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Che voi siate scrittori esperti o neofiti della narrazione avrete di sicuro sentito parlare dell’editing, spesso indicato come una delle fasi irrinunciabili per ottenere un romanzo di qualità.
Ma cos’è, nel concreto, questa misteriosa e spaventosa creatura, protagonista di fin troppe leggende editoriali? Chi si nasconde dietro il terribile nome di Editor?
Siamo sicure che, se soltanto esistesse un “panicometro”, in questo momento rileverebbe tassi altissimi di terrore tra di voi, nostri cari lettori, non è vero?
Vi concediamo un attimo di smarrimento, un soffocato urlo interiore, ma ripreso il controllo vi invitiamo a sedervi comodi e seguirci in questa breve spiegazione, alla fine della quale, ve lo promettiamo, non avrete più ragioni valide per temere un solo editor in terra.
Iniziamo dal principio, partendo dalle definizioni: cos’è l’editing?
Con il termine di “editing” si indica la pratica editoriale/redazionale secondo la quale un testo viene analizzato e raffinato da uno specialista per eliminare tutti i difetti formali e contenutistici che potrebbe presentare.
Quindi chi è un editor? L’editor è lo specialista che si occupa di questa delicata impresa, perciò iniziamo a escludere dalla voce tutti i miti che vogliono l’editor come un lettore o un correttore di bozze. L’editor non è nessuna di queste figure, anche se, a volte, in realtà medio-piccole le stesse persone ricoprono più ruoli non essendo possibile assumere figure distinte per ciascuno, ma questa è un’altra storia. Un editor, quando è in veste di editor, non deve interessarsi d’altro oltre all’editing.
Illustrato cosa fa un editor in senso lato, iniziamo a vedere in dettaglio di cosa si occupa.
Le tipologie di editor
Esistono diverse tipologie di editor, ma possiamo concentrarci nell’analizzare le due tipologie emblematiche: il content editor (o line editor) che è colui che analizza dall’intreccio, allo stile, passando dal macro al micro del testo… riga per riga (da qui “line”); e il copy editor, colui che si limita agli aspetti stilistici senza intaccare i contenuti.
Ci sono content editor che si occupano anche della parte copy, e viceversa, come professionisti che non sconfinano mai oltre la loro competenza primaria. Ognuno stabilisce un po’ le proprie regole, ma di solito ne vale sempre una: il troppo stroppia. Logico è che un content editor sappia identificare gli errori stilistici del testo, ma non è sempre vero che un copy editor sia forte anche nell’analisi degli intrecci o abbia una valida idea degli spunti sensibili per un determinato target di lettori.
Abbiamo conosciuto bravissimi analisti di intreccio e fabula totalmente incapaci di tirare fuori una bella frase da una matassa di parole aggrovigliate.
Naturalmente, però, nessun content editor dovrebbe scrivere frasi sgrammaticate e nessun copy dovrebbe darvi pessimi suggerimenti di trama. Perché l’editor, qualunque tipo di editor, deve possedere almeno una caratteristica fondamentale, anzi due: la correttezza formale e la conoscenza dei propri limiti. Vale a dire che se il vostro content editor dovesse scrivere parecchie volte “ma però” forse dovreste farvi due domande sulla sua effettiva competenza anche se non è la persona che vi corregge le frasi… se non altro perché errori del genere non dovrebbe farli nessuno. Quanto al copy, deve conoscere perfettamente i concetti legati al registro linguistico e non muoversi in base al proprio gusto personale… ma per questo vi rimandiamo alla parte degli esempi.
Tutto questo per dirvi cosa? Attenzione alla facilità con la quale ci si rapporta alla parola “editing” perché in ambito professionale nulla è lasciato al caso e le definizioni non sono state create solo per amor di nomenclatura.
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Esiste anche una terza tipologia di editor, molto importante sebbene poco conosciuta: l’Editor di Sviluppo o Coach Editor, colui che affianca fisicamente e spiritualmente un autore nella stesura di un romanzo, dalla trama alla raffinatezza stilistica che potrebbe rendere al meglio la frase nel punto X del capitolo ottavo, seconda porta in fondo a destra.
