Mi sono avvicinata alla saga di Blackwater con un misto di curiosità e diffidenza, come sempre mi succede quando mi approccio a qualcosa che è “il fenomeno del momento”; oltre alle spettacolari copertine – sono una gazza ladra, vengo attratta da tutto ciò che luccica – a spingermi a superare la diffidenza sono state la sorpresa e l’interesse nel vedere una casa editrice come Neri Pozza proporre dei romanzi gotici dalle tinte horror.
Ohibò, Neri Pozza che si dà al fantastico, e lo spinge pure con forza? È stata un’argomentazione più che sufficiente a farmi abbandonare ogni ritrosia.
Mi sono perciò tuffata nelle acque del Perdido, rimanendo subito affascinata da Elinor Dammert. Chi diamine è questa tizia dai capelli rossi che spunta nel bel mezzo di una piena e non si bagna in una stanza piena d’acqua?
Lo stile di Blackwater
La scrittura di McDowell è molto pulita e, sebbene i personaggi risultino tutti ben delineati, ognuno con le sue peculiarità, non c’è un particolare approfondimento psicologico dei personaggi; non ci immergiamo mai nei loro pensieri, restiamo quasi sempre osservatori esterni. È la cifra stilistica di McDowell, insieme al suo mostrare da vicino diverse (poche) scene orrorifiche che ti spingono a voler sapere di più, molto di più su quello che succede e sul perché sta succedendo; però, lo scopo di McDowell non è fartelo sapere. Resterai con la curiosità, così come rimarrai col dubbio su quali siano i pensieri e le vere intenzioni di Elinor Caskey. Scoprirai qualcosa, ma non tutto.
Per qualcuno può essere un difetto o un problema; per me è stato frustrante capire che non avrei mai saputo di più – tanto più che l’autore è morto e non potremo mai avere dei sequel, degli spinoff o altro – ma non è una frustrazione che ha inficiato l’apprezzamento dei romanzi.
I personaggi di Michael McDowell
Non sono una grande amante delle saghe familiari, con le dovute eccezioni – una su tutte, Uccelli di rovo; Blackwater è riuscito a rientrare nelle dovute eccezioni di cui sopra.
Mi sono bevuta uno dietro l’altro, in poco più di una settimana, i sei volumi che costituiscono la serie. È stato davvero facile affezionarsi ai personaggi – no, Mary-Love, a te no – sebbene, come dicevo, non ci sia molto più che uno scalfire la superficie dei loro pensieri. Eppure, amarli e odiarli è stato facile, naturale, così come lo è stato versare lacrime in diversi momenti, per ragioni varie che non spoilererò, e come lo è stato sentire la loro mancanza, una volta terminata la lettura.
Tutta la saga si basa su un principio di matriarcato: sono le donne a comandare, a Perdido, e soprattutto nella famiglia Caskey. Tutti i libri sono intrisi di una certa retorica femminista che mi ha lasciata piuttosto soddisfatta, e anche se James Caskey prima e Oscar Caskey dopo vengono definiti – da altri personaggi – come uomini “deboli”, non lo sono affatto: sono uomini che non temono figure femminili forti e decise, e che non si sentono sminuiti se il successo della famiglia dipende da una donna. Di certo, per un uomo dell’Alabama dei primi del 900 non è una cosa così scontata.
Foto dalla mia libreria: la saga di Blackwater in volumi singoli e nel cofanetto.
Che dite, secondo voi mi è piaciuta?
L’altra cosa comune nella famiglia Caskey è quella di rubare bambini. Non dirò di più, se non che ero divisa tra lo sghignazzare e il chiedermi “si rendono conto di quanto sia cringe?”
(Loro no, ma i loro compaesani sì, per cui mi immagino McDowell che sghignazzava quanto e più di me mentre scriveva queste parti).
Non ci sono personaggi bianchi o neri. Sono persone, con tutti i loro lati positivi e negativi, con tutti i loro grigi. Ci sono personaggi che compiono azioni negative che non sono semplicemente bieche, ma arrivano a essere davvero tremende. Tuttavia, il narratore non giudica: nel libro non troverete alcun giudizio, né esplicito né sottinteso, cosa che può apparire un filo straniante, durante la lettura, almeno all’inizio.
Forse è perché non si percepisce cattiveria, quando vengono compiute determinate azioni. Se avete già letto i libri sapete a cosa mi riferisco: se vi va, ditemi la vostra nei commenti, segnalando che si tratta di spoiler.
Ma la saga di Blackwater è davvero horror?
Blackwater viene venduta come una saga horror, ma al di là di pochissime scene, non la definirei tale. Ci sono comunque diversi momenti di rilievo che sono inquietanti, in cui ci si trova col fiato sospeso. Se temete di spaventarvi, però, mi sento di rassicurarvi del fatto che non succederà, a meno che non siate davvero molto sensibili.
L’elemento fantastico è sempre presente e, anche se non predominante, è fondamentale nella storia e nella trama.
Avrei voluto una maggior pervasività? Sì.
McDowell me l’ha data? No.
Gli sono ugualmente grata per aver scritto questa saga? Moltissimo – e scrivere questa recensione mi ha pure fatto venire voglia di rileggerla.
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Nata nel 1991 nella nebbiosa Rovigo, si è diplomata al Liceo delle Scienze Sociali; nel 2014 si è trasferita a Palermo e nel 2015 a Torino, dove vive attualmente sperando di non dover fare altri traslochi. Non scrive ma ama i libri, internet, il rosso e le serie tv. A 12 anni si è innamorata dei forum e ha iniziato a crearli: nel 2008 ha fondato, cresciuto (e venduto otto anni dopo) Writer’s Dream. Nel 2016 ha dato vita a Ultima Pagina.