fbpx
Cerca
Close this search box.
Come si racconta la matematica secondo Chiara Valerio 1

Come si racconta la matematica secondo Chiara Valerio

Summary:

“Storia umana della matematica” è un libro sulla vita e gli studi di sei importanti scienziati e su quella dell’autrice stessa.

Tutto quello di cui Euclide parla, non esiste.
Non esiste una retta senza spessore, e non esistono circonferenze perfette. L’immaginazione che Euclide, dal III secolo prima di Cristo a oggi, richiede a chi legge i suoi Elementi è più grande di quella necessaria a seguire le storie degli dèi e degli eroi.


Storia umana della matematica di Chiara Valerio, pubblicato da Einaudi lo scorso settembre, inizia così, chiarendo subito che si tratta di un libro che parla di matematica, ma anche di metafore e di storie. È fatto di un’introduzione e sette capitoli. A ognuno dei capitoli è associato il nome di un matematico morto, con alcune eccezioni: in un caso i matematici sono due (Farkas e János Bolyai), in un caso si parla di un fisico e non di un matematico (Lev Landau), in un caso il matematico è vivente ed è una matematica, e cioè l’autrice stessa. Ma in questa storia umana della matematica non si parla solo di vite di matematici, che comunque alla fine sono molti più di sei, ma anche di libri e letteratura, di scommesse, di vita e morte, di storie di famiglie. Storia umana della matematica non è un saggio su come la matematica si è sviluppata nei secoli, e infatti è stato pubblicato in una collana di narrativa, i Supercoralli. Il matematico Umberto Bottazzini, che ha scritto una recensione del libro su Il Sole 24 ore, non lo consiglia perché non lo ritiene rigoroso né originale: sembra piuttosto che non lo abbia capito. Anche i librai che hanno messo le copie di Storia umana della matematica nel reparto della saggistica hanno fatto confusione.

Storia umana della matematica appartiene a un genere di libri che ultimamente si trova sempre più spesso: non proprio saggi, non proprio libri di memorie anche se sicuramente autobiografici, sono libri che partono da un argomento di studio a cui i loro autori hanno dedicato molto tempo, come ricercatori veri e propri o come semplici appassionati, per poi espandersi e parlare delle cose più varie. Tra queste, più o meno esplicitamente e più o meno in profondità, della vita dei loro autori. Questi libri sono ad esempio I posseduti (2012) di Elif Batuman e Io e Mabel (2016) di Helen MacDonald, sempre pubblicati da Einaudi anche se nella collana Frontiere, Il regno (2015) di Emmanuel Carrère, pubblicato da Adelphi, e L’arte di collezionare mosche (2015) e Il re dell’uvetta (2016) di Fredrik Sjöberg, pubblicati da Iperborea. Nel caso di Valerio si parte dalle vite e dagli studi di alcuni matematici, per citare romanzi contemporanei e raccontare della malattie di un padre e della tristissima storia di un gatto di nome Witold.

Un esempio di come Valerio parla di matematica, di come la studiamo e cerchiamo di capirla, è nel secondo capitolo, quando Valerio è una bambina e ha appena capito il teorema di Pitagora:

Papà –io, con tono vittorioso –, Che c’è?, Funziona anche con i cubi?, No.
Impunita e malfidata, avevo preso a designare un cubo. E mi ero subito accorta che, anche considerando il prisma formato dalla metà del cubo (come se Goemon, il fido compagno samurai di Lupin, con la spada di Hattori Hanzō, tagliasse un cubo a metà, di netto, e la metà superiore ci mettesse un po’ a distaccarsi e a scivolare sulla metà inferiore, questo perché nei cartoni di Lupon c’era la forza di attrito), il teorema di Pitagora con i cubi non funzionava. Mi ero alzata dalla sedia ingannata e avevo spalancato la porta del bagno. Papà, pantaloni alle caviglie, era seduto sulla tazza a leggere «l’Unità».

Prima di cominciare a pubblicare romanzi e racconti e, ultimamente, di diventare responsabile generale della nuova fiera libraria di Milano Tempo di Libri, Chiara Valerio ha studiato matematica, ha conseguito un dottorato di ricerca e ha insegnato. In Storia umana della matematica Valerio racconta le vite dei matematici il cui lavoro è stato più importante nel suo percorso di studi. I primi due sono Farkas e János Bolyai, padre e figlio, vissuti tra il 1775 e il 1860, che cercarono di risolvere il paradosso del V postulato di Euclide. Il postulato è quello che dice che «per un punto non giacente su una retta né sul suo prolungamento, non è possibile tracciare più di una parallela alla retta data». Il paradosso è una questione su cui moltissimi uomini si sono arrovellati per secoli e cioè se l’esistenza di quell’unica parallela sia una verità assoluta, indimostrabile, oppure qualcosa che si può derivare dagli altri postulati, tra cui «tra due punti qualsiasi è possibile tracciare una ed una sola retta». János Bolyai capì che il V postulato è un’ipotesi e che se non viene presa per data si possono costruire geometrie diverse da quelle del piano, di quelle che poi si sono dimostrare indispensabili per fare cose come i satelliti.

