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Quando il linguaggio non va in vacanza: da Gadda al contemporaneo

Di fronte al Pasticciaccio, che considero, insieme a qualche altro testo di Gadda (per esempio, L’incendio di via Keplero), un caso unico nella letteratura italiana, e probabilmente non solo italiana, mi sono chiesto quale dispositivo, o dinamica, o meccanismo fosse mai in atto, e tale da render ragione del mostrum.

[mks_dropcap style=”square” size=”41″ bg_color=”#bd0000″ txt_color=”#ffffff”]A[/mks_dropcap]ll’interno delle sue ricerche filosofiche Wittgenstein scriveva «I problemi filosofici sorgono quando il linguaggio fa vacanza». Questa riflessione è in esergo al libro Gadda di Stefano Agosti. È sicuramente questo il punto di partenza per guardare l’opera di Gadda, ma non solo, ed è l’occhio e l’analisi di Stefano Agosti a quantificare il problema dello stile nella letteratura, lì dove per stile non si intende soltanto la scelta stilistica, ma attraverso Wittgenstein una significanza che il mondo acquisisce attraverso la sua nominabilità. Gadda ne è l’esempio massimo del ‘900 italiano, portando il linguaggio oltre il suo tempo.

Il lavoro di Stefano Agosti si suddivide in quattro lemmi gaddiani: la disarticolazione narrativa, il metadiscorso, il discorso indiretto libero e l’indecisibilità. I riferimenti ai pensatori come Lacan e Derrida sono costanti in tutto il testo fornendo un substrato filosofico necessario per arrivare a comprendere lo stile gaddiano. Esempio pratico ne è il rapporto tra la sparizione del soggetto e la filosofia di Lacan, scrive Agosti:

La presentazione del Reale effettuata nel Pasticciaccio sarebbe dunque interamente sottesa, e resa possibile, dalla precitata congiunzione. La quale si esprimerebbe nella commistione del comico e del tragico, nella pluralità contraddittoria di istanze di parola e così via, con tutto il séguito del nostro discorso. E che spiegherebbe la sparizione del Soggetto, la sua identificazione proiettiva nel linguaggio e non più nella figura dell’Io: sparizione che ancora Lacan designa col bellissimo termine greco Aphànisis, «cancellazione, sottrazione alla vista»: «Se il Soggetto appare in qualche posto come luogo del Significato, altrove esso si manifesta come fading, come sparizione»: come Aphànisis.

Ancora, sul rapporto tra indecidibilità e Derrida, scrive Agosti:

In Gadda l’indecidibilità intride tutta la pasta espressiva, dai piani profondi a quelli di superficie (la lingua, lo stile). Sta lì tutta la forza dell’opera, se, come afferma Jaques Derrida, in un punto di Glas, «l’indecidibilità di un sistema è più potente del valore di verità». Tale potenza dell’indecidibile, continua Derrida, eccede i termini stessi dell’opposizione (vero vs non vero, negazione vs affermazione ecc).

La traccia gettata da Agosti sul lavoro di Gadda è necessaria per una comprensione dell’autore, ma lo è ancora di più per la collocazione storica all’interno di un percorso che il lavoro sulla lingua ha compiuto nella letteratura italiana. Implicitamente Agosti delinea una tradizione che va da Manzoni e forse ancor prima, al contemporaneo.

Ed è proprio sulla letteratura d’oggi che un lavoro di questo tipo potrebbe avere ancora più senso, guardando i libri pubblicati e gli autori candidati a premi letterari o che incidono nel sistema narrativo italiano. Ci si potrebbe chiedere, alla luce di questa analisi, chi lavora sulla scrittura in questo senso? E in prospettiva ci si potrebbe chiedere: chi presenta dei lavori alternativi ma che possano proporre istanze che con Wittgenstein, non generino problemi filosofici (pensiero che acquisisce ulteriore senso nel suo ribaltamento, lì dove un testo è letterario nel momento in cui genera problemi filosofici, esattamente come Gadda fa, e li risolve generandoli)? Il tentativo è quello di portare alla luce alcuni percorsi particolari dell’ultimo anno circa (non pretendendo di descrivere esaustivamente tutto il mercato editoriale italiano) che possano collocarsi in questa traiettoria.