Tra tutte e tre le figure analizzate, l’editor di sviluppo si potrebbe definire come un super editor, capace di riassumere in sé le casistiche precedenti. Quando avete a che fare con un Coach Editor, ci sono diverse cose che dovete tenere a mente.
La prima è che deve conoscere la grammatica che, lo sappiamo, sembra banale… ma non lo è.
La seconda è che deve conoscere la storia non diciamo meglio di voi… ma quanto voi. Vale a dire che se continua a dimenticarsi pezzi, probabilmente non vi stava ascoltando mentre gli spiegavate perché è tanto importante che Frodo porti l’anello a Mordor – un momento di silenzio per l’immaginario Coach Editor di Tolkien – e, cosa ancor peggiore, non ha neppure conservato gli appunti che gli avete mandato.
La terza è questa: se vi dice “no, così no” deve sapervi spiegare perché e il perché deve essere oggettivo, logico e inerente alle dinamiche di narrazione. Oggettivo comporta che non dipenda dal gusto personale; logico, va da sé, che sia una scelta con un ragionamento comprensibile alla base e inerente alle dinamiche di narrazione implica in primis una conoscenza del genere che state trattando – e su cui state lavorando con l’Editor stesso – e in secundis una visione neutrale e non pregiudiziale dello stesso. Anche qui, nella seconda parte dell’articolo vi spiegheremo meglio cosa intendiamo.
Abbiamo visto il cosa e il chi, ora vediamo il come.
Cosa fa l’editor (e come lo fa)
Partiamo da una verità scomoda (ma forse per molti di voi tranquillizzante): un editing vero, per essere buono e giusto, non deve MAI stravolgere l’opera dell’autore. Deve aiutare a farla brillare, ma non costringerla ad altra forma… se no non è editing, è semplicemente accanimento. O ghostwriting.
Sveliamo un altro mistero: a volte, questi smembramenti non sono altro che consapevoli trovate commerciali, ma, come ben comprenderete, sono discorsi riservati a un grande ambiente gestito da ricche strategie marketing, non di certo alla piccola-media editoria. Tanto meno all’ambito del self-publishing. Se avete appena finito di scrivere il vostro romanzo e avete deciso di imbarcarvi nella fatica dell’autopubblicazione, probabilmente avrete contattato un editor freelance – se non l’avete fatto: male! – per togliere i difetti dal testo.
Bene, ricordatevi che ci sono solo due motivi per cui un editor dovrebbe suggerirvi di riscriverlo da capo:
- il primo è che il testo ha effettivamente dei grossi problemi ma, in quel caso, il professionista serio si limiterà a segnalarveli rendendosi disponibile a rispondere con competenza alle vostre domande
- il secondo è che vi siete imbattuti in qualcuno che pensa di avere idee geniali, originalissime e di certo migliori delle vostre e cerca in ogni modo di propinarvele, ottenendo come risultato di mandarvi totalmente in confusione. Questo è uno di quelli da cui scappare… ma ne parliamo dopo. In dettaglio.
L’editing è una delle fasi più importanti nella preparazione editoriale di un romanzo, se non la fase più importante. Un buon editing può essere determinante per far scintillare la nostra opera, un cattivo editing può azzopparla per sempre.
Perché è così fondamentale? Ecco un punto su cui magari non tutti si soffermano.
Spesso succede – anche fra noi editor – di confrontarci su scene che sarebbero formalmente corrette che, tuttavia, non ci convincono del tutto. È capitato a tutti di trovarsi davanti a un brano e fissarlo per ore chiedendosi che cosa non va. Questo accade essenzialmente per un motivo: abbiamo abbozzato la scena, l’abbiamo sviluppata, siamo già all’interno della logica nella quale percepiamo qualcosa di storto. In un caso simile, avere un collega editor a cui poter chiedere lumi ci salva spesso la vita (e la giornata di lavoro) perché l’editor lo sa cosa non va in quella scena e può aiutarci a risolverlo.
