Lo scorso anno avevamo pubblicato il resoconto dell’esperienza dell’area Self al Salone del Libro di unə autorə che aveva preferito rimanere anonimə; com’è andata quest’anno? Molte cose sono cambiate (in meglio), molte sono ancora da rivedere; tiriamo le somme con quest’articolo a più voci – che riprende un po’ il panel di domenica 12 maggio Il Salone che vorrei, dove erano presenti Sara Speciani – coordinatrice dell’area professionale – e tre autrici self, Camilla Cosmelli, Daniela Barisone e Liliana Marchesi.
In questo articolo troverete i resoconti di Camilla e di Daniela, nonché alcune note di un’altra autrice che era presente con i suoi libri in area self, Katy Blacksmith. In più, per l’esperienza dellə nostrə Melanto, a sua volta in Area Self, ti rimandiamo all’articolo che abbiamo pubblicato sulla nostra esperienza al Salone del Libro 2024.
KATY BLACKSMITH
Il mio primo Salone in Area Pro
Lo metto subito in chiaro: non ho abbastanza esperienza, dato che questo è stato il mio primo Salone del Libro come autrice con un volume autopubblicato in vendita, e non sono una brava analista; però ho notato un paio di cose che, credo, potrebbero migliorare l’esperienza per chi sta dietro al bancone.
Una riguarda la disposizione degli autori dell’area self (o pro), tutt’altro che ottimale, l’altra il software per la navigazione del programma e degli espositori, pochissimo fruibile.
Parto dall’Area Pro.
So anche io che eravamo tanti, noi autori, e che una muraglia umana avrebbe dato l’idea di un plotone d’esecuzione più che l’opportunità di dialogare con chi i libri li aveva scritti. Però non è che tavolini stracarichi di opere tutte accatastate senza spazi (su diversi tavoli i libri erano su tre file! Un’orgia di copertine) siano meno respingenti, e anche i tavoli disposti a spina di pesce, senza un criterio facilmente intuibile per i lettori, a mio avviso sono fra gli aspetti altamente e facilmente migliorabili.
Per esempio, se l’Area Pro avesse un ingresso e un’uscita e tra questi due ci fosse un percorso fisso, magari a zig zag per massimizzare i lati espositivi, forse i libri avrebbero trovato una disposizione più comoda, meno accrocchiata. E il percorso obbligato sarebbe anche più democratico per quanto riguarda l’esposizione dei volumi, perché impedirebbe il crearsi di “aree facilmente raggiungibili” e “aree con zero passaggi”, come invece ho visto succedere.
E renderebbe anche chiaro, al pubblico, dove andare e dove no. Ho ricevuto le lamentele di una lettrice che si è trovata a vagare nello stand, trovandosi dietro agli autori; sentendosi nel posto sbagliato si è dapprima imbarazzata e poi arrabbiata. Immagino non serva sottolineare che indisporre i visitatori è l’ultima delle cose che un espositore – in questo caso, noi self – deve fare.
Per proseguire con l’analisi “della vetrina”, anche l’idea iniziale di ruotare le opere esposte sui tavoli a seconda di quali autori siano presenti o meno è improponibile, sia dal punto della logistica (Chi lo fa? Quanto tempo occupa questa operazione? Come si fa nel caos del pienone del sabato?), sia da quello della correttezza nei confronti del lettore/visitatore. Immaginate di aver puntato un titolo interessante, ma aver lasciato il portafoglio nella borsa di qualcun altro; il tempo di recuperarlo e tornare allo stand e il libro è sparito. È giusto? Solo perché l’autore non è presente in quel momento?
Per il resto, non credo di poter dare altri suggerimenti sul miglioramento dell’area self… ma posso darne sulla parte informatica. È il mio campo.
Siamo quindi alla seconda delle mie osservazioni: quelle sul programma della manifestazione e sulla scelta di metterlo on-line. Una scelta che definirei poco luminosa.
Già l’assenza di campo del segnale internet ha causato parecchi problemi in questo senso, e non è stata nemmeno l’unica pecca! Trovo sia da migliorare parecchio anche la ricerca sul sito che – lo dico? Lo dico – era ridicola! Non era possibile, infatti, ricercare un nome (di libro, di autore, di casa editrice) inserendo solo alcune lettere, cosa che avrebbe reso molto più immediate tante ricerche. Non la modalità più user-friendly e attenta all’utenza. Sono sicura che in diversi non siano riusciti a trovare tutto quello che avrebbero avuto piacere di vedere, fra la calca e la difficoltà di consultare il programma in questo modo, e secondo me è un grosso peccato.