In La gioia piccola d’esser quasi salvi, romanzo pubblicato da Nottetempo nel 2009, le parallele erano già entrate nell’immaginario narrativo di Valerio («Marco pensa a raccogliersi la cenere in mano e a dare un’occhiata alla sua ombra che arriva piano piano all’incrocio dei binari. Che sono rette parallele. E le parallele si incontrano all’infinito e non è vero che nessuno è immortale. Se l’ombra arriva fino all’infinito allora pure chi la proietta. È una questione di geometria») e in Storia umana della matematica le metafore si moltiplicano e spiegano tante cose diverse, cose che hanno a che vedere con l’esperienza umana e per questo sono tra le cose che rendono umana la matematica.

Il secondo capitolo di Storia umana della matematica è dedicato a Bernhard Riemann, vissuto nell’Ottocento, che capì che si possono pensare spazi con più di tre dimensioni. Il terzo capitolo è su Pierre-Simon Laplace, famoso per tantissimi teoremi e anche per il suo carattere difficile e per il rapporto con Napoleone; il quarto sul piemontese Mauro Picone, che partecipò alla Prima guerra mondiale e migliorò la matematica usata dall’artiglieria per sparare agli austroungarici. Il quinto capitolo è l’unico non dedicato a un matematico, ma a un fisico: il russo novecentesco Lev Landau, quello per cui la comunità scientifica internazionale intervenne dopo che ebbe fatto un grave incidente automobilistico e per questo “morì due volte”. Il sesto capitolo infine è per il matematico e cibernetico Norbert Wiener, che a lungo si interrogò su che uso fare delle macchine.

Storia umana della matematica è appassionante non solo perché i matematici e il fisico di cui parla furono personaggi spesso romanzeschi e perché i loro studi teorici furono tanto importanti per la storia di tutta l’umanità – come l’autrice è in grado di spiegare anche a chi di matematica non sa nulla ma nutre interesse per l’evoluzione del pensiero – ma anche perché Valerio è molto divertente e intervalla riflessioni su concetti matematici ad aneddoti, battute, riferimenti culturali di vario tipo, pop e no. Così riesce a coinvolgere anche chi ha sempre detto di non amare e non capire la matematica. Nel primo capitolo ad esempio dice il titolo di un’opera di János Bolyai, La scienza assoluta dello spazio indipendente dalla verità o dalla falsità dell’assioma XI di Euclide (che non potrà mai essere stabilita a priori), e lo commenta così:

La chiosa tra parentesi è un gomitata a Kant. Dal punto di vista dell’iconografia popolare nell’epoca della riproducibilità tessile, la T-shirt con la stampa “a priori undecidable for ever”, versione inglese del latino di Bolyai, funziona ancora meglio come gesto non kantiano più che non euclideo.

Storia umana della matematica racconta di come Chiara Valerio sia diventata una matematica – a partire da quando si iscrisse «alla facoltà di matematica perché nel 1996 ho fallito l’esame di ammissione alla classe di lettere della Scuola Normale» – e un po’ di come poi sia diventata una scrittrice, parla di come la vita fornisca metafore per capire la matematica, ad esempio con un cimitero, e viceversa. E poi parla di letteratura e ne fa:

La matematica però, al contrario della letteratura, non vive di atti di fede, e nemmeno la fisiologia.
Tuttavia.
Ho creduto che un triangolo iscritto in una semicirconferenza fosse rettangolo. (…)
Ho creduto, soprattutto, che senza un sistema di vettori linearmente indipendenti non potessi costruirmi uno spazio. E nel teorema di Pitagora.
Ho creduto molto prima di capire. Ascolta papà.
Da ciò deduco che la matematica è un atto di fede fino a un certo punto e la letteratura, per converso, è un atto di fede da un certo punto in poi.

Come si racconta la matematica secondo Chiara Valerio 2
Website | + posts

Nata nel 1991 a Modena, vive a Milano. Ha preso una laurea triennale in fisica, ha frequentato la Scuola Holden e ora lavora nella redazione del Post. Ogni tanto scrive qualcosa su Medium. Ha rinunciato a guardare le serie tv perché ci sono troppi romanzi in giro.

Cosa ne pensi?

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

1 commento
  • Cara Lugli, non si diventa matematici ( fisici, ingegneri, etc.) perché si frequenta una facoltà e, magari, si prende un diploma. Il titolo (come in ogni altro mestiere e professione) bisogna guadagnarselo con ore, giorni, anni di lavoro e fatica, tra delusioni e successi. Qui mi pare che il tempo sia stato impegnato in altri modi.
    Mi sembra che, in mancanza di ispirazione letteraria, oramai il campo della scienza sia diventato un settore per pseudo scrittori-divulgatori in cerca di fama. O di se stessi.
    Saluti.