- LINDA – e le case editrici
- Partiamo dai problemi storici
- Le problematiche 2024, anche dette “ma tutto bene nella logistica?”
- Il padiglione 4 che sorge sui parcheggi degli espositori
- Gli stand non assegnati, a due settimane dall’inizio
- Sedie impossibili da avere e prese artistiche
- Safety first
- I controlli all’ingresso: o troppo, o niente
- Le code all’ingresso espositori
- Telefoni staccati, risposte lentissime alle email
- La domenica con meno ingressi di sempre
- Faccetta nera dagli altoparlanti del Salone
- La contestazione a Elena Cecchettin
- I biglietti ridotti che non erano validi nel weekend
- Le mappe senza elenco editori
- LAURA – e la stampa
- GAIA – e i visitatori
- MELANTO – e l’Area Pro… Area Self… Libreria Indie… quella, insomma.
- Nonostante tutto, noi amiamo il Salone
Per certi versi, questo è stato il primo Salone del Libro di Torino di Ultima Pagina. O, almeno, della sua attuale versione.
Siamo in otto a comporre questo bizzarro organismo di informazione (e formazione) editoriale, abitiamo in parti diverse d’Italia e non è facile trovarsi; il Salone del Libro è stata l’occasione per riunirci quasi tutte (Elisa ci sei mancata 😔), un’occasione che attendevamo da quasi un anno e che abbiamo organizzato con attenzi-
…va bene: forse non era tutto preciso e siamo anche andate un po’ a braccio. Dovete però ammettere che è lo stile che amate – e che anche la comunicazione del Salone approva, a quanto pare.
Da questa immersione nel mondo dell’editoria siamo uscite con nuove collaborazioni (vedrete!), nuova energia (dopo qualche giorno di meritato riposo)… E alcuni dubbi che abbiamo cercato di esplorare in questo reportage, diviso fra quattro di noi – Gaia, Laura, Linda e Melanto.
Cominciamo?
LINDA – e le case editrici
Quello appena concluso è stato il mio tredicesimo Salone del Libro; per la prima volta ho partecipato anche all’allestimento del mercoledì, oltre ai soliti cinque giorni di fiera che faccio da quando vivo a Torino (sette anni? Otto?)
La mia posizione di persona che legge e non scrive ma che intrattiene rapporti con numerose case editrici da circa quindici anni mi regala inoltre un punto di vista piuttosto privilegiato sulla vita da Salone (e da editore, ma questa è un’altra storia).
Questa premessa è necessaria per sottolineare come io:
- ami visceralmente il Salone del Libro, che è l’evento che ogni anno aspetto con più ansia – sì, più del mio compleanno, e chi mi conosce sa cosa significa
- sia a conoscenza dei vecchi problemi del Salone – alcuni sono proprio storici, oserei dire – e sia dunque in grado di riconoscere quelli nuovi
Il grave problema di quest’anno, secondo il mio punto di vista e quello di molti editori, è stato organizzativo e logistico. Ci sono già stati diversi post su Facebook che hanno evidenziato le lacune; qui io vorrei raccoglierle tutte, non per dare vita a un muro della vergogna, bensì perché questi problemi siano portati all’attenzione della gestione, così che possano essere risolti.
Partiamo dai problemi storici
Ci sono problemi che sono di gran lunga precedenti alla nuova gestione, che si trascinano e pare impossibile superare:
Il wi-fi
È il 2024. Una rete wi-fi funzionante e disponibile per gli editori e per i visitatori dovrebbe essere la base. E la parola chiave è “funzionante”, soprattutto per gli editori, che devono poter contare su un segnale internet solido per permettere i pagamenti elettronici. Già parlare di “una rete” per entrambe le categorie è indicativo di quale sia il problema: le celle si sovraccaricano perché ci sono troppe persone connesse. Una sola rete wifi, aperta a editori e visitatori, è inutile; meglio sarebbe averne come minimo una diversa per padiglione – o, per lo meno, una diversa per chi con Internet ci deve lavorare, come editori e relatori di presentazioni, così che almeno loro abbiano potenza sufficiente, se non si può coprire tutto il pubblico.
Le sale a cielo aperto e gli eventi agli stand
Ogni anno, complice il fatto che ci sono sempre più espositori e che si tengono sempre più eventi presso gli stand e non, il rumore diventa assordante. Le persone negli stand vicini alle sale sono rintronate, nelle sale si fa la gara a chi alza di più il volume con sale e stand adiacenti in cui si stanno, magari, tenendo eventi… ed è il delirio.
Autogrill più caro di Autogrill
Dunque, che gli Autogrill siano cari lo sappiamo. Che una Coca Cola da 450ml costi in un vero Autogrill 3,80€ e dentro al Salone 4,30€ è surreale.
Questa è una critica che speriamo arrivi a chi di dovere: ci sono stati gli aumenti pesanti ai costi degli stand. Gli aumenti enormi al costo del biglietto erogato in loco – 22 € al posto dei 15 € del biglietto acquistato online. E l’aumento dei prezzi di acqua, bibite, caffè, cibo.
Eppure la struttura è la stessa che, come ho detto, da tredici anni frequento. Quale giustificazione è stata data a tutto questo? Possibile che la fiera più importante che si tiene in quegli ambienti non abbia alcun margine per imporsi?
Questi sono i problemi che potremmo definire endemici, forse i più complessi e onerosi da risolvere, immagino… altrimenti perché non farlo, in tanti anni?
Spesso bastano già questi a far lamentare visitatori e espositori.
Ma quest’anno ce ne sono stati altri.
Le problematiche 2024, anche dette “ma tutto bene nella logistica?”