E se questo capita a noi, che editor lo siamo davvero, figuratevi se non succede a chi scrive senza – giustamente – curarsi degli aspetti tecnici. Uno scrittore, anche uno bravo, è spesso troppo addentro ai suoi vizi (di logica, di forma) per capire dove sta sbagliando. Questo può valere anche per una frase – tante volte la disposizione delle parole ha un certo peso – o per lo sviluppo di un personaggio. Se voi siete il baldo avventuriero che si muove tra le valli impervie della trama e della prosa, l’editor è la guida che vi indica dove sono le trappole.
Tra poco avremo modo di affrontare con calma, punto per punto, gli esempi più frequenti di bad editor e i danni che possono causare, con la speranza di sfatare qualche mito che gira attorno a questo spinoso argomento… ma, prima di tutto, dobbiamo spiegarvi come funziona effettivamente l’editing, in senso pratico.
Un bel respiro, e vediamo insieme cosa succede a un romanzo nel fatidico momento della sua trasformazione da pietra grezza in gemma.
L’editing, in pratica
Innanzi tutto, lo scrittore invia la miglior versione del suo manoscritto (sotto contratto) all’editor. L’editor lo legge e appunta sul testo le problematiche rilevate, gli inghippi di trama, l’incoerenza ecc, e rinvia tutto all’autore.
L’autore legge, valuta, e modifica in base ai suggerimenti o a nuove idee in linea con gli appunti stessi dell’editor. Se dovesse trovarsi in difficoltà, l’editor è pronto a intervenire per offrire una spalla su cui piangere e una mente in più per sbrogliare i problemi.
Avete notato una cosa? L’editor non scrive nulla, se non i suoi appunti.
Tutto qui? Ebbene sì.
Come avremo modo di approfondire, ci sono vari e variegati esempi di “cattivi” editor, ma purtroppo per scovarli, soprattutto per alcuni profili dalla psicologia più sottile e nascosta, è necessario aver a che fare con loro o, più banalmente, iniziare a lavorarci insieme.
Cos’è quell’ansia sui vostri volti?
Non temete, ora vi daremo qualche consiglio specifico che vi possa permettere di salvare il vostro tempo e anticipare la scoperta di molte tipologie di malandrini, prima che sia troppo tardi.
Come si sceglie un editor?
La prima cosa che dovete guardare è l’atteggiamento: è vero, l’abito non fa il monaco, ma ricordatevi sempre che cordialità e pacatezza fanno il professionista. Se la vostra prima impressione, parlando con l’editor, è quella di trovarvi di nuovo a scuola davanti a quel professore antipatico che vi dava quattro qualunque cosa faceste, è probabile che ci sia qualcosa che non va. Metà del mestiere dell’editor è comunicare. Se non riesce a farlo senza riempirsi la bocca di quanto sia più preparato di voi e dei suoi colleghi o senza risultare scortese, non è l’editor che state cercando, come i droidi di Episodio IV!
Fatta la doverosa premessa, ecco un elenco delle cose senza le quali un editor non è un editor.
1. Il Curriculum.
Iniziamo dal ricordarvi che gli editor non sono elfi domestici, nemmeno amici o cugini di cugini, ma professionisti e pertanto devono possedere un curriculum. Chiedeteglielo, sempre. Se vi vengono propinate scuse di vario tipo dal “non ne ho mai avuto bisogno”, “devo aggiornarlo, te lo mando in seguito”, “Curricosa?”, “Ma cos’è, sei la finanza?” ecc… SCAPPATE. Un vero professionista non ha mai paura di mostrare il proprio lavoro, anzi, ne dovrebbe andare fiero.
Mettiamo, invece, che il nostro ancora-presunto-editor ci fornisca un bel curriculum o un profilo Linkedin; la prima cosa da fare è verificare la corrispondenza tra le informazioni date e la realtà. Serve controllare tutto? Ovviamente no, non vogliamo farvi vivere nella paranoia, vi consigliamo soltanto di verificare che le case editrici citate nelle collaborazioni siano effettivamente consce di aver avuto tali collaboratori, dato che tanti – troppi – amano definirsi editor della tal casa editrice solo perché hanno letto in anteprima il tal libro, scritto dal loro compagno di liceo, e dato al suddetto qualche consiglio in veste amicale.
Come fare per eseguire questa verifica? È semplicissimo.
