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“Il paese dei venti” non è sulla guida del Touring

Non si presenta come un locus amoenus e di certo è sconsigliato per una vacanza di sole donne… eppure qualcosa che renda così irresistibile agli occhi di una Confederazione di Stati, pacifista ed egualitaria, questa Inurasi in cui non vorresti capitare, nemmeno se fosse l’unica terra rimasta dopo un diluvio universale, deve esserci, no?
Proviamo a scoprirlo partendo dall’inizio.

Postilla 1: da come ho capito, Il Paese dei Venti è il primo volume di una saga, è normale restare con degli interrogativi, ma considerando che io non posso fare valutazioni su testi che al momento ancora non esistono, la mia valutazione sarà solo ed esclusivamente su questo.

Postilla 2: questa recensione, per ovvi motivi, conterrà spoiler. Scusate!

La trama

In un posto e in un tempo non meglio precisati, il 99% di Stati e Regni che popolano il pianeta è riunito in una Confederazione che ha il preciso compito di garantire aiuto, sostegno e sviluppo a tutti coloro che ne fanno parte. Fautrice di una politica illuminata, che fa della pace e del benessere di tutti il proprio baluardo, è da anni che cerca in ogni modo possibile di fare cifra tonda e annettere anche l’ultimo regno rimasto, quello che governa l’isola di Inurasi.

Inurasi che ha sempre rimbalzato ogni richiesta, che considera la Confederazione un gruppetto di pusillanimi senza spina dorsale e che invece va molto fiera della propria individualità, della propria chiusura all’esterno e alla tecnologia, del proprio machismo e, soprattutto, della propria misoginia.

Ma qualcosa pare stia cambiando, e il nuovo re, Edhar, che si presenta più filo-progressista e aperto alla scoperta, ha mandato il proprio figlio prediletto a vivere per un anno, sotto mentite spoglie, proprio tra i pusillanimi confederali. Scoperto da Leona, una Navigatrice (persona preposta a portare la parola della Confederazione oltre i confini. In pratica una predicatrice politica), questa gli farà da baby-sitter per tutta la durata della sua permanenza in terra confederata e, quando si tratterà di dover ricambiare il favore (e quindi inviare un osservatore in terra inuri), sarà proprio lei a farsi avanti a tutta forza per ottenere il pass per la tana del lupo.
Sì.
Una donna, confederata, da sola in terra misogina.
Cosa potrebbe andare storto?

Proselitismo 2.0: leave Inurasi alone!

Questo romanzo ha un punto di partenza interessante, un buon worldbuilding e dei personaggi con una propria personalità anche molto chiara.

E allora perché non mi è piaciuto?

I motivi sono diversi e li affronterò in maniera separata.
Partiamo dal primo: la motivazione di fondo che spinge la Confederazione e, soprattutto, la protagonista Leona a intraprendere questo viaggio potrebbe essere riassunta in un semplice e banale proselitismo. Alla Confederazione rode da morire di non aver raggiunto quella famigerata cifra tonda, e non fa che provarci e riprovarci, anche se non ha avuto altro che rifiuti. La concezione secondo la quale “una volta che ci avranno conosciuti e visto quanto siamo illuminati cambieranno idea” è così fastidiosa e poco solida che mi ha fatto tenere il sopracciglio alzato per tutta la lettura (e mi ha ricordato la mentalità dei grandi conquistatori).

Leona, in questo senso, è un personaggio modellato alla perfezione per lo scopo, perché estremamente convinta nella sua idea che “noi semo mejo” e “com’è possibile che gli inuri vogliono restare così arretrati e chiusi, quando attorno hanno un mondo totalmente collaborativo, signora mia, non si spiega”, da rasentare il fanatismo.

Ecco, se questo regno ha un “NO” così grosso e al neon che gli brilla sulla testa (oltre a essere un paese orribile, politicamente e civilmente parlando)… perché volerlo a tutti i costi? Al momento non ci è dato sapere se è solo una questione di puntiglio o se dietro c’è dell’altro.

