In questi giorni un timore, venato di panico, serpeggia fra gli autori italiani: davvero non si può più citare niente nei propri romanzi?
A sollevare la questione per primi sembrano esser stati Loredana Lipperini e Carlo Lucarelli, al festival Intermittenze a Riva del Garda, con la prima che ha ripreso la questione sul proprio blog.
Si direbbe che ultimamente case discografiche e case editrici, ciascuna per le opere di propria competenza, stiano agendo legalmente con determinazione contro chi inserisce estratti delle loro opere nei propri romanzi, con grande danno economico per gli autori citanti e i loro editori.
Giacché l’abitudine di citare estratti da opere altrui, che sia la frase di un libro o il verso di una canzone, è una abitudine radicata nella letteratura italiana, questa novità, o anche solo l’ombra di questa novità, sta portando molti a chiedersi se un’epoca di citazioni libere sia finita, e perché.
È forse cambiata la legge? Siamo di fronte a una modifica delle regole del gioco attuata col favore delle tenebre (cit.) dal legislatore per venire incontro agli interessi dei big dell’industria culturale?
In questo articolo spero di riuscire a fare chiarezza, sfatare qualche mito e offrire una ipotesi di cosa potrebbe star accadendo.
Cosa si intende per citazione?
Prima di tutto sgomberiamo il campo da tutte quelle che non sono citazioni ai fini della legge e, quindi, non possono ledere il diritto d’autore altrui.
Lo faremo definendo cosa è una citazione.
La citazione è una riproduzione anche solo parziale di un’opera altrui; quindi, è necessario che dell’opera vengano ripresi degli elementi così come compaiono nell’opera originale.
Nel caso di un romanzo, il quale non può che citare opere testuali o gli elementi testuali di opere non solo testuali, la citazione consiste nel riprendere le parole di un’altra opera e riportarle nella propria, ovviamente indicando la fonte (riprodurre parti di opere altrui senza indicarne la fonte, e quindi intestandosene la paternità, costituisce plagio).
Questo però non significa certo che ogni parola o semplice accoppiata di parole tratta da un’opera sia una citazione!
Tanto per cominciare, il titolo di un’opera è citabile. Il titolo è infatti tutelato a parte rispetto al contenuto di un’opera, e quel che è vietato è utilizzare il titolo di un’opera quale titolo di un’altra opera di natura simile alla prima, ma non vi è divieto a citare il titolo di un’opera dentro un’altra opera.
Se, per esempio, il protagonista del vostro romanzo è un grande appassionato di Hermann Hesse non c’è problema a scrivere una scena dove viene colto a leggere “Narciso e Boccadoro” sotto la veranda. Quel che non potete fare è intitolare il vostro romanzo “Narciso e Boccadoro”.
Andando al contenuto di un’opera, è necessario che la parte citata abbia un minimo di distintività.
“Sono un servitore del fuoco segreto e reggo la fiamma di Anor! Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla, fiamma di Udûn! Ritorna nell’ombra! Tu non puoi passare!”
Questo è una battuta di Gandalf tratta da “La Compagnia dell’Anello” di J.R.R. Tolkien nel momento del suo scontro contro il balrog di Moria: la scena madre del personaggio in quel libro. Riproporla così nel proprio romanzo sarebbe, appunto, una riproduzione parziale dell’opera di Tolkien, cioè una citazione.
“Tu non puoi passare!” invece non lo è. Anche se è ormai iconica, anche se è ormai una battuta che, complici i film di Peter Jackson, chiunque ascolta o legge associa direttamente a Gandalf, non è sufficientemente distintiva per poter sostenere che chiunque faccia dire a un suo personaggio “Tu non puoi passare!” stia citando “La Compagnia dell’Anello”.
Cosa dice la legge
Definiti i confini della citazione, è il momento di capire cosa dice la legge italiana sulla possibilità di citare liberamente opere altrui.
La norma che se ne occupa è l’art. 70 della Legge sul Diritto d’Autore (L. 633/1941, abbreviata in LdA) e per la parte che qui ci interessa, la citazione di opere altrui all’interno di opere destinate alla commercializzazione, la quale stabilisce che è possibile riprodurre liberamente, senza il previo consenso del detentore dei relativi diritti, parti di un’opera se sussistono i seguenti requisiti:
- la citazione deve essere finalizzata a uno scopo di critica o di discussione;
- la citazione deve essere contenuta nei limiti giustificati da tali fini (criterio di continenza);
- la citazione non deve costituire concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata (criterio di non concorrenza).