CAMILLA COSMELLI
Il mio secondo Salone in Area Self (o Pro)
Sono passate due settimane dal Salone del libro e io finalmente mi sto riprendendo da quella full immersion di socialità che amo e odio allo stesso tempo. Partecipare ai grandi eventi mi permette di incontrare dal vivo tante persone con cui, durante tutto il corso dell’anno, interagisco solo online. Ho girato per gli stand, infastidi— visitato amici editori e comprato libri, principalmente da autori italiani che erano presenti e potevano farmi una dedica. Dal lato umano è stato tutto meraviglioso, ma anche molto stancante per le mie batterie sociali, anche perché, come l’anno scorso, diverse ore le ho passate dietro il bancone, come venditrice nella famigerata area Self.
Anzi, area PRO, perché per evitare lo stigma verso “i self, quelli che nessuno vuole”, in questa edizione si è deciso di affiliarli ai PROfessionisti, che il giovedì e venerdì, nella stessa area, gestivano i loro appuntamenti di lavoro. Una scelta che ha creato più di una perplessità, sia per la difficoltà di associare le due realtà e trovare fisicamente i self, sia per il fatto che, in questo modo, gli autori hanno condiviso uno spazio ancora più ridotto nei primi due giorni. Non so se questa convivenza fosse necessaria per riassorbire alcuni costi, fatto sta che è piuttosto fastidioso vedere la tua zona trasformarsi radicalmente da un giorno all’altro.
Ma le cose stanno cambiando, i tempi sono più maturi e forse per l’anno prossimo riusciremo ad avere almeno un cartello “Libreria Self publishing” che permetta ai visitatori di trovarci. E questo grazie alla responsabile dell’area, Sara Speciani, che per nostra fortuna è incredibilmente ricettiva a critiche e consigli, al punto da organizzare un intero incontro per discuterne tutti insieme. Al panel “Il Salone che vorrei” io ho partecipato da relatrice e avremmo potuto continuare per altre tre ore, ma nel poco tempo a disposizione sono usciti degli spunti di riflessione molto interessanti.
Ci sono stati altri incontri legati al self publishing (o autopubblicazione) e credo che anche questo sia indicativo di quanto il tema sia interessante (che sia per fattore economico o perché si vede l’evoluzione del settore editoriale, difficile dirlo). Sono riuscita a partecipare a quello su “Il Self publishing in Italia” con Claudio Secci del CSU e il prof. Natale Rossi del Fuis, di sabato, ma non a quello su “Distribuzione e promozione in libreria” di domenica, a cui però ha partecipato Liliana Marchesi che mi ha dato un po’ le sue opinioni [fra l’altro a breve uscirà il suo articolo a tema, lo linkeremo appena disponibile! NdR].
Certo, per adesso i discorsi sono molto generici e forse alcuni relatori tendono troppo a porsi come la soluzione a tutti i problemi senza dare poi indicazioni pratiche sul come pensano di risolverli… ma già parlare di problemi e soluzioni è un passo avanti rispetto al nascondere un’intera categoria (in crescita) sotto al tappeto.
Tornando ai problemi, ce n’è uno che più degli altri risalta e su cui siamo tutti concordi: il problema principale dell’area self sono gli stessi autori presenti.
Per quanto l’area sia più grande e migliorata rispetto all’anno scorso – la disposizione stile libreria mi è piaciuta molto, perché permetteva un movimento che tanti stand non avevano – duecentoventi autori in presenza si notano. Sara Speciani si è fatta in quattro per organizzare i turni, darci direttive prima del Salone e vigilare sulla nostra condotta, rimproverando chi era troppo aggressivo o formava un muro dietro il bancone (certo che, senza sedie, diventava anche difficile fare altrimenti), ma la parola con cui gli autori sono stati descritti in lungo e in largo è “soldatini”. Gli aggettivi? Aggressivi e respingenti. E no, non lo capivano neanche se glielo facevi notare.
Il problema è che queste persone non sono commessi: sono autori singoli, con l’obiettivo di vendere solo il proprio libro, sgomitando per non farsi rubare la scena o sperando di essere notati per magia nel mare di proposte sul banco. È chiaro che non li si può trattare come commessi di una CE, le condizioni sono completamente diverse.
Un’eccezione sono gli autori del CSU (Collettivo Scrittori Uniti), con cui io stessa ho partecipato, che in quanto gruppo conoscevano le trame dei loro colleghi di collettivo ed erano in grado di presentare diversi libri senza affollarsi troppo. Ma noi del CSU non eravamo che una minima parte dei presenti e, pur facendo del nostro meglio, anche noi abbiamo avuto tra le nostre fila chi si sbracciava un po’ troppo e chi, alla prima esperienza, restava in piedi aspettando il miracolo dall’alto dei cieli. E questo perché, ripeto, non siamo commessi formati.