Il padiglione 4 che sorge sui parcheggi degli espositori
Togliamoci subito il dente che fa più male. Sono stata la prima a gioire dello spostamento del Bookstock in un’area a lui riservata, così non è più in mezzo agli altri Padiglioni a consumare un sacco di spazio, vista la sua conformazione. Farlo sorgere sui parcheggi degli espositori, però, non è stata affatto una buona idea – e avrei voluto essere presente quando è stata approvata, e sentire quali motivazioni potevano essere considerate buone per togliere parcheggi agli espositori.
Parcheggiare vicino all’ingresso del proprio padiglione, per gli editori, non è un vezzo o una questione di pigrizia. Durante l’allestimento devono trasportare scatoloni di libri, che pesano. Tanto.
Decidere che l’editore può farsi a piedi, con tutte le sue scatole, dal fondo del parcheggio dell’Oval (dove sta l’ingresso D, per farvi capire) al Pad. 1 è… poco lungimirante? Poco carino? Poco furbo? Gli editori pagano per esporre, e non pagano poco.
Questo post di Fabio Mendolicchio, con tanto di video corredato, la dice lunga:
… eppure con tanto di meteo che allarmava dell’arrivo della pioggia, in 5 giorni di fiera non sono stati capaci e probabilmente non gliene fregava un ca**o di organizzare e aiutare gli editori.
Mi sono sentito dire che il protocollo non lo prevedeva!!!!
Cosa? Di far entrare le auto e permettere agli editori di non bagnare i libri, di caricare comodamente, di aiutare le persone che hanno pagato per partecipare alla fiera, le persone che rendono possibile la fiera!!!
Abbiamo portato libri, mobili, plance, sedie, sotto il nubifragio con tanto di lampi e tuoni. Ecco le IMMAGINI di questa VITA IMMAGINARIA.
Non ammettere di avere sbagliato, trattarci da schiavi (badate che anche i corrieri non potevano scaricare), non porre rimedio è VERGOGNOSO.
via Facebook
Perché non permettere agli editori di avvicinare l’auto o i furgoni durante il carico e lo scarico? Perché non permettere nemmeno ai corrieri di farlo?
Gli stand non assegnati, a due settimane dall’inizio
Quando un amico editore era allarmato, poco prima dell’inizio del Salone, perché non aveva ancora ricevuto la comunicazione sul proprio stand, ho pensato che ci fosse stata una svista da parte dell’organizzazione, che ok, non dovrebbe capitare, però capita.
Invece no: gli editori che fino a quindici giorni prima dell’inizio del Salone non avevano ancora idea di dove si sarebbe trovato il loro stand sono tanti.
E ciò ha reso prevedibilmente complicate le comunicazioni per le case editrici ai propri lettori.
Sedie impossibili da avere e prese artistiche
Le prese collocate sul lato esterno degli stand hanno generato scenette divertenti, anche se avere una ciabatta inutilizzabile non è affatto divertente.
E se un errore di progettazione può essere comprensibile (no, tantomeno visti i prezzi degli stand), non si capisce bene perché il Salone si sia rifiutato di vendere sedie aggiuntive, adducendo come motivazione “ormai non si può più”.
Abbiamo pregato per avere una sedia in più, una stupida sedia, ma non c’è stato niente da fare. Ho scritto per una settimana ogni giorno mettendo in copia 4 mail diverse, e ho avuto risposta solo una volta in cui mi si negava la possibilità di acquistare un’altra sedia. A quella mail ho risposto, ma non ho avuto risposta.
Alvise Canal (Lumien) via Facebook
E se una sedia si fosse rotta durante la manifestazione? L’editore sarebbe dovuto restare senza?
Safety first
E parliamo di sicurezza. Che ne pensate di queste prese?
A parte l’evidente scomodità, ma… non è pericoloso? Perché, secondo me, viola le norme di sicurezza di almeno 845 Stati, inclusa la Svervegia. Gli addetti del Salone interrogati in proposito hanno risposto al povero editore – già provato dall’assenza di sedie: “qualcuno deve pur averlo”.
Creare un boxino in cima pare brutto? Fare una colonna interna in cui relegare il quadro elettrico è troppo artistico?
I controlli all’ingresso: o troppo, o niente
Mentre a me, al gruppo di Ultima Pagina e a chiunque conosca che fosse in possesso di un pass nessuno ha mai controllato alcunché in cinque giorni di manifestazione, gli editori si sono visti bloccare spesso – con domande anche al limite dell’assurdo: resterà nei nostri cuori un addetto alla sicurezza che, vedendo un editore scaricare durante l’allestimento, gli ha chiesto “ma ne ha molte, di scatole?”. Mah, veda un po’ lei…
Le code all’ingresso espositori
Addirittura, l’ingresso espositori – che dovrebbe scorrere veloce per permettere alle persone di prendere posto al proprio stand, presentava code maggiori rispetto a quello dell’ingresso visitatori. Perché c’era un solo addetto a controllare i pass…
Telefoni staccati, risposte lentissime alle email
Abbiamo provato in tanti a contattare l’organizzazione durante l’evento… risultato? Telefoni staccati.
Julia Sienna (Gainsworth Publishing) via Facebook
Telefoni staccati non so perché l’anno scorso ad esempio il numero non c’era proprio. O andavi in segreteria o ciccia. Comunque sono andata due volte e non ho ottenuto niente. Su questo non lasceremo correre perché 3300 euro di stand secondo me ci danno anche un po’ il diritto di non dover correre settemila volte in segreteria per ottenere una roba risolvibile in 10 minuti.
Carlotta Borasio (Las Vegas edizioni) via Facebook
Che dire, Carlotta? Concordiamo con te al 2000%.
La domenica con meno ingressi di sempre
Se quest’anno il sabato è stato incredibile, a livello di partecipazione, la domenica è stata bizzarramente quieta. Stando ai dati ufficiali, infatti, per la prima volta il venerdì ha fatto più accessi della domenica.