Partiamo dagli ultimi due punti. La citazione, per essere lecita, deve sempre e comunque essere limitata al minimo indispensabile per raggiungere lo scopo. Per esempio, se lo scopo è fare l’analisi dell’incipit di un romanzo è lecito riprodurre l’incipit, ma non l’intero primo capitolo.
La citazione non deve fare concorrenza economica all’opera, cioè non deve essere così estesa da rendere l’acquisto dell’opera che contiene la citazione una valida alternativa all’acquisto dell’opera citata. Un esempio può essere la riproduzione, a scopo di critica, di un intero racconto tratto da una antologia, dove l’opera critica diventa una alternativa valida per i potenziali lettori della antologia che l’avrebbero comprata solo per quel racconto.
Ma il vero punto che tronca ogni possibilità di libere citazioni nella narrativa, e che rende l’ambito del “fair use” italiano così ristretto, è il primo. La libera riproduzione di parti di opere altrui è consentita solo a scopo di critica e di discussione.
Questo lascia completamente fuori le opere di narrativa, limitando il diritto di citazione a opere di critica delle opere citate (ad esempio le recensioni) oppure di discussione generale, dove le citazioni servono per contestualizzare e/o sostenere le tesi dell’opera (ad esempio un saggio sulla cultura degli anni ’70 con riferimenti e citazioni delle principali opere dell’epoca).
E questa norma, per quel che qui ci interessa, è così da molto, molto tempo. La legge italiana, quindi, non legittima le citazioni all’interno di opere di narrativa da, ormai, decadi. Se così è, però, perché abbiamo sempre visto numerose citazioni nei romanzi che abbiamo letto?
Una prassi di lungo corso
Perché le prassi non sempre seguono la legge.
I motivi per cui una norma non trova diffusa applicazione possono essere molti, e nel caso del diritto di citazione si sono, a mio avviso, combinate due diverse cause che hanno portato all’estensivo uso delle citazioni in narrativa.
La prima è una causa culturale. A patto che rispettassero i criteri della continenza e della non concorrenza dell’opera citata, le citazioni sono sempre state viste, sia dagli autori che dalle aziende culturali (case editrici, etichette discografiche, case cinematografiche ecc.) come innocui omaggi, se non menzioni di merito, segni che le opere citate avevano lasciato il segno nella cultura generale.
C’è sempre stata quella che in gergo giuridico si definisce una tolleranza di una condotta illecita. I titolari dei diritti violati hanno scelto di non perseguire le violazioni, di cui pure erano a conoscenza, non avendo interesse a far valere i loro diritti nei confronti dei citanti.
La seconda è una causa pratica. Anche quando qualcuno avesse deciso di non tollerare la citazione illecita della propria opera, una causa contro l’autore della citazione e il suo editore sarebbe stata più una spesa di denaro e di tempo che altro. E quando le azioni legali sono poco convenienti solitamente non le si fa, finendo col tollerare l’illecito, salvo la gravità percepita dell’illecito sia tale da far ritenere il perseguirlo una questione di principio. Le citazioni, tuttavia, quando contenute e non concorrenziali, difficilmente scatenano un tale desiderio di giustizia nel titolare dei diritti sull’opera citata.
Pertanto, le citazioni nell’ambito della letteratura sono state sempre abbastanza libere, a causa di questa prassi di tolleranza delle citazioni non consentite.
Gli autori e gli editori più accorti hanno, comunque, sempre cercato di limitarle al minimo, consapevoli della loro sostanziale illegalità. Autori e editori meno accorti, o dai volumi così piccoli da ritenere di muoversi “sotto i radar”, ne hanno, invece, fatto un uso più libero e, in generale, le volte che delle citazioni sono state perseguite hanno costituito l’eccezione in un clima dove la tolleranza era la regola.
Ma cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa? Per comprenderlo è necessario spiegare perché ho definito le cause contro le citazioni illecite poco convenienti.
