Dopotutto c’era qualcosa di confortante nel sapere che il manager di un hedge found doveva cercare parcheggio esattamente come doveva cercarlo un bidello.
[mks_dropcap style=”square” size=”41″ bg_color=”#bd0000″ txt_color=”#ffffff”]D[/mks_dropcap]i solito ho un grosso problema con gli scritti dei più irriducibili critici della cultura digitale ed è la loro esagerata vis polemica; Silicon Valley: i signori del silicio non fa eccezione a questa regola. Quando l’autore, il sociologo bielorusso Evgenij Morozov, scrive cose tipo:
Immaginate che vi venga in mente di diventare vegetariani. Probabilmente andrete su Facebook e vi servirete del suo motore di ricerca per cercare i ristoranti vegetariani preferiti dei vostri amici. Questo farà capire al social network che meditate una decisione importante, che avrà conseguenze su diversi settori commerciali. […] Facebook sbaglierebbe a non trarre profitto da questo tipo di informazioni, e proprio per questo si serve di aste in tempo reale per la vendita dei suoi spazi pubblicitari, per capire se l’industria della carne vi vuole più di quella del tofu. È in questo momento che il vostro destino smette di essere nelle vostre mani. Può far sorridere, finché non andate al super mercato e il vostro smartphone vi informa che al banco macelleria vi aspetta uno sconto del 20% […]. Dopo una settimana di riflessione – e un sacco di sconti – decidete che essere vegetariani non fa per voi.
non riesco a trattenere un moto di fastidio per certe rappresentazioni distopiche in cui l’elemento umano pare essere sempre messo da parte a favore di un pessimismo che suona più esibito che sentito. Questo è un peccato perché su questi temi ho una sensibilità affine a quella di autori come Morozov, che tuttavia finisco spesso per non apprezzare.
Questa raccolta di scritti curata da Fabio Chiusi per Codice Edizioni, fa in parte eccezione alla regola. Man mano che si procede nella lettura, infatti, la vena polemica e pessimista di Morozov si affievolisce e l’impressione che l’autore calchi la mano solo per allarmare il lettore lascia il posto a ragionamenti che non si possono ignorare.
La tesi che attraversa tutti gli scritti raccolti in Silicon Valley: i signori del silicio – una serie di articoli pubblicati nel biennio 2013-2014 su diverse testate, dalla tedesca Frankfurter Allegemeine Zeitung al New Yorker – è semplice: la politica e l’economia rappresentano il grande rimosso che condiziona ogni dibattito sul digitale.
La retorica che i colossi della Silicon Valley – che Morozov identifica come un soggetto unico, capace di creare un “ordine del discorso” – hanno imposto nell’immaginario globale contemporaneo fa sì che l’orizzonte tecnologico sia l’unico orizzonte possibile all’interno del quale concepire e perseguire un cambiamento sociale.
Le persone percepiscono insicurezza diffusa? Ecco l’app che risolve il problema. L’amministrazione della vostra città vuole migliorare la viabilità urbana? Una corporation privata le mette a disposizione dati e algoritmi per farlo, naturalmente a pagamento. Potrei continuare all’infinito, perché gli esempi si sprecano e non passa giorno senza che venga annunciata, con toni trionfalistici e un’aggettivazione roboante, la Uber di qualcosa o l’Air BnB di qualcos’altro.
La disintermediazione continua dei rapporti che regolano la nostra società ha perciò come effetto una progressiva privatizzazione di essi. Competenze che dovrebbero essere soggette al pubblico scrutinio e dati che dovrebbero appartenerci in qualità di cittadini vengono ceduti ad aziende private e la politica è costretta ad abdicare al suo ruolo in favore dell’ottimismo tecnologico diffuso.
A guardarla più da vicino, questa dinamica, ci si accorge che il rifiuto della politica che le retoriche della Silicon Valley propugnano è più una cortina fumogena che non un’autentica tensione verso una forma di anarchismo tecnoutopistico. Il dibattito sul digitale infatti non è privo di un orizzonte politico, ma si muove saldamente entro quello del neoliberismo più spinto.
Perciò, quando la retorica della Silicon Valley afferma che la politica può e deve essere superata da un movimento tecnologico in grado di disintermediare i rapporti sociali, non sta negando la politica tout court bensì solo la possibilità di una trasformazione dell’ordine di cose esistente.
All’incapacità di concepire soluzioni che prendano in considerazione la possibilità di modificare lo stato di cose esistente, i sociologi hanno dato il nome di problem closure. Un circolo vizioso di cui la logica della disintermediazione è un esempio perfetto, almeno così cerca di dimostrare Morozov negli scritti raccolti in Silicon Valley: i signori del silicio.
Se esiste una soluzione tecnologica per ogni problema che senso ha provare a trovarne una politica o economica? Per la Silicon Valley nessuno, per il resto della società forse si. Perché ci sono problemi che la tecnologia non può risolvere da sola.
L’impoverimento delle classi medie a cui si assiste nella crisi globale che viviamo non potrà essere risolto da un’economia della condivisione fatta di piattaforme capaci di mediare forme di “cessione temporanea” dei propri beni. Problemi di questa portata andrebbero affrontati alle radici, che sono economiche e politiche.
Ma finché l’unica soluzione ammessa nel dibattito è quella tecnologica e digitale, problemi di questa portata sono destinati non solo a non essere risolti, ma anche ad acuirsi. Per Morozov l’unica strada possibile da percorrere, per uscire da questa situazione, è quella che passa da una rinnovata presa di coscienza del ruolo e dell’importanza della politica come gestione condivisa della cosa pubblica.
Purtroppo però è proprio su quest’ultimo aspetto che il lavoro di Morozov sconta il suo limite più evidente, ovvero la mancanza di un’immagine del futuro chiara, forte e affascinante come quelle che i giganti della Silicon Valley hanno saputo elaborare in questi anni. Intendiamoci, è un limite che Morozov condivide con quasi tutti i critici più radicali del digitale ma che non si può fare a meno di notare.
È ovvio che questa difficoltà a tratteggiare un’immagine del futuro sia dovuta alla complessità delle questioni affrontate. Richiamarsi al modello della socialdemocrazia scandinava – tra l’altro sempre più in crisi – non basta a imporre la forza e l’urgenza di una critica radicale al dibattito sulla tecnologia.
Senza la capacità di offrire squarci sul futuro che ci aiutino a concepire un mondo diverso è impensabile poter recuperare alla politica il ruolo centrale che le spetta; ma anche risvegliare quelle energie che sono necessarie per attuare un programma di cambiamento radicale dell’esistente. Nessun movimento politico che si sia posto questo obiettivo ha mai ottenuto alcun successo senza una narrativa in grado di proporre una precisa e definita immagine del futuro.
Il destino della teoria critica del digitale, le urgenze e le problematiche che questa pone al dibattito, passano anche e soprattutto da questa capacità. Se abbiamo a cuore il nostro futuro ci conviene cominciare presto a capire come esercitarle.