Qualcuno (Daniela, sia nella sua parte di articolo, sia durante il panel) ha proposto di eliminare direttamente gli autori dall’equazione, sostituendoli con commessi normali e dando loro solo un piccolo spazio a parte per firmacopie o simili, in modo che il primo approccio dei visitatori non sia una carica con il libro in mano e promesse di intrattenimento non richiesto [anche Melanto lo ha proposto NdR].
Però… se devo essere sincera, questa soluzione non mi convince. Il grosso del pubblico del Self è quello “caldo”, composto dai fan che sono stati coltivati nel resto dell’anno; e questi fan vengono appositamente a cercare un autore specifico, ad ascoltarlo parlare con passione del proprio libro e sarebbe un peccato relegarlo quindi, in un cantuccio in attesa di essere chiamato, manco fosse un Pokémon. E no, le presentazioni non sono un’opzione, qui, perché con tutti gli eventi del Salone nessuno va a vedere la presentazione dell’autore self sconosciuto. Non è un caso se, rispetto all’anno scorso, è stata tolta l’opzione di prenotare una sala.
Cosa fare, allora? Non potendo creare duecentoventi banchetti singoli (sinceramente mi farebbero anche un po’ paura, altro che soldatini!), bisogna lavorare sulla gestione dei self come gruppo. Se proprio devono condividere uno spazio, è giusto che i partecipanti si prendano un po’ di responsabilità per la buona riuscita di tutta l’area, magari applicando il modello CSU a gruppi già preformati e accomunati per sottogeneri o tematiche – altra grande mancanza di questi due anni. E magari, anche se tecnicamente non è compito del Salone formarci come commessi, qualche lezione e un controllo più severo in loco non farebbero un soldo di danno.
Deve diventare chiaro che essere indipendenti non vuol dire fare tutto da soli e, anzi, aiutarsi a vicenda è la chiave per emergere tutti insieme.
La mia speranza per l’anno prossimo è che si possa fare qualche passo in più verso una gestione ottimale dell’area, dove gli autori possano presentarsi come i professionisti che sono. O dovrebbero essere.
DANIELA BARISONE
Il Salone che vorrei – in versione light
Ho già scritto un articolo sul mio blog dove parlo del mio reportage completo delle varie giornate di giovedì, sabato e domenica (lo trovate sul mio blog), ma dubito seriamente che al bellissimo pubblico (cit.) di UP interessi sapere come mi si è sbriciolato il dente del giudizio. Dunque eccoci qui nella forma ridotta e con la ciccia che vi interessa. Per questa versione ho dovuto cercare anche dei memini nuovi, così il Iacovacci è contento.
Chi sono
So bene che questo articolo arriverà a gente che, giustamente, dirà “ma tu chi cazzo sei, a che titolo parli?” ed è giusto così.
Nella mia vita ho fatto tante cose: la redattrice editoriale per due case editrici, ho avuto un blog letterario che ho chiuso perché mi ha fatto venire la PTSD, ho avuto una crisi mistica che mi ha portata a mollare l’editoria per lanciarmi nel fumetto.
Mi sono diplomata in Fumetto e Colorazione digitale alla Scuola Internazionale di Comics di Torino (presente al Salone pure quest’anno), sono diventata colorista, ho lavorato per Arancia Studio, ho ritrovato l’amore per la scrittura, ho fondato il mio collettivo di scrittrici indipendenti di Romance LGBT+ LUX LAB, scrivo libri per Quixote Edizioni(quest’anno presente al Pad.3) e attualmente traduco libri romance LGBT+ e illustro copertine. Ogni tanto sono assistente di un’attrice che disgraziatamente interpreta pure le cose che scrivo, ma in generale mi occupo di scrivere romance.
Alcuni se lo ricordano ancora, altri no, ma prima che io e Lindor ci prendessimo a cazzotti (ma ora ci amiamo, giuro) sono stata anche moderatrice del fu buonanima Writer’s Dream.
Ho anche però scritto una guida: “Self-Publishing per negati: Come autopubblicare ed essere felici di non aver fatto disastri” in cui ho raccolto in modo asciutto e agevole tutti i miei segreti per fare un self-publishing di qualità. Ho aggiornato all’anno 2024 il volume, con una parte sulle AI e anche sul sapersi vendere agli eventi.
Sono iscritta anche al CSU, il Collettivo Scrittori Uniti, che dubito mi vorrà ancora dopo questo panel. Io però vi consiglio di iscrivervi se siete autori self o se il vostro editore non va agli eventi letterari.
