Questo articolo è il primo di due (o forse di più, chissà) dedicati al tema di lettura e resistenza in vista del 25 aprile.
- Lo scopo dell’arte e della letteratura
- La letteratura per interpretare la realtà
- I libri dunque ci salvano, secondo Leggere pericolosamente? È compito della letteratura salvarci?
- Bisogna leggere solo letteratura “alta” o narrativa bianca, quindi?
- Togliere valore alla dimensione performativa della lettura
Ci sono dei libri che ti incontrano al momento giusto, quando ne hai bisogno, e a marzo a me è successo con Leggere pericolosamente, l’ultimo libro uscito di Azar Nafisi, a chiudere la serie di volumi di cui fa parte anche Leggere Lolita a Teheran.
In un momento storico dove la percezione si fa sempre più confusa e preoccupante, capisco bene il bisogno di questa autrice di cercare conforto nei libri, nella letteratura, ma non come strumento di evasione. Nafisi infatti – come all’epoca del suo gruppo di studio e lettura clandestino – utilizza i libri e autori che lei ama per interpretare la realtà contemporanea.
Richiamando le voci di autori riconosciuti come emblematici della letteratura anglosassone, l’autrice scrive cinque lettere destinate idealmente al padre (morto da tempo) per discutere, com’era solita fare con lui, della situazione attuale nelle sue due nazioni, l’Iran e gli Stati Uniti. Immagino che a molti lettori americani trovare paragonata la mentalità e la situazione del loro paese con una Repubblica Islamica abbia fatto non poco storcere il naso, eppure Nafisi – che ha vissuto sulla propria pelle e quella della famiglia la salita al potere dei pasdaran, la censura, la violenza, la progressiva cancellazione delle donne nella società iraniana – traccia dei confronti importanti tra la mentalità sdoganata da Donald Trump e il pensiero di chi detiene il potere in Iran.
Il tema principale su cui si concentra Azar Nafisi è il concetto di “nemico”, e come oggi anche nelle nostre società occidentali e apparentemente democratiche siamo ormai assuefatti a questa idea, per cui chiunque non la pensi come noi diventa automaticamente un nemico, un costrutto senza forma e senza dignità umana da distruggere o eliminare. Può sembrare una riflessione drammatica, eppure basta scorrere i social media e vedere quanto rapidamente si scaldi una qualunque discussione sugli argomenti più futili per osservare quanto sia puntuale.
Nafisi pubblica questo libro l’8 marzo 2022, circa sei mesi prima della morte di Mahsa Amini e dallo scoppio della nuova ondata di proteste in Iran per i diritti delle donne e per la richiesta di una liberalizzazione della società ancora in corso. È un peccato, per certi versi, perché avrei voluto la voce di questa autrice sul tema, sebbene ci ricordi che – contrariamente a quanto pensiamo noi – le donne femministe iraniane non sono sorte come funghi dal 2022, ma abbiano portato avanti la lotta fin dagli anni ‘70, anche a costo della propria vita.
Nonostante manchino i riferimenti agli eventi degli ultimi diciotto mesi, al tema delle donne e del controllo del corpo è dedicata la quarta lettera del libro; ma in questo libro si parla anche dell’uso strumentale della religione e della censura per esercitare il potere, di razzismo – in senso lato e poi in relazione alla morte di George Floyd – del nemico, del conflitto perpetuo israelo-palestinese, della pandemia. E tutte queste tematiche sono discusse e osservate attraverso la lente della letteratura per offrire una “decostruzione” dell’idea di nemico, e per cercare invece dei punti di contatto tra autori lontani nel tempo e nella cultura, per dimostrare l’importanza dell’immaginazione e della narrativa per poter anche solo pensare un mondo diverso.
Non voglio discutere qui le idee politiche dell’autrice, non credo debbano essere il focus del libro, quanto proprio il ruolo che Azar Nafisi riconosce alla letteratura, alla poesia, alla filosofia, ricordando come tutti i regimi – non solo quello iraniano – abbiano da sempre minacciato la vita degli autori – e come oggi, in Occidente, siano silenziati o ridicolizzati.
Se i fatti sono importanti, dice, l’immaginazione tuttavia può creare ponti e andare oltre al nudo resoconto e, soprattutto, alla legge del taglione che sembra essere tornata tanto in voga.
«Per come la vedo io, [è] una definizione che vede nella letteratura un atto di resistenza contro la disumanizzazione. La guerra e il trauma ottenebrano la nostra percezione e congelano la nostra sensibilità. La letteratura ci ripara, risveglia i nostri sentimenti e ci restituisce un senso di individualità e integrità. Scrittura e lettura diventano strumenti di protesta, una ribellione esistenziale nei confronti della violenza subita. Restare uomini – o meglio, restare umani – si trasforma nell’obiettivo».
