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Pornografia, cristianesimo e catabasi: Dialogo con Mario Desiati

Summary:

Mario Desiati In ‘Candore’ (Einaudi) usa i film porno come chiave interpretativa di quello che accade al protagonista, esplorando le dinamiche del desiderio.

L’amatoriale così a buon mercato era l’illusione che il porno assomigliasse alla vita vera, anche se ancora una volta ci era arrivato Siffredi prima di tutti, con gli attori presi dalla strada, l’umano che incontra il divino in questa delirante allucinazione prometeica, come nel mito olimpico ma col vantaggio di non subire la mannaia della Hybris.

I rapporti tra letteratura ed erotismo/pornografia sono antichi quanto la letteratura stessa. Identificarne tutte le sfumature sarebbe impossibile, dalla letteratura greca a quella latina, da Boccaccio alla letteratura americana passando per molti altri testi di tutte le epoche. Ma è da metà del 1900 che ha acquistato forza e autonomia, portando il corpo a esser chiave di lettura non solo letteraria, ma soprattutto sociale e politica, come, ad esempio, nei lavori di Klossowski, Bataille, Foucault, o in Italia in quelli di Pasolini, Moravia e in maniera minore Parise e Tondelli. In questo contesto l’erotismo e il corpo sono stati a  cavallo di una interpretazione letteraria che andasse a sconfiggere le idee dominanti e le strutture politiche. Da lì la forza di raccontare il mondo attraverso l’erotismo in letteratura si è parzialmente persa, la ricerca si è spostata su altri aspetti della socialità e si è cercato il rapporto tra soggettività ed esteriorità in altri modi.

Ad oggi, nonostante le ricerche sul corpo di quegli anni della seconda metà del novecento si siano perse, e di quell’epoca di filosofi sia rimasto solo Jean-luc Nancy,  il desiderio di comprendere il corpo attraverso l’erotismo (o la pornografia, assimilati in questo caso, nonostante la differenza sia enorme) c’è comunque e trova forma e forza in Candore, nuovo libro di Mario Desiati pubblicato per Einaudi.

Candore narra la storia di Martino Bux, albanese di origini e pugliese di adozione, che si trasferisce a Roma per studiare, ma affronta la vita da fuorisede trovando lavori instabili, stipendi bassi e fidanzamenti poco duraturi; nel libro i film porno sono una costante attraverso la quale il protagonista interpreta la realtà. Tuttavia al contrario di Moravia e Pasolini, in questo caso sembra che la sessualità non sia la chiave di interpretazione sociale, ma piuttosto una chiave prevalentemente di interpretazione interiore del soggetto raccontato.

Nell’intervista realizzata da Teresa Ciabatti in occasione dell’uscita di Candore, rispondi che al declino in passato avresti reagito con l’immaginazione, ora con la fantasia “che ha meno implicazioni sociali, ha meno responsabilità. Una fantasia che Martino si crea con la pornografia. Il suo terreno d’identità, il luogo dove si sente se stesso è il cinema a luci rosse.” In che modo hai lavorato sulla sessualità del protagonista, e quanto ha influito il passato letterario italiano sulla creazione di questo tipo di sessualità?
È una sessualità composta da proiezioni del protagonista. Le proiezioni e i desideri sono spesso decisi dalle nostre esperienze, dalle immagini che abbiamo visto, da un complesso di sentimenti e vissuto, per molti il porno è il primo sesso a cui si assiste, e in modo inconscio o conscio entra nelle elaborazioni delle fantasie. Bux ha questa sessualità ossessivamente ricondotta all’alveo del voyeurismo perché lui si pone sempre come spettatore, così come la prima volta in cui è stato partecipe di qualcosa di sessuale, lui era solo uno spettatore, in un cinema. E per lui il sesso è scena, prima di essere osceno. Più che il passato letterario ha inciso il presente della società italiana, il confine labile del senso del pudore, l’ipocrita messinscena italica dove la mano destra non deve sapere cosa fa la mano sinistra.

Il secondo aspetto che mi è sembrato interessante del libro è la verticalità che hai dato alla vita di Martino Bux, che anziché tendere all’altezza (una ascesi purificatrice, per intendersi), tende alla profondità, una discesa, si potrebbe dire, che accade per inerzia verso l’imperfezione. Ma la verticalità ha sempre avuto a che fare con la presenza di una perfezione (in un discorso laico, non religioso), in questo caso molto poco presente se non, appunto, nel suo ribaltamento, si potrebbe dire che scendendo Martino Bux sia stato in grado di trovare quello stesso candore che si ritrova nella perfezione?
C’è invece un imprinting cristiano in Bux, forse è un discorso che in una risposta di poche righe verrebbe mortificato, ma questo libro è una storia che poteva essere scritta e pensata solo in Italia, nel paese della Chiesa Cattolica, un luogo foriero per la sessualità da sottosuolo, dove elemento fondamentale è il rapporto con la vergogna. Raccontare una catabasi è più facile che raccontare un’ascesi. Nell’ascesi si rischia facilmente il quadretto idillico, si rischia seriamente di rimanere nella superficie, non ho i mezzi per una storia del genere. La catabasi per me è invece una condizione che ciclicamente vivo, o sento di appartenere, è un terreno in cui mi trovo più a mio agio.

