Con queste parole inizia il nuovo libro di Don DeLillo, in libreria per Einaudi nella traduzione di Federica Aceto. Il titolo del libro, Zero K, porta il lettore direttamente nel cuore del testo: è lo zero assoluto in gradi Kelvin (-273° Celsius), la temperatura alla quale un corpo esce dal tempo ed entra in un concetto mai realmente e compiutamente esplorato, quello dell’ibernazione.Tutti vogliono possedere la fine del mondo.
DeLillo si prefigge l’obiettivo di arrivare lì, dove il rapporto spazio-tempo non è in grado di mutare la fisicità dell’uomo, perché è sulla fisicità che è incentrata una parte consistente del romanzo. Un padre e un figlio decidono di accompagnare la seconda moglie del padre, malata da tempo, in un centro che effettua crioconservazione dei corpi, affinché possano svegliarsi in un’epoca diversa, successiva, capace di curare e portare le persone a vita eterna. Durante questo percorso anche il padre, sano e ricco, decide di affrontare questa parziale morte prematura, in virtù della speranza di una vita eterna. Già nel primo capitolo DeLillo dichiara l’incedere della scrittura e della trama:
Lui era qui ora, c’erano tutti e due, padre e matrigna, e io li avevo raggiunti per una visita brevissima e dare il mio incerto addio. Dal mio punto di vista ravvicinato era difficile stabilire il numero esatto delle strutture. Due, quattro, sette, nove. O una soltanto, un’unità centrale con degli annessi disposti a raggiera. La immaginavo come una città che sarebbe stata scoperta nel futuro, autosufficiente, ben conservata, senza nome, abbandonata lí da una civiltà migrante.
Già precedentemente DeLillo aveva affrontato la questione del tempo, spesso, in realtà, nei suoi romanzi i temi della morte e del tempo emergono, ma è probabilmente in Cosmopolis che si ritrova un riferimento maggiore, per due ordini di motivi: innanzitutto cosmopolis è incentrato sul rapporto tempo-denaro, rapporto sul quale si fondano le società contemporanee; in secondo luogo perché è un romanzo, l’unico, dal quale è stato tratto un film, riportando la scrittura di DeLillo in uno spazio visionario, lì dove si gioca il rapporto tempo-società futura. Il passaggio in immagine cinematografica conferisce, grazie al lavoro di David Cronenberg, una ulteriore dimensione visionaria lavorando proprio sulle immagini che DeLillo porta alla luce attraverso la parola.
In Zero K, il rapporto tra il tempo-denaro e il tempo-società si fonde per andare a creare una società futura (ma nemmeno poi troppo) nella quale il denaro e la società stessa soccombono definitivamente in favore dell’unico elemento realmente umano del triangolo sociale costruito da DeLillo: il tempo. Tutto confluisce nell’unico obiettivo umano: non morire, di cui società e denaro erano feticci.
Così come in passato è stato in grado di affrontare la propria morte, e cioè attraverso il denaro, così l’uomo è in grado di affrontarla nel presente attraverso una estrema socialità (il web, ulteriore feticcio), nello stesso modo la affronterà in uno spazio futuro, molto breve, attraverso l’auspicata e da sempre desiderata immortalità.
In questa struttura, che è nuovamente una struttura sociale, emerge con forza la singolarità: ogni soggetto diventa portatore unico di tutta l’umanità intera, desiderosa di compiere il passo successivo all’invenzione del web, alle nanotecnologie, ai robot, agli automi, agli algoritmi, ai social e a tutto quello che può rientrare, dall’invenzione di internet in poi, nel concetto di tecnologia: rendere eterno il corpo, lì dove per corpo non si intende più un insieme organico biologico, ma potrebbe intendersi anche un insieme armonizzato di robot o protesi governate da un cervello, o da chissà quale altra forma post-umana si è in grado di inventare. È lo stesso soggetto a cercare nuova collocazione:
Pensate alla parola inglese alone. Dall’inglese medio. All one, tutto uno. Buttate via la persona. La persona è la maschera, il personaggio inventato in questa miscellanea di rappresentazioni sceniche che costituiscono la vostra esistenza. La maschera cade e la persona diventa quello che siete nel senso piú vero. Tutto uno. L’io. Cos’è l’io? Tutto quello che siamo, senza gli altri, senza amici, estranei, amanti, bambini, strade dapercorrere, cose da mangiare, specchi dove guardarsi. Ma si è davvero qualcuno senza gli altri?
