Questo non è un manuale di scrittura, ma un manuale per chi vuole scrivere e vuole “sopravvivere, possibilmente a lungo, nel mestiere di scrivere”. Come On Writing di Stephen King? No e non perché King è americano e noi siamo italiani. Insomma, mi rendo conto che nella mia wishlist 1 di Amazon ci sono un sacco di stronzate di cui non ho bisogno. Non ho bisogno neanche di Amazon. Capirete che buttarla sul “In Italia è diverso, signora mia!” non funzionerebbe. Questo non è un manuale di scrittura canonico, perché…
“Se il tuo obiettivo è scrivere un capolavoro della letteratura o sviluppare una voce autoriale unica e riconosciuta in tutto il mondo, e speri di poterlo fare leggendo un manuale di scrittura o frequentando un corso, te lo dico subito con una sillaba sola: no.”
Ho scritto parte degli appunti di quello che state leggendo in una libreria indipendente della mia città, Bari. La Libreria 101. A vederla dalla strada sembra “solo una vetrina”, ma la 101 odora di carta e inchiostro, quindi di casa. Come (non) tutte le librerie indipendenti è una soglia che, quando varcata, conduce verso quella parte dei mondi straordinari che la grande distribuzione esclude. È un posto perfetto. Nelle librerie indipendenti, infatti, i clienti sono prima persone, il libro non è (solo) un prodotto, gli editori sono voci e il libraio, come Antonio, non è un archetipo in stile mentore, relegato alle pagine dei romanzi d’avventura. Esiste, resiste ancora. Lunga vita ai librai.
Davanti a me, Francesco Trento stava presentando questo “non-manuale” edito da Tlon e io sentivo e sospettavo già, contro ogni mia ostinata, mal bilanciata volontà e promessa da marinaio a me stessa, che quanto sotto non avrebbe visto subito la luce e che, soprattutto, avrei parlato poco di scrittura. Non è stata una genesi semplice.
Come NON è fatto questo manuale
Per prima cosa, chi vuole sapere cosa c’è scritto ne L’eroe dai mille volti di Joseph Campbell, lo compra e lo studia, se capite che intendo. Lo stesso vale per quel mare magnum di testi che compone (in parte) la potenzialmente infinita cassetta degli attrezzi di cui un autore dispone e che non può essere costretta in un solo manuale o corso, né in due, in tre, in dieci, in cento; chi ve la racconta così non ha alcun interesse a mantenere quella che è una promessa impossibile.
La sta solo vendendo.
Forse si finirà di imparare come raccontare una bella (e grande) storia o di capire cosa scriverci dentro quando l’ultimo essere umano rimasto sulla Terra, solo esistendo, smetterà di vivere la propria; alla fine, rimasto senza nessuno a cui raccontarla, esalerà l’ultimo respiro e lascerà il mondo sprovvisto di quei “manuali di scrittura su due gambe”, figli del caso e del caos, quali siamo.
Il punto è che i manuali di scrittura e i corsi non sono una scorciatoia, ma mappe che indicano strade per attraversare con coraggio (e una sana dose di testardaggine e incoscienza) delle soglie verso altri luoghi straordinari che ancora non conosciamo. E questo manuale è un’ottima mappa, ha anche tanti (tantissimi) consigli di scrittura, ma si apre e continua fino alla fine con delle storie che iniziano da piccoli gesti. E la prima cosa che ho capito è che, se voglio sul serio fare della scrittura il mio mestiere e voglio farlo a lungo, devo continuare a lottare per tenermi stretta la fiducia nei…
Piccoli gesti che creano grandi storie
Come quella della scuola di Francesco, Come si scrive una grande storia, e di come è iniziata. Con un piccolo gesto, fatto secondo possibilità. Me lo ricordo. In piena pandemia, a un certo punto, trovai l’inserzione e poi la mail di questo sig. Trento che mi voleva regalare delle lezioni di scrittura. La mia prima reazione fu quella di non credergli. Dov’è il trucco? Nessuno, oggi, regala un bel niente a nessuno e tu, sig. Trento, non mi fregherai. Quella mail fu un piccolo gesto, uno solo, che va isolato da qualsiasi narrazione fatta di grandi aspettative a cui siamo abituati oggi, perché si sa come funziona, no? Go big or go home. No.