Questo atteggiamento da parte della Confederazione e di Inurasi mi ha ricordato molto la situazione di North Sentinel, isola che ricade sotto il controllo diretto del governo indiano e alla quale è stato interdetto l’accesso a livello mondiale, poiché ci vive una popolazione indigena che non vuole assolutamente avere a che fare con l’esterno. Ebbene, è capitato che i tentativi di approccio siano finiti a frecciate. No, non a battutine, ma a frecce vere e proprie. L’ultimo sfortunato ad esserci arrivato è stato un prete missionario, che era andato lì per portare la parola di Dio: l’hanno ucciso non appena ha messo piede sull’isola.

Quando ho iniziato il romanzo, Leona mi ha ricordato tantissimo questo missionario.

E questo ci porta al secondo motivo.

Il mio nome è Sue. Mary Sue.

Leona è la protagonista, il suo punto di vista domina il 90% del romanzo e tutto quello che noi viviamo e vediamo è filtrato attraverso i suoi occhi. Ascoltiamo i suoi pensieri, viviamo le sue sofferenze. E l’unica parola che più e più volte mi è tornata alla mente mentre leggevo è stata “irritante”.

Irritante nelle motivazioni che la portano in una terra ostile. Irritante nella sua retorica continua. Irritante nel venirci presentata come una che dubita costantemente delle scelte fatte e delle sue capacità di superare ogni prova salvo poi farcela, farcela sempre, in qualsiasi occasione, anche quando sono gli stessi inuri (che giocano in casa e sono fisicamente più forti di lei) a non farcela. Ecco che Leona riesce, Leona vince, Leona passa al secondo livello di questa sorta di videogame del proselitismo politico: vieni anche tu nella Confederazione, abbiamo i biscottini e i buongiornissimocaffè.

Leona rompe le scatole a tutti i suoi superiori per riuscire ad avere questo incarico (e il fatto che vogliano bruciarsi una simile occasione, più unica che rara, mandando agli inuri proprio una donna non si spiega, non ha logica a livello politico), anche quando questi le urlano in faccia che “no, non lo puoi fare, sei una femmina e loro le odiano”, ma lei si tura le orecchie e dopo continui “lalala non ti sentooo” riesce a ottenere quello che vuole.

La stessa Leona che più volte, data l’accoglienza terribile che le viene riservata in maniera aperta, tra insulti aperti o velati, tra vessazioni e smargiassate, a volte sembra quasi cadere dal pero per una tale ferocia e intolleranza nei suoi confronti (ma lei non è quella che di Inurasi si è studiata pure le virgole e i punti del loro diritto, quindi perché sorprendersi o restare feriti?).

La stessa che non deve venir favorita in nessun modo da nessuno (lo ha detto il re inuri, deve essere trattata come un uomo) e invece ha comunque dei favoritismi, degli aiuti, degli escamotage che le fanno aggirare determinati problemi e che gli altri avallano.

La stessa che ci viene mostrata sempre equilibrata e rigorosa, forte e tenace, ma anche accomodante, rispettosa e sottomessa e quando avrebbe l’occasione di alzare la testa, alla fine sceglie atteggiamenti un po’ infantili alla “non gioco più, me ne vado” (letteralmente, a un certo punto scappa da una discussione in cui viene messa all’angolo).

Che cos’è, quindi, il personaggio di Leona, nell’economia dell’intera storia?

In gergo tecnico, Leona è una Mary Sue.

Non fa mai niente di sbagliato (a parte la decisione pessima di andare a Inurasi), tutti i suoi passi falsi hanno comunque una riuscita, i suoi pregi saranno alla fine riconosciuti e si conquisterà il suo posto. E anche chi le dava contro cederà. Mentre chi ha cercato, con la stessa simpatia e puntiglio di Miss Minchin, di ferirla, umiliarla e ucciderla verrà tolto di mezzo come da copione (ovviamente umiliandolo male).

 Mi piace l’odore del monologo interiore di prima mattina…

Il terzo motivo è equamente diviso tra alcune scelte stilistiche che non ho apprezzato.