In tutto questo ho fatto tante fiere. Sia per i libri come editore che come self per il fumetto. E ora come self per i libri di Lux Lab. È dal 2011 che macino fiere, che tratto di autoproduzioni, realizzo pure il mio stesso merchandising, e che vivo e respiro l’underground culturale del mio settore.
Il self publishing è stato per anni quello che mi ha dato da mangiare, detta in breve e fuori dai denti. Sia in forma diretta (le mie opere d’ingegno) sia indiretta (ho realizzato le copertine di altri self, ho fatto da editor, ho impaginato i loro libri).
Non penso di essere la persona più qualificata per parlare, come me ce ne sono tanti altri. Non ho numeri enormi, ma parafrasando il vate “se non fai San Siro non sei nessuno. E anche un po’ sticazzi”.
Sono una grandissima rompicoglioni e sono pure un’idealista. Sono figlia di uno che ha sempre fatto politica e lottato per il bene comune del suo paesino di quattro sfigati nell’hinterland milanese. Dunque non rompo il cazzo per tornaconto personale, perché a me non interessa avere i miei libri al Salone, ci sono già in ogni caso. Lo faccio per gli altri, per quelli che non hanno la stessa potenza di voce, che non vengono ascoltati o che non sanno nemmeno loro che ne hanno bisogno. Lo faccio per un motivo e lo dico con una citazione di un libro di Ju Maybe (che era anche presente al panel, grazie!):
È che ci teniamo, Damià.
MM84 – Ju Maybe
L’antefatto
L’anno scorso ho scritto un articolo sul Salone del Libro di Torino e sulla self area che è stato molto divisivo perché mi ha portata a litigare con un sacco di gente.
È stato proprio questo mio articolo il motivo per cui sono stata invitata a questo panel e alla volontà di Sara Speciani (l’organizzatrice dell’Area Pro del SalTo) non tanto di farmi cambiare opinione, bensì di spiegarmi le motivazioni dietro alcune scelte. Sarò sincera, è stato rinfrancante.
Quindi in questi mesi ho pensato molto a quello che l’anno scorso non mi era piaciuto e ho cercato di essere propositiva anche in base alle problematiche che Sara si era premurata di spiegarmi. È stato un lavoro complicato, perché come sempre c’è il problema dei soldi. A queste cose ci sono persone che lavorano e queste persone vanno pagate. Non si può dare per scontato che ci sia un budget illimitato, per cui ho cercato di concentrarmi su aspetti che fossero quanto meno a basso costo se non a costo zero.
Ho passato anche qualche giorno in quei gruppi che io chiamo “disagio” e che raccolgono frotte di scrittori o aspiranti tali, molti self publisher. Ho rischiato davvero di trasformarmi nella figura che urla “Allah akbar” di cui sopra, perché è incredibile come persone che si suppone campino di parole, siano così ottusi e stupidi in circostanze in cui si richiede di mettere da parte l’orticello personale per il bene comune.
In tanti mi hanno detto che “servirebbero criteri di selezione diversi!” che alla mia richiesta di argomentare QUALI stramaledetti criteri siano mi hanno risposto “criteri diversi”. A oggi ancora non so che diavolo di criteri intendessero, non sono mai e dico MAI riuscita a ottenere una risposta decente che non fosse l’equivalente di “mio libro bello, altri libri caccapupù”.
Davvero, pochi giorni in questi gruppi e sono giunta alla conclusione che al Salone farebbero proprio prima a nuclearizzare l’area self. E viste le varie circostanze che hanno preceduto questo evento, sarebbe un bene per tutti. Ho ricevuto un (1) criterio di selezione da parte di un’editrice che non ho messo a programma, in quanto non poteva funzionare.
Purtroppo, quando si lavora in ambito romance, è facile scordarsi che termini di selezione come “popolarità”, “numero di recensioni” e “numero di vendite” non sono un discrimine utile perché semplicemente negli altri generi (ma anche nei sottogeneri dello stesso romance) non funziona così. Inoltre è molto facile, soprattutto negli altri generi, che spesso si parli di recensioni comprate o di classifiche falsate a libri che sono veramente di merda (non ho bisogno di dirvi di chi sto parlando, sapete già). Inoltre odio dirlo, ma il pubblico del Salone non è quello del Festival del Romance.
È stato comunque interessante, sebbene non applicabile.
La self area quest’anno
Il mio primo impatto con la self area quest’anno è stato decisamente più positivo rispetto all’anno scorso. Ho accidentalmente cancellato l’unica foto che avevo fatto perché figurarsi se andava tutto bene, ma sono certa che ne troverete altre online.
Prima di tutto la posizione è molto migliore rispetto all’edizione 2023: non stiamo più parlando di un recinto, di una riserva indiana, ma di un’area molto ampia e posizionata in un punto di largo passaggio del padiglione, soluzione che a mio avviso andrebbe mantenuta perennemente.