Prima di tutto, potete guardare i colophon dei libri, molto spesso infatti i nomi degli editor sono citati proprio lì. E come saprete, i colophon sono quasi sempre compresi nelle anteprime di Amazon, accessibili a tutti.
Il nome del nostro editor non compare? Non è necessariamente un truffatore, anzi, potrebbe essere un editor molto rinomato (o un Coach Editor) che non ama comparire nelle opere da lui editate (nell’ambiente dell’editing, è ancora considerato poco fine far inserire il proprio nome nei credits, NdR.). Come fare per confermare una corrispondenza tra curriculum e realtà, in questo caso? Vi basterà controllare online: molto spesso gli editor di un certo livello scrivono articoli, vengono citati dalla stampa, partecipano a eventi, webinar e molte altre attività simili. In ultima battuta, potete sempre scrivere alla casa editrice di riferimento chiedendo se il nostro sedicente editor abbia mai avuto rapporti lavorativi con l’azienda.
2. La Partita Iva.
Generalmente, gli editor – come tutti i freelance – possiedono una partita iva, ma questo assioma non è sempre valido e nemmeno indice di effettiva serietà. Se si tratta di professionisti che seguono pochissimi clienti all’anno, infatti, è possibile che lavorino con un contratto di prestazione occasionale.
Se vi viene presentata una partita iva insieme a un ricco curriculum, cari amici, potete stare sereni. Vediamo però cosa fare nel caso in cui il nostro sedicente editor ci riferisca di non avere partita iva e seguire soltanto pochi casi all’anno.
Prima di tutto, fate una rapida verifica: quanti titoli sono usciti nell’anno precedente o nell’anno in corso editati dal nostro editor (guardate il CV)? Quante persone hanno detto di aver lavorato con ləi nei mesi passati? Beh, se il numero supera una ragionevole ipotesi di lavoro occasionale, è meglio stare alla larga da questa persona. Non solo non promette serietà, ma potremmo trovarci persino di fronte a un delinquente.
3. La prova d’editing
Un editor che si rifiuta di fare una prova editing (solitamente lunga una/due cartelle) non è un editor professionista. Vediamo invece come agire con chi si dichiara pronto a sostenere l’esame.
Vi consigliamo di utilizzare sempre l’incipit del vostro romanzo come materiale di prova, corredando il medesimo con una sinossi che permetta all’editor di farsi un’idea più chiara sul prodotto che andrà ad analizzare.
A parte queste accortezze tecniche, vi invitiamo a mettere due o tre errori consapevoli nel testo. Sarebbe ottimale usare un errore di sintassi, uno di ortografia e uno di costrutto o logicità di scena, per potervi garantire un parco errori sufficientemente vario da poter analizzare le reazioni dell’editor. Se gli appunti lasciativi ricalcano le risposte descritte in uno dei profili sotto analizzati, iniziate a dubitare della persona che avete di fronte. Potrebbe essere un editor vero, ma di sicuro non un bravo editor. E noi non siamo qui per consigliarvi mezze calzette.
Se il nostro editor risponde invece in modo gentile e professionale, ma non rileva alcuni degli errori presenti nel testo… potrebbe essere semplicemente ancora inesperto (ha un breve CV) o molto poco preparato (ha un lungo CV).
Attenzione: siate sicuri degli errori che andrete a infilare nel testo, perché ci è capitato molte volte di imbatterci in autori che non conoscono nemmeno la corretta architettura di una relativa. Quindi siate umili e onesti voi per primi, anche nelle prove che disseminate per evitare una truffa. Evitate rigorosamente come errori-prova gli errori stilistici, perché non sono giudicabili in modo coerente da un paio di cartelle e potrebbero anche essere scambiati per tecniche narrative di ribaltamento.
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Come riconoscere ed evitare un cattivo editor
Ora potete tirare un sospiro di sollievo; o meglio, potreste, se non fosse che il mondo dell’editing freelance è come le zone inesplorate delle mappe medievali. Hic sunt leones… da tastiera, è il caso di dirlo, ma proprio per questo abbiamo pensato di fornirvi un breve compendio dei tipi più comuni di bad editor e dei trucchi da adottare per scovarli subito.