La prima è stata quella dei continui botta e risposta che la protagonista ha con il suo “omino nel cervello”. Un escamotage per fare dei monologhi interiori, per mostrare come lei si ponga domande sulle proprie azioni e scelte, faccia recriminazioni, cerchi di ribattere agli inuri che la trattano da zerbino. Non è una cosa sbagliata interagire con un’ipotetica voce immaginaria che parla nella testa del personaggio… se questi botta e risposta non fossero infinitamente lunghi. A volte, li porta avanti mentre sta interagendo sul piano reale con un altro personaggio e quindi io mi immagino questi che osservano Leona freezata sul posto mentre sta parlando con la sua vocina interiore e aspettano. Aspettano. Aspettano. Guardano l’ora e si mettono in pausa caffè fino a che lei non si sblocca per riprendere il dialogo. È come se Leona fosse un Internet Explorer circondata da Google Chrome.

Ne escono dialoghi troppo frammentati, fin troppo retorici, poco spontanei e poco immediati.

La seconda scelta è legata ai salti di punto di vista che sono presenti all’interno di uno stesso paragrafo o scena. Non avviene sempre, per la maggior parte sono divisi per tenere i focus separati, ma poi eccoli spuntare all’improvviso e sempre per farci sapere cosa gli altri personaggi stanno pensando della protagonista: il loro odio, ma soprattutto quella ammirazione che non possono esternare nei confronti di una donna.

Quindi, in definitiva, queste incursioni di punto di vista sono superflue e non aggiungono niente al di fuori del voler instillare stupore/ammirazione nel lettore verso Leona (anche questo concorre a far di lei una Mary Sue).

La terza, invece, è per gli infodump. Con la questione che Leona deve far conoscere la sua terra agli inuri, si usa l’escamotage di metterla al centro e farle raccontare cose, su richiesta degli inuri stessi. Partono così i momenti di lunghi spiegoni, di flashback che ogni volta ci ricordano quanto lei abbia faticato per riuscire ad avere questo incarico, quanto ci tenga, quanto ne sia fanatica, e la famosa retorica di cui ho parlato più volte anche sopra: un avvolgersi continuo come una spirale, che spesso mi ha fatto chiedere dove volesse andare a parare, tanto la discussione si faceva arzigogolata senza però portare a niente di fatto.

Di misoginia e di indulgenza

Uno dei punti su cui la narrazione batte forte è la questione femminile a Inurasi e la misoginia fortissima che regola la loro società. Già da qui, la domanda iniziale sul perché una Confederazione egualitaria come quella da cui proviene Leona voglia a tutti i costi annettere una società che è lontana anni luce dai loro ideali. Speranza che cambino idea? Che si “aprano” all’illuminazione confederata? 

Ma a maggior ragione, perché proprio una donna arriva a fare carte false per andare in quel posto a cercare dialogo? Perché, Leona?!

Me lo sarò chiesto mille volte mentre leggevo, e a parte la presenza di una qualche sorta di tendenza al martirio non sono riuscita a trovare una risposta soddisfacente o convincente o che fosse meno che egoistica allo stato puro.

Gli inuri non risparmiano le peggiori parole alla protagonista, le sputano nel piatto in cui mangia (letteralmente), le affibbiano gli epiteti più beceri possibili e la molestano. E la protagonista invece di rispondere come farebbe un uomo (ricordiamolo, doveva essere trattata da uomo!), incassa tutto, si sottomette, usa atteggiamenti tipici da donna inuri (il saluto alla Pocahontas, per esempio) e non fa che blandire i suoi detrattori con la solita retorica o con gesti di estrema gentilezza (scricchiolii di angelicazione della donna in sottofondo). La sensazione che ho avuto molto spesso è stata che in tutta la narrazione ci fosse una sorta di indulgenza nei confronti della compagine maschile presente sulla scena, una giustificazione: eh, poverini, loro sono così perché non hanno ricevuto abbastanza amore, nella loro società dura e anaffettiva, non conoscono le alternative, ma ecco che arriva la donna giusta a cercare di insegnarglielo. A insegnare loro quanta gentilezza, compassione, complicità, forza e indulgenza ci possa essere in una donna.

E le donne inuri, in tutto questo?

Qui viene il bello: non compaiono.

Per tutto il romanzo, l’unica donna presente, su un palcoscenico di soli uomini, è Leona.

Magari nei prossimi romanzi sarà contemplato riuscire a vedere uno scorcio più ampio di questa comunità, ma dovendo valutare solo il libro in questione per me non è stato sufficiente.