Ci chiedevamo, qui in redazione, se per caso le persone non si siano spaventate e preoccupate per la straordinariamente massiccia presenza di forze dell’ordine, e magari non abbiano preferito restare a casa dopo l’incresciosa vicenda del sabato, in cui la direzione ha ben deciso di chiudere gli ingressi per non far entrare una manifestazione pacifica pro-Palestina, i cui partecipanti avevano acquistato i biglietti ed erano, a tutti gli effetti, visitatori paganti.
Ci sarebbero due parole da spendere anche sul comportamento delle forze dell’ordine durante la chiusura degli ingressi, dato che non solo stavano impedendo a chiunque di entrare, ma anche di uscire (persino dal centro commerciale!). Secondo quali basi?
Invece, dall’Oval si poteva sia entrare sia uscire.
Se ci fossero stati dei malintenzionati, secondo voi, non avrebbero potuto fare il giro?
Fortunatamente almeno Zerocalcare è potuto passare e fare una dichiarazione.
Faccetta nera dagli altoparlanti del Salone
E mentre la manifestazione ha causato un gigantesco dispiegamento di forze dell’ordine e ha scomodato giornalisti di ogni testata, Faccetta nera fatta suonare dagli altoparlanti durante una presentazione non ha provocato scalpore. E infatti molte persone con cui ho parlato non avevano idea dell’accaduto…
La contestazione a Elena Cecchettin
Un altro fatto grave, non solo nel contenuto ma anche nel silenzio sotto cui è passato, è l’aggressione verbale nei confronti di Elena Cecchettin. Siamo nello stesso Salone del Libro finito su giornali e tg per le contestazioni alla ministra Rocella solo un anno fa. Quando ad essere contestata, però, non è una persona col potere di decidere la vita di milioni di persone, ma una ragazza con alle spalle una tragedia incommensurabile, tutto tace.
E dichiarazioni dalla direzione del Salone non mi risulta ne siano pervenute.
I biglietti ridotti che non erano validi nel weekend
Per la prima volta, le riduzioni over 65 e under 13 non valevano di venerdì, sabato e domenica, e sì che un minore di 13 anni sia lunedì sia giovedì dovrebbe essere a scuola.
Però il ridotto con la convenzione Esselunga sì, era valido. Perché figli e figliastri?
Le mappe senza elenco editori
Premetto che sono una grandissima fan del digitale e che dal 2012 in avanti non ho mai preso una mappa o un programma cartacei al Salone. Ero anche felicissima dell’app che era stata lanciata nel 2013 (a proposito, amicy del Salone, la riproponete?) e me ne vado in giro con due powerbank di cui una da 20mila mAh. Quindi, personalmente, non ho sentito alcuna mancanza.
Tuttavia, non sono così sciocca da pensare che quello che risulta comodo a me lo sia universalmente: non solo ci sono persone anziane (o comunque non troppo giovani) che non hanno grande dimestichezza con la tecnologia (né sono tenute ad avercene), ma anche moltissime persone giovani preferivano il cartaceo, per mille motivi diversi – come i problemi del segnale internet, tanto del wifi di cui abbiamo già parlato, tanto del segnale a pagamento (che soffre del sovraffollamento localizzato esattamente quanto l’altro).
Inquadrare il qr code per avere accesso alla lista espositori quando la lista espositori ci sarebbe stata comodamente, al posto dei giganteschi loghi degli sponsor, è una soluzione poco pratica e poco efficiente. Non fraintendetemi, conosco l’importanza degli sponsor, ed è chiaro che andavano posizionati i loro loghi. Però lo spazio per entrambe le cose c’era, su quella mappa.
È un po’ come la questione “sulla tavola del Titanic ci stavano sia Jack che Rose”: sì, ci stavano, ma è stato il regista a non volerci mettere sopra entrambi.
LAURA – e la stampa
È la prima volta che partecipo al Salone tutti e cinque i giorni dell’evento, e la prima volta col pass stampa. Ciò mi ha permesso di accedere – non senza difficoltà, devo ammetterlo – ad alcuni eventi che in teoria erano proprio dedicati alla stampa e, al di là della prosopopea e della magnificenza della narrazione – a volte con un risultato un po’ da “Ai confini della realtà”, bisogna dirlo – la sensazione che ho avuto è che i giornalisti, in realtà, non ce li volessero proprio. Oltre a tutte le polemiche pre-Salone sugli accrediti blogger e content creator – con valutazioni che hanno lasciato perplessi non pochi gestori di siti molto seguiti, a fronte di profili social che potevano entrare per poche migliaia di like (a prescindere che fossero per contenuti legati ai libri o meno!) – la stampa però non sembrava la benvenuta, a eccezione dei grandi nomi che fanno parte della macchina organizzativa.
Basterebbe a dimostrarlo la gestione della conferenza stampa di chiusura: la sera di domenica arriva l’invito, con la richiesta di confermare il proprio posto entro le 12 – sebbene la conferenza stampa iniziasse alle 17. Tempi un po’ strettini, forse.
Completo la procedura (si trattava di compilare un semplice Google Form) e alle 16:35 del lunedì, ben venticinque minuti prima dell’inizio della conferenza stampa, ricevo una mail che dice che dispiace tanto, eh, però il mio accredito è stato rifiutato, non ci sono abbastanza posti. Tanto ci verrà inviato il kit per mail, quindi essere presenti non è poi così importante. Ma allora perché mandare gli inviti a tutta la stampa, mi chiedo io?
Riesco comunque ad accedere – forse molti di quelli considerati all’altezza hanno dato buca – e scopro che oltre metà dell’Arena del Bookstock è riempita dai giovani e dal personale organizzativo del Salone. Che sono lì ad applaudire festanti ogni volta che qualcuno sul palco rimarca quanto bello è stato e quanto bene ha funzionato il Salone 2024. Mi capita sempre più spesso di seguire conferenze stampa senza domande; il futuro probabilmente le vedrà senza giornalisti.