Alla luce del contemporaneo e del fattore indecidibilità, il testo da cui partire per proseguire una analisi del linguaggio è Etere Divino di Giuseppe Genna e Andrea Gentile pubblicato per Il Saggiatore, la ricerca sulla scrittura riporta l’erranza del soggetto in uno spazio nel quale il soggetto diventa la scrittura stessa, quello che Derrida scriveva sull’indecidibilità come sistema più potente del valore di verità qui permane non solo nello stile, come avveniva in Gadda, ma in maniera più profonda, nella concettualità di cui quello stile è parte. Il lettore non è disorientato, ma perso all’interno della scrittura che invece incede decisa nel ritmo ed errante nella traiettoria. Il simbolico lascia spazio all’apertura del rimando, errante anch’esso.

L’alternanza dei toni utilizzati da Genna e Gentile è elaborata nella misura in cui il linguaggio pervade l’esperienza non più come fondamento del pensiero, e qui il discorso di Gadda viene portato avanti, ma come punto di snodo attraverso il quale passa l’esperienza per diventare immaginario. Parafrasando Agosti su Gadda si potrebbe scrivere su Genna e Gentile parlando di «una fedeltà supplementare dell’autore alla propria natura lirica, il che, in altri termini, corrisponde alla passione viscerale per il linguaggio e, più precisamente, per la parola liberata dai suoi vincoli logico-razionali». Vi è una disarticolazione che struttura nuovi vincoli, che crea un nuovo sistema dell’immaginario partendo dall’utilizzo della parola stessa.

L’attenzione per il linguaggio tuttavia assume anche altre forme, esaltandosi anche nel lavoro di Emanuele Tonon, Fervore, pubblicato a inizio 2016 per Mondadori. La ricercatezza stilistica si appoggia principalmente sul noi ma è nel passaggio al tu che acquista un tono che apparentemente si oppone alla sparizione del soggetto di cui scrive Agosti, poiché in Tonon il soggetto è forte e costantemente presente, ma sullo stesso piano della perdita del soggetto si crea quella che lo stesso Agosti definisce (a proposito del Pasticciaccio) «identificazione proiettiva [del soggetto] nel linguaggio e non più nella figura dell’Io».

Nello stesso modo il tu di Tonon in Fervore annulla la presenza del soggetto – insieme al noi, all’interno del quale l’io è già più rarefatto – lì dove il linguaggio diventa la comunicabilità del soggetto con la presenza/assenza di Dio, in una verticalità che trascende il soggetto stesso. La materia che in questo romanzo  è presente, più che nei precedenti, si sovrappone, anche in questo caso, elevandosi; il Gnommero gaddiano si scioglie consentendo un nuovo sistema di uscita dalle “strutture logico razionali che caratterizzano le manifestazioni della discorsività (narrazione, racconto, discorso in genere), al fine di restituire quanto esorbita quell’ordine medesimo”. Un andare oltre il linguaggio, attraverso il linguaggio stesso, in favore di una forma di immanenza estremamente pura, si potrebbe dire una metaimmanenza.

Tra gli scrittori che credo sia necessario inserire in questa lista improntata sulla fondamentale analisi di Stefano Agosti su Gadda, e sul linguaggio in particolare, c’è sicuramente Serena Vitale con il suo Il defunto odiava i pettegolezzi, pubblicato con Adelphi. Lo stile si appoggia sulle gambe della narrazione e del saggio, ma il risultato trascende entrambi, inserendo il documento, la poesia di Majakovskij – di cui parla il libro – creando quello che Agosti identifica in Gadda come una sovrapposizione di soggetti, la pluralità di cui parla Derrida. Il Metadiscorso è presente come operazione di scrittura sulla scrittura stessa.

Serena Vitale è in grado di esaltare la figura dell’autore rispetto a quella del narratore, che non costituisce una opposizione vero/falso, ma al contrario è un vorticare attorno all’evento attraverso la poesia, rendendo il documento non più come atto estremo di verità, ma al contrario, come parte della complessità all’interno della quale, la scrittura di Serena Vitale è perno estetico.

Il tracciato che esonda, ovviamente, dal lavoro di Stefano Agosti è un tentativo di iscrivere la letteratura odierna all’interno di un contesto storico del quale è parte non come filiazione, nessuno degli autori citati si rifà direttamente a Gadda, ma come lavorìo costante sulla parola trasponendo il contemporaneo in un discorso che possa andare al di là dell’oggi. In questo, testi come Gadda sono importanti non solo per una cognizione del lavoro letterario, ma per comprenderne la materia di cui questo lavoro è fatto. Così come, già nella seconda metà del ‘900, Carlo Emilio Gadda era in grado di scrivere di un linguaggio futuro rispetto al suo contemporaneo, nello stesso modo i testi di Genna, Gentile, Tonon e Vitale, principalmente ma non solo, lavorano sulla lingua per costruire un linguaggio letterario che possa esser contemporaneo e al di fuori del presente.

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