[et_pb_section admin_label=”section”]
[et_pb_row admin_label=”row”]
[et_pb_column type=”4_4″]
[et_pb_text admin_label=”Text”]
[mks_dropcap style=”square” size=”41″ bg_color=”#bd0000″ txt_color=”#ffffff”]S[/mks_dropcap]e mi avessero detto che mi sarei ritrovata a difendere un’attrice che guadagna miliardi di dollari e, per fortuna sua, con molta probabilità non legge le riviste online italiane mi sarei messa a ridere. E in effetti questo articolo non vuol essere tanto una levata di scudi a favore di Emma Watson, quanto uno smascheramento delle logiche sessiste che hanno permesso a Mattia Carzaniga di liquidare con qualche offesa – “secchiona”, “antipatica”, “gattamorta”, “lecchina” – l’attivismo nel campo della parità di genere intrapreso dalla Watson. Evidentemente colpevole, quest’ultima, di impegnarsi socialmente solo come la “compagna che si candida come rappresentante d’istituto perché sa che gattamortismo e senso civico sono una micidiale combo acchiappa-voti”.
L’articolo uscito per Rivista Studio è un concentrato raro di stereotipi maschilisti. Secondo Carzaniga tutto quello che l’attrice ha fatto in questi anni – come essere stata ambasciatrice dell’UN Women, l’organizzazione delle Nazioni Uniti che lavora per la parità di genere – l’ha intrapreso solo perché è quella “secchiona che non studia manco troppo, tanto sa che il professore non si azzarderà mai a darle meno di sei al sette”.
La gravità risiede prima di tutto nella declinazione esclusivamente al femminile dei termini offensivi – come se non potessero esistere anche secchioni, antipatici e lecchini – e nella connotazione negativa che si trascinano appresso: soprattutto quel secchiona si porta dietro tutto un retroterra di sessismo da scuole medie, per cui una ragazza che ottiene buoni risultati va sminuita su un altro piano, come se ci fosse qualcosa di sbagliato in una donna che si impegna per primeggiare (quel “prima della classe” spregiativo).
Ma l’aspetto peggiore è la convinzione su cui si basa tutto l’articolo: Emma Watson è diventata “una dottoranda in Scienze del Senonoraquandismo” per qualche recondito beneficio che le arriverebbe dal portare avanti la causa femminista, non è possibile che le stia autenticamente a cuore la questione. Oltretutto non si capisce il senso di tirare in ballo un fenomeno italiano – il movimento Se non ora quando – che non c’entra niente con l’attrice se non quella di sminuire e denigrare entrambi, bollandoli con un generico fastidio per tutto quello che sa di femminismo.
Immagino che Carzaniga conosca di persona Emma Watson, o mi aspetto per lo meno che passi le sue giornate a scrivere articoli contro l’ipocrisia di tutte le celebrità che si impegnano socialmente o fanno beneficenza. Ah no, lui ce l’ha solo con la Portman, un’altra “secchiona”, perché si scambia email da intellettuale con Safran Foer: sembra proprio che non riesca a digerire le dive che non stanno precise precise nello scomparto che secondo lui spetta loro. Come in ogni tipico mansplaining questo signore ci sta dicendo di sederci tranquille (“anche meno”, insomma) perché ora ce lo spiega lui cosa nascondono davvero queste femministe: uno stile che punta a trasformare le peggiori invettive maschiliste nella nuova frontiera dell’anticonformismo e della libertà di pensiero.
Il problema è che attaccando quella che è diventata uno dei simboli della nuova ondata di sensibilità femminista l’autore sembra non rendersi conto di offendere anche chi crede nella stessa causa, senza distinzioni di genere. La mancanza di rispetto che riserva alla Watson diventa una mancanza di rispetto verso l’impegno antisessista di tutti: è per questo che tanti sono inorriditi leggendo l’articolo e l’hanno criticato ferocemente sui social network, a partire dalla stessa pagina fan di Rivista Studio.
Il più significativo è forse quello di Roberto Malaspina: “Complimenti al Carzaniga per aver sottolineato con un articolo del genere quanto ci sia ancora bisogno di Watson a palate”.
A quel punto l’autore del pezzo e il caporedattore di Rivista Studio, Cristiano de Majo, si sono rifugiati sotto il più classico degli ombrelli: quello dell’ironia, che viene sempre tirata in ballo in caso di attacchi sessisti, il “ma fattela una risata” dopo l’ennesima battuta scurrile.
Identikit del lettore demente:se uno scrive un'invettiva o fa ironia su un personaggio deve per forza essere motivato da invidia o complessi
— Cristiano de Majo (@cristianodemajo) March 15, 2017
non so come possiate dare della SESSISTA a una casalinga come me – ho pure la pirofila ROSA! pic.twitter.com/1QYHXBlRm0
— Mattia Carzaniga (@ilcarza) March 16, 2017
Peccato che in questi articoli di ironia non ci sia traccia. L’ironia è un registro paradossale che dimostra come l’autore in realtà pensi il contrario di quanto sta affermando. Carzaniga utilizza invece sarcasmo denigratorio, e il sarcasmo serve solo a dare ancor più forza al suo pensiero. E ora chiamatemi secchiona. (Qui ero ironica).
[/et_pb_text]
[/et_pb_column]
[/et_pb_row]
[/et_pb_section]
I commenti senza senso verranno cancellati, inutile che ne mandiate a manetta <3
Articolo interessante! Finalmente chi riesce con buone parole a combattere le ingiustizie che subiamo tutti i giorni!
Non condivido peró questa censura nei commenti, capisco se fossero offensivi, ma cosí mi sento nuovamente vittima di un ingiustizia. (qualche giorno fa avevo giá commentato ed è stato cancellato)
Ah no, invece è vero. Hai inviato due commenti senza senso con un altro nome ma con stesso indirizzo IP.
Come ho detto: commenti senza senso non verranno pubblicati.
Mara non è stato cancellato nessun tuo commento. Sono arrivati commenti di spam e senza senso, e sono stati eliminati solo quelli 🙂
Comunque Ilaria che sei una secchiona lo sappiamo tutti ??
Non ho capito
Nemmeno io ho capito il tuo commento.
Cara Ilaria, non finirò mai di godere leggendo questo articolo. Fortuna che esistono persone come te che sanno fare il proprio lavoro e sanno esprimere concetti in modo chiaro e deciso. È molto triste che un giornalista gay, che per primo dovrebbe portare avanti idee di parità di genere e rispetto o quantomeno non osteggiare quelle degli altri, si diverta a sfottere personaggi dello spettacolo che – per quanto autentici o meno siano, non sta a noi deciderlo – si impegnano a diffondere messaggi positivi. È triste anche che il caporedattore lo sostenga e dia del “demente” a chi lo critica, ma in molti mi hanno detto che la maleducazione è il suo “marchio di fabbrica”. Non mi stupisce che questi ritratti riguardino la Watson e la Portman e non, per esempio, attrici o conduttrici italiane. Forse perché è più facile nascondersi dietro la spocchia maschilista del “fattela una risata”, quando non si rischiano querele o magagne con gli uffici stampa?