Sono usciti i nuovi corsiny!

Qualche assassinio senza pretese lo abbiamo anche noi in paese • Come uccidono le brave ragazze

Scritto da

Angelo Scotto

Pubblicato il

5 Marzo 2025
« Torna al blog

La recensione di Come uccidono le brave ragazze – La trilogia, di Holly Jackson.

Ho scoperto i romanzi gialli/thriller di Holly Jackson quasi per caso, nel senso che a inizio 2024 ho deciso di tentare la seguente reading challenge: leggere dieci libri visti in mano a sconosciutǝ sui mezzi di trasporto.

La sfida è iniziata bene con un delizioso slice of life giapponese e due interessanti romanzi latinoamericani; si è incrinata di molto con l’ultimo romanzo di Fabio Volo e un manuale di auto-aiuto di Arnold Schwarzenegger. Riuscirà Come uccidono le brave ragazze a risollevare la media della challenge?

Lo dico subito: sì.

Preciso che il libro da me intravisto in mano a una ragazza all’aeroporto di Helsinki era As good as dead, e solo quando sono andato a cercarlo ho scoperto che si trattava del terzo volume della trilogia A good girl’s guide to murder. La saga è arrivata nel Regno Unito tra il 2019 e il 2021 e da noi, con Rizzoli, due anni dopo, con la traduzione di Paolo Maria Bonora. A novembre 2023, Rizzoli ha pubblicato la trilogia completa, (forse anche in vista della serie televisiva che è sbarcata lo scorso agosto su Netflix), ed è proprio la raccolta che ho recuperato e letto.

La protagonista è Pippa Fitz-Amobi, una studentessa diciassettenne che abita a Little Kilton (tranquilla cittadina inglese a nord di Londra) e che per un progetto scolastico approfondisce un caso di cronaca nera avvenuto in paese cinque anni prima: la scomparsa di una ragazza di cui era stato accusato, e considerato colpevole, il suo fidanzato, suicidatosi qualche giorno dopo. Le ricerche di Pippa rivelano un po’ alla volta più misteri di quanto lei stessa pensasse, aprendo sviluppi che vanno ben oltre il caso iniziale.

I tre romanzi si concentrano ciascuno su una singola indagine, ma raccontano di fatto una storia unica. Se mi passate il paragone, la struttura narrativa ricorda un po’ quella della trilogia originale di Guerre Stellari: il primo romanzo della Jackson funziona benissimo come storia autoconclusiva; anche il secondo si può tranquillamente leggere a sé, pur con un finale che lascia aperta la porta a ulteriori sviluppi che vengono portati a compimento nel terzo, ovvero il volume in cui la storia prende più le distanze dal giallo convenzionale.

Uso l’espressione “giallo convenzionale” perché, per quanto possa essere originale l’idea di un’indagine nata come progetto scolastico, la struttura di base è molto semplice: la protagonista è una detective fatta e finita, licenza professionale a parte, e la storia verte intorno alla raccolta e ricostruzione di indizi e testimonianze per risolvere il mistero al centro della trama. Per quanto riguarda questo aspetto, credo che lǝ amanti del genere rimarranno soddisfattǝ: le indagini di Pippa procedono un passo alla volta, evitando sia soluzioni troppo semplici sia forzature poco credibili. Questo è particolarmente vero nel primo libro, che ho trovato molto godibile. Nei successivi, l’inserimento di vicende esterne al contesto locale in cui Pippa agisce potrebbe non piacere a tuttǝ, anche se si trova una giustificazione valida nella personalità della protagonista e cioè una ragazza che, prima ancora di essere una detective dilettante, è una appassionata di podcast true crime.

Visto che stiamo parlando di Pippa, durante la lettura ci si potrà divertire a vedere quanto il suo personaggio risponda alle caratteristiche elencate da Elia Ansaloni nella sua teologia del romanzo giallo; però, vorrei concentrarmi su un altro aspetto: è pensabile che una studentessa, che non ha mezzi particolari al di là di quelli offerti dalle attuali tecnologie, possa risolvere dei misteri più e meglio della polizia? Se la risposta fosse no, questi romanzi probabilmente non sarebbero stati scritti; ma un sì senza se e senza ma rischierebbe di portare il personaggio in zona Mary Sue. Per fortuna non è questo il caso: Pippa è di sicuro una ragazza molto intelligente, ma non è infallibile, e nelle sue indagini commette errori a volte anche importanti. In tutti e tre i romanzi è abbastanza evidente che ciò che la contraddistingue non è solo l’acume, ma anche la curiosità, la capacità di concentrarsi su aspetti sottovalutati da altri, e soprattutto l’indisponibilità ad accettare le spiegazioni più semplici senza approfondire. Per questo, in ogni volume della trilogia, all’aumentare dell’esperienza di Pippa come investigatrice corrisponde una crescente disillusione della stessa verso il sistema poliziesco-giudiziario, che sembra più interessato a trovare rapidamente un colpevole che a cercare la verità.