Ora, da un lato può aver avuto un senso decidere di eliminare l’accesso “privilegiato” agli eventi per i giornalisti (fino all’anno scorso si poteva entrare in sala saltando la coda), limitando a pochi minuti l’accesso per gli operatori per fare foto e video, in caso di sala piena.
Soprattutto se poi questo saltacoda non si traduce in contenuti – e diciamolo, non serve seguire tutta una presentazione per parlare di un autore. Anche perché in fondo il Salone non ha interesse agli approfondimenti sugli autori o sui libri, di per sé: la stampa che la macchina Salone predilige è quella che invoglia la gente a muoversi e ad andare all’evento, staccando ulteriori biglietti. E per questo bastano gli articoli “che bel programma, che bel Salone, domani c’è questo e dopodomani c’è quello”, cosa che si può fare anche da remoto con i comunicati e i kit stampa. Ammettiamolo. Ma il lavoro del giornalista non è solo “passare i comunicati” – o almeno non dovrebbe esserlo, in un Paese sano, e questo vale anche per gli eventi culturali.
L’approfondimento, l’intervista, il dettaglio sul libro interessa di più al singolo editore, che deve quadrare i conti e far valere l’investimento chiamato stand, rispetto all’organizzazione dell’evento. Eppure la presenza dei giornalisti, dei blogger e dei creatori di contenuti rimane fondamentale: la nostra guida – ripresa dalla comunicazione del Salone a pochi giorni dall’inizio dell’evento – da sola lo dimostra. Proprio perché il Salone non deve garantirsi soltanto quella narrazione che porta la gente all’evento di per sé, ma favorire l’incontro tra editori e autori con la stampa, per creare collaborazioni anche a lungo termine e per generare valore.
E perché servono più voci: le istituzioni per forza di cose troveranno tutto bello e tutto funzionale, eppure anche il resoconto della blogger di vent’anni o del giornalista che rinuncia a seguire gli eventi perché non può stare un’ora in coda restituiscono delle fotografie del Salone che vanno tenute in considerazione volendo immaginare le prossime edizioni.
Le indicazioni magari rivediamole
Forse anche per questo la “sala stampa” della terrazza dell’Oval lasciava a desiderare. Ho il dubbio di essermi fermata al bistrot – la divisione degli spazi non era chiara e al primo tavolo libero con una presa elettrica vicino mi sono seduta; però trovo bizzarro mettere il bistrot vicino a uno spazio di lavoro, dove sarebbe auspicabile poter stare in silenzio. Diciamo che il tempo di scrivere i miei pezzi al volo, una breve “ciucciata” di corrente per il telefono e via, la mia permanenza in sala stampa si è conclusa così. Ho anche un po’ invidiato l’acquario della redazione della Stampa, devo ammetterlo: malgrado l’“effetto zoo”, sembrava un posto isolato dal casino intorno.
Tuttavia, il rapporto con la stampa dovrebbe essere una relazione su tutto l’anno e dovrebbe essere molto più attento e curato.
Strana e surreale è stata anche la sensazione di diverse persone con cui ho parlato, che fossero giornalisti, blogger, ma persino editori, che fosse comunque meglio non alzare troppo la voce o lamentarsi dei problemi, per paura di perdere “privilegi” o l’accredito (o addirittura lo stand, o la posizione dello stesso) l’anno prossimo.
Ad esempio, una persona che conosciamo bene e che è stata invitata come relatrice per un panel, ha saputo di non essere persona gradita, o meglio: si è proprio sentita dire che avrebbero cercato di farle ritirare l’invito, perché in passato aveva espresso dei dubbi su delle scelte logistiche del Salone. Insomma, l’avrebbero voluta fuori dall’incontro perché “nemica del Salone”.
Ecco, situazioni di questo genere non si dovrebbero verificare, né con professionisti né con la stampa. Un’organizzazione che sente solo le campane a favore e che non prova a capire se le critiche evidenziano problemi reali, diciamolo, non potrà evolvere in positivo.
Anche in questo campo bisogna abbandonare prima di subito la retorica del nemico: chi evidenza una criticità non è per forza di cose un rompiscatole che vuole puntare il dito su quello che non ha funzionato per spregio.
Molto spesso, come noi, è una persona che ama il Salone e che auspica un’esperienza sempre migliore per tutte le persone che vi partecipano, espositori o visitatori che siano.
Un esempio banale: la comunicazione ha definito le sedici fontanelle sulla superficie della fiera, per un evento con 40.000 visitatori di media al giorno, un risultato mirabile. Mi si alza un sopracciglio in automatico mentre mi chiedo sinceramente se qualcuno della redazione che ha scritto i comunicati si sia messo in coda per l’acqua… non dico il sabato, ma anche il venerdì o la domenica – complice la rottura di alcune delle fontanelle stesse. Certo, sedici fontanelle sono meglio di zero fontanelle, manco a dirlo. Tuttavia è un tono comunicativo che suona assurdo a chi è stato in fila per un tempo inverecondo per riempire la sua borraccia. E rischia anche di creare un’opinione negativa dell’organizzazione che si vanta di simili risultati.
Liguria, un Salone del Libro di dolenti passioni
Da ligure, mi soffermo sul travagliato Salone dello stand della mia regione, per la prima volta Regione Ospite, iettato dallo scandalo politico in corso scoppiato a due giorni dall’apertura della manifestazione. Ciò ha portato a una partecipazione politica molto più in sordina, e a un grande imbarazzo per l’organizzazione: per dire, il facente funzioni del Presidente non è salito a Torino per la conferenza di chiusura, ha mandato una nota stampa che non è nemmeno stata letta in sala, “tanto la trovate nel kit”.