Nella crioconservazione cosa rimane del soggetto? Un puro io ibernato? Cosa? In questo contesto di creazione del soggetto e della società, le esperienze dei due protagonisti sono fondamentali anche per quanto riguarda il concetto di arte: ci sono dei manichini con indosso degli abiti coprenti (sul modello dei burqua) collocati all’interno della struttura nella quale la compagna del padre sarà crioconservata.
Su un lato, all’altro capo del portone, la strana presenza di altre due sagome, in chador, donne completamente coperte, in piedi, immobili.
L’oggetto artistico non è semplicemente una figura nel paesaggio immaginata da DeLillo, ma un prodotto creato a immagine e somiglianza dell’uomo “congelato” nel presente all’interno del quale non si preserva altro che l’apparenza religiosa, una fede, che è la fede nella tecnica come antagonista alla morte.
Lì dove in età classica, e nella tradizione romantica, era l’amore a opporsi alla morte, a creare delle vie di fuga, seppur irreali, in forma di letteratura o di atto d’amore estremo (quale il suicidio per amore, ad esempio), il tempo rappresentava l’avamposto per una eternità altra, così in DeLillo il ribaltamento è totale, la tecnica ha sostituito tutto, non solo l’umano stesso, andandolo a completare, a implementare, ma soprattutto a sostituire l’immaginario, andando a sostituire l’amore e la fede con il dominio tecnico. Trasformando, in definitiva, l’atto estremo d’amore in una morte congiunta in funzione di una possibile vita eterna.
Tramite la voce narrante del figlio noi ascoltiamo questo cambiamento, questo incedere della tecnica sull’uomo che in definitiva mostra una trasformazione antropologica di vastissima portata e che, al contrario, non è percepita cognitivamente. Lo stesso protagonista non fa altro che chiedersi cosa osserva, come deve affrontare il problema, si dichiara incapace in più occasioni; la riflessione sui cambiamenti prende una larga parte del romanzo che ha un ritmo curato soprattutto nella relazione tra tempo di lettura e tempo delle azioni, ancora una volta l’interesse per la temporalità è messo in evidenza anche tramite la scrittura lineare, asciutta, pulitissima che arriva alle domande, che cerca delle piccolissime risposte che possano costruire, insieme, un punto di vista nemmeno troppo sicuro, così da avere spazio per nuove domande, per mostrare una curiosità che non si attribuirebbe ad un uomo di ottant’anni, quale DeLillo è. Lo stile è parte del contenuto del romanzo.
Zero K, tuttavia da un altro punto di vista abbandona completamente la concezione tecnologica dell’esistenza, relegando la tecnica ad uno strumento attraverso il quale è possibile tornare a parlare di religiosità, di al di là. Cedere all’atto di Crioconservazione è una mera azione di fede, non tanto di fiducia che implicherebbe una reale conoscenza delle circostanze, ma proprio un atto di fede religiosa in un qualcosa che non è più un Dio spirituale, ma al contrario è un Dio creato dall’uomo fisicamente (non solo metafisicamente) costringendo la metafisica alla fisica, alla matematica, agli algoritmi e utilizzandolo come strumento per divaricare all’infinito le potenzialità umane.L’atto attraverso il quale avviene questa religiosità è la morte Esattamente come il paradiso nella bibbia e nella letteratura è un luogo nel quale arrivano le anime dopo la fine fisiologica degli uomini, il futuro è il luogo nel quale arriveranno i corpi dopo questa sospensione fisica dovuta alla temperatura.
Zero K è un romanzo che offre numerose possibilità di apertura nei confronti di molteplici argomenti, come d’altra parte DeLillo ci ha abituati, i suoi romanzo spesso vorticano attorno al tema del tempo e del futuro (come ha scritto molto bene Giovanni Bitetto qui) ma nel vorticare del lettore nelle parole è possibile cogliere principalmente domande, non risposte, il che lascia intuire di star leggendo uno dei più grandi scrittori viventi capace di trascendere il suo lavoro precedente e approdare a nuove forme.
(Illustrazione di Byro N Eggenschwiler)
Nato a Bari nel 1985. Laureato in scienze filosofiche. Blogger Huffington Post Italia, è redattore della rivista di filosofia Logoi.ph e per il trimestrale Uzak.it. Ha collaborato con i blog di Repubblica Bari e altre testate occupandosi sempre di cultura. Ha avuto esperienze di collaborazione e stage in agenzie di comunicazione. Pubblica racconti in antologie e riviste.
- Scritto da
- Altri articoli