Non solo ora è più facile da trovare, ma c’è anche uno stacco più netto e distinto rispetto al resto dell’area pro dove invece ci sono le altre realtà professionali che non c’entrano nulla con la self area. E a proposito di questo: sarebbe bello che l’anno prossimo venissero ospitati anche professionisti che offrono servizi per il self publisher (distributori, comunicati stampa, ecc). Magari c’erano eh, ma non sono riuscita a trovarne.
I generi dei libri erano meglio segnalati rispetto allo scorso anno (ma si potrebbe migliorare, elaboro dopo) ed è stata effettuata una rotazione nei giorni in modo che non sempre gli stessi libri avessero la visibilità “migliore” (ovvero l’affacciarsi sul corridoio principale).
Sulla questione dei generi: i cartelli erano molto più chiari, io però vorrei soffermarmi un attimo sulla questione romance (perché è quella che mi compete di più), giacché i libri appartenenti a questo genere erano un po’ di più rispetto agli altri. Prima di tutto Romance “tradizionale” e Romance LGBT+ andrebbero divisi con due cartelli specifici. So che all’occhio meno esperto possano sembrare la stessa cosa (alla fine è sempre romance, no? No.) ma non è così. Nella maggior parte dei casi chi legge uno non legge l’altro e non vuole metterci le mani sopra nemmeno per sbaglio. Questo comporta vendite perse.
Poi ci sarebbe da fare il distinguo tra romance contemporaneo, fantasy e storico, ma qui sarebbe troppo complicato.
Il Salone che vorrei
Purtroppo non ho avuto il tempo di esporre tutto quello che desideravo perché naturalmente il tempo era poco per tutte. Tuttavia mi preme rispondere a posteriori a un paio di questioni emerse a cui però non ho avuto modo di rispondere. Ovviamente i commenti a questo post sono aperti e pubblici, nel caso di un eventuale contraddittorio.
- Una delle colleghe ha proposto che a vendere siano delle bookblogger:per me è no. Nonostante io sia una stronza cinica che non ha più sentimenti quando deve pubblicare un libro e non sono più nella fase honeymoon in cui “essere al Salone è il mio sogno” dal 2010, comprendo il sentimento espresso. Tuttavia bisogna considerare che trovare bookblogger fuori dal romance è difficile, non è detto che amino leggere altri generi, soprattutto non è detto che siano capaci a vendere e rimango della mia idea che a vendere debbano esserci dei commessi professionisti formati e regolarmente stipendiati.
- Durante il panel è emersa la questione editori a pagamento in cui Sara Speciani ha giustamente affermato che bisogna dimostrare che ci sono editori a pagamento al Salone. Nel lontano 2010 (io c’ero, che ricordi) proprio al Salone del Libro si è tenuto l’evento Quando i sogni hanno un prezzo — Pagare per pubblicare? — Gruppo Albatros al Salone del libro(cliccate sul link per accedere alla registrazione su YouTube) in cui Costantino Margiotta ha moderato l’intervento tra Andrea Malabaila (Las Vegas Edizioni), Linda Rando (ex Writer’s Dream, ora Ultima Pagina), Giorgia Grasso (allora direttrice editoriale del Gruppo Albatros, gruppo che anche quest’anno era presente al Salone, così come tutti gli anni precedenti).
Con Linda (perché sì, all’epoca ero presente pure io a fare questa cosa, rompevamo i coglioni già da piccole) e il resto dello staff dell’allora Writer’s Dream si era preparato un manoscritto tarocco inviato ad Albatros per la quale si era ottenuto in cambio applausi e un contratto di pubblicazione.
Il fatto che siano passati 10 anni da quel panel non cambia il fatto che queste prove non solo ci sono, ma sono state portate al Salone stesso e da esso ignorate. - Quando parlo di area self in ambito fumettistico so che la risposta standard è “eeeeeh ma i fumetti sono un’altra cosa” perché lo so che nella mente del mio interlocutore avvengono sempre in sequenza i seguenti pensieri:
1) i fumetti sono una cosa per bambini (esattamente come i romance sono una cosa per femmine, bla bla bla);
2) fare fumetti è un’altra cosa rispetto ai libri (no, è proprio la stessa cosa. Anzi, nel mondo del fumetto passare dal self è quasi obbligatorio e un editore è persino più propenso a sceglierti se dimostri di saper portare a termine e vendere progetti personali lmao. Ne conosco almeno tre di self che proprio quest’anno erano al Salone agli stand dei loro editori, ovvero Marga Biazzi Blackbanshee con Rebelle Edizioni, Marika Michelazzi con Acheron Books e Ariel Vittori con Tunuè);
3) oh no verremo invasi dai cosplayer (però intanto il tizio vestito in costume quest’anno andava benissimo)!