Chi ha lavorato nello stand, mi ha riferito una fonte provata, ha percepito una forte recalcitranza del pubblico a entrare nella piazzetta, quasi che la vicenda in corso in Liguria potesse contaminare chi sostava nello spazio espositivo. Neanche la focaccia gratis è servita da richiamo più di tanto, nemmeno col pesto sopra. Si potrebbe pure parlare dell’allestimento, che secondo me non rendeva chiarissimo di cosa si trattasse, ma lì si va nel gusto personale… forse avrei scritto Liguria giusto un po’ più grande, ho trovato il tutto un po’ dispersivo.
Mi spiace molto per gli editori che per la prima volta avevano uno spazio regionale in cui essere visti e narrati. Alcuni, ho letto, sono comunque stati contenti dei numeri fatti; forse la cronaca non ha poi rovinato l’iniziativa più di tanto. Lo spero sinceramente.
Ho trovato curioso anche scegliere di tenere i “grandi eventi” (Gino Paoli e i comici liguri e Fantozzi) al Padiglione 1, ossia dal lato opposto della fiera, slegando così del tutto le occasioni di maggior richiamo dallo spazio espositivo della Regione. Secondo me una maggiore sinergia sarebbe più utile, per il futuro.
Mi auguro che, malgrado la sfortuna di quest’anno, anche la Liguria continui comunque a portare un suo spazio espositivo, come fanno per esempio la Puglia, la Sardegna e l’Umbria da diversi anni, per dare visibilità a quei piccoli editori di qualità presenti sul territorio.
Il Salone che immagino io e il bello del mio SalTo24
Da visitatrice, mi auguro che la nuova organizzazione impari da questa edizione e che preveda una struttura più confortevole per tutti, dai giornalisti agli espositori ai visitatori. In termini di spazi dedicati, di sedute, di prime necessità (bagni – acqua – cibo con varietà e a prezzi sostenibili). Perché il Salone è un evento stupendo ma devastante, dove fai 40km senza neanche muoverti così tanto e dove hai bisogno di sentirti bene, specialmente se sei lì per lavoro.
Il disagio dato da caldo, pochi liquidi, piedi dolenti ecc. porta in media a due cose: a spendere meno e a parlare male dell’evento.
Ed è necessaria un’organizzazione diversa per gli eventi: una gestione degli spazi in cui sia possibile sentire senza il sovrapporsi di quattro iniziative diverse, dove i posti siano coerenti con il richiamo dell’ospite e dove le prenotazioni non finiscano venti minuti dopo la pubblicazione del programma.
Di bello, mi porto via i molti incontri con editori e autori interessanti, le probabili collaborazioni che farò partire nelle prossime settimane e i tanti amici ritrovati, perché il Salone è anche un luogo di incontro di persone che magari abitano dall’altra parte d’Italia – se non all’estero! – ma che per un motivo o per l’altro a Torino ci sono sempre.
E questo è il vero punto forte della manifestazione: il fattore umano.
Il Salone del Libro di Torino ha già dimostrato di saper evolvere e di saper far fronte a chi, negli anni, ha cercato di “rubargli” il primato della più importante fiera editoriale italiana, proprio perché ha saputo creare un rapporto di fiducia con espositori e visitatori. La speranza è che questo dialogo prosegua e che tutto concorra a mantenerla – e renderla sempre di più – LA fiera del libro per eccellenza.
GAIA – e i visitatori
Scrivo queste parole seduta su un treno appena partito da Torino Porta Nuova, sudaticcia per lo scatto da centometrista fatto per salirvi in tempo con valigia, zaino, shopper varie.
Questo per farvi capire che la mia parte di questo reportage sarà molto a caldo – e piuttosto accaldata.
Quello dello scorso anno era stato il Salone della meraviglia, il primo vissuto su più giorni, in cui avevo un rapporto con editori indie e autori in parte scevro da quella soggezione che avevo come semplice lettrice e fruitrice “mordi e fuggi”.
Quest’anno… non posso negare che è sempre con un certo impaccio che ho stretto la mano ad alcune persone che fanno parte del panorama editoriale.
Voglio dire, alla fine io non sono nessuno, sono davvero solo una lettrice, forse giusto un poco meno inconsapevole della media [il resto della redazione dissente, NdR].
Se è vero che non sono certo una professionista dell’editoria – faccio tutt’altro! – è però vero che conosco bene le fiere, sia perché da quasi quindici anni collaboro con l’organizzazione di una rassegna editoriale, sia perché… le frequento. Da un sacco di tempo. Perciò, spolverato via l’incanto cui accennavo prima, ho potuto guardare alla visita con maggior consapevolezza e un po’ più distacco; e di notarne più criticità.
Dove mi siedo? Ovvero l’assenza di “aree di sosta”.
Immagino che il numero dei visitatori della fiera si conti in centinaia di migliaia; questo, di certo, rende difficile la gestione degli spazi – e poi diciamocelo: non è che l’educazione dell’italiano medio sia spettacolare.
Ma non ci sono panchine, sedie, spazi dove ci si possa momentaneamente sedere.
Le persone che hanno portato il pasto da casa, una scelta che definirei obbligata dati i costi interni, (come dice Linda a inizio articolo, maggiori anche degli Autogrill in autostrada, NdR) si accalcano sedute sull’asfalto all’esterno, o magari si azzardano a chiedere allo staff delle sale o alle persone negli stand se possono usare le sedie presenti. Ricevendo degli ovvi “no” in risposta, ma posso capire il tentativo. In realtà le aree ristoro ci sarebbero, è vero: ma sono del tutto sottodimensionate.
Ogni anno il Salone festeggia l’aumento dei visitatori… ma l’impressione è che l’ente faccia poco per contrattare con il Lingotto l’adeguamento dello stesso all’aumento delle persone – o quantomeno, che il Lingotto faccia orecchie da mercante a eventuali richieste. Perché anche i bagni sono tragicamente pochi. E vecchi. E con code. E anche i punti acqua in cui riempire le borracce sono pochi. E con code (suggerimento: perché non mettere due rubinetti, invece di un solo rubinetto e di un “spruzzo”? Dopo la coda, una persona riempie la borraccia, non beve una sorsata e via…).
Se è vero che spazi dove riposarsi un poco mancano, è altrettanto vero che qualche passo in tal senso, almeno per le persone con disabilità, è stata la creazione degli Spazi di Quiete – due, una all’Oval e una nel Padiglione 3.
Ripeto che la trovo un’idea ottima, da potenziare, perché anche in questo caso ci sono stati dei problemi: una nostra conoscente non ha potuto accedere, per esempio, non disponendo della certificazione della propria disabilità, mentre due di noi – senza disabilità – sono entrate senza nessun tipo di controllo, sostando anche per un certo tempo (decomprimere serve a tutti a un certo punto, diciamolo).
Poi c’è il problema dell’aerazione: la necessità di tenere questi spazi “chiusi”, per garantire la silenziosità, fa sì che il ricambio d’aria sia minimo. E le persone, dopo tante ore in piedi al chiuso, sudano. E molti deodoranti sono banditi all’ingresso. Avete presente lo spogliatoio dopo la lezione di motoria delle medie? Ecco, l’aria era un po’ quella lì.
… inoltre ce lo ricordiamo che, anche se l’emergenza pandemia è finita, le malattie non sono scomparse, sì?
[Nota della Redazione: a dimostrazione di ciò, tutte noi, quasi tutte le persone che conosciamo e una grossa parte degli editori, siamo tornati a casa con tosse, raffreddore e altri malanni di questo tipo. Coincidenze?]
“Scusi dove siamo?”
Ho scoperto perché molti editori non tengono il pass appeso al collo, anche se è tanto più comodo: la folla identifica “cosa al collo” come “staff” e pone agli individui con cordino attorno al collo ogni genere di domanda.
Il 90% di quelle che mi son state poste erano di ordine geografico. Perché, diciamolo: la mappa quest’anno era utile come una forchetta nel brodo.
Io sarei assolutamente favorevole a una totale eliminazione della carta da certi eventi – via i biglietti stampati, via mappe cartacee, via catalogo espositori – ma per fare questo sono necessarie due cose: un segnale wifi davvero funzionante, con la certezza che la copertura internet sia perfetta ovunque, e un sistema di segnalazione davvero ineccepibile.
Nulla di tutto ciò è stato garantito – quindi, davvero: tornate a mettere la lista degli espositori sulla mappa. E a mettere un po’ più indicazioni in giro per il Salone. Perché mi son trovata in reale difficoltà a spiegare a una coppia di ragazzine come trovare il Centro Congressi, dato che non avevano colto il senso delle enormi lettere che penzolavano sul soffitto e delle strane combinazioni di lettere/numeri agli angoli degli stand…
… avete notato che la parole “code” torna spesso?
Forse, però, la cosa più scomoda “per il visitatore”, sono le code. E qua c’è poco che il Salone possa fare, finché si favorirà la presenza di grossi nomi che fanno staccare più biglietti. Perché è inevitabile che nascano, quando centinaia di persone vogliono assolutamente assistere a un evento o farsi autografare dal beniamino la copia del libro; ed è anche inevitabile che una casa editrice cerchi di fare il firmacopie al proprio stand, in modo da incentivare gli acquisti.
Non so quale mi abbia lasciata più basita, se il solito serpentone alla Bao, che isola un padiglione dall’altro, oppure la coda per Felicia Kinsley, durata ore, all’esterno, sotto un sole d’agosto – e meno male che il diluvio è arrivato solo alla chiusura!
Però.
Ho visto i sorrisoni di due amiche, entrambe vittoriose nell’ottenere l’agognata firma e foto; ho sentito persone giurare che quella mano, stretta dal proprio mito, non se la sarebbero più lavata; una mamma saltellare perché aveva incrociato per caso l’autore preferito del figlio e gli aveva strappato un selfie.
Perché si chiamerà anche “Salone del Libro”, ma in realtà questa fiera è fatta di persone e sono loro il vero motivo per cui si sopporta e si torna, per gli amici che si ritrovano una volta l’anno, per gli editori che si incontrano solo qui e con cui è bello (spesso…) parlare, con autrici e autori che non hanno altri momenti se non le fiere per vedere i propri fan.
Le chiacchiere agli stand, i complimenti e le critiche, la luce che si accende davvero quando il professionista vede che conosci i libri, non passi per caso, che condividi la sua stessa passione, le due parole spontanee con l’estranea che si ferma a chiedere dove tu abbia preso quel libro con quella copertina bellissima – tutto questo è ciò che rende davvero impagabile l’esperienza del Salone del libro.
Si ha sul serio l’impressione che per cinque (lunghi, stancanti, pieni, elettrici) giorni tutta la filiera, dal produttore al lettore, passando per stampatori e professioni tecniche, esista contemporaneamente, e sia intorno a te.
E che le lotte interne e i problemi del settore si possano risolvere, se solo ci fosse modo di mantenere questo tipo di dialogo aperto, sempre (come ha fatto Sara Speciani nell’incontro sull’evoluzione del rapporto fra autori self e Salone. Anche solo il tentativo di permettere alle persone di dire la propria è, per me, sempre lodevole).
Perché, sarà una convinzione naïve, ma io sono certa che, quando si creano reti reali di collaborazione fra realtà diverse, si possono fare cose meravigliose.
… certo: serve apertura da parte di tutti.
Se qualcuno non ha bisogno di aiuto (o crede di) e non accetta una mano tesa, non si può certo rischiare di perdere un treno per instaurare un dialogo.
Storia vera.