La causa contro la citazione illecita
La citazione che non rispetta i requisiti dell’art. 70 LdA costituisce una riproduzione illecita, seppur parziale, di opera altrui, e l’autore dell’opera illecitamente riprodotta può agire nei confronti dell’autore della citazione per chiedere la rimozione della riproduzione illecita, attraverso il ritiro e/o la modifica dell’opera che la contiene, ma soprattutto può chiedere, assieme o invece della rimozione, di ottenere un ristoro economico per il tempo in cui la riproduzione è circolata o continuerà a farlo.
Questo ristoro economico si compone di due voci: il prezzo del consenso e il risarcimento dell’eventuale danno.
Il risarcimento del danno è possibile solo se, appunto, sussiste un danno, ma la citazione illecita raramente ne produce. Il titolare dei diritti sull’opera citata, per ottenere qualcosa, dovrebbe provare che la circolazione della citazione ha ridotto le vendite della sua opera o che ne ha leso l’immagine (dell’opera o dell’autore) e dovrebbe provare anche l’esatto ammontare del danno subito.
Solo provando l’esistenza (an) e l’ammontare (quantum) del danno è possibile ottenere il risarcimento. Le citazioni contenute nei romanzi, salvo casi rari e gravi, non arrecano alcun danno alle vendite dell’opera citata o alla reputazione sua o del suo autore e, quindi, questa voce resta solitamente disattesa, e il titolare dei diritti sull’opera citata non può ragionevolmente sperare di ottenere qualcosa chiedendo il risarcimento del danno.
La voce davvero importante è il prezzo del consenso. Il prezzo del consenso corrisponde al prezzo che l’autore che ha compiuto la citazione avrebbe dovuto pagare al titolare dei diritti sull’opera citata in cambio della licenza di poter riprodurre uno o più estratti dell’opera.
In sostanza di tratta di determinare per via legale, con una sentenza del giudice, il guadagno che si sarebbe conseguito prima se l’autore citante avesse fatto tutto secondo le regole.
Potrebbe sembrare una ghiotta occasione per il titolare dei diritti sull’opera citata. Si va in tribunale, si dichiara che il prezzo del proprio consenso è, mettiamo, 30.000 euro, ed ecco che ci si porta a casa l’equivalente di uno stipendio perché qualche sventurato ha citato un verso della nostra canzone.
In verità il prezzo del consenso viene determinato dal giudice, sulla base della richiesta formulata, delle prove portate dal titolare dei diritti sull’opera citata e delle contestazioni e delle prove portate dal soggetto citante. Questo vuol dire che la richiesta di chi ha subito la citazione non sopravvive mai all’incontro con la giustizia, perché è fin troppo facile, per il soggetto citante, provare che il prezzo della licenza non sarebbe stato pari al prezzo del consenso richiesto in sede legale.
Questo perché il prezzo della licenza è noto, ed è inferiore, o perché non è noto e in quel caso si fa riferimento a tariffari predisposti da associazioni di categoria (come, ad esempio, la SIAE) che tendono a essere sopra mercato ma comunque non così alti da sostenere una domanda come quella di 30.000 euro del nostro esempio!
Poiché le spese che si va a sostenere per una causa sono proporzionali al suo valore – quindi più si chiede più si spenderà di tasse e di compensi all’avvocato – il rischio concreto è quello di ritrovarsi a spendere cifre che non sono affatto convenienti rispetto al prezzo del consenso che verrà determinato dal giudice.
Certo, la regola è che chi perde una causa rimborsa al vincitore le spese sostenute, sia per le tasse che per l’avvocato, ma sta sempre al giudice determinare parte di queste spese, e può ben decidere di determinare un rimborso delle spese sostenute dal vincitore per l’avvocato inferiore a quanto questi ha davvero speso.
Se, poi, il giudice dovesse ritenere che il soggetto citante, pur essendo in torto, avesse qualche ragione valida per la sua condotta (ad es. perché era in buonafede, perché la frase individuata come citazione non è palesemente tale, ecc.) potrebbe anche ordinare la compensazione delle spese, cioè, disporre che ogni parte si paghi le sue, senza obbligo per il perdente di rimborsare il vincitore.