Il copy distratto
Lo riconoscete abbastanza facilmente, invero, o almeno: così è per noi. È quello che non vi becca mezza ripetizione e scrive “la luce della luna riluceva sulla superficie lucida del lago” che è una frase sbagliata per tantissimi motivi, se non siete Pascoli e non scrivete poesie. Provate un po’ a leggerla ad alta voce e diteci se non vi si ingarbuglia la lingua. In più, è piena di ripetizioni, che sono una cosa che dovreste evitare, se non per particolari figure retoriche. Spoiler: l’allitterazione non è fra queste… se non in casi particolari, che il bravo copy conosce benissimo. Ma proviamo a usare un esempio meno evocativo e diciamo allora che “Johnny aveva fatto una cosa sbagliata e non avrebbe potuto fare a meno di farci i conti. Eppure, finché poteva farlo, rimandava.” In questo caso, non c’è motivo di non variare la struttura e risparmiarci almeno una volta di usare il verbo “fare”. Ecco, se il vostro copy non vi fa notare una cosa del genere, se non altro come open point, probabilmente dovrebbe cambiare mestiere.
Il copy distratto potrebbe anche perdersi punteggiature fuori posto e non notare la costruzione delle frasi. In tal caso, per saperlo, dovete conoscere la grammatica voi per primi… ma siamo sicure che sia così, altrimenti come fareste a scrivere un libro?
IL COPY DISTRATTO
I danni che causa: testi brutti, privi di qualsiasi eleganza e cura formale. Insomma, nessuno crederà mai che la vostra opera sia stata raffinata da un editor, inutile mostrar loro l’esosa parcella corrisposta.
Come stanarlo: facile. Mandategli una cartella di prova con qualche frase malandrina come quella di Johnny e qualche errore voluto. Garantito che se non ve li segna con otto righe rosse c’è qualcosa che non va.
Il copy “sui generis”
Lui non lo sa, come si scrive quello che state scrivendo voi. Lui sa solo quello che scrive lui e gli piace tantissimo. Sappiamo di dirvi una cosa scontata, ma il registro linguistico non è uno ed uno solo: se state scrivendo un hard-boiled, probabilmente, userete termini gergali, da strada, descrizioni mediate da un occhio cinico e… sì, anche linguaggio triviale. Così parleranno i vostri personaggi e così parlerà il vostro narratore. Se scrivete un high fantasy con gli Elfi, avrete probabilmente una terminologia più aulica (ma non troppo, per carità). Il bravo copy lo sa e potrebbe pure capitare che vi dica che non è un esperto in quel genere e che preferisce passarvi a un collega. Il copy sui generis invece è bravissimo ed espertissimo qualunque cosa voi stiate scrivendo. Peccato che lo riduca a quello che piace a lui e dica cose come “il narratore non può imprecare” dentro un thriller scritto alla maniera di Raymond Chandler o “non devi usare forme in negativo” quando si sta parlando di un epic fantasy; che invece le usa eccome, le forme in negativo. Basta non abusarne.
Esistono anche copy sui generis che amano tantissimo il genere a cui vi state dedicando e che pertanto vi passano ogni stilema, anche quelli esagerati. Sembra bellissimo, ma poi il lettore si perde, quindi dovete fare molta attenzione anche a quelli.
IL COPY “SUI GENERIS”
I danni che causa: vi farà probabilmente uscire dai binari del vostro genere, portandovi sulla pericolosa strada dell’appiattimento stilistico (o, al contrario, della sua esasperazione), causandovi al contempo una grande confusione e insicurezza.
Come stanarlo: buttate nella cartella di prova qualche frasetta a sproposito, del tutto fuori tono, o esagerate con gli stilemi del genere e vedete che succede.
Il genio della stilistica
È il più insidioso della categoria, perché solo lui scrive frasi belle e quindi tenderà a correggere le vostre senza che ce ne sia reale motivo. Siccome ha anche un discreto ego, averci a che fare è una cosa stancante e dopo un po’ tenderete a dargli ragione per non doverci discutere. Come risultato, il libro più che vostro sarà suo. Ecco: il genio non è un bravo editor e, probabilmente, non è neppure un bravo scrittore, ma questo è un altro discorso. Quello che davvero ci importa è sapere che costui è una piaga dell’umanità e che la sua risposta standard alla domanda “perché devo cambiare la frase?” è “perché così suona meglio”.