Dopo questa parte zuccherina, fatemi tornare me stessa, chiudendo con l’ultima critica.
La questione del singolo ingresso.
Questa è l’unica, fra le fiere in cui sono stata – alcune anche all’estero, sebbene di altri settori – a non permettere di uscire dagli spazi fiera per poi rientrare con lo stesso biglietto.
Volete cercare un ristorante decente? Uscire un paio d’ore per visitare il circondario, per andare incontro a chi arriva coi mezzi pubblici e facilitare il ritrovo? Fatelo, ma sapendo che comprerete un altro biglietto d’ingresso.
Davvero – davvero? – non è possibile prevedere un sistema a braccialetti, o qualcosa di simile, come in fiere altrettanto affollate, tipo il Lucca Comics? O semplicemente l’obbligo di presentare nuovamente il biglietto, come ai concerti? E se trovo senza senso non permettere a noi normali visitatori di poter uscire e rientrare, figuratevi cosa penso del fatto che non possano farlo i professionisti accreditati, mentre i relatori possono – ma con il contagocce!
Fatemi parlare con il dungeon master!
MELANTO – e l’Area Pro… Area Self… Libreria Indie… quella, insomma.
Di tutte le edizioni del Salone del Libro a cui ho partecipato, posso affermare con una certa sicurezza che questa è stata la più “diversa”, perché sono statə presente come self nell’Area Pro.
L’anno scorso mi ero limitatə a osservare la situazione, e non l’avevo trovata particolarmente positiva per noi self publisher, così mi ero dettə di provare per rendermi conto in prima persona dei pro e dei contro.
In questo resoconto non parlerò di quella che è stata la mia esperienza “in generale” per questo Salone del Libro, ma solo ed esclusivamente come autore self nell’Area Pro.
Di sicuro partecipare assieme a un collettivo, nel mio caso il CSU – Collettivo Scrittori Uniti – mi ha dato almeno due grossi vantaggi: il primo, quello di poter contare su una collaborazione tra autori che conoscono le trame di tutti i romanzi presenti nelle varie sezioni, e che forniscono assistenza ai clienti per indirizzarli al meglio secondo i loro gusti o desideri (punto sul quale tornerò più avanti, perché importante!). Il secondo, quello di aver potuto usufruire di una riduzione della quota di partecipazione.
Ma torniamo sull’Area Pro e iniziamo dalle cose positive.
La nuova disposizione è decisamente migliorata rispetto a quella dello scorso anno, che era confusionaria, dispersiva e pareva quasi volesse tenere separati i self dal resto del Salone. La famosa “riserva indiana”.
La nuova forma rettangolare, addossata alla parete e allocata in una posizione ben individuabile e centrale (a cavallo tra il pad 1 e il pad 2), ha reso più semplice la fruizione dei tavoli da parte del pubblico, togliendo il brutto effetto “recinto”, e ha fatto in modo che i self non fossero più chiusi in un ghetto, ma stessero in mezzo alle altre case editrici. Senza contare che era anche vicina ai bagni.
Gli addetti assegnati all’Area mi sono parsi sempre molto cortesi e disponibili, e non mi sembra ci siano stati particolari problemi alle casse (tranne per i saltuari problemi ai pos, che non andavano a causa della connessione carente).
Tutto oro, quindi?
Decisamente no, perché nonostante le buone intenzioni e la presenza di turnazioni per evitare la calca degli autori, ci sono stati comunque momenti di traffico intenso attorno ai tavoli – in particolare nella sezione fantasy e fantascienza, in cui erano presenti molti titoli e, quindi, molti autori – con conseguenti solite dinamiche di “monopolizzazione” da parte di alcuni e malcontenti da parte di altri.
Al tavolo del romance questo problema c’è stato in maniera molto ridotta, mentre è capitato spesso che il cliente iniziasse la fila e lì si fermasse, senza continuare il giro, creando quindi sbilanciamenti tra le due metà del tavolo.
Ricordate quando ho detto che uno dei vantaggi nello stare in un collettivo era quello di poter contare su autori che conoscevano le trame di tutti i libri presenti nella loro sezione? Ecco, mi è capitato varie volte di non riuscire a finalizzare delle vendite perché i clienti venivano a chiederci informazioni su alcuni libri di autori che non facevano parte del mio collettivo e che, spesso, non riportavano le quarte in copertina o dentro ai volumi. Mi spiegate come avrei potuto coprire unə autorə fuori dal suo turno… se non so di cosa parla il suo libro? Non erano nemmeno divisi per sottogeneri o quantomeno FM e Queer.
Si sarebbero potuti fornire dei database con tutti i titoli che sarebbero stati presenti (ovviamente divisi per genere), ma quanti effettivamente si sarebbero premurati di andare a leggerli per poter fare gioco di squadra invece che spingere solo sé stessi? Ragazzɜ, non prendiamoci in giro e diciamolo apertamente che molti autori sono egoisti e cercano di portare acqua al proprio mulino in qualsiasi occasione, anche se questo significa far scappare possibili clienti.
Per questo, se l’idea del Salone è quella di tenere l’Area Pro così com’è adesso, io sono fortemente d’accordo con una delle proposte che Daniela Barisone ha esposto durante il panel “Il Salone che vorrei” con Sara Speciani, Camilla Cosmelli e Liliana Marchesi, e cioè: togliere del tutto gli autori dall’Area Self e lasciare solo del personale qualificato (e pagato) che si occupi delle vendite, come fosse una vera libreria (e magari mettere un ingresso e un’uscita, creando un percorso con scaffalature ed espositori e, quindi, evitare che qualcuno possa rubare dei volumi – sì, è successo).
Secondo punto.
