Sono usciti i nuovi corsiny!

Editoria radicale: intervista a Emmanuele Johnatan Pilia

Scritto da

Gaia Facchetti

Pubblicato il

11 Aprile 2025
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Ciao! Sono Emmanuele Jonathan Pilia, direttore editoriale di D Editore e fondatore – assieme ad altri pazzarelli come me – di Oblivion, fiera del libro, del fumetto e dell’irrazionale! Ogni progetto che conduco ci spruzzo sopra un pizzico di anarchia (o in alcuni casi, proprio barili)!

Ho scoperto l’anarchia a soli 14 anni, ed è una cosa che mi accompagna da quell’età. Ho sempre vissuto con un certo malumore questa patina di polvere che sembra applicarsi sopra ogni discorso legato all’anarchia, che è una classe di filosofie viva e vitale. L’anarchia noi la immaginiamo come colorata e punk, non in bianco e nero e accademica – come troppo spesso viene promossa. Così, abbiamo dato vita al nostro progetto nel 2016!

La principale, e unica, sfida che l’editore indipendente deve affrontare è resistere a entrare nei circuiti mainstream: non sono progettati per un editore che fattura meno di 3-4 milioni di €, ed entrare in quei circuiti è matematicamente incomprensibile e imprenditorialmente avventato.

Il fraintendimento è quello di volere – o anche solo potere – avere una distribuzione capillare. In Italia ci sono circa 8.000 punti vendita legati ai libri: quanti editori stampano ALMENO 8.000 copie? Chiaramente è un’illusione che ci autoimponiamo.

Inoltre, è sciocco voler essere distribuiti in catene librarie appartenute a gruppi editoriali. Entrate in una Feltrinelli o in una Mondadori: tranne eccellenti eccezioni, i bancali in bella mostra sono di editori dei rispettivi gruppi. Spesso tali catene chiedono dei soldi per essere esposti in maniera visibile (e si tratta di pagamenti dell’ordine di diverse centinaia di euro per punto vendita). Perché un editore indipendente dovrebbe desiderare questo? Il punto è che siamo poco preparati imprenditorialmente: pensiamo a bellissimi cataloghi di nicchia, ma vogliamo venderli alla massa. Questa è un’anomalia! Certo, in Italia ci sono poche, pochissime, librerie di genere (librerie femministe, librerie esoteriche, librerie fantastiche) e la maggior parte sono librerie che hanno gli stessi generi merceologici delle librerie generaliste, con magari dei focus (penso alla bella Bookish, che aveva un catalogo abbastanza vario ma con un bel focus sul Giappone, alla Libreria Esoterica il Sigillo di Padova o al Centro Studi Anarchico Libreria Anomalia). Ma sono troppo poche, rappresentano l’eccezione. Quando vivevo in Inghilterra, mi stupiva l’esistenza di così tante librerie legate solo e unicamente al fantastico, solo e unicamente alla giustizia sociale, solo e unicamente alla filosofia. Sono luoghi di incontro che catalizzano l’attenzione di intere aree, perché chi organizza eventi conosce strettamente il settore. Data questa assenza di offerta in presenza di domanda, mi viene da chiedere in che modo vengono gestiti i finanziamenti legati all’editoria: dove vanno queste decine di milioni di euro? Quali festival sono promossi? E soprattutto, perché le strutture, ogni volta che vengono fondate, provano a fare “all in”, nonostante lo storico di fallimenti piuttosto evidente? 

Al di là di quanto si pensi, il macero è una percentuale ridicola dell’intero mondo editoriale. Al massimo, si può parlare di magazzini pieni di invenduti. E qui si innesta il funzionamento dei finanziamenti, che spesso cercano di informare l’intera filiera. Molti dei bandi legati all’editoria sono costruiti in modo da spingere librerie e biblioteche ad acquistare libri. E fin qui il modello potrebbe funzionare, se non fosse che spesso vi è un obbligo di passare presso la distribuzione, che trattiene percentuali considerevoli dell’intera somma, ed escludendo di fatto chi non cede al ricatto di essere distribuito da strutture come Messaggerie o ALI1.

Non ho una risposta univoca, e senza dubbio vi sono più elementi che ci hanno guidatə fin qui. C’è da dire che potremmo sottolineare che la difficoltà di far agire le organizzazioni Antitrust2 non ha di certo aiutato. Ma anche le aspettative degli editori, abbindolati dalle promesse dei grandi gruppi, non ha aiutato.

Il settore del libro è contraddistinto da una spaventosa immaturità imprenditoriale – e chiaramente me compreso: non sono immune da questa critica. Non sappiamo leggere i report, non sappiamo gestire i nostri numeri, non sappiamo valutare attentamente le cose che facciamo.

Non è un tema che mi scalda particolarmente, se penso a quanta letteratura borghese, letteratura accademica, cataloghistica viene prodotta.

In questo momento, quello del guardiano di un faro. Il problema è che i tre quarti della luce viene filtrata dalla compagnia elettrica. Finché non avremo possibilità di esprimere il voltaggio che ci dovrebbe essere assegnato, banalmente, non potremo essere efficaci nelle nostre opere di divulgazioni culturali.

Rispondo qui a un pezzo della domanda 8, che ho lasciato – immagino te ne sarai accorta – monca. Il motivo è abbastanza semplice: è nata in un contesto in cui la letteratura borghese viene premiata e promossa, nonostante sia chiaro che non solo non vende ma che è anche qualitativamente imbarazzante e creativamente sterile. Dunque, l’idea è stata: ok, perché non proporre una fiera che abbia ambizione di massa, portata nazionale, un sottotesto politico tutt’altro che didascalico, e che possa lavorare su due unici punti di vista, quello di chi legge e quelli di chi fa i libri? I risultati, a fronte di soli 14.500 € di budget, sono un progetto che è riuscito a catalizzare l’attenzione di circa 5.000 persone, più di 200 addetti ai lavori, e un premio a cui hanno partecipato quasi 100 racconti!

Il concetto di denaro: ognuno libero di vivere come meglio credere, senza dover cedere alle pressioni dei monopoli, ma felici di fare ciò che amiamo!

Bonus: un commento a questo articolo?

Eh, graziarcazzo.


  1. Si veda il nostro articolo sul monopolio ↩︎
  2. Appunto. ↩︎

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