IL GENIO DELLA STILISTICA
I danni che causa: vi “ruberà” il libro e, probabilmente, lo trasformerà in qualcosa di già visto e sciapo, ma studiato alla perfezione per esaltare l’ego del presunto autore (o del fascinoso editor, perché no?). Personaggi di questo calibro sono bravissimi nel far crollare ogni sicurezza nel proprio cliente, anche quando si tratta di elementari e logici sviluppi di trama, nonché di basilari concetti stilistici.
Come stanarlo: armatevi di pazienza e di forza di volontà, perché il genio è molto convinto di se stesso, e fategli la domanda disarmante: “e perché suona meglio?”. Di solito, a quel punto, il genio balbetta qualcosa che non ha senso e si dissolve in una nube di zolfo. Si spera prima che abbia avuto il tempo di spillarvi dei soldi. Altro tip per smascherarlo: tizi come lui si propongono sempre di scrivere una prefazione o di avere qualcosa in più del loro nome nel colophon. Non resistono, non ce la fanno, è più forte di loro… devono apparire!
Il content che non deve chiedere mai
L’abbiamo già detto, il bravo content editor conosce benissimo i vostri personaggi e la vostra storia, ma per conoscerli deve prima farvi delle domande. E ve ne farà un sacco, alcune per sé e molte altre per voi, perché molto spesso usa la tecnica della maieutica per svelare misteri e problemi ignoti persino all’autore. Ma ponendo che voi rientriate nei rari casi di autori a cui non è necessario far domande, guardatevi comunque dal content che non deve chiedere mai. Chi è costui? È un individuo quasi del tutto normale, eccetto che lui dà tutto per scontato e trae conclusioni sul vostro worldbuilding, sui vostri personaggi e sui vostri intrecci senza chiedere conferma e anzi, contraddicendovi quando gli spiegate che si sta sbagliando. Fate molta attenzione, perché si distingue da un bravo content proprio perché non chiede, ma afferma, e quando doveste chiedergli come eventualmente evitare il fraintendimento che lo ha chiaramente colto, non saprebbe darvi una risposta coerente.
IL CONTENT CHE NON DEVE CHIEDERE MAI
I danni che causa: vi farà sentire soli, abbandonati, e – nel momento più inaspettato – pure incompresi perché vi metterà di fronte al tremendo dubbio “ma ho spiegato bene questo concetto o no?”. Tranquilli, con buona probabilità voi lo avete spiegato, è lui che non vi ha prestato attenzione.
Come stanarlo: stanare un cattivo content editor è più difficile che farlo con un copy, perché gli effetti del suo lavoro sono a termine più lungo. Potete comunque provare a dargli qualche input volutamente sbagliato o contraddittorio per vedere come reagisce. Spesso cadrà nella trappola senza nemmeno battere ciglio. Questi loschi individui sono altresì campioni di svicolamento e amano dare risposte sommarie o sminuire i vostri dubbi chiedendovi di risolverli altrove.
L’innovatore
Lui sa benissimo da dove avete preso le idee ed è per questo che cercherà di sovvertirle al grido di battaglia “il prescelto nel fantasy è roba vecchia!” o “basta triangoli nei romance, hanno stufato!” che, beninteso, sono entrambe cose vere, perché si parla di archetipi narrativi e l’archetipo ha questo brutto vizio di farsi sfruttare… perché funziona. Quello che l’innovatore tende spesso a ignorare è che se un archetipo è (diventato) tale è perché sta bene in quella determinata categoria di storie; in altre parole, è adatto al genere. Ora, quello che farà il bravo editor sarà dare dei suggerimenti per svecchiare l’archetipo che state usando – se non ci avete già pensato voi… e dovreste – ma all’innovatore questo non basterà. Lui cercherà di proporvi un eroe negativo – non un antieroe eh, c’è differenza – e un subplot romantico senza romanticismo (che non significa melensaggine). Ignorerà totalmente il genere e il target del romanzo, basandosi solo su quello che gli piace e gli sembra nuovo e anticonformista, spesso suggerendovi modifiche dall’improbabile effetto comico o straniante.
L’INNOVATORE
I danni che causa: stravolge, spesso senza alcuna ragione logica, le vostre storie. Vi farà sentire incapaci di creare qualunque sviluppo narrativo e “sciocchi”, alla stregua di un generatore casuale di cliché.
Come stanarlo: si stana da solo alla prima uscita assurda del tipo “il tuo eroe è troppo eroico”. Usa spesso la frase “Ti serve un personaggio meno pulito, devi inserirlo per dare più carattere”. E badate bene, a volte serve sul serio un personaggio di una tal tipologia per rendere funzionale una storia, ma nessun editor serio ve lo consiglierà per rendere più “sporca” una storia.
Mr. (o Mrs.) NO
Questa figura mitologica, di solito, vorrebbe fare – e a volte fa – il Coach Editor solo per il gusto di dirvi «NO». Probabilmente per vendicarsi trasversalmente di chi ha detto «NO» a l*i. Lo fa in maniera compulsiva e seguendo unicamente il suo gusto o il suo ideale. Ha anche una sottocategoria specifica, che è il Mr. NO impegnato e che vi boccia i naturali sviluppi narrativi perché a suo parere danno il messaggio sbagliato. Attenzione, che qui è facile confondersi: è possibile che un Coach Editor competente dia suggerimenti e ponga obiezioni in base al target e al genere, oltre al tipo di personaggio se con una determinata scelta rischiate di farlo andare out of character. Il caso che stiamo illustrando è diverso: qui si tratta di uno sviluppo della storia perfettamente sensato che viene bocciato… perché no.
MR. (O MRS.) NO
I danni che causa: solitamente scompensi emotivi e pianti. Anche lui vi farà sentire insicuri, ma persino “sbagliati” in quanto i suoi NO sono sempre seguiti da argomentazioni animose durante le quali potreste essere accusati delle più svariate mancanze morali o, al contrario, di eccessivi sentimentalismi.
Come stanarlo: anche Mr. NO si stana da sé. Lo fa dichiarando i suoi gusti o dicendo cose tipo: “non va bene perché non è giusto che vada a finire così”. Ignora totalmente i vostri intrecci, non nel senso che non li sa, ma nel senso che non gliene importa niente, perché tutto deve essere asservito al suo gusto e all’importantissima cosa che considera prioritaria. Usa toni poco gentili, categorici e spesso porta il discorso sul piano personale dando la colpa a voi, poveri scrittori, rei di aver attentato al suo impeccabile gusto con la vostra sciatteria e pochezza.
Ora sapete come scegliere il vostro editor
Confidiamo quindi che dopo questo esaustivo articolo abbiate un po’ meno paura di approcciarvi all’editing. In ogni caso, vi ricordiamo che anche i migliori di noi sono esseri umani e quindi fallibili. Quindi anche se il vostro editor è un bravo professionista, gli può capitare di non capire o di prendere una cantonata, e magari di darvi l’indicazione sbagliata. La soluzione a questo problema, spesso, è racchiusa nel confronto. Quelli dell’editor sono consigli e più voi siete aperti allo scambio di idee più, alla fine, il lavoro che farete insieme funzionerà.
E non dimenticate: se trovate qualcuno disposto ad argomentare con voi per un’ora sulla corretta sfumatura del sinonimo scelto per rimpiazzare una parola, tenetevelo stretto!
Vuoi saperne ancora di più?
L'arte dell'editing
Le iscrizioni chiudono il 14 aprile e sono rimasti gli ultimi posti!
Bell’articolo e molto chiaro. Ma voi fate servizio di editing? Anche servizio di proporre un manoscritto sul quale avete lavorato ad una casa editrice? Grazie
Molto interessante e utile. I dubbi sulla mia editor sono aumentati…
Mi fa piacere che ti sia stato utile, mi dispiace per la situazione con la tua editor, spero tu abbia modo di “liberarti”… Se hai bisogno di un consiglio siamo a disposizione 🙂
Bel testo! Ben strutturato e argomentato. Senza dubbio utile! Sembra rivolto più che altro a scrittrici piuttosto che a scrittori, vista la doppia ricorrenza di “siamo sicure” al femminile.