E ora quello che invece ho apprezzato (perché c’è!)

Mi rendo conto che può sembrare che abbia detestato questo libro, ma in realtà ci sono state diverse cose che mi sono piaciute. 

La scelta dei nomi, prima di tutto. Può sembrare una cosa banale, e invece non lo è. Spesso spuntano personaggi con nomi molto abusati o altre volte con nomi impronunciabili; questi invece sono particolari, non così diversi, ma con una bella musicalità. Leona, per esempio, mi piace moltissimo.

Ho apprezzato poi tutta la fase dell’addestramento, il modo in cui è stato raccontato. Mi sono piaciute le prove e le ho seguite anche in maniera appassionata, perché volevo leggerne lo svolgimento e come sarebbero andate a finire.

Al netto del loro pensiero misogino spinto oltre il limite accettabile, ho avuto anche dei personaggi che posso considerare “preferiti” (o ai quali, per lo meno, non auguro di morire nel prossimo capitolo della saga) che sono Tauro e Ardesio: quelli che ho trovato più equilibrati e con comunque una marcia cerebrale in più. Anche Ilruik ha avuto la mia simpatia, per la sua condizione svantaggiata e la ripresa successiva.

Archés mi lascia piuttosto indifferente, mentre Furius presentato come stronzo maximo è chiaramente il lato dark romance di questa storia, quello fatto per accalappiare il pubblico femminile e per creare la chimica perfetta con Leona (però sotto sotto è nu piezz ‘e core – sempre nell’ottica inuri, perché potrebbe essere ancora più stronzo di quanto non sia, ma non lo fa). C’è un bel cameratismo che riesce a creare delle situazioni interessanti per il futuro e per gli intrecci sociali.

Buone descrizioni ambientali, permettono di immaginare lo scorrere del tempo, anche se l’anno narrato sembra passare troppo in fretta perché ci si sofferma molto su alcuni periodi e poi si sorvola sugli altri per riuscire ad accelerare fino al finale.

Però mi domando: solo a me Inurasi ha ricordato la Sardegna?

La scrittura è scorrevole, e si fa leggere senza problemi. 


Ma… sebbene tutti questi siano punti positivi, non sono stati sufficienti a farmi superare, le difficoltà precedentemente elencate. Il che è davvero un peccato, perché riconosco un ottimo potenziale a questa storia/saga, ma che secondo me è stato sacrificato all’altare della protagonista.

Voto finale: 3-

  • Comment (2)
  • Da autrice, non condivido alcune delle opinioni espresse dal recensore. D’altro canto, se così non fosse avrei scritto il libro stesso in modo diverso. Però riconosco a Melanto attenzione, cura nella lettura, carattere e indipendenza nell’esprimere le proprie opinioni. Una persona quindi da stimare, da cui deriva il dispiacere, a livello strettamente personale, di non essere riuscita a farle vivere una lettura gradita. Sono anche convinta che il suo giudizio severo sarà utile ai lettori del blog, perché il mio obiettivo come autrice NON è essere letta da TUTTI, ma solo dai lettori che possono essere interessati alle mie storie e al mio modo di scrivere. Quindi preferisco che un lettore, nel caso, mi conceda fiducia sapendo che, però, altri hanno trovato il libro non eccelso, e perché e quali difetti gli hanno attribuito.

  • Uhm, io ho adorato Leona e la missione impossibile che si è data. Andare allo scontro con i maschi che la maltrattano sarebbe stato un suicidio più di quanto la missione in sé non lo sia. Il dialogo interiore con il padre defunto non mi ha disturbata affatto, anzi. E non riesco a vedere Leona come una Mary Sue. Per niente. Ne passa di ogni, fa errori di valutazione e paga sulla propria pelle e nella propria carne. Certo, l’osservazione sul perché la Confederazione voglia Inurasi a tutti i costi apre scenari di scopi occulti che magari usciranno nei prossimi libri. Ma ho amato ogni singola pagina di questo libro e ho apprezzato gli stessi personaggi maschili, Tauro, Ardesio, Ilruik, perché hanno una marcia in più. Aspetto al varco Furius e anche quel principino degno di Azzurro di Shrek che risponde al nome di Archès.

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