In un clima come quello attuale, che solo in Italia ha contato 120 vittime di femminicidio nel 2023, Cenerentola è morta di Kalynn Bayron avrebbe potuto essere un ottimo mezzo affinché temi come la misoginia e il patriarcato potessero arrivare anche ai più giovani, attraverso il retelling di una delle fiabe più conosciute al mondo.
Peccato non sia stato così.
Il retelling di Bayron ha dalla sua di sicuro una bella idea di base (anche se a un certo punto qualcunə di voi esclamerà: “Ah! Ma questa cosa è presa da *nome di famosissimo cartone animato della Dreamwork*!”) e una versione, distopica, del background già conosciuto della favola.
Iniziamo dando un’occhiata alla trama.
La trama di “Cenerentola è morta”
Sono passati duecento anni da quando Cenerentola è morta a causa di una malattia e senza lasciare eredi.
La città di Lille, nel regno di Mersailles, vive sotto il pugno di ferro del re Manford, l’ultimo di una lunga serie di tiranni che hanno costretto le donne a sottostare incondizionatamente al dominio degli uomini attraverso una serie di leggi severissime. Le donne, qui, non possono far valere i propri diritti, non possono avere denaro. Tutto ciò che a loro è concesso è di essere sorridenti, servizievoli, obbedienti ai mariti, alle leggi del re e, soprattutto, di conoscere a memoria la storia di Cenerentola.
Tutti in casa hanno un volume che la racconta e le bambine la imparano fin dalla più tenera età perché in quelle pagine c’è il destino – obbligato – di ogni donna di Lille: andare al ballo annuale tenuto al castello del re ed essere scelta dal suo futuro marito; come se vivessero sulla propria pelle la fiaba. Tutte le ragazze sognano di poterci riuscire al primo colpo, perché se per tre volte non si viene scelte… allora si viene dichiarate inadempienti e mandate a servire in posti lontani dai quali nessuna di loro ha mai più fatto ritorno.
Sophia Grimmins, invece, del ballo non ne vuole sapere niente. Sogna di fuggire lontano da Lille, in un posto dove nessuna donna è più costretta a obbedire a padri e mariti padroni. Con sé vorrebbe portare Erin per poterla amare senza il rischio di essere ripudiata dalla famiglia o, nel peggiore dei casi, uccisa. Ma è l’anno del loro primo ballo e ci sono aspettative e sacrifici che nessuna delle due può ignorare. Solo che le cose non vanno affatto come avrebbero dovuto…
Epperò, signora mia, qui non ne va bene una!
No, decisamente la popolazione femminile di Mersailles e Lille non si trova a vivere un Carnevale di Rio. Quel che è peggio, però, è che un fattore importantissimo concorre a peggiorare le cose: la scrittura dell’autrice.
Sophia è la protagonista di Cenerentola è morta e noi viviamo l’intera vicenda attraverso il suo esclusivo punto di vista, ma la sua voce è piatta, a volte sciocca e non fa che anticipare le sue stesse mosse. Non va meglio con i personaggi che le ruotano attorno: bidimensionali, usati per creare una determinata situazione e poi fatti sparire. Nel migliore dei casi, ricompariranno nel finale per farci sapere che fine hanno fatto, altrimenti adios, non li vedremo più.
I “buoni” e i “cattivi” sono caratterizzati letteralmente a colpi d’accetta: sia inteso come inquadrati nel loro ruolo senza possibilità d’appello, sia inteso come “accettali, sono così, non si evolveranno mai”. Non verrà mai spiegata la misoginia che domina Mersailles e, per quanto si cerchi di motivarla come un’azione punitiva nei confronti di *spoiler che non vi farò*, questa cosa non regge perché le leggi misogine sono state introdotte da ben prima. Quindi, Houston, abbiamo un problema.
Problema che si estende alla strutturazione del regno.
Did you find my world building somewhere?
Dal testo sappiamo che Lille è la capitale del regno di Mersailles, ma non sappiamo esattamente cosa ci sia al di fuori di Lille, perché alle donne non è permesso lasciare la città – tranne quando vengono spedite in una città vicina dopo che sono state giudicate inadempienti, o quando vanno in moglie a conti/baroni/nobili che vengono dalle “Terre Proibite”, che non sappiamo se siano dentro o fuori da Mersailles (gente che, per altro, è sempre la stessa a ogni ballo).
Mersailles, quindi, è un regno molto aleatorio e indefinito, ma il problema sorge quando ci si chiede: come funziona fuori dalla capitale? Perché se a Lille ha un senso che si tenga questo ballo (per un motivo che scoprirete leggendo), fuori dalla capitale non ne ha nessuno. E di certo a presentarsi al castello del re non sono tutte le ragazze del regno di Mersailles, perché sono troppo poche. Quindi, le altre vengono giudicate inadempienti solo perché non si trovano nella capitale? Fanno dei balli alla corte di qualche conte o barone? Direi di no, visto che gli stessi poi vengono al ballo annuale del re.
Insomma, la strutturazione del world building può risultare accettabile se presa in maniera molto sommaria, ma basta farsi qualche domanda in più e comincia a fare acqua come un colabrodo.
Un po’ come i rapporti tra i personaggi che non si reggono sulle proprie gambe né vengono sviluppati in maniera fluida e coerente, mentre i conflitti seguono canovacci tanto conosciuti che è possibile anticiparne ogni mossa. Dialoghi poco avvincenti, azioni sciocche e senza un senso che non sia una forzatura. Stessa cosa può dirsi della parte romance, così “citofonata” che a un certo punto mi aspettavo spuntasse un: “C’è Gigi?!”.
Sophia non cresce come personaggio, non affronta nessun percorso, non ci sono differenze da quando la incontriamo a pagina uno a quando la salutiamo alla fine dell’epilogo. E sì che ha compiuto qualcosa di straordinario come mandare a gambe all’aria una dittatura durata più di 200 anni. Ma anche quando si tratta del momento clou contro il villain (che fa scelte una più tremenda dell’altra e che in più occasioni mi è sembrato un po’ troppo “energico” al limite del doping) il tutto è piuttosto confuso e si risolve in una decina di pagine.
E quindi cosa ci resta?
Un finale a tarallucci e vino, ovviamente, in cui tutto si sistema alla grande e vissero per sempre non più misogini e contenti. Anche chi ti ha trattato a pesci in faccia adesso è dalla tua parte. Grande, bro.
Adoro gli Young Adult. Amo il fatto che al centro della vicenda ci siano ragazzi e ragazzini nel momento più importante della loro crescita e di cui l’autore può farci vedere al meglio la loro evoluzione, senza l’amarezza che gli adulti si portano sulle spalle. Proprio per questo, per me, questo romanzo è stata un’enorme occasione mancata, sia di capovolgere un’opera prettamente bianca dandole canoni neri (cosa che, purtroppo, non si è percepita affatto) sia perché era esattamente questo il momento migliore per continuare a parlare di femminismo e lotta al patriarcato.
Qualcuno giustificherà la cattiva scrittura di questo retelling proprio perché è uno Young Adult, ma non dimenticate: la penna che scrive è sempre quella di un adulto.