Questo romanzo è stato spesso associato al porno, anche se non è descritta nessuna scena di sesso, al contrario l’aspetto sentimentale che innesca la verticalità di cui parlavo prima, è molto presente. Martino Bux riesce a connettere l’amore e il porno, e parafrasando Carmelo Bene su Kafka come pornografo, il porno è il desiderio del desiderio. Tu scrivi nel romanzo “Il porno ha un vantaggio, l’immagine. Ti illude che il sesso non sia mai fallace e deperibile, come l’immagine dei suoi protagonisti.” Fornendo così una idea di desiderio desiderabile appunto. In questo caso in porno è calzante perché Bux desidera il desiderio senza compierlo mai; ma il sentimento come desiderio del desiderio d’amare, invece è una costruzione che lascia molto spazio d’analisi. Come hai lavorato sul sentimento del protagonista?
Non ho lavorato tanto sul sentimento quanto sulla voce. Alla fine è con la voce che si trasmette la sostanza. Sono alcuni anni che studio le dinamiche del desiderio, l’ho affrontato nel Libro dell’amore proibito, lo faccio perché ne sono schiavo, dunque racconto questa schiavitù che diventa un’ossessione. Se desidero opero per quel desiderio, anche se ho desideri molto piccoli, impiego delle energie enormi per poterli esaudire, perché gli uomini arrivano a tanto? In fondo il motore di tanto (forse tutto?) è il desiderio, anche avere una rispettabile famiglia borghese con tutte le carte in regola lo è, come non aver nulla, se non l’indispensabile per vivere in un regime di indifferenza emozionale.

A livello stilistico, rispetto ad alcuni tuoi romanzi precedenti, a mio avviso, c’è stato un ulteriore passo in avanti, nonostante questo sia un romanzo iniziato molti anni fa, la scrittura non ha delle differenze interne, è tutta accordata sul tema e sembra lavorare insieme al lettore per arrivare a comprendere il protagonista. È anch’essa in grado di mettere in scena il desiderio. È venuta spontaneamente volendo scrivere questo tipo di storia o hai lavorato per esaltare alcuni aspetti particolari?
Ci ho messo un po’ a trovare la voce e poi ho lavorato nel 2015, tutto un anno, solo sull’attendibilità dello stile, mi ricordo che un giorno di novembre nel 2014 e uno di giugno nel 2015 ho passato l’intera giornata a leggere il romanzo ad alta voce a Massimiliano Catoni, la persona che mi più mi è stata vicina in questi ultimi tempi durante la stesura. Tutto ciò che non mi tornava a entrambi lo rimettevamo in discussione. È stato un bel lavoro.

In ultimo torno sulla società e sul rapporto tra la storia che hai raccontato e il mondo nel quale è stato pubblicato il libro. All’interno del romanzo molte cose cambiano man mano che passano gli anni, dal protagonista alle persone che lo accompagnano, ma soprattutto cambia il mondo del porno. Dagli attori alle categorie sui siti porno, spariscono i giornali, un certo modo di fare sesso – quindi un modo di desiderare in chi guarda – tanto che un personaggio del libro dice “Con uno spritz Campari e dei guanti di pizzo che le guardavo con desiderio, una sera raccontò del suo cruccio: – Non ci sono più gli uomini di una volta, oggi questi dicono «timbrare», ti rendi conto, dicono timbrare invece di scopare –. La vidimazione invece del godimento, in un formale atto burocratico che mette al centro la tabellina personale, la mandava in bestia”. Quanto il porno influenza culturalmente la società?
Enormemente ed essendo uno che lavora con le parole, mi ha stupito come la tassonomia quasi nevrotica dei desideri (che devono essere nominati altrimenti non esistono) nel mondo del porno sia a volte ispirata o ispiri la società. Per esempio l’acronimo MILF (Mother I’d like to fuck) oggi usato per definire in modo poco elegante le donne avvenenti sopra i 35 che hanno avuto figli nasce da una commedia di successo come American Pie, rimbalza nel porno come categoria e torna nella società mainstream nel parlato corrente. Ma penso anche all’uso scorretto, ma molto frequente dei termini fetish, sadomaso, switch, slave e master, linguaggi che hanno avuto un proliferare dopo il successo di 50 Shades of Grey, anche se quasi mai consapevole fino in fondo.

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Nato a Bari nel 1985. Laureato in scienze filosofiche. Blogger Huffington Post Italia, è redattore della rivista di filosofia Logoi.ph e per il trimestrale Uzak.it. Ha collaborato con i blog di Repubblica Bari e altre testate occupandosi sempre di cultura. Ha avuto esperienze di collaborazione e stage in agenzie di comunicazione. Pubblica racconti in antologie e riviste.

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