Lo scopo dell’arte e della letteratura
Negli ultimi anni, mi sono imbattuta diverse volte nella questione “a cosa serve l’arte? A cosa serve la letteratura?”. Durante il Covid – ma anche prima, con l’introduzione del reddito di cittadinanza – è emersa, per esempio, un’idea della povertà che restringe le necessità e i bisogni di chi ha problemi economici alle mere esigenze primarie, rendendo la bellezza, l’arte e l’immaginazione “lussi” che solo i ricchi si possono permettere.
Lo scoppio della guerra in Ucraina per certi versi l’ha ribadito: a cosa servono l’arte e i libri, quando cadono le bombe? Non tutti i Paesi la vedono così: per citarne uno, i principali musei di Parigi e di Francia – Louvre compreso – sono accessibili gratuitamente per chi è iscritto alle liste di disoccupazione e sta cercando attivamente lavoro.
Quando si parla delle biblioteche pubbliche e si fa presente che sono uno dei pochi luoghi ancora accessibili in modo del tutto gratuito per tutti, qualcuno ribadisce sprezzante che una persona povera o un senzatetto non se ne fanno niente dei libri. Eppure, la lettura è un cibo per la mente prezioso, che non andrebbe sminuito, né considerato un lusso. Un pensiero da coltivare il più possibile in un Paese dove sono molti più gli autori (o i wannabe autori) che i lettori.
La letteratura per interpretare la realtà
Una riflessione di Nafisi che mi ha commosso è relativa alla relazione tra gli autori e i lettori, e su come la letteratura offra oggi spunti di riflessione, sebbene sia stata scritta decine, centinaia, anche migliaia di anni prima rispetto agli eventi di cui possiamo discutere. Come la caverna di Platone continua a servirci per interpretare la realtà, così lo fanno diversi autori del XX secolo.
Soprattutto, la letteratura ci chiede di mantenere viva l’attenzione sulla complessità. Nel parlare delle azioni di individui, spesso ci offre una chiave di lettura su un fatto storico o contemporaneo, su un popolo, su una guerra, ricordandoci che non esistono giusto e sbagliato come assoluti.
La lettera sul conflitto tra Israele e Palestina risuona, inevitabilmente, terribilmente attuale. Partendo dal romanzo di David Grossman – autore israeliano che da sempre, dalla sua stessa esperienza di guerra, si espone per un definitivo cessate il fuoco – completato e pubblicato dopo la morte del suo stesso figlio al fronte, Nafisi descrive la complessità delle guerre in Medio Oriente per tutte le parti, passando poi a una importantissima voce dal mondo arabo, Elias Khoury, e poi a un autore americano, Eliott Ackerman, il quale usa le sue esperienze di marine per restituire un volto umano al popolo afghano.
La letteratura, dunque, ci chiede di non fermarci ai ruoli di buono/cattivo che tutte le narrazioni ufficiali di guerra prevedono, dove ogni attore si definisce il buono e dove il “nemico” di turno è il cattivo da abbattere. Putin ha usato il neonazismo per giustificare l’attacco all’Ucraina; Zelensky sceglie sempre di parlare di aggressione e di guerra di difesa per chiedere aiuto contro il cattivo zar contemporaneo.
Nel mezzo, la popolazione che muore su entrambi i fronti, la distruzione di infrastrutture, campi coltivati, città, ferite che impiegheranno generazioni per rimarginarsi. Per ogni famiglia che perde qualcuno sotto le bombe, il cattivo sarà irrimediabilmente colui che ha sganciato quella bomba e, per estensione, chiunque si trovi a condividerne la bandiera, la nazionalità, la lingua, la religione di quella persona. È comprensibile.
Allo stesso, però, la letteratura ci offre invece una chiave di lettura non buonista ma che rifiuta la semplificazione: la realtà lascia feriti, morti e traumi da ogni parte, perché raramente chi dichiara e inizia le guerre ne subisce poi le conseguenze dirette. In un mondo che sembra spingere sempre di più per un nuovo conflitto mondiale, la letteratura ci ricorda che si può immaginare un’altra via, non per mero idealismo, ma perché se si va avanti con “l’occhio per occhio” e la crudezza dei fatti, la morte si fermerà solo con la distruzione generale.
I libri dunque ci salvano, secondo Leggere pericolosamente? È compito della letteratura salvarci?
Se da un lato i libri possono avere un ruolo salvifico nella nostra esistenza, se possono mantenerci umani e aiutarci a rifiutare la retorica del nemico, dall’altro Nafisi ci ricorda che i libri smettono di esistere solo quando smettono di essere letti. Nella prima lettera, dedicata al tema della censura, è molto forte il richiamo a Fahrenheit 451: una distopia in cui i libri sono considerati pericolosissimi e vengono bruciati da un corpo speciale di pompieri e dove i “ribelli” si preparano a imparare a memoria quanti più testi perché, anche se fossero distrutte tutte le copie, quei libri continuerebbero a esistere.
Senza arrivare agli estremi immaginati da Ray Bradbury, è affascinante ricordare come qualunque libro parli a ogni singolo lettore in modo diverso e come sia possibile arrivare a interpretazioni molto diverse – a volte anche del tutto contrarie. Anche questa è una complessità inaccettabile, al giorno d’oggi: basta visitare un qualunque gruppo su Facebook dedicato alla lettura per vedere come sia quasi impossibile portare avanti uno scambio pacato e aperto al dialogo su un titolo qualunque, dall’Iliade al libro del generale Vannacci. E qualunque titolo diventa un campo di battaglia, dove bisogna imporsi a tutti i costi e le opinioni alla fine diventano secondarie. Conta solo vincere.
Abbiamo poi le nicchie social e digitali dedicate ai libri, che però non riescono a supplire la mancanza o la carenza di una critica forte e convincente. L’estetica del post e il mantenimento dei buoni rapporti con gli editori che inviano i libri gratuitamente sembrano spesso predominare nella discussione sul libro di tendenza del momento. Quanti di questi sopravviveranno al momento di fama perché qualche centinaio di profili (o qualche migliaio) ne parlano allo stesso tempo – quasi sempre con le stesse parole? Quanti libri resteranno vivi, nella mente di chi incappa e consuma questi contenuti digitali?
Nell’ultima lettera, dedicata alla letteratura afroamericana e alla violenza sulle minoranze, , Nafisi ricorda una sua studentessa, Razieh, vittima della rivoluzione iraniana malgrado fosse una musulmana devota e parte dell’organizzazione islamica dei mujaheddin, che come lei aveva un grande amore per Henry James. Nafisi riporta un dialogo con un altro autore, Elias Khoury, che le dice che, malgrado Henry James non abbia salvato Razieh da una morte terribile, Razieh ha salvato e mantenuto vivo Henry James, «grazie al miracolo della relazione tra il lettore e le parole».
«Credo che i lettori provenienti da luoghi, epoche e contesti diversi tengano in vita i libri leggendoli, ridefinendoli e reinterpretandoli attraverso il loro sguardo unico. Razieh e Baldwin ci offrono dunque prospettive diverse su James, contribuendo alla sua importanza e ridandogli vita in un contesto nuovo».
Bisogna leggere solo letteratura “alta” o narrativa bianca, quindi?
Certo che no.
Trovo molto interessante che diversi degli autori che cita Azar Nafisi in questo libro siano autori che trascendono le etichette letterarie e che abbiano scritto letteratura di genere (distopie, romanzi storici), opere così importanti che sono andate “oltre” i bollini letterari.
Il racconto dell’ancella, che sta vivendo una nuova ondata di successo grazie alla serie televisiva, è sicuramente un romanzo fondamentale del genere distopico; eppure oggi è un testo imprescindibile e – diciamo – che nasca come letteratura di genere è un fatto quasi “scusato”. Il già citato Ray Bradbury è indiscutibilmente un autore di fantascienza. Se definissi un romanzo fantasy o fantastico I versi satanici, sarei probabilmente presa per pazza, eppure Rushdie – che viene spesso citato come emblema anti-cancel culture (solo che lui ha ricevuto una fatwa e subito diversi attentati) – utilizza tanti elementi fantastici della sua cultura, creando un capostipite del “realismo magico mediorientale”.
Notiamo anche come spesso il realismo magico sia considerato a parte rispetto al fantastico, quasi come se fosse un indulgere accettabile nel fantastico, senza scadere nella letteratura di genere.
Cosa distingue un romanzo storico bollato come “di genere” da uno come Il colore viola, premio Pulitzer per la letteratura?
In realtà, nulla. I generi letterari sono spesso considerati squalificanti, mentre la narrativa “bianca” (appunto, senza etichette) si considera di default più alta e, di conseguenza, migliore, sebbene sia altrettanto codificata in trope e filoni riconoscibili e definiti.
Qualche anno fa, l’autore indiano Amitav Ghosh si chiedeva perché il cambiamento climatico fosse considerato una tematica fantascientifica da editori e librerie, non per sprezzo nei confronti del genere ma perché ciò dimostra, secondo lui, che il tema non è percepito come attuale o veritiero, mentre nell’ottica di paesi che sono già colpiti duramente dalle conseguenze di tale cambiamento è realtà da molto tempo.
Un altro autore che amo ma che odia sentire definire i suoi libri “di genere” è Kazuo Ishiguro, che dichiara sempre con una certa veemenza di “prendere in prestito” i codici narrativi dei generi che meglio si prestano per le storie che vuole raccontare, ma di scrivere per tutti. Se una voce così importante come un autore Premio Nobel ha paura di finire nello scaffale di genere, sebbene di fatto abbia scritto due romanzi distopici e diversi titoli che rientrano nella definizione di romanzo storico, possiamo capire quanto la letteratura di genere sia percepita come secondaria e di poco valore.
Eppure, la fantascienza nasce come genere che usa la scienza per porsi interrogativi sul futuro, sui limiti dell’etica, sul progresso della società e sul costo di quel progresso. Cosa ci potrebbe essere di più alto? Il noir e il giallo spesso offrono spunti per riflettere sulle ombre delle società in cui si svolgono e il romanzo storico analizza questioni del passato con un occhio contemporaneo, e dando spesso un’interpretazione che guarda all’attualità. E, in questo discorso, sto lasciando da parte il romance.
Ah, il romance, il genere pietra di scandalo, quello per cui la divisione tra letteratura alta e popolare è stata creata
Da lettrice mi sto ancora deprogrammando nel mio rapporto con il romance, perché a un certo punto, secondo me, in molte abbiamo sentito il bisogno di prendere le distanze, di fronte alle “accuse” che le donne scrivano e leggano solo romance – incapaci di produrre letteratura seria e troppo stupide o emotive per leggere o capire altro. Accuse reiterate recentemente anche sugli spazi di una importante rivista italiana.
Tuttavia, ci saranno anche romance che sopravviveranno e saranno tenuti vivi dalle lettrici e dai lettori, come ci saranno libri di altri generi, non solo di letteratura alta.
Parlando di fantasy, vorrei citare Le streghe in eterno, di Alix E. Harrow, un fantasy storico che immagina un’America diversa partendo dal caso delle streghe di Salem e richiama il movimento delle suffragette. Un romanzo immenso, che mi ha fatto bruciare di rabbia per tutta la lettura, e che spiega e racconta il femminismo come pochi libri, dipingendo donne che desiderano la libertà ma non necessariamente con la volontà di condividerla, spesso sgradevoli e di brutto carattere, ma anche forti e determinate.
Togliere valore alla dimensione performativa della lettura
Qualche anno fa, su Facebook, girava una lista dei cento libri che più spesso le persone fingono di aver letto, una lista che curiosamente comprende anche molti libri di genere: non pochi lettori si sono lanciati a marcare quali avevano letto e quali no – me compresa, non lo nasconderò.
Secondo me rischiamo di mantenere vivi dei titoli senza però curarci del contenuto. È il caso di Rushdie, che – come la stessa Nafisi riporta – non viene letto né dai suoi detrattori né da molti di quelli che lo usano come baluardo della libertà d’espressione. Ma secondo me ci sono tantissimi libri che fanno questa fine: l’ultimo in Italia è Il mondo al contrario. Mi fa un po’ specie mettere I versi satanici e questo titolo nello stesso discorso, eppure credo che la costruzione del personaggio “povero generale che viene zittito” abbia prevaricato, da un lato e dall’altro, il contenuto del libro di per sé.
È importante che continuiamo tutti a leggere pericolosamente. Si può leggere per puro intrattenimento – è un’attività più che legittima – però non abdichiamo al ruolo sociale che la letteratura ha. Né al nostro ruolo di lettori e di “salvatori” dei libri.
Se un Dumas è sopravvissuto allo scorrere del tempo, tra centinaia di feuilleton usciti nello stesso contesto storico, è perché i lettori hanno continuato a tornare ai suoi moschettieri, all’ossessione di vendetta del Conte di Montecristo e alle vicende dei suoi personaggi indimenticabili. Oggi è un classico, etichetta che per alcuni lo rende letteralmente intoccabile e non criticabile. Eppure le sue opere nascono come letteratura popolare, di genere, romanzi a puntate con infinite ripetizioni perché l’autore era pagato a cottimo.
Chi saranno i Dumas di oggi, quali autori saranno riconosciuti come tali tra due secoli? I libri di cui continueremo a parlare e a cui faremo ritorno, ancora e ancora? La trilogia di Daevabad, probabilmente, se non altro per l’impegno di Linda a spacciarla a chiunque. E per quello che mi riguarda, i libri di Azar Nafisi, perché in questo momento storico tutelano il valore fondamentale della letteratura e dell’immaginazione per salvare tutti noi.
Quindi leggetela tutti, o vi picchio!