4) c’è un tipo di selezione diversa nel fumetto: NO. Enne No. Chiunque fa fumetto esattamente come chiunque fa libri. Ci sono orrori visivi al pari dell’editoria tradizionale, quindi iniziamo a trattarli come se fossero la stessa cosa.
Io non sto dicendo che dovremmo portare i fumetti alla self area del Salone (anche se sì, dovremmo farlo perché ci sono autrici e autori della madonna come ho già indicato prima che porterebbero molta gente sul posto), sto dicendo che dobbiamo prendere la formula delle self area del fumetto (che è tra le altre cose identica a quella del Festival del Romance Italiano) e sfruttarne i punti forti che funzionano da più di vent’anni a questa parte.
E prima di dire “eh ma non è la stessa cosa”, almeno andateci a una fiera del fumetto. Vi farebbe pure bene. - Ne approfitto anche per fare una puntualizzazione su una questione portata sul piatto sempre da Claudio Secci durante il giro di domande, ovvero: “Nessun autore accetterebbe di pagare una quota così elevata stando in delega senza la possibilità di viversi l’area, il proprio libro al Salone, ecc.”
Ha assolutamente ragione, motivo per cui andrebbero rivisti i prezzi di accesso all’area. Nella sezione “Organizzazione area” del mio programma approfondisco la questione.
Il mio programma
Come ho detto prima avevo un programma, che come potrete vedere voi stessi è anche piuttosto banale se avete mai esposto a una fiera o un evento editoriale. È in versione integrale.
Problemi attuali
- Al momento il problema principale della self area è che è in mano al Salone e non agli autori, come invece accade in tutte le self area delle altre fiere, che siano di libri o di fumetti. E per “in mano” non si intende certo autogestione, bensì la gestione degli spazi assegnati (nel rispetto delle norme, sia chiaro) e i pagamenti.
- Al momento la self area del Salone (lo so che si chiama Area Pro, non stiamo a cavillare) predilige il singolo autore e non altri tipi di realtà editoriali associate, sempre self, che esistono in questo settore e che hanno un’identità ben precisa che non possono entrare nella scatoletta creata da questa self area (esempio Lux Lab per i libri o Attaccapanni Press per i fumetti). Non c’è spazio per i collettivi editoriali e con questa parola non si intendono realtà come il CSU, che invece esistono solo per portare i libri degli autori alle fiere, ma non hanno progetti comuni. Sono sempre “collettivi”, ma con finalità molto diverse.
- A tal proposito mi riallaccio a un punto importante descritto da Claudio Secci del CSU (Collettivo Scrittori Uniti) durante il panel precedente al nostro: c’è un gap enorme tra l’area self per un libro (costo indicativo sui 200 e rotti euro) e l’acquisto di uno stand per editore dal costo di quasi 2000 euro. Certo, c’è l’Incubatore, ovvero l’area del Salone Internazionale del Libro di Torino dedicata alle case editrici con meno di 24 mesi di vita e non legate a grandi gruppi editoriali (costo iva inclusa quasi sui 900 euro), che però è sempre dedicata ai soli editori. E che comunque taglia fuori i micro editori una volta passati questi 24 mesi.
La self area potrebbe diventare contenitore di quelle micro realtà editoriali underground che non sono editori a un prezzo più accessibile (ne parlo meglio dopo nella sezione successiva). - La self area deve essere aperta tutti i giorni e avere la stessa dimensione per tutta la durata dell’evento (l’attuale dimensione è buona, ma si potrebbe provare ad ampliare ancora un po’. Signor Messaggerie, ha veramente bisogno di uno stand così ingombrante? Io non credo).
- Rimane sempre il problema degli autori assiepati dietro ai tavoli come soldati. I tentativi di vendita si sono fatti aggressivi e fastidiosi. Ho apprezzato moltissimo che certi “venditori porta a porta” siano stati allontanati non tanto dall’area, quanto dall’intera manifestazione. Quest’anno ho potuto guardarmi i libri i santa pace senza avere quel condor sulla spalla. Tuttavia ho notato che molti autori hanno preso a esempio quelle tecniche di vendita: NON FATELO. Vi odio e vi detesto quanto il condor, ora.
- L’area di questa edizione 2024 è sicuramente più ariosa, ma camminare in mezzo ai tavoli è problematico per i visitatori.