Ottima la tecnica del rivolgersi direttamente al lettore: “Avete notato una cosa?”, “Cos’è quell’ansia sui vostri volti?/Non temete”. E, strategica, quella dell’annunciare e posporre l’approfondimento di un punto: “nella seconda parte dell’articolo vi spiegheremo meglio cosa intendiamo”, “vi rimandiamo alla parte degli esempi”; è una tecnica per tenere viva la curiosità del lettore: può piacere oppure no; personalmente a me non piace, preferisco le cose mi siano spiegate subito
Quanto al nostro Johnny che si dà tanto da fare:
“Johnny aveva fatto una cosa sbagliata e non avrebbe potuto fare a meno di farci i conti. Eppure, finché poteva farlo, rimandava.”
si potrebbe suggerire di cambiare la frase come segue: “Johnny si rese conto di aver commesso un errore e di dover, per questo, subirne prima o poi le conseguenze. ‘Quando?’, si era chiesto. ‘Il più tardi possibile’, si era risposto.
Il senso globale è rimasto ma il verbo fare non c’è più.
Si parla sempre di romanzo ma poi, gli esempi e i riferimenti riguardano, il più delle volte, il romanzo di genere (poliziesco o fantasy) che, come tale, ha degli schemi ben definiti dai quali ci si può ben poco esimere ma che, d’altro canto, sono, in certa misura, rassicuranti per chi scrive. Se poi chi legge lo fa con occhio critico, alcune volte in un romanzo poliziesco, per esempio, può intuire il finale senza troppi sforzi: se queste sono le premesse, il prosieguo della trama e il finale non può, con ogni probabilità, che essere… Ma se il romanzo non è di genere? Mi piacerebbe sapere chi fu l’editor che si occupò dell’Ulisse di Joyce e, soprattutto, cosa gli suggerì. Oppure chi editò Mrs Dalloway della cara Virginia (Woolf)… o L’età dell’innocenza della Wharton secondo la quale le scuole di scrittura creativa negli Stati Uniti esistevano già ai suoi tempi.
A che titolo, poi, un editor (che preferirei chiamare “redattore”) cerca di migliorare uno scritto? Il suo intento persegue un fine artistico-estetico o puramente commerciale: contribuire alla vendibilità di un possibile libro: che questo ambisca ad entrare nella Storia della Letteratura (e sia, quindi, artisticamente valido) o no, non rientra nei suoi compiti.
Si parla sempre di romanzi, mai di racconti: Come si comporterebbe un redattore con una raccolta di racconti: quali criteri utilizzerebbe per editarli? Non mi meraviglierei se editare una silloge di racconti potesse risultare, in generale, più difficile che fare l’editing di un romanzo.
E, infine, la domanda che è finora rimasta senza risposta: se gli editor son così bravi nel suggerire come scrivere il romanzo perfetto che venderà milioni di copie, perché non lo scrivono loro e poi, per festeggiare, non ci offrono un caffè?
Caro Stefano, grazie per la tua argomentazione e apprezzamenti. Ci fanno molto piacere e ci fa molto piacere anche suscitare domande e riflessioni.
Per quanto riguarda il “siamo sicure” non c’entra il target del nostro articolo (che come puoi vedere è rivolto a tutti)… è che semplicemente siamo due donne e siamo sicure dell’affermazione che abbiamo fatto in quella precisa frase.
Un caro saluto e speriamo di rileggerti di nuovo!
Siete brave tutt’e due e, da quanto avete scritto, dimostrate di conoscere e saper far bene il vostro mestiere. Non sperate di leggermi di nuovo altrimenti – detto da due editor cosi brave con esperienza in case editrici – mi monto la testa e mi credo chissà chi. Sono invece uno a cui talvolta piace scrivere e ha scritto qualche racconto (rifiutato dagli editori – ammesso gli abbiano letti – e raramente pubblicato in rete). Comunque sia, siete invitate al salotto letterario che, grazie a Linda, ho su questo blog. Una richiesta: se potete, trattate questo argomento: “Come capire quale editore con maggiore probabilità pubblicherà i vostri scritti”, oppure “Una geometria particolare: le linee editoriali”. Grazie anticipatamente. A leggervi ancora