Un altro punto di forza di questi romanzi è che, anche se il focus della narrazione è sempre sulla protagonista, il racconto delle indagini descrive molto bene il microcosmo di Little Kilton: un luogo comune, sia nel senso di una cittadina come tante altre, sia come il trope del paese apparentemente tranquillo che nasconde segreti inconfessabili. Non solo quelli di chi compie i delitti investigati da Pippa: a un livello più nascosto anche i segreti della comunità nel suo complesso. Little Kilton è una realtà multietnica (come praticamente tutte le località suburbane inglesi – e non solo), e sembra un esempio di convivenza pacifica e rispettosa, certo non il possibile teatro di riot come quelli avvenuti nell’estate del 2024. Però, in certi passaggi, l’autrice suggerisce senza neanche troppe sottigliezze che i pregiudizi su base etnica, culturale e di classe esistono, resistono e hanno un ruolo non da poco nell’orientare le percezioni e le convinzioni degli abitanti sui crimini che avvengono nel loro paese. Questo è chiaro sin dall’inizio della storia, visto che il giovane ritenuto colpevole dell’uccisione della fidanzata era un cittadino figlio di genitori indiani; ma questo è un tema che persiste anche nei volumi successivi, e che a mio avviso rende questa trilogia ancor più interessante.

In quasi conclusione: Come uccidono le brave ragazze è una lettura assolutamente piacevole che consiglio a tuttǝ lǝ appassionatǝ di detective fiction. Ma prima di spiegare il motivo di quel quasi…

Recensire un romanzo giallo richiede spesso, e di sicuro più che per altri generi, di mantenersi sul generico per evitare di rivelare eventi e sviluppi importanti della storia. Però vorrei dire alcune cose sulla seconda parte di Una brava ragazza è una ragazza morta, il libro finale della raccolta, e non posso farlo decentemente senza parlare della trama. Quindi continuate con la lettura solo se avete già letto i romanzi o se siete del tutto indifferenti agli spoiler, ok?

Bene.

*

A metà del libro, Pippa viene rapita dal serial killer di cui stava cercando di scoprire l’identità. Riesce a fuggire ma, invece di denunciarlo alla polizia, proprio a causa della disillusione decide di ucciderlo. Ci riesce, e a questo punto la storia si capovolge: se fino al quel momento si era trattato di risolvere misteri, adesso la protagonista è parte attiva di un delitto e vuole nascondere la propria responsabilità. La scelta è quella di incastrare un’altra persona, nello specifico un personaggio secondario che sin dal primo romanzo sappiamo essere uno stupratore, ma che è stato assolto dall’accusa per assenza di prove. La seconda parte del romanzo, e quindi il finale della trilogia, è dedicata alla meticolosa operazione per costruire le prove di colpevolezza a danno di costui.

Questa scelta pone un dilemma morale evidente: le due vittime di Pippa sono persone colpevoli di crimini orribili per cui non hanno mai pagato, ma questo giustifica le sue azioni? Se l’uccisione del killer è il culmine dei capitoli più angoscianti del romanzo, in cui la reazione della protagonista sembra in effetti in linea con l’incubo che ha vissuto, incastrare una persona, per quanto abietta, per un crimine che non ha commesso è invece tutt’altro discorso. C’è un limite oltre il quale non si può passare? L’autrice, saggiamente, non dà una risposta e lascia il giudizio a chi legge. Ma.

Ma se leggiamo la trilogia non solo come giallo ma come storia di formazione, Pippa entra in scena come una adolescente ben integrata socialmente, desiderosa di aiutare gli altri, fiduciosa sulla possibilità di risolvere i suoi casi nel modo più soddisfacente per tutti; quando cala il sipario, è una giovane donna con disturbo da stress post-traumatico, senza fiducia nelle istituzioni, che ha anteposto la propria salvezza ad altre considerazioni, e il cui ultimo baluardo etico è la tutela del ristretto cerchio delle persone a lei più care. Alla fine della storia il suo inganno della giustizia riesce, ed è sottinteso che potrà riprendere in pieno la sua vita normale. Ma resta la consapevolezza di ciò che ha fatto. Pippa ha agito di nascosto, usando le sue competenze da detective per difendere sé stessa e colpire i suoi nemici, e ora riprende il suo posto in una società di cui rappresenta un’anomalia nascosta. 

Messa in questi termini, Come uccidono le brave ragazze alla fine ha un’aura più sovversiva di quella che sembrava avere all’inizio. O forse sono io che ci leggo troppi significati? Si vedrà con le prossime prove d’autrice di Holly Jackson, che saranno interessanti da seguire.

L'articolo è stato scritto da

E tu cosa ne pensi?

Torna al blog
>