- L’ultimo è un non problema, ma è una cosa che a me personalmente non piace, ovvero la scheda di valutazione/lettura che viene data agli autori che poi vengono scartati. Si parla di libri già editi, capisco l’idea paternalistica dello spiegare allo scrittore perché il suo libro fa sanguinare dagli occhi, ma è una enorme perdita di tempo e risorse. Risorse che potrebbero essere meglio investite altrove, tipo assumendo qualcuno che sappia scartare i libri che hanno le copertine fatte con le AI (nessuna questione etica o morale: le illustrazioni di AI violano il copyright di mille nazioni, c’è ormai della legislazione in merito, cerchiamo di non fare entrare questo guano anche al Salone), perché ne ho viste parecchie.
Organizzazione Area
- Per me la soluzione ideale da raggiungere è quello della self area di Lucca Comics & Games o del Festival del Romance Italiano, sia in termini di disposizione, che di costi. Un tavolo, due sedie, niente preallestiti come l’Incubatore (per abbattere maggiormente i costi), come è il metodo del Festival del Romance (che comunque rispetta tutte le varie norme di sicurezza) in un’area dove ci sono tutti i self. A chi dice che questo creerebbe un ulteriore ghetto rispondo che 1) non è possibile avere i self sparsi in giro per il Salone e 2) ci sono comunque le questioni della messa in sicurezza da tenere a mente. La self area deve essere un valore aggiunto, completamente diverso dal resto della fiera ed essere l’area “del diverso” in ogni senso del termine. È il motivo per cui i lettori vanno a comprarci. Non diverso in senso qualitativo, ma diverso nel senso di “cose che non posso trovare altrove”.
Deve essere un luogo dove un agente letterario o un talent scout possa venire a “pescare” nuovi talenti letterari (come è successo a noi di Lux Lab durante l’edizione 2023 del Festival del Romance italiano, dove la nostra Ester Manzini è stata scoutata da Giunti Editore. Il suo romanzo Da quando sei qui uscirà il 29 maggio). - Questo porterebbe a dare autonomia di vendita agli autori e a gestirsi il proprio spazio come si fa in tutte le altre fiere (come nelle altre fiere, se le vendite sono gestite dagli autori, introdurre l’obbligo del libretto delle ricevute, anche se sarò sincera: agli stand degli editori nessuno mi ha fatto uno scontrino o dato una ricevuta di qualsiasi tipo, e loro la cassa vera ce l’hanno).
- Si potrebbe pensare a un metodo ibrido che accontenta tutti: il tavolone per gli autori non in presenza a un costo ridotto (60/70 euro max, prezzo in linea con le varie partecipazioni fieristiche del Collettivo Scrittori Uniti), 100/120 euro se si vuole esporre in presenza sempre sui tavoli che c’erano quest’anno, “mini stand” ovvero il tavolo con le sedie in presenza a un costo di 400/500 euro iva inclusa per i cinque giorni (che è un prezzo standard in linea con le altre fiere, questo nello specifico è il costo di Lucca Comics per la self, ma anche del Festival del Romance Italiano). Alla domanda “dove li trovo degli autori disposti a pagare 400 euro per un tavolino” rispondo solo con “dove lo vuoi il bonifico?”
Questi prezzi devono considerarsi iva inclusa, dunque il prezzo finale al self publisher. - Poi c’è la soluzione drastica. Sulla questione autori assiepati dietro al tavolone e incapaci di vendersi è un enorme problema dal punto di vista sia logistico che di vendite. Se si insiste a voler tenere la soluzione operata quest’anno, per me è necessario tagliare completamente fuori gli autori e formare dei librai o dei commessi (che non siano le ragazzine con la cicca in bocca dell’anno scorso che non avevano la minima idea di cosa diavolo stessero facendo, figurarsi cosa stessero vendendo) che si dividano l’area per genere (romance, gialli, ecc), che abbiano letto i libri presenti e che sappiano guidare l’acquirente nell’acquisto senza interessi personali (l’autore spingerà sempre il proprio libro a scapito degli altri). A tal proposito sarebbe utile che gli autori fornissero delle sinossi (non trame, SINOSSI) integrali dei propri libri che i librai/commessi possano leggere nel caso non ci fosse la possibilità economica di pagarli per leggerli integralmente i libri.
- Se il Salone vuole improvvisarsi editore, allora che lo faccia come fa un editore al proprio stand, che conosce alla perfezione ogni singolo titolo sul tavolo. Diversamente non è di alcuna utilità al self publisher, in quanto abbiamo la certezza che non c’è alcun ritorno d’immagine post-Salone in termini di vendite se non c’è un investimento di reputazione e personal branding precedente.
- Ne ho parlato durante il panel, ma elaboro meglio qui in merito alla questione del personal branding: nell’anno del signore 2024 essere un self publisher non è (quasi) più sinonimo di vanity press, bensì di essere auto editori, come dice spesso Rita Carla Francesca Monticelli. E proprio come un editore bisogna costruire la propria reputazione e la propria capacità di vendita prima del Salone, ma in generale prima di qualsiasi fiera.