Per quanto io abbia apprezzato molto la nuova posizione e disposizione dello stand, il fatto che la sua estensione sia cambiata nel corso della fiera per me è stato un “nì”. Lo scorso anno l’area è stata chiusa agli autori per ben due giorni (cosa inaccettabile!); quest’anno è stata di dimensioni ridotte per due giorni, perché in condivisione con i professionisti – da cui l’area prende il nome. Area Pro, appunto.
Avere un’area ridotta ha fatto in modo che per due giorni i libri risultassero più ammassati e che si sgomitasse per riuscire ad avere un posto nel tavolo con la migliore esposizione (giovedì mi è capitato di veder comparire libri al tavolo del Romance che niente avevano a che vedere con il Romance). Credo sia importante dare all’Area una dimensione definita e definitiva per tutta la durata della manifestazione, soprattutto per una maggiore credibilità verso i self e per una maggiore professionalità; anche perché il fatto che “all’Area piace cambiare” non ha funzionato granché.
Non parliamo poi della gente che arrivava lì… e non aveva idea di cosa fosse l’Area Pro. Mi è capitato almeno in un paio di occasioni di dover spiegare, assieme ad altre colleghe, cosa fosse. Penso ci sia bisogno di darle un nome che la identifichi in maniera inequivocabile (e magari condividerla con professionisti dedicati al settore self: grafici, editor, cdb, servizi tipografici, ecc).
Terzo punto.
Ho detto che alle casse non ci sono stati particolari problemi (di sicuro non si sono create le file infinite come lo scorso anno, in cui non si riuscivano a raccapezzare tra i prezzi dei libri e le relative offerte), ma mi è capitato di vedere alcune perplessità sui volti degli addetti perché, mentre i loro database riportavano i prezzi dei volumi già comprensivi di offerte, sui libri erano invece riportati i prezzi di Amazon – come era stato richiesto. Penso che questa cosa vada stabilita una volta per tutte (alcuni avevano i prezzi già scontati, altri avevano i prezzi non scontati), in modo che anche l’acquirente possa fare da solo in cassa senza che ci sia per forza uno degli autori a spiegare prezzi e offerte.
Ma le vicende in cassa non sono finite, perché ce n’è una parecchio paradossale.
Se è comprensibile che non venga accettato il pagamento con la 18App, come si può non accettare il buono sconto emesso da Salone del Libro stesso?
In pratica, il Salone ha dato ai ragazzi delle scolaresche dei buoni sconto dal valore di dieci euro da spendere all’interno della fiera, presso quegli stand che li accettavano (avevano un cartello in cui era segnalato). Se però capisco che una casa editrice possa rifiutare i buoni… che lo faccia l’Area Pro che, ricordiamolo, è gestita dal Salone non ha senso. Il Salone non accetta i suoi stessi buoni sconto.
Questo ha comportato una serie di mancate vendite, perché in più occasioni ho visto questi ragazzi prendere i libri, andare in cassa… e poi tornare indietro per rimetterli a posto perché non potevano usare il loro buono.
Infine, quarto punto.
Si è parlato tanto di voler fare in modo che non ci fossero autori dietro al bancone disposti come un plotone di esecuzione, ma non fornire neppure una sedia per potersi sedere cinque minuti non ha di certo aiutato a evitare l’effetto dei soldatini – per non parlare della stanchezza, a volte, di restare in piedi anche per due ore di fila (ho problemi di schiena e restare in piedi per tanto tempo non è proprio una passeggiata di salute).
Io ho seguito i miei turni, attardandomi solo in rare occasioni in cui c’era il rischio che al tavolo del romance non ci fosse nessuno o una sola persona. Stessa cosa è successa ad altre mie colleghe che si appoggiavano al banco romance perché al loro banco (nel loro turno) c’era la ressa ed era impossibile restare tutti assiepati. In più, aggiungiamoci che alcuni titoli passavano da un banco all’altro o restavano su più banchi sia perché non si sapeva bene come inquadrarli sia perché si volevano avere più occasioni di visibilità.
Per questo sono dell’idea che la presenza degli autori nell’Area debba essere ripensata in qualcosa di più costruttivo e utile – si vogliono mantenere gli autori nell’area così come è adesso? Allora la parte espositiva va comunque affidata a chi è del mestiere, sa come si lavora col cliente e sa vendere tutto indistintamente, mentre una parte più piccolina dell’Area potrebbe essere dedicata agli autori in modo che possano fare delle minipresentazioni dei loro libri, per esempio, o fare dei minipanel, minidibattiti, ecc, ma comunque tenerli fuori dalla vendita.
Insomma, l’Area Pro di quest’anno è stata di sicuro migliore rispetto a quella dello scorso anno – dalla quale io sono scappatə a gambe levate ed ero solo cliente! – ma c’è ancora molto margine su cui lavorare per renderla al meglio (magari togliendo qualche spazio a chi davvero ne ha fin troppo senza utilizzarlo. Mess*coff*agge*cooofff*rie).
Nonostante tutto, noi amiamo il Salone
E lo amiamo davvero, tutte noi.
Scrivere un reportage di critiche e suggerimenti comporta il rischio di far sembrare che “tutto sia andato male”.
Sarebbe una bugia dirlo: tantissimi editori hanno festeggiato fatturati raddoppiati, o più; tantissimi hanno registrato sold out già nei primi giorni di fiera e visitatori a non finire. E gli ospiti, gli incontri organizzati… il clima generale di “festa del libro” non è mancato.
Ma è proprio quando qualcosa è bello e amato – e noi amiamo davvero, davvero tanto il Salone del Libro di Torino – che è necessario una approfondita riflessione sui problemi e sulle possibilità di risolverli.
Perché si può fare di meglio e si deve fare di meglio.
Noi intanto aggiorneremo la nostra guida per il Salone 2025, incrociamo le dita che qualche suggerimento possa essere accolto… e confidiamo di non diventare nemiche del Salone. Perché non lo siamo e difficilmente lo saremo mai.
Concordo su tutta la linea.
Grazie!