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Maggio è stato il mese delle sirene, ma se come me siete giunti a questi giorni senza averne avuto abbastanza, vi consiglio un bel libro a riguardo.

Sorvolo sulla descrizione del testo fornita dall’editore: mi rendo conto che ci sia bisogno di scrivere più di due righe per informare il pubblico ma, a mio avviso, mentre il resto rischia di risultare sviante, le poche frasi iniziali centrano il punto del libro. Mi limiterò a quelle:

Londra, 1785. L’ammaliante Angelica promette a Mr Hancock che cederà alle sue avance solo se lui riuscirà a regalarle un esemplare suadente e fatale di sirena. Quello che Angelica non sa è che i desideri possono essere molto pericolosi. Perché rischiano di essere esauditi.

…E ora seguitemi nei miei ragionamenti deliranti: giuro che se sembro pretenziosa è solo per il vostro bene di lettori.

Il fascino di questo libro sta, secondo me, in come l’autrice (tale Imogen Hermes Gowar che, nella vita, ha studiato archeologia, antropologia e storia dell’arte, quindi sa di cosa parla e si vede: non vi saranno anacronistiche “MUTANDINE di pizzo” in questo libro!) ammalia il lettore, portandolo insieme ai personaggi da acque sicure alle grinfie delle sirene (reali per Angelica e Mr Hancock, metaforiche per tutti noi).

Il romanzo, come le sue sirene, inizia in maniera innocua (come la tipica sirena da fiera, potremmo dire, quella che abbiamo sicuramente già visto in foto d’epoca); abbiamo personaggi davvero consueti per un romanzo storico e la “fotografia” che abbiamo visto probabilmente era “Il petalo cremisi e il bianco” di Michel Faber: le similitudini tra i due romanzi si sprecano – ma le differenze sono enormi.
Mister Hancock, come il Mister Rackham di Faber, è l’erede di una fortunata famiglia di commercianti ( nel caso di Mr Hancock però si tratta di commercio marittimo); entrambi questi protagonisti maschili si sentono persi, come entrambe le controparti femminili (Angelica Neal e Sugar, anche loro “colleghe”) e cercano una sistemazione migliore di quella in cui si trovano all’inizio.

La storia è ben scritta, la sospensione dell’incredulità mantenuta: come potremmo avvicinarci alla sirena mummificata di una fiera per cercare le cuciture che la tengono insieme (ed essere contenti e meravigliati di non notarne nemmeno una), proseguendo con la lettura non noteremo scivoloni storici o strategici cambi di prospettiva per evitare le “brutture” dell’epoca in cui il libro è ambientato: come già detto, Gowar sa il fatto suo e la scarsa igiene (e qua sono io che uso eufemismi) viene descritta allo stesso modo in cui vengono descritti il belletto e le porcellane più fini. Indubbiamente non è la stessa “sirena” che avevamo già visto: a differenza di Mr Rackham, Mr Hancock è un uomo con la testa sulle spalle e, nonostante qualche pazzia fatta per amore (pazzie che si può comunque permettere!) non rinuncia alla sua moralità; la Sugar de “Il petalo cremisi e il bianco” sa cosa vuole, ma è disillusa e avvelenata col mondo (beh, con gli uomini), mentre Angelica, pur essendo frivola, alla mercé dei propri capricci e ancora alla scoperta di se stessa, non ha la disillusione di Sugar e il suo animo intossicato.
Una sirena fin troppo innocua, rassicurante; quasi noiosa, vero? Ecco, “La sirena e Mrs Hancock” vi ha già fregati.
Mentre vi lascerete cullare da dialoghi ben costruiti (personalmente ho amato i bisticci tra la prostituta Angelica Neal e la sua governante Mrs Eliza Frost, personaggio che non dovrete davvero dare per scontato!), da una trama che procede senza troppi intoppi per i protagonisti che, pur nei momenti peggiori, conservano un ottimismo di fondo forse ottuso ma ben riposto in una provvidenza che sembra averli favoriti, Imogen Hermes Gowar cambia magistralmente rotta. Perché la sirena rinsecchita, il rassicurante (per quanto inquietante) fenomeno da baraccone, non è sola.

Mr Hancock, fino ad ora favorito dalla provvidenza e nonostante sia stato avvisato cade, come generazioni di marinai prima di lui, nella trappola delle sirene, cieco ai rischi dell’inseguire creature che ormai pensa essere un argomento conosciuto. In quel momento il lettore cade con lui: ormai conosce i protagonisti e, se all’inizio li ha considerati insignificanti o troppo sciocchi, ha nel frattempo ammorbidito il suo giudizio su di loro grazie anche a un deciso miglioramento delle loro attitudini e inizia a tenere a loro.
È circa a questo punto che nel libro viene citata la nostalgia dei marinai, e devo dire che le atmosfere di questa parte mi hanno ricordato moltissimo i racconti di C. A. Smith, e in particolare “Un vino di Atlantide”. Mentre i personaggi sperimentano questa sensazione il lettore, ormai intrappolato nella trama dall’affetto appena scoperto per quei due protagonisti un po’ sempliciotti ma di buon cuore, si trova a leggere suo malgrado della loro disfatta, rimanendo incollato alle pagine come un marinaio attirato dai canti delle sirene non riesce a sottrarvisi nemmeno sapendo di essere prossimo alla morte (o come gli altri marinai, quelli di Smith, attirati da Atlantide come falene da una candela).

A questo punto sono cavoli vostri, perché cosa succede nel finale non ve lo dico: un po’ perché non si fa, un po’ perché se ho corso il rischio io di finire “annegata” per colpa di questa maledetta sirena non vedo perché debba farvi il favore di gettare un remo a voi, rendendovi immediati sofferenze o sollievo: prendetevi il rischio!

Quelli che potrebbero essere punti a sfavore di questo libro (ma che a me in realtà piacciono, pappappero).

La lunghezza: sono quasi cinquecento pagine, non esattamente una lettura veloce e non tutti hanno la pazienza di seguire una storia per così tanto tempo. Certo, quando un libro piace questo è un pregio. Potrei consigliare al potenziale lettore di considerare questa opera, prima che nella sua interezza, in due parti: primo e secondo libro insieme sono un ottimo ritratto dell’epoca, da leggere senza cercare a tutti i costi l’imprevisto o il colpo di scena, semplicemente “godendosi il paesaggio”; il terzo libro è il punto in cui si incontrano certe turbolenze e consiglio di non iniziarlo prima di dormire pensando “tanto è un libro molto tranquillo spengo quando voglio, mica succederà qualcosa di angosciante proprio qui”: le cose angoscianti iniziano proprio qui.

Trama lenta e stile ricercato: se quello che volete è un libro leggero per passare il tempo con personaggi piacevoli in cui è facile immedesimarsi passate avanti. Se cercate la tormentata storia tutta colpi di scena e col finale col botto, passate avanti. Se vi piace l’idea di calarvi nell’epoca in cui il romanzo è scritto, se avete la pazienza di lasciare il timone all’autrice e lasciarvi trasportare (lo ammetto: ogni tanto serve una piccola spinta per riaprire il libro) fermatevi e aprite questo libro: alla fine sarà la voglia di conoscere le sorti dei personaggi a spingervi a divorarlo (e lo apprezzerete per questo).

Non è di un genere definito: è un romanzo storico, ma ci sono le sirene; c’è una storia d’amore (un paio in effetti) ma non è un romanzo rosa; alla fine possiamo dire che il terzo libro che compone questo romanzo tende al thriller psicologico, ma stiamo parlando di un terzo dell’opera. Va approcciato senza aspettarsi di riconoscere un genere e basarsi sui suoi cliché, perché ci si troverebbe delusi. D’altro canto, se vi lamentate  che non vi piacciono i romanzi senza un genere definito perché non sono né carne né pesce, forse la sirena è un piatto che non fa per voi.

Quella che, a conti fatti, può essere considerate davvero una pecca

Sebbene comprenda che l’intenzione dell’autrice era quella di raccontare una determinata storia, quella di cui sono protagonisti gli Hancock e la sirena, vengono “aperte” alcune sottotrame e abbandonate in maniera un po’ frettolosa.
In molti casi è necessario (e, in fin dei conti, è più la mia ossessione di lettrice che vuole sapere ogni cosa, compreso cosa sia successo a Tysoe Jones conclusa la sua missione), ma anche a mente fredda trovo che la trama legata a un particolare personaggio sia stata lasciata andare alla deriva: possiamo forse intuire cosa abbia fatto tra l’ultime righe dedicate davvero a lei e il momento in cui riappare per qualche fugace istante, intravista da un personaggio che in quel momento ha ben altri problemi per la testa (e del quale la sorte si può invece indovinare), ma lo spazio dedicatole precedentemente era stato tale che il suo “finale” è stato piuttosto deludente da leggere. Certo, a Imogen Hermes Gowar non interessava lo sfoggio nozionistico che possiamo subodorare in Faber, il quale, raccontando un’intera città (seppur attraverso personaggi iconici le cui vite sono in qualche modo intrecciate), poteva permettersi di divagare dalle vicende dei protagonisti. Ma, Imogen, porca miseria, mi crei climax intorno a questo personaggio e poi mi fai giusto capire se sia vivo o meno? Non si fa così, dai!

Considerazioni finali

L’ho detto e mi ripeto, perché voglio che sia chiaro: non è proprio un libro per tutti. “La Sirena e Mrs Hancock” vuole narrarci una storia per il piacere di farci immergere in essa, ogni tanto col brivido dell’annegameno, ma il lettore deve arrivare con la mente aperta e lasciarsi coinvolgere dalla coppia di ingenui (e dalle sirene). Solo allora potrà apprezzare davvero un finale che si gioca nel campo della psicologia quasi più che in quello del fantastico: perché ansia, depressione e malinconia sono assai naturali, più frequenti di quanto si penso e, molto spesso, il loro insorgere è più inspiegabile di una sirena portatrice di disgrazie.

Foto di copertina Annette Batista Day su Unsplash

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