Non è compito del Salone formarvi come venditori, è una cosa che dovete saper fare da soli.
In questo tipo di manifestazioni potrebbe essere utile sostituire “autori indipendenti/indie” (che va a richiamare “editori indipendenti”) alla parola “self publisher”, così come definire tale la self area cambiando da “Area Pro” che raccoglie altre tipologie di stand, non per una questione autarchica, ma semplicemente linguistico-psicologica per i lettori. Il self-publisher è di norma fiero di essere tale, è al Salone che il termine non sembra piacere.
Metodi di selezione
- Sebbene sia già stato fatto un enorme lavoro per affinare i metodi di selezione di accesso alla Self Area, la rete del colino è ancora larga e qualitativamente ci sono ancora libri la cui qualità non è buona per niente (ma questo è normale, il fatto che il 90% del self sia una discarica è un dato di fatto). Su quei tavoli ho visto cose che mi fanno rimpiangere gli alberi tagliati per stamparle, anche solo a primo impatto estetico.
- Essendo il personale poco, è ovvio che da qualche parte serve mettere l’imbuto e che sia stata scelta la copertina e l’impaginazione (e la qualità indicativa di un capitolo a scelta). Il Salone dovrebbe mettere quindi a disposizione un budget più elevato a chi si occupa della self area in modo che più persone possano essere reclutate per questo lavoro e avere delle analisi più profonde dei libri da scegliere (questo ovviamente solo se si finisce sul tavolone).
- Se si decidesse per una self area a là “Lucca Comics”, bisognerebbe copiarne i metodi di selezione: non il contenuto dei libri, bensì la bontà del progetto. Prediligere gli autori o i collettivi che hanno novità in uscita esclusive per l’evento Salone (che è quello che fanno anche gli editori). Dare la possibilità anche ai fumettisti di accedere come accade nelle altre fiere. Valutare il progetto nella sua complessità e non solo dei singoli libri (esempio: sarò più propensa a portare una novità, ma allo stesso tempo avrò la possibilità di portare anche il mio best seller senza che le due cose si escludano mutualmente).
Da escludere
- È importante che l’area abbia una dignità pari a quella degli editori, che faccia dire ai lettori “ci vado perché so che lì troverò cose che non posso trovare da nessun’altra parte”. Quindi è importante che ci siano criteri di selezione “in negativo” quali per esempio non fare accedere autori molesti, che monopolizzano l’area di vendita facendo scappare i clienti.
- No libri, copertine e merchandising fatti con l’AI (verrà il giorno che questo sarà un criterio di selezione anche per gli editori, ma mi piace sognare).
- Se si decidesse di aprire l’area anche ai fumettisti, mettere da regolamento è che possibile portare esclusivamente progetti personali originali e non opere derivative come fanzine di altre opere o vendere fanwork.
- No libri dei fascisti (sì alla libertà di espressione, ma non alla loro)
- Sì a Valsoia
In conclusione
Sono arrivata a essere al panel di domenica 12 maggio 2024 dopo una lunga serie di spiacevolezze da parte di persone, autori, colleghi, amici. Mi sono ritrovata in mezzo a un circo di opportunisti e leccaculo come mai prima d’ora.
Questo Salone è stato terribile per tante questioni, molte mie fisiche, viaggi in treno devastanti, sbirri di merda e tanto altro.
Tuttavia devo dirmi soddisfatta di quanto riguarda la parte del panel. Devo dire grazie a Sara Speciani per un motivo particolare: dopo aver letto il mio articolo dell’anno scorso poteva battersene la ciolla, come dicono i miei parenti liguri, invece ha voluto avere un confronto diretto con me nonostante io sia consapevole di non essere la persona più facile del mondo. Non mi doveva niente, eppure ha voluto darmi lo stesso la possibilità di portare il contraddittorio direttamente sul posto e di far sì che questo reportage non fosse completamente aria fritta.
Concludo ringraziando le persone che hanno partecipato al panel (3/4 erano praticamente amici e conoscenti miei lol) e anche quelli che non ci sono stati, ma che sono rimasti a leggere fino a qui. Grazie a Linda e Melanto (e a Laura in spirito) che mi hanno aiutata tantissimo nella preparazione “prima di salire sul ring”.
Vi ricordo che per rimanere aggiornati su quello che faccio potete iscrivervi alla mia newsletter come l’ultima dei vecchidimerdaTM, grazie alla quale potrete ricevere ogni tot un recap delle mie attività letterarie.
Ci vediamo in spirito al FRI di Roma.