Quale giorno migliore del compleanno di Michela Murgia per parlare del potere e dello squilibrio tra i due generi nell’esercitarlo? Abbiamo ricevuto una copia stampa di Maschiocrazia. Perché il potere ha un genere solo e come cambiarlo da Codice Edizioni, un saggio breve ma molto puntuale che analizza la situazione politica, sociale e nell’informazione della rappresentazione femminile nel mondo Occidentale.
Il potere è “maschio”? Se lo sono chiesti Emanuela Griglié e Guido Romeo, già autori per Codice di Per soli uomini. In Maschiocrazia cercano di capire, con l’aiuto dei dati e intervistando personalità tra cui Roberta Metsola, Kaja Kallas e Vera Gheno, se quando dobbiamo scegliere un leader politico siamo ancora, tuttə, più maschilistə e retrogradə di quanto siamo disposti ad ammettere. Emerge un quadro in cui i cambiamenti ci sono, ma ben lontano dalla parità di genere tanto cercata e auspicata. E il girl power è diventato spesso un fenomeno talmente mainstream che rischia di essere un sottoprodotto di quella maschiocrazia – o per usare una parola tornata di recente molto in auge: patriarcato – dove le donne, preso il potere, non agiscono diversamente dai loro predecessori maschi.
Con la prefazione di Marta Cartabia.
Maschiocrazia è un saggio che mi sentirei di consigliare a chiunque voglia approcciare questo tema ma non abbia conoscenze pregresse. È un testo che affronta diverse questioni in 160 pagine, osservando la situazione sia in Italia che in diversi Paesi del mondo.
La presenza delle donne nelle stanze dei bottoni nazionali e internazionali è fondamentale, tuttavia non ci si può fermare a guardare i numeri o il genere dei politici e degli amministratori generali: bisogna osservare anche il modo in cui esercitano il loro potere.
Basti pensare alla campagna trasversale di molte intellettuali femministe nel 2022 a sostenere l’elezione di Giorgia Meloni come prima Presidente del Consiglio donna italiana… ma la rappresentanza rischia di essere vuota e fine a se stessa, se poi le donne elette portano avanti le stesse politiche discriminatorie dei loro colleghi uomini.
Non basta essere donna per rompere il soffitto di cristallo
L’exploit di una singola donna non è sufficiente, se non contribuisce a cambiare le normative o a rimuovere gli ostacoli che penalizzano le altre donne. Eppure, le elette conservatrici spesso condividono una visione individualista secondo cui non è necessario intervenire, perché le altre donne non riescono in quanto inette e non altrettanto capaci.
Specie se si ha una visione progressista, può sorprendere osservare – analizzando la rappresentanza politiche delle donne – come statisticamente siano più presenti nelle forze conservatrici. Donne che non si allontanano molto dagli stereotipi di genere e che esercitano il potere assimilando i modelli maschili, confermando la visione del mondo patriarcale.
La percezione delle politiche e dei politici è profondamente influenzata da stereotipi e bias culturali legati al genere. Di conseguenza, una stessa campagna o un medesimo stile comunicativo possono essere interpretati in modo diverso, a seconda che siano portati avanti da un uomo o da una donna. Un esempio: le campagne negative o avversative – una prassi comune per gli uomini a capo dei principali partiti – se condotte dalla controparte femminile le rendono immediatamente “cattive”, “acide”, “antipatiche”.
Emanuela Griglié e Guido Romeo conducono un’analisi interessante, che mette insieme i numeri di diversi Paesi europei e del mondo, osservando che, sebbene siano stati fatti passi avanti importanti, c’è ancora molta strada da fare per raggiungere la parità. Dai vestiti agli stereotipi, dalle idee alle proposte politiche, considerando anche i giornali e il modo in cui i media trattano le notizie (per esempio i femminicidi), la lettura di questo scorrevole saggio offre molti spunti di riflessione.
Il desiderio di approfondimento: quel dopoguerra narrato troppo in fretta
In quanto attivista politica per i diritti delle donne, il contenuto di questo libro mi era tutto abbastanza già noto; in particolare, ho apprezzato l’organizzazione del discorso e i confronti tra politica e mondo economico. Mi sento tuttavia di fare due piccole critiche sul contenuto di questo libro. La prima riguarda il capitolo dedicato all’excursus storico sulla partecipazione delle donne in Italia a partire dal dopoguerra.
Sebbene sia vero che le donne, quando accedono al voto, si esprimono al 60% a favore della Democrazia Cristiana, o che le Madri Costituenti sono solo 21 su più di 500 nomi, l’esperienza dei Gruppi di Difesa della Donna nella Resistenza rappresenta un laboratorio politico importante, che fatica a trovare spazio nei ruoli apicali dei partiti, ma che comunque avvia la partecipazione politica per moltissime donne.
A mio avviso, questa sezione avrebbe potuto arricchirsi includendo l’attivismo associativo, come quello dell’Unione Donne in Italia (UDI – di cui io sono socia, se non si fosse capito). Alla fine degli anni ’40, l’UDI contava più iscritte di qualsiasi partito politico e promuoveva numerose iniziative, sia sociali che politiche, mobilitando moltissime donne su tutto il territorio nazionale. Esempi sono la raccolta di tre milioni di firme per la pace, presentate alle Nazioni Unite a Ginevra nel 1947, o i “treni dei bambini”, recentemente tornati alla cronaca anche grazie al romanzo di Viola Ardone.