Funziona molto meglio se la diciamo con il motto della scuola, preso in prestito da Louis Blanc e trasformato in realtà: “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Prendo una decisione secondo le mie possibilità, scrivo un post e clicco su invia. Fine. Da quel post, un singolo gesto calibrato su possibilità concrete, ne è nato un butterfly effect che ora conta non solo un certo numero di autori che “ce l’hanno fatta” (su questo modo di dire torneremo a breve…), ma dal 2020 a oggi sono stati raccolti circa 175.000€ di donazioni e mentre scrivo la cifra è sicuramente aumentata.
Ebbene, il “trucco” c’era.
Mi veniva chiesta una cosa molto semplice, ma che fanno di tutto per renderci impossibile, ovvero di non fermare la macchina di piccoli gesti che alimenta un motore continuo fatto di persone che possono dare qualcosa, secondo proprie possibilità, sia a chi non ha modo di vivere alcuna storia sia a chi vota la propria esistenza per cercare di dare una metaforica penna a quanti non hanno il privilegio di poter immaginare un futuro da scrivere (se ti bombardano casa o se la tua casa è una gabbia fatta di violenza, è un po’ difficile star lì a immaginare il domani).
Persone come Nawal Soufi, cui verrà devoluto ogni centesimo dei diritti d’autore di questo manuale perché possa, un piccolo gesto come un acquisto, contribuire ad aiutare quello che Nawal fa per persone le cui storie sono invisibili ai nostri occhi e, quando non lo sono, finiscono per diventarlo, sparendo tra un reel di Jason Momoa che suona con gli Slayer e quello di un cucciolo di foca che ha imparato a cantare Shakira; il tutto, mentre stiamo sniffando dopamina facile a buon mercato.
Chi pensa che non sarà un piccolo gesto a cambiare il proprio mondo o quello degli altri può fermare la lettura di questo articolo, guardare la propria affollata libreria e chiedersi: “Allora cosa ho letto fino ad oggi, se non storie incredibili, fatte di piccole azioni capaci di cambiare interi mondi?”.
E se scrivere è il suo mestiere, può valutare di cambiarlo.
Da quelle storie, di Francesco e dei suoi studenti, dei loro ospiti e lezioni, di grandi autori noti di tutti i tempi e non solo che Trento condivide, nasce quella che per me è la vera chiave delle sezioni successive di questo manuale che parla tanto dello scrivere, poco di scrittura e molto di…
Zippi, un sacco di zippi. Zippi ovunque.
Addò àrrive, chiànde u zìppe. Letteralmente, significa: dove arrivi, pianta un bastoncino, uno stecco (… “zippo” non è forse una parola bellissima?). È un modo di dire tipico del sud Italia (anche se l’ho sentito pure dai miei amici di su), legato al lavoro in campagna e a viaggi così lunghi da sembrare impossibili. Allora, quei vecchi antichi dicevano tu inizia e dove arrivi metti un segno. L’indomani ripartirai da lì, per come riesci e fin dove ce la fai. Ora, è tempo di un piccolo passo indietro.
“Potremmo essere venuti al mondo come creature aperte, curiose, predisposte all’avventura. Poi magari qualcosa ci ha feriti, un amore ci ha delusi, un amico si è comportato in maniera sleale. E piano piano, a ogni ferita, abbiamo reagito proteggendoci. Fidandoci sempre meno delle altre persone. Abbiamo messo una prima barriera tra noi e il mondo, poi una seconda, poi una terza. E adesso andiamo all’amore come si andrebbe in guerra, bardati come guerrieri medioevali, con l’elmo, la corazza, i parastinchi, coi sentimenti protetti dalla cotta di maglia in acciaio, con una serie di tattiche pronte all’uso che nemmeno nell’Arte della guerra di Sun Tzu. E invece di vivere coi pori aperti, ci difendiamo.”
Non so voi, ma ogni volta che penso a come iniziare a scrivere la mia grande storia, quindi di andare “all’amore” per quanto mi riguarda, la affronto più o meno così. Mi bardo di tutto punto, così tanto che sembro una grottesca fusione tra Machine Gun Kelly in abito Dolce & Gabbana con punte metalliche e Till Lindemann dei Rammstein, e parto. Vado. Inizio il cammino, ma non sono neanche a un decimo della strada e mi sono già persa.
Il viaggio smette presto di essere quel passo dopo l’altro verso un dove che si fa più vicino giorno dopo giorno e diventa una corsa forsennata contro qualcosa o qualcuno. Scriverò la mia storia e quella la pagherà per tutte quelle che non ho scritto, un po’ come il mio futuro compagno di vita le pagherà per tutti, citando Nostra Regina dei Rottincuore, Romina Falconi.
Correrò…
…contro chi mi ha detto che ho “talento”, ma non mi applico. Che poi il talento non esiste, ma a quanto pare ce l’hanno tutti tranne me e l’ho sprecato.
…contro chi ha detto che non ho abbastanza privilegi per fare della scrittura una parte centrale della mia vita, o chi dice che ne ho troppi.
…contro chi ripete che questo è un mare pieno di così tanti pesci che è inutile anche solo provarci.
…contro chi dice che o si corre, o quella vetta dell’Everest la raggiungerà chiunque altro. Perché questa vita è una gara a chi arriva per primo e si mette lì a raccontare del momento in cui ce l’ha fatta, circondato dagli encomi del mondo.
…contro il tempo che corre più veloce e che è denaro.
…contro.
È tutto molto bello e in parte ha anche senso (lottare ha sempre valore), ma vedete, in questi pensieri e altri, in quel “contro”, c’è tutto tranne chi sono, dove voglio andare e come posso farlo. È un errore di prospettiva. Non c’è nemmeno una storia, perché il primo compagno a morire in un percorso impostato così è proprio la storia da scrivere. La si perde già al primo fosso saltato in lungo, di corsa e di notte, al buio, con le gambe stanche e dolori ovunque, perché ci si rifiuta di prendersi una notte per riposare, accendere un fuocherello e guardare la mappa, dicendo: “Hey, ieri ero qui, ma oggi sono qui. Non è tanto, ma in fin dei conti sono partita da qui. Ottimo lavoro. Adesso pianto un bello zippo e mi godo il panorama. Domani, ripartirò da qui e se mai avrò bisogno di tornare indietro per qualche motivo, gli zippi mi aiuteranno”.
Quella storia è perduta perché ci si dimentica che le grandi cose si fanno piantando piccoli zippi secondo possibilità e non andando in guerra per vincere qualcosa e questo deve cambiare.
Se non cambia, si continua a scrivere con in testa solo l’agognata pubblicazione o chissà che rivalsa contro qualcosa o qualcuno, tipo trofeo o nastro da tagliare, dimenticandosi di quanto pubblicare non è mai stata una questione di bravura e basta. E scrivere non è mai stato null’altro che quel che è: costruire qualcosa che è fatto da tanti, tantissimi piccoli pezzi, anche microscopici.
Certo, possiamo disquisire di mille e più tecniche di scrittura da usare come equipaggiamento per il viaggio, è possibile (e doveroso) investire quel che abbiamo e anche quel che non abbiamo in corsi, manuali e laboratori, ma la feroce verità è che non basta sapere un sacco di cose se poi, quando ci si mette a scrivere, ciò che manca è quel manuale non scritto lì, proprio quello che contiene una vaga infarinatura su chi siamo e chi vogliamo diventare. Il nostro personale viaggio dell’eroe, quello che alla fine ci fa tornare al nostro villaggio con un elisir fatto di tutto quello che siamo diventati e che abbiamo imparato.
Non credo funzioni così solo con la scrittura, ma con tutto ciò che vorremmo tanto fare o diventare, ma non iniziamo perché quando non ci stiamo dicendo che “non siamo abbastanza bravi” (senza neanche averci provato davvero), allora ci diciamo che non abbiamo tempo per diventarlo o che ne abbiamo già perso troppo per poterci permettere di cambiare le carte in tavola. A volte è anche vero. A volte quando è tardi, è tardi e quando il tempo è perso, è perso. Eppure, non siamo ancora morti e possiamo…
Riprendere il controllo del nostro tempo
Non siamo solo il prodotto di vite complicate (a volte impossibili) in cui non abbiamo concretamente sempre tempo di studiare, di leggere, di scrivere ogni giorno anche solo per dieci minuti. Né siamo solo il risultato di vite in cui a volte manca il privilegio di una salute mentale che permette di poter anche solo immaginare di farlo.
Forse si potrebbe provare a valutare che siamo anche il risultato grottesco di una quotidianità che è sempre meno a misura di essere umano e sempre più a misura di beni e oggetti di consumo. Per buona parte, siamo noi stessi prodotti di un sistema che ci fa credere sia possibile avere degli addominali perfetti in ventuno giorni e di poter diventare, in un mese, la versione migliore di noi stessi. Come se ne bastasse una, tra l’altro, per tutta una vita.
Siamo anche figli dell’idea che qualcosa o qualcuno ci svolterà la vita. Siamo figli della positività tossica e del “chi si ferma è perduto”. Testimoni costretti ad ascoltare narrazioni quasi solo di vittorie, raramente di tutti i fallimenti nascosti dietro i traguardi e nessuna storia di chi, invece, ci ha provato con tutto sé stesso e non ce l’ha fatta. Il che, se ci pensate bene, conduce a dimenticare una cosa tanto ovvia da essere diventata invisibile: chi ora “ce l’ha fatta” era, prima, esattamente qualcuno che non ce la stava facendo. Le lettere di rifiuto che King ha appeso per Carrie non sono un modo carino di dire che chi la dura la vince, ma una realtà che se astratta da qualsiasi retorica si potrebbe riassumere così: lettere di rifiuto ricevute da un uomo che, mentre scriveva, non ce la stava facendo. Se della sua storia o di quella di tutti gli altri vediamo solo il successo raggiunto, siamo saliti sulla scrivania sbagliata, l’unica da cui il mondo non è diverso se visto da lassù.
In poche parole, siamo prodotti di una società che ci fa credere di poter comprare col denaro le uniche due cose che non dovrebbero mai essere messe all’asta o in vendita: il tempo e il successo. Raccontiamoci anche che una buona storia alla fine è “solo tanta tecnica”, ma quando ci si mette davanti a quella pagina bianca, ci si rende conto che…
“Scrivere è un’attività molto solitaria, che ti mette ogni giorno a contatto con lo scarto tra l’ideale e il reale, tra lo scrittore e la scrittrice che sogni di essere e lo scrittore e la scrittrice che sei, in questo momento.”
Se la risposta è “uno scrittore di successo”, va bene, ma è bene anche sapere che c’è un fosso pieno di coccodrilli pronti a ingoiare ogni sogno e speranza di riuscirci, se quel “di successo” pesa sulla bilancia più di tutto il resto che serve anche solo per iniziare a pensare di scrivere seriamente.
Il successo è qualcosa che non possiamo controllare perché non dipende solo da noi e meno che mai funziona così oggi, non solo in ambito editoriale. Inoltre, gli scrittori (e le persone) che sogniamo di essere non possono essere acquistati e scartati come un regalo di Natale in un tempo che va da 0 a 100, da giocare tutto entro un limite che è stato qualcun altro a definire. Perché quel qualcun altro non ha la minima idea di chi siamo, di chi eravamo o di chi vogliamo diventare. Non conosce la nostra storia e ricordando Daniele Silvestri, in apertura di uno dei più bei concerti io abbia mai visto (e ne ho visti tanti), parte del suo tour Il Cantastorie Recidivo, questa estate: un uomo è solo un uomo finché non se ne conosce la storia. Solo che quella sta a noi e la prima cosa che si potrebbe recuperare per iniziare, finalmente, a metterci lì a scrivere per farne un mestiere è prima il tempo che ci hanno detto e ci diciamo che non abbiamo più, che perdiamo e che in tre comode rate possiamo recuperare, ma anche…
La libertà di fare schifo
Cosa succede ai personaggi quando si rendono conto di fare schifo? Cambiano. Evolvono, mutano, si trasformano (alcuni muoiono e altri peggiorano, va bene, ma restate sul pezzo con me). Una storia in cui il protagonista ce la fa o non ce la fa a pagina due non è neanche una storia. Leggiamo per molti motivi e uno di questi è scoprire, alla fine, come persone che non ce la fanno riescono a sfangarla. Se la sfangano.
Per iniziare, si potrebbe dunque pensare che fare schifo è parte del processo e capiterà che faremo schifo anche quando ce l’avremo fatta. Fare schifo è una grandissima arte, perché accogliere ciò che non si sa ancora fare (e accettarlo) è un ottimo passo per piantare il primo zippo; ovvero, lavorare su quel singolo elemento. E valutare che se facciamo pena in qualcosa, non è perché siamo meno degli altri che ce l’hanno fatta in otto giorni oppure in vent’anni, ma perché non ci siamo dati tempo per imparare e quel tempo non può essere quantificato, sia perché non ha una data di scadenza, sia perché sarà il tempo giusto e che ci vorrà, calibrato sulle nostre possibilità. Tutte a loro volta da ricalibrare man mano che andiamo avanti.
Negli ultimi sette giorni ho buttato nel tritarifiuti autorizzato di questa distopia che ci circonda circa otto ore del mio tempo, a scrollare reel. Francesco, parlando di una delle “Quindici qualità che non hanno nulla a che fare con il talento”, ha scritto di provare a dare un’occhiata a una certa impostazione del telefono che tiene traccia del tempo di utilizzo e l’ho fatto. Otto ore. Avrei potuto leggere circa 240 pagine di un romanzo, manuale o saggio. Avrei potuto guardare circa quattro film da due ore l’uno, otto puntate di una serie TV, finire quel che mi resta di Red Dead Redemption II o iniziare Alan Wake. Avrei potuto scrivere. Insomma, nutrirmi di storie e guardarle con gli occhi di chi vuole scriverle, smontarle pezzo per pezzo. Non quelle di Instagram. Poi va bene, lavoro con le storie e nel resto del tempo è con quelle che mi confronto, ma qui sul banco degli imputati c’è la storia che voglio scrivere e questo cambia tutto.
Quindi, in quanto si potrebbe dire di essere ottimi scrittori o scrittrici? Un anno? Due anni? Dieci? Venti? Mai? E chi lo sa. Non solo perché, anche quando si è “bravissimi”, a un certo punto arriva quella storia che ci mette a tappeto.
La questione è che si tende a saltare tutta quella parte lì in cui non solo ci rifiutiamo di credere di poter cambiare la nostra vita in due giorni, ma lottiamo contro chiunque dica che è possibile farlo e anzi, è un dovere raggiungere grandi risultati bruciando i secondi e farlo subito. Così la svoltiamo, no? Molte grandi storie, intese come relazioni, finiscono perché buttiamo sull’altra persona la responsabilità e il peso di essere quel qualcuno che ci svolterà la vita. Lo spartiacque tra ieri e oggi, tra il passato e il futuro, tra il buio e la luce e senza che a noi sia data alcuna azione se non aspettare che la magia si compia.
Perché dovremmo caricare la nostra prima, seconda, decima o millesima storia da scrivere e i nostri personaggi di tutta questa responsabilità? E soprattutto, pensateci, non c’è alcun valido motivo per negare a noi stessi lo stesso, meraviglioso, arco di trasformazione che cerchiamo di costruire per loro. Nessuno.
“Sì, può capitare di scrivere un libro che diventa subito un bestseller e ti cambia la vita, però non è quella la procedura, non funziona così”.
E qui entra in gioco l’1%. Che è un modo come un altro di tornare al nostro zippo e alla necessità di dover recuperare quell’antica serenità nel sapere che non è umanamente possibile coprire il 100% di un percorso difficile, qualsiasi esso sia, bruciando tutti gli 1% di cui è composto. Come non è umano essere certi che si arriverà alla fine. E tutto per la fame di una rivalsa incazzata con noi stessi e con il mondo, ma dimenticandoci di guardare il percorso che serve fare. Un percorso che, paradossalmente, è possibile chieda solo mezz’ora di tempo al giorno, ogni giorno, per scrivere. Mezz’ora. Anche meno. Tanto per iniziare.
Non si può sapere se un domani, a furia di un 1% alla volta di autori che decidono di provare a cambiare prospettiva e tornare a una dimensione umana, non si arrivi a un cambiamento tale da invertire un po’ per volta la rotta di questa nave che solca mari in tempesta (molto spesso tutt’altro che azzurri), quale è l’editoria italiana oggi. Com’è che diceva, Jack Folla2? “Un uomo davanti a un muro è un uomo solo, ma due uomini davanti a un muro è il principio di un’evasione“.
Evadere da tutto questo è possibile.
Riconquistare la libertà di fare schifo e riprendere il controllo del tempo che serve per seguire la strada che abbiamo scelto e migliorare, uno zippo alla volta, anche.
Ma quindi, questo manuale, “funziona”?
Confermo che questo manuale non opera alcuna magia.
Appunto, la magia non esiste, o non quella che ti trasforma in cavallo in un colpo di bacchetta, da che sei un sorcio; se una cosa del genere sembra possibile, Alessandro Baricco non me ne voglia, forse “quando non sai cos’è (o com’è possibile), è marketing” e pure becero. Inoltre, non diciamo castronerie, sono sei anni che vado in terapia per recuperare la consapevolezza che posso cambiare un passo per volta la direzione dei miei passi e trentacinque anni (ne ho trentasette, a due anni ho iniziato a parlare più di quanto fosse desiderabile… e si vede!) che, se posso dire quanto ciò che mi circonda non mi sembra umano, lo faccio. Se possibile, con un certo livore. Solo che non avevo mai davvero provato ad applicare tutte queste cose anche alla scrittura, o non così e di sicuro non in questi termini. E sì che “da grande volevo fare la scrittrice”. Sarà che, per dirla alla Campbell, “la grotta in cui hai paura di entrare contiene il tesoro che stai cercando” o che vedere certe cose, nero su bianco, con parole semplici scritte in un modo che non fa il giro largo prima di arrivare al dunque (e con anche un paio di metaforiche docce fredde, improvvise come quelle che arrivano da una semplicità che disarma), è stato tanto forte quanto funzionale. O lo è stato per me.
C’era un racconto che mi era stato chiesto e che penzolava sulla mia testa, incompreso e un po’ confuso, dall’inizio di agosto. Pensateci, da pezzi di vita, eventi e personaggi da narrare a spada di Damocle che oscilla, scandendo il tempo che passa come un pendolo di morte e basta. Una fine orribile per una storia da scrivere. Dondolava tra il secondo del “domani lo scrivo” e quello del “ieri non avevo tempo per continuare e oggi sono stanca, domani mi ci metto”. Avevo una deadline sempre più vicina ed ero sempre più in “blocco” (che poi, neanche ci credo al blocco dello scrittore). Insomma, era un terreno di prova ideale per testare questo manuale e le sue porte verso altri mondi, una tra tutte: la fiducia nel processo.
E così, ho preso coraggio. Dopo aver cancellato tutto quello che avevo scritto, ho iniziato dal cuore di ciò che questo manuale chiede di fare: concedermi il lusso di scrivere male, per poi scrivere meglio. Marta, il tuo 1% di oggi è scrivere di merda. Conceditelo. Dopo aver riprogrammato le mie giornate (molto a fatica nel mezzo di tutto il resto), ho iniziato a scrivere così male, ma così male che la pagina bianca si è trasformata in un caos di molte più battute di quante mi erano state chieste.
Poi, un pezzo per volta, un 1% al giorno strappato al “non ho tempo” e “prima finisco questa cosa, poi scrivo”, mi sono messa lì a migliorare ogni singola riga e per ognuna c’era qualcosa di nuovo che potevo imparare, fino al risultato.
Ho messo a confronto la prima versione del racconto e quella definitiva e mi sono seduta, a godermi il panorama. Il giorno dopo, sono ripartita da quello zippo con un’altra storia. Scrivo ogni giorno? No, non ancora. Però scrivo più di quanto io abbia fatto negli ultimi dieci anni e meno di quanto facevo quando, a un certo punto, quindici anni fa, ho iniziato solo a difendermi. E qui prendo in prestito il nome dell’ultima qualità elencata da Francesco, che con la scrittura ha nulla a che fare.
La resistenza
Tra le brutture del mondo contemporaneo, c’è n’è una che mi ferisce a morte.
È stato distrutto, nel tempo e con un’accelerazione spaventosa negli ultimi tempi, il peso specifico di alcune parole e questo ci priva della possibilità di sentirle, scriverle, cercarle, leggerle e viverle per quelle che sono e nient’altro. Fuori da ogni retorica di consumo, fuori da ogni propaganda. Parole come volontà, autodeterminazione, cambiamento, tempo, scelta, lotta, speranza, sogno, sacrificio e altre sono state svuotate del loro significato perché, ovunque, si cerca di vendere una qualche ricetta per riempirle di tutt’altro. E che lo vogliamo o no, il vuoto archetipico che sentiamo per la loro assenza ci porta inevitabilmente a credere che sia possibile comprarle, pur di averle indietro il prima possibile. Parole che sono state sottratte al loro mondo e piegate per rappresentare e servire tutto ciò che di più lontano esiste dalla loro natura. Come quando il Genio della Lampada è costretto a servire Jafar.
Alla fine, come conseguenza anche delle assurde regole che ci viene chiesto di seguire per “raggiungere il successo”, accade che a furia di scontrarci con la concreta impossibilità di vedere questi meravigliosi giganti fatti di lettere che entrano nelle nostre vite e ci restano, ci si convince che è inutile anche solo provare a fare un qualsiasi piccolo passo verso quella cosa a cui teniamo con ogni fibra di noi (o quella versione di noi stessi che vogliamo diventare), la cui possibile riuscita chiede: volontà, autodeterminazione, cambiamento, tempo, scelta, lotta, speranza, sogno, sacrificio.
E resistenza.
Non ci sentiamo “abbastanza” e ci ritroviamo convinti di un destino che ci vuole immobili lì dove siamo finiti senza neanche sapere bene come e dove, a volte, ci siamo infilati con le nostre stesse mani; fermi, a guardare da lontano (o troppo da vicino) storie sensazionali che non ci appartengono e di cui non saremo mai protagonisti, perché non siamo certo eroi. Bene, fermiamoci qui.