Capite bene, quindi, che una causa contro una citazione illecita è il tipo di causa che è relativamente semplice da vincere ma dove l’incertezza sull’entità della vincita fa sì che spesso non valga la pena avviare la causa.
Perché, per una citazione di due righe, qualcuno dovrebbe mettersi a fare una causa che porti, magari, a una sentenza che gli riconosce 2.000 euro di prezzo del consenso col rischio di pagarne altrettanti di spese che si recupereranno, non sempre e forse parzialmente, successivamente?
La scarsa convenienza nel perseguire le citazioni delle proprie opere, come detto, secondo me è una delle cause che hanno contribuito a un diffuso clima di tolleranza, e quindi uso, delle citazioni in narrativa.
Ma se non è cambiata la legge, se le cause contro le citazioni sono poco convenienti, cosa può essere cambiato? Cosa sarà accaduto che sembra star mettendo in discussioni una prassi talmente consolidata da convincere molti che, invero, fosse perfettamente lecita?
Ipotesi e conclusioni
Nella impossibilità di sapere quale evento o eventi hanno causato questa idea che si stia avviando una persecuzione delle citazioni, e il relativo panico, non è possibile dare una risposta fondata alla domanda “cosa è cambiato?”. Però posso fare una ipotesi su cosa potrebbe cambiare per portare alla fine della generalizzata tolleranza delle citazioni.
Potrebbe essere accaduto, o accadere, che diversi soggetti della industria culturale, forse spinti dalla generalizzata crisi, abbiano deciso di orientare i loro sforzi per rendere più convenienti le cause contro le citazioni e, quindi, più redditizia la loro persecuzione.
Come ho detto, il prezzo del consenso indicato dall’attore difficilmente sopravvive all’incontro con la giustizia, ma questo anche perché chi agisce spesso vende le licenze sulle proprie opere a prezzi inferiori rispetto alle richieste che porta in tribunale oppure non ha dietro una consolidata prassi di prezzi coerenti e costanti delle proprie licenze.
Se un soggetto, per esempio una etichetta discografica, iniziasse a praticare dei prezzi per le proprie licenze coerenti e costanti e li applicasse, sempre con costanza, anche alle licenze per la riproduzione di piccole parti dell’opera potrebbe presentare a un giudice una richiesta difficilmente scalfibile.
Alzando i prezzi delle proprie licenze a un prezzo che sia al tempo stesso accettabile per i propri clienti abituali ma abbastanza alto da giustificare l’azione contro un soggetto citante, la casa discografica del nostro esempio potrebbe attuare una strategia di plurime azioni per violazioni del proprio diritto d’autore, vedersi riconoscere il prezzo del consenso che chiede (forte del lavoro preparatorio per dargli costanza e coerenza) e passare all’incasso.
Inoltre, più cause vinte vi fossero, più semplice sarebbe farsi pagare già solo dopo aver inviato una lettera di diffida, cioè una comunicazione in cui si chiede di pagare un dato prezzo del consenso per evitare di essere citati in tribunale. Questo perché, se una serie di cause per citazione illecite vinte, e vinte bene, portasse alla diffusa percezione che i titolari dei diritti sulle opere citate ottengono quel che chiedono, allora i soggetti chiamati a pagare per delle citazioni illecite sarebbero più propensi a cedere alle richieste dei titolari dei diritti per evitare le ulteriori spese della causa legale.
Quello che potrebbe essere accaduto, o accadere, è che diversi soggetti potrebbero aver deciso di smettere con la tolleranza perché hanno trovato il modo di rafforzare le proprie chance di guadagno dalla persecuzione delle citazioni illecite, e che stiano agendo per creare quella serie positiva di buone vittorie tale da poter poi “passare all’incasso” con le sole diffide.
Se così fosse, o se questo dovesse accadere, potrebbe anche essere davvero la fine di un’epoca di citazioni tutto sommato libere, poiché tollerate, e l’inizio di un’epoca molto più restrittiva sulle citazioni in narrativa.