Un’esperienza analoga, in ambito cattolico, è rappresentata dal CIF (Centro Italiano Femminile). Il rischio è che i movimenti femministi degli anni ’60 e ’70 sembrino un po’ emergere dal nulla, mentre in realtà sono figli – talvolta anche antagonisti – di queste realtà associative legate ai partiti, di cui magari non condividevano metodi o contenuti. Allo stesso modo, le riforme fondamentali dei diritti delle donne, come il divorzio e l’aborto, sono anche il risultato della capacità delle donne di trovare un punto d’incontro pur partendo da posizioni opposte.
Un esempio è la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza – che sicuramente contiene dei compromessi che oggi possono sembrare inefficaci – non sarebbe mai passata senza i voti di una parte della DC. E per quanto le donne in Italia tendano a votare in modo più conservatore, bisogna considerare però che contribuiscono in maniera determinante a mantenere queste riforme, come dimostra la partecipazione ai referendum abrogativi.
A mio avviso, il pericolo è che non emerga in maniera chiara il lungo e complesso percorso con cui si è arrivati a leggi fondamentali – pensiamo agli oltre 25 anni di proposte e discussioni per arrivare alla legge sulla violenza sessuale!
Ottimismo sui media che cambiano – ma non così tanto
Stessa cosa vale per il capitolo sui media: sicuramente oggi c’è più attenzione su come vengono raccontate certe notizie, eppure basta aprire un articolo su qualunque femminicidio per vedere quanto spesso si dà la colpa alla vittima, perché voleva separarsi o perché non rispondeva più alle aspettative del partner o dei parenti.
I regolamenti nazionali e internazionali spesso restano disattesi, specie perché non ci sono sanzioni di sorta, e per quanto molte attiviste – sui social e non solo – insistano sul tema, i giornali faticano a evolversi. Il lavoro de “Una donna a caso” su Instagram o la rassegna maschilista della compianta Michela Murgia sono ottimi esempi di quanto ancora ci sia da fare a riguardo.
Un suggerimento per una futura seconda edizione riguarda i femminicidi “pietosi”, una casistica particolarmente alta in Italia e che differenzia il nostro Paese dagli altri membri UE. Si tratta di uomini anziani, mariti o figli, che uccidono le donne di cui si dovrebbero prendere cura, in particolare se soffrono di patologie gravi. L’opinione pubblica e i tribunali tendono a giustificare questi omicidi come gesti compassionevoli o comunque comprensibili, perché un uomo che si occupa di una donna è un martire – mentre a ruoli invertiti parleremmo facilmente di “donne assassine crudeli e spietate”.
Tuttavia, per quanto mi sarebbe piaciuto un maggiore approfondimento, capisco di non essere io il target di riferimento di questo saggio, e che non sarebbe stato possibile mantenerlo così snello e agile andando ad ampliare troppo i temi.
Perché leggerlo
Perché spesso è difficile comprendere il motivo per cui le donne non condividono posizioni progressiste e perché il genere non è un elemento che sposta più di tanto il voto.
Perché il femminismo dell’ondata in corso rischia di concentrarsi sui simboli e le prese di posizione, che però spesso restano inapplicate (si pensi alla Rai, che aderisce a campagne come No Women no panel, ma poi non ha problemi con Bruno Vespa che invita sette uomini e zero donne per parlare di aborto).
Perché è necessario non solo aspirare ad occupare le posizioni di potere, ma anche cambiare il paradigma.
Il saggio riporta infatti alcuni esempi di società distopica in cui le donne hanno preso il potere e si sono sostituite agli uomini, come Ragazze elettriche, sottolineando quanto sia importante invece cambiare prospettiva.
Maschiocrazia: un libro per sole donne?
Assolutamente no. La lettura è consigliata anche e forse soprattutto agli uomini, per capire perché si insista tanto sul tema della rappresentatività femminile nella politica e nel mondo dell’informazione. Superando i propri preconcetti (anzi, accettando di averne), questo saggio breve può essere molto illuminante.
E anche per rendersi conto del modo in cui molti guardano le donne in politica, valutando l’aspetto, il modo di vestire, la simpatia, piuttosto che le idee politiche. Riconoscere i propri meccanismi è il primo passo per cambiarli e per immaginare un mondo migliore.
Un sentito ringraziamento a Codice Edizioni per la copia omaggio che ci ha consentito di scrivere questa recensione.
Nata a Genova, studia Comunicazione a Savona con l’idea di fare la giornalista, ma si innamora dell’editoria strada facendo, scoprendo di poter trasformare in una professione la sua esperienza di fanwriter, beta reader e grafica amatoriale. Dopo la specialistica si lancia nella libera professione e sta ancora decidendo che atterraggio fare, nel frattempo si occupa di libri e di comunicazione digitale. Nel tempo libero legge, cammina e si gode il mare.