25 aprile 1945.
Quel giorno, il popolo italiano insorse. Fu l’ultima pagina di uno dei libri più tragici e brutali della storia del nostro Paese, così oscuro che se fossimo in un universo parallelo e fosse un romanzo distopico, non riuscirei ad arrivare oltre i primi due capitoli. E vi garantisco che ho cuore, anima e stomaco forti. Nessuna distopia, è la realtà e quello che ci interessa ora è che, da quell’ultima pagina, nacquero le premesse per quella che ancora oggi è la nostra bellissima Costituzione.
Un testo che inizia così:
Art. 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Queste forme e questi limiti sono ben sanciti e non c’è libera interpretazione che tenga. Una di queste forme è la libertà. A tal proposito:
Art. 13 La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
E ancora:
Art. 21 Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
E perché questo sia possibile, la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana dice:
È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
Sarebbe doveroso citare anche la legge Scelba. O la legge Mancino. Insomma, l’antifascismo non è una questione di ideologia, ma di atti legislativi con parole dentro, tra le altre, come: discriminazione razziale, etnica e religiosa, reclusione, condanna. Leggi che sanciscono obblighi e conseguenze. Noi però fermiamoci solo ad alcune parole perché, insomma, di quello ