Per una miglior comprensione del titolo di questa recensione, si veda questo link.
Bazzicando per i meandri letterari di internet, sarete incappati in almeno una recensione negativa di November 9, che forse è la summa dei difetti nella produzione di Colleen Hoover. Non nascondo che siano state proprio quelle recensioni, unite al mio istinto di conservazione da lemming, a spingermi verso la lettura: scrivere male capita a tutti, ma è davvero possibile che una grossa casa editrice abbia messo sul mercato in quelle condizioni un libro della loro autrice di punta?
Sì; ma andiamo con ordine.
Un’autrice, molti perché
Colleen Hoover (o CoHo) è con ogni probabilità l’autrice più in vista del momento, con oltre 8 milioni di libri venduti solo nel 2022 e un totale di almeno 20 milioni di copie vendute dall’inizio della sua carriera – una stima a ribasso, il 2023 l’avrà vista raggiungere i 30 milioni. La sua popolarità ha avuto un’impennata a partire dal 2021 grazie al BookTok e, nelle ultime settimane, l’adattamento cinematografico del suo best seller It Ends With Us ha fatto discutere per una serie di motivi.
Va detto che le controversie non sono affatto una novità per quest’autrice, che scrive soprattutto romance di stampo drammatico, con risultati molto discutibili a livello di stile e contenuti. A volte, soprattutto in questo caso, le opere appaiono estranee al genere, con una dissonanza che si propaga per l’intera lettura.
I libri di CoHo sono stati descritti da alcuni come libri per chi non conosce il mondo delle fanfiction, ma mi sembra una definizione impropria. Sono libri dalla scrittura ancora amatoriale, che ricorda quella tipica della prima esplorazione dei meandri del fanwriting, con tutte le ingenuità che accompagnano questa fase. Eppure anche nel mondo ficcynaro – lasciatemi usare questo termine per un momento di nostalgia – si evolve e si possono trovare storie di qualità.
Inoltre gli esordi letterari della Hoover non risalgono, almeno non pubblicamente, alle piattaforme che invece sono state il trampolino per altre autrici come E.L. James e Ali Hazelwood. Leggendola non ho pensato a una fanfiction, né alla possibilità di incasellare i suoi libri in quei cinque-sei topoi, o trope, o tag che fanno la fortuna sia del Booktok che di AO3.
November 9 non è un libro facile da categorizzare, eppure questo non ha reso la lettura un’esperienza positiva.
(Brutte) impressioni di novembre
Prima di procedere, un avvertimento: la seguente recensione rivela la trama dell’opera, inoltre contiene riferimenti a invalidità fisiche, malattie, violenza psicologica, stalking e suicidio, tutti elementi utilizzati (male) nella storia.
La protagonista è Fallon O’Neal, una giovane attrice di Los Angeles che in passato aveva ottenuto una parte in una serie TV seguendo le orme del padre Donovan, prima che un incendio domestico le sconvolgesse la vita all’età di sedici anni; questo perché, la notte dell’incendio, suo padre era fuggito dimenticandola all’interno della casa, e due anni dopo Fallon deve ancora fare i conti con le ustioni che hanno devastato il lato sinistro del suo corpo. Mentre stanno pranzando in una tavola calda, Donovan, con la stessa empatia di un insetto che divora il 90% delle proprie uova, le fa presente che ridotta così non troverà mai un lavoro nel mondo dello spettacolo, né tantomeno un fidanzato. Ma ecco che in soccorso di Fallon arriva Ben, un ragazzo che lei non ha mai visto prima ma che finge di essere in una relazione con lei.
Va detto che i primi capitoli, nonostante il POV alternato fra i due protagonisti e il trauma che sarà usato abbastanza a piacere nel corso del libro, non fanno subito pensare al peggio. Per una volta la nostra protagonista, che si descrive guardandosi allo specchio ma ha un motivo per farlo, ha anche un trauma fisico non indifferente (si parla di ustioni di quarto grado, per quanto la descrizione faccia pensare più al terzo, ma è comunque qualcosa di estremamente serio). Quello che invece non funziona da subito è la scrittura.
In generale uno stile semplice e diretto si presta bene a un genere come il romance, evitando arzigogoli inutili per concentrarsi su immagini chiare e invogliare chi legge a immedesimarsi; il problema è che la scrittura di Colleen Hoover è piatta. Da un lato fatica a creare dei personaggi tridimensionali pur mantenendoci immersi nei loro pensieri, dall’altro abbonda di dialoghi brevi e ripetizioni che vorrebbero rafforzare un concetto ma finiscono solo con l’essere ridondanti. Quando poi arriva quella che vorrebbe essere una nota di caratterizzazione o, peggio ancora, di umorismo, il risultato fa stridere i denti.
Vediamo infatti che, dopo il congedo abbastanza disinteressato di Donovan, Ben continua il giochino del fidanzato per finta. Potrebbe essere un modo per flirtare, non fosse che la sua idea di flirtare è far presente a Fallon che si sta chiedendo che tipo di biancheria lei indossi da quando l’ha vista; non solo, ma il suo POV ci rivela un’attenzione morbosa per le cicatrici di Fallon. Certo, lui ci assicura che la spoglia mentalmente e non in un modo sessuale, ma la sensazione che se ne ricava è tutto l’opposto, fermo restando che a diciotto anni si dovrebbe aver capito da tempo che una persona con un handicap non dovrebbe essere guardata come un fenomeno da baraccone. Ma non preoccupatevi, perché la cosa si farà molto più inquietante.
Fallon ha in programma di lasciare Los Angeles proprio quella sera per iniziare da capo a New York e, nonostante le premesse non proprio incoraggianti, asseconda il finto rapporto con Ben. Durante le ore che la separano dal volo, i due si conoscono un po’ meglio, scopriamo che Ben vuole diventare uno scrittore e che Fallon legge molti romanzi rosa, genere dal quale lui sente abbastanza distante. Lei lo sfida a uscire dalla comfort zone e fare un tentativo, e Ben coglie l’occasione per proporre quella che diventerà anche la trama del proprio libro: rivedersi da lì ogni 9 novembre per cinque anni e fare il punto delle proprie esistenze, senza avere contatti per il resto del tempo; e decidere cosa fare al termine del quinto anno. Nonostante la stranezza della proposta, Fallon accetta e i due si danno appuntamento l’anno successivo, lasciandosi dei “compiti” a vicenda.
Con una trama del genere, si palesa in pieno il problema della scrittura accennato prima. I dialoghi veloci (ma senza un tono da screwball comedy per giustificarli) e la mancanza di dettagli autentici creano questa atmosfera rarefatta nella quale non percepiamo affatto il legame che dovrebbe crearsi in così poco tempo fra i due. Cosa c’è qui per farci accettare il fatto che Fallon non mandi Ben a quel paese all’uscita dalla tavola calda o, volendo essere generosi, che i due non si accontentino di una sveltina per poi non rivedersi mai più?
Al momento la nostra ricetta vede una storia di un grave trauma fisico e psicologico mescolata con una fissazione per la biancheria intima che non vedevo dai tempi del vecchio Happosai.
Di Ben in peggio
Il primo anniversario, Fallon fa la conoscenza di Kyle e Ian, i fratelli maggiori di Ben che vivono insieme a lui nella casa ereditata dopo la morte della madre. Insieme a loro c’è anche Jordyn, che sta programmando il matrimonio con Kyle e che Ben descrive come se fosse una sorella per lui; tenete a mente questo dettaglio. Fallon però si rende conto che la sua presenza agita Kyle, al punto tale che nasce una discussione violenta fra lui e Ben, il quale però dopo rassicura Fallon dicendole che la lite non la riguardava. Al momento di separarsi, le lascia il compito di provare a riconciliarsi col padre.
Ecco che iniziamo a inquadrare il vero grande problema di questo libro: Ben, al secolo Benton James Kessler. Andando avanti scopriremo in pieno la sua natura, ma già dai primi capitoli lo vediamo invadere lo spazio personale di Fallon, esporre il corpo di lei in modi che la fanno sentire insicura (ma non c’è nulla di sessuale in tutto questo, eh!) e, peggio ancora, rimproverarla per il modo in cui vive la sua menomazione. Poche ore dopo averla conosciuta, le dice “È colpa tua se le persone si sentono a disagio guardandoti”: credo che sarebbe brutto sentirselo dire da bambini quando si porta l’apparecchio fisso, figurarsi in una situazione del genere. E poi c’è la chicca dello spingerla alla riconciliazione con chi ancora minimizza il proprio ruolo nell’evento che le ha segnato la vita. Ben è un manipolatore coi fiocchi, in più scrive male, come abbiamo modo di appurare dalle sue poesie apposte all’inizio di ogni sezione.
(Doverosa nota a margine per noi prosatori: quando ci dedichiamo al verso libero, i risultati sono orrendi. Se vogliamo omaggiare la poesia in metrica regolare, qualcosa di buono può saltar fuori, ma andare a capo senza motivo non trasforma una frase in un componimento.)
Il secondo anniversario vede una svolta tragica: Ben contatta Fallon e le dice che Kyle è morto pochi giorni prima in un incidente d’auto. Lei lo raggiunge comunque e apprende che Jordyn è incinta. Nel caso interessasse qualcuno, si presentano per porgere le condoglianze anche Miles e Tate, i due protagonisti di un altro romanzo di CoHo, Ugly Love, famigerato a sua volta per avere un protagonista maschile molto discutibile, nonché per una delle frasi più imbarazzanti mai messe su carta. Cercatela, non voglio rovinarvi la sorpresa.
Al termine della giornata, Ben e Fallon fanno zumpa zumpa per la prima volta, con lui estasiato perché lei gli ha fatto dono della propria verginità (e dire che basterebbe un bagnoschiuma a Natale), dopodiché lei decide di andarsene perché capisce che Ben non può trasferirsi a New York in un momento del genere. Lui la implora di restare almeno per la notte e, per quanto sia una persona tremenda, in quelle circostanze sarebbe anche una richiesta comprensibile, ma lei non ci sta. Il risultato è un addio con tanto di taxi che si allontana, fin troppo stereotipato anche con la narrazione che sottolinea quanto lo sia. Dovremmo ricordarci che non basta questo giochino per rendere digeribile una situazione trita e ritrita.
È un peccato che il libro non sfrutti questo anniversario per prendere una piega diversa, perché le pagine dedicate al lutto per Kyle sono fra le poche autentiche, forse le uniche: i personaggi cercano di distrarsi su dettagli triviali, Miles e Tate cercano di aiutare e fornire un po’ di distacco (mostrando più personalità qui che nel libro che li vedeva protagonisti) e in generale si percepisce quell’atmosfera irreale che caratterizza esperienze di questo tipo. Questo mi fa innervosire, perché Colleen Hoover riesce a scrivere qualcosa di decente quando non si mette in testa di intricare trame semplici o forzare i suoi protagonisti a parlare e pensare in modo imbarazzante con la scusa della spontaneità.
L’anno successivo, Fallon (che nel frattempo è tornata a Los Angeles) incontra di nuovo Ben ma scopre, con sua grande costernazione, che il ragazzo è in una relazione con Jordyn e la sta aiutando a crescere il bambino che aveva avuto da Kyle. Ricordate quando aveva scritto che la considerava una sorella? Perfetto. Quando non bastano i traumi a far mettere insieme le persone, ecco che conviene rasentare la linea dell’incesto, come per altro già fatto in Ugly Love.
Là dove finisce il fuoco, comincia il film
Messa di fronte a questo sviluppo degli eventi, Fallon decide di non presentarsi all’appuntamento con Ben l’anno successivo, che sarebbe anche il penultimo nell’ambito della loro scommessa, trascorrendo invece la serata con la sua coinquilina Amber e i rispettivi ragazzi, perché nel frattempo sta provando a iniziare una nuova relazione con un certo Ted, anche se con scarso entusiasmo.
La serata procede bene finché nel locale non fa capolino Ben che, fingendosi uno studente di giornalismo, “intervista” Fallon e la sua nuova fiamma. Lei, ovviamente a disagio, se ne va in bagno e Ben la segue, le annuncia di aver rotto con Jordyn (non rivedremo più né lei né il bambino) e che, naturalmente la ama ancora. I due iniziano a pomiciare (nelle nuove edizioni è qualcosa di consensuale, perché nelle prime Fallon non esprimeva il suo consenso, quindi diciamo che la Hoover almeno ha corretto questa parte), poi tornano al tavolo con gli altri e Ben fa scoppiare il putiferio perché rivela la sua relazione con Fallon. Ted a momenti lo strozza (occasione sprecata) ma intervengono i buttafuori. Una volta all’esterno, Fallon gli confessa di essere ancora confusa e Ted, forse la persona più normale di questo libro, fa per andarsene piccato… quando Ben, Amber e il suo ragazzo Glenn lo aggrediscono.
Nonostante tutto, Fallon e Ben passano la notte insieme, ma il mattino dopo lei scopre il (brutto) manoscritto sul quale lui sta lavorando da anni e, incuriosita, inizia a leggere la parte che descrive la lite con Kyle di tre anni prima, l’unico momento della storia sulla quale ha ancora dei dubbi. Si rende conto che la lite riguardava lei, al contrario di quanto le aveva detto Ben, e che Kyle ha accusato il fratello di essere il responsabile dell’incendio nel quale è rimasta ustionata.
Ovviamente sconvolta ma sperando che si tratti di un pessimo artificio narrativo, Fallon chiede spiegazioni a Ben, il quale tuttavia confessa la propria responsabilità, e lei giustamente lo pianta in asso.
Fine? Certo che no, perché arriviamo al quinto e ultimo anniversario, che Fallon trascorre a casa da sola dopo aver ottenuto un’ordinanza restrittiva contro Ben, un’ordinanza che lui viola per recapitarle la parte del manoscritto che spiega il motivo alla base delle sue azioni. Due anni prima dell’incendio, la madre di Ben aveva avuto una relazione con Donovan e, sempre in quel periodo, le era stato diagnosticato un cancro in fase terminale. Volendo gestire con dignità la fine della propria vita e dire addio ai suoi figli in modo adeguato, aveva pensato bene di spararsi un colpo alla testa, lasciando a Ben il ritrovamento del corpo e senza una spiegazione chiara sul perché avesse compiuto quel gesto. Ben si era convinto che fosse stato Donovan a spingerla al suicidio, così l’aveva seguito e aveva dato fuoco alla sua auto per vendetta, solo per accorgersi troppo tardi che l’incendio si era propagato anche alla casa.
Una volta scoperto che Fallon era stata coinvolta dall’incendio, Ben aveva cercato di rintracciarla, fino a trovarla in quella fatidica tavola calda cinque anni prima, con l’obiettivo di fare ammenda per quanto era successo, perché naturalmente costituirsi e accettare un aiuto psichiatrico è demodé.
Travolta da questo mare di informazioni, Fallon parla con sua madre, la quale le dice di dare a Ben un’altra occasione perché anche lui ha sofferto e ha delle cicatrici, con la differenza che le ha messe sulla carta affinché lei le leggesse. A me sembra che le abbia tenute ben nascoste fino al momento opportuno, mentre continuava a feticizzare quelle di Fallon, ma lei dovrebbe addirittura essergli grata per averla resa partecipe del suo trauma.
Contro qualsiasi logica di autoconservazione, a pochi minuti dalla mezzanotte, Fallon non solo raggiunge Ben e lo perdona, ma chiede a lui di perdonarla per non avergli dato modo di spiegarsi, e in più annuncia di aver finalmente fatto pace con Donovan perché, poverino, ha sofferto pure lui. Il libro si chiude con Ben che le fa uno spoiler alert dicendole che vivranno per sempre felici e contenti – dopo essere stati insieme per meno di trenta ore in totale – e un bacio che però si è perso durante la mia fuga precipitosa verso la tazza del cesso.
Pensavo fosse amore, invece era un malessere
Superato il primo impatto di queste svolte agghiaccianti – e dire che conoscevo il finale grazie alle recensioni online, ma leggerlo in prima persona è tutta un’altra cosa – la sensazione che rimane tuttora è quella di una grandissima occasione sprecata. Colleen Hoover non scrive come se fosse su un sito di fanfiction, bensì come se volesse imitare una IA “generativa”: taglia e cuce insieme vari elementi d’effetto nella convinzione di ottimizzare la trama e lo svolgimento, per poi offrirci un prodotto così candidamente avulso dalla realtà che l’unico effetto possibile è l’uncanny valley.
Abbiamo a che fare con un thriller psicologico presentato come un romance, ma non in modo voluto. Se fosse stato scritto con maggior autocoscienza, ne sarebbe potuto uscire un capolavoro sperimentale che inizia con frasette autoironiche e quirky per finire nell’appartamento di Patrick Bateman. Tutto quello che c’era da fare era scrivere Ben per il personaggio orribile che è, perché è forse il deuteragonista maschile più atroce mai concepito dalla letteratura moderna. Pagine su pagine di After, Fabbricante di lacrime, Fourth Wing e tutto il campionario di maranza spacciati per l’amore supremo impallidiscono di fronte a questo tizio pretenzioso e insignificante, che non se la mena con i lupi, le falene, gli alpha, il pericolo, le brutte intenzioni e la maleducazione, ma riesce comunque a essere il peggio del peggio, anche con un trauma psicologico concreto alle spalle. Forse solo in Powerless c’è qualcosa di peggiore, ma lì perché si passa direttamente al genocidio.
Un simile personaggio si muove però nel mondo rarefatto di CoHo, dove i traumi psicologici si indossano per fare colpo e poi si scartano in un attimo, e dove i personaggi non hanno interessi autentici né spessore, con vite che vanno in pausa e riprendono a piacere.
A un certo punto sono arrivato a sperare che Ben avesse manomesso l’auto di Kyle per sbarazzarsi di qualcuno che conosceva la verità ed evitare che ne parlasse a Fallon, o che si fosse sbarazzato di Jordyn e del bambino perché rappresentavano un ostacolo al coronamento del suo progetto ossessivo di dominare completamente la vita di una ragazza che lui stesso aveva rovinato anni prima. Ma tutto questo avrebbe richiesto un interesse per la storia che andasse oltre l’anticipo della casa editrice, e mi rendo conto che non sia facile star dietro a questi dettagli quando si vendono milioni di copie all’anno.
Conclusione: Ben merita di finire nelle librerie ma come caso clinico per il DSM, questo libro è raccapricciante e la caduta del muro di Berlino è la seconda cosa peggiore che assocerò al 9 novembre d’ora in poi. Grazie, Colleen. Ora che ci siamo conosciuti, cerchiamo di non frequentarci più.
Voto: 0,911/5
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Nato a Modena nel 1990 e laureato in Scienze Chimiche, esordisce con Delrai Edizioni nel 2019 dopo anni trascorsi a bazzicare forum di letteratura e fanwriting. Amante del mistero e delle soluzioni (sia corrosive che non), ha pubblicato La città vuota, Azoth Express e I corvi scrivono romanzi gialli?
Capolavoro di recensione