Tu, che leggi ora e leggerai il manuale di Francesco, vuoi scrivere? Tu vuoi sul serio fare della scrittura (o di qualsiasi altra cosa) il tuo mestiere? Questa è la prima domanda che devi porti. La risposta è sì? Perfetto, allora stai tranquillo. Intanto, se hai comprato questo manuale, leggilo dalla poesia che troverai all’ultima pagina. Esatto, inizialo al contrario. Poi, fai un bel respiro, rimboccati le maniche, lancia quello stramaledetto telefono, siediti alla scrivania, a terra, resta in piedi, fallo dove vuoi, ma scrivi.
Un passo per volta, per tutto il tempo che ci vorrà a scrivere la tua grande storia e con tutto quanto servirà, secondo le tue possibilità, per migliorare dell’1% ogni giorno. Durante il viaggio, non dimenticarti di alcune piccole cose: racconta a chi hai accanto come ci stai riuscendo, racconta la tua storia (tua di persona), se ne senti il bisogno ricorda che puoi tornare indietro (non solo per prendere la rincorsa) e soprattutto, ricordati di ascoltare le storie degli altri. Se non sai farlo o ti sei dimenticato come si fa, impara anche quello. Ah, dimenticavo, bevi un bel sorso d’acqua ogni tanto, maledetto piccolo noodle disidratato che non sei altro. E…
Addò àrrive, chiànde u zìppe.
Non sei morto, non ancora.
Resisti.
L’arte di scrivere male (per poi scrivere meglio)
pubblicato da Tlon
prezzo 15,00€
prezzo ebook 8,99€
pagine 150
ISBN 9791255540526
I diritti d’autore di questo libro
saranno completamente
devoluti in beneficenza
Un 1% al giorno toglie il medico di torno (?)
Francesco Trento, con il suo manuale di scrittura che parla di storie, ci ricorda che scrivere è un viaggio fatto di piccoli passi, non di scorciatoie. Non serve essere perfetti, ma avere il coraggio di iniziare, migliorando dell’1% ogni giorno. Pianta il tuo “zippo”, accetta l’arte di fare schifo e resisti: le grandi storie nascono così, una parola alla volta.
- Tazza con opossum che grida e con la scritta: “EAT TRASH, HAIL SATAN”. Mazzo di tarocchi di Supernatural (premio inutilità massima 2024). Funko Pop! di Zero di The Nightmare Before Christmas, Lampada Proiettore Stelle Luce Notturna Bambini (sì, certo…) con 21 Modalità, un indefinito numero di giochi per la PS4 e… niente libri, quelli li scrivo in un taccuino, come i vecchi.
↩︎ - Jack Folla è un dj, condannato e poi evaso dal braccio della morte di Alcatraz, scritto e ideato da Diego Cugia. Vi consiglio di andare a fare la sua conoscenza. Diventerà uno di quegli amici da cui è sempre bello tornare quando il mondo fuori fa un po’ più paura del solito.
↩︎
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Nata a Bari alla fine degli anni ’80, si considera parte di una generazione salva per un pelo. Quelle recenti, infatti, non conoscono l’Orso Balosso. Si diploma difendendo Catilina in tribunale e sostiene che, quando la tragedia era greca, le catarsi passavano in orario. Laureata in Lettere Moderne e Contemporanee, delusa da un programma di studi ingannevole e capitalista, bocciata più volte all’esame di Positività Tossica perché si rifiuta di dire che “la resilienza è salita al potere nella legalità costituita”, decide di vivere da nomade in tanti posti quanti sono i libri (o i manuali di gioco di ruolo) che le capitano tra le mani. Predilige il realismo solo quando apocalittico, abbaia alle auto blu e siede alla destra dei villain che hanno nobili intenti, ma una pessima comunicazione. Un giorno sposerà l’antieroe dei suoi sogni. Oggi, è una giovane editor di narrativa e giochi di ruolo. Questa è la prima volta che si reincarna, finalmente, in un opossum.