8. Qual è il ruolo dell’editoria indipendente nel panorama culturale italiano contemporaneo, e come pensi che possa contribuire a stimolare il dibattito su questioni spesso marginalizzate dai media mainstream?
In questo momento, quello del guardiano di un faro. Il problema è che i tre quarti della luce viene filtrata dalla compagnia elettrica. Finché non avremo possibilità di esprimere il voltaggio che ci dovrebbe essere assegnato, banalmente, non potremo essere efficaci nelle nostre opere di divulgazioni culturali.
9. Con già tante attività da portare avanti, perché organizzare anche una fiera editoriale? Com’è stata la prima edizione della Oblivion Fair e com’è stata la risposta del pubblico e degli espositori?
Rispondo qui a un pezzo della domanda 8, che ho lasciato – immagino te ne sarai accorta – monca. Il motivo è abbastanza semplice: è nata in un contesto in cui la letteratura borghese viene premiata e promossa, nonostante sia chiaro che non solo non vende ma che è anche qualitativamente imbarazzante e creativamente sterile. Dunque, l’idea è stata: ok, perché non proporre una fiera che abbia ambizione di massa, portata nazionale, un sottotesto politico tutt’altro che didascalico, e che possa lavorare su due unici punti di vista, quello di chi legge e quelli di chi fa i libri? I risultati, a fronte di soli 14.500 € di budget, sono un progetto che è riuscito a catalizzare l’attenzione di circa 5.000 persone, più di 200 addetti ai lavori, e un premio a cui hanno partecipato quasi 100 racconti!
10. Sono molti anni che vivi l’editoria italiana. Potessi avere una bacchetta magica con un solo desiderio, quale delle varie problematiche vorresti sparisse all’improvviso?
Il concetto di denaro: ognuno libero di vivere come meglio credere, senza dover cedere alle pressioni dei monopoli, ma felici di fare ciò che amiamo!
Bonus: un commento a questo articolo?
Eh, graziarcazzo.