Un’altra cosa che potrebbe essere accaduta, o che potrebbe succedere, è che uno dei pochi che hanno avviato una causa per una citazione letteraria la abbia vinta con grandissimo profitto, magari per una serie di circostanze fortuite e difficilmente replicabili, e che gli altri soggetti le cui opere vengono citate senza consenso, vedendo da fuori che questo soggetto ha vinto e guadagnato bene, ne abbiano tratto la conclusione, sbagliata, che questo tipo di cause sia improvvisamente diventato conveniente perché i giudici (pur non essendo cambiato niente nelle circostanze che stanno attorno vi stanno attorno) appoggerebbero più facilmente le richieste economiche di chi le promuove.
In questo caso, avremmo tutta una serie di cause, probabilmente destinate a finire in modo poco soddisfacente per i titolari dei diritti sulle opere citate e che si esaurirebbe in relativamente poco tempo, quello necessario perché queste cause si chiudano e i detentori dei diritti sulle opere citate si rendano conto che continuano a non essere convenienti.
Come già scritto, non so che cosa sia, o si pensa sia, accaduto o stia accadendo e ci vorrà del tempo per vedere se una, entrambe o nessuna di queste mie ipotesi si rivelerà corretta.
Nel mentre, ritengo utile si sia aperto un dibattitto sul diritto di citazione, perché è una buona occasione per portare molti creativi che, complice la prassi diffusa, pensavano che il diritto di citazione fosse più libero, a conoscerne gli esatti (e limitati) confini.
In attesa che la normativa di riferimento cambi in senso più liberale (chissà, magari proprio per la spinta di una industria culturale cui viene tolta la comoda prassi diffusa finora) invito tutti i lettori che siano anche scrittrici o scrittori a muoversi con prudenza quando si tratta di citare opere altrui, senza scadere nella paura ma cercando di ottenere il consenso dei detentori dei diritti sulle opere che si vorrebbe citare ogni volta che è possibile.
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Buongiorno, alla sua puntuale e attenta disamina aggiungo che a riguardo nel febbraio 2007 vi fu un interrogazione parlamentare da parte del senatore Mauro Bulgarelli con la quale chiedeva di valutare l’opportunità di estendere il ‘fair use’ americano all’attuale ordinamento che – ricordiamolo – risale al 1941, quando la narrativa e il mercato editoriale erano ben altra cosa. Ebbene, gli venne risposto che “di fatto” il ‘fair use’ americano era già presente nell’interpretazione della legge e quindi non ce n’era bisogno. Quindi questa presa di posizione come la dovremmo considerare nello scenario complessivo? Grazie.
Un saluto.
Buongiorno, purtroppo o per fortuna le interrogazioni parlamentari non fanno giurisprudenza né hanno effetto diretto sullo stato o sull’interpretazione della legge.
Probabilmente la risposta ricevuta dall’On. Bulgarelli si basava su una interpretazione coeva della legge sul diritto d’autore, o di qualche organo di consulenza del Senato o della Corte di Cassazione.
Tuttavia, l’interpretazione di un organo consultivo del potere legislativo, di nuovo, non ha effetti e l’interpretazione della Corte di Cassazione, pur essendo rilevante, non costituisce precedente obbligatorio e può modificarsi nel tempo.
Se nel 2007 questa presa di posizione avrebbe potuto avere un qualche rilievo, permettendo a chi intende inserire citazioni nelle proprie opere di orientarsi verso gli argomenti giuridici a suo favore (gli stessi che saranno stati alla base della risposta data alla interrogazione), oggi non penso proprio si possa ritenere di qualche utilità.
Grazie per aver portato comunque un elemento interessante, sicuro andrò a recuperare il testo della interrogazione
Per esempio, se in un mio romanzo scrivo questo:
“La grande sala era vuota, tranne un pallido luccichio, come un lenzuolo bianco mosso da un vento inesistente che suggeriva una forma umana femminile e avvenente, simile a quella di Tong, che si prostrò di fronte ad essa. “Madre, tua figlia è qui per ubbidire ai tuoi desideri.”
Shya’Hoth, la madre di tutti i demoni, troppo caotica per essere pienamente accettata dalla contorta realtà dell’Abisso, rispose con voce bassa e quasi impercettibile.”
che riporta la descrizione della demone Pale Night di Dungeon & Dragon, a cui ho cambiato nome, ma non con la sequenza esatta delle parole dei libri, é una citazione o no?
Se sono le parole dei libri e la sequenza esatta si rientra più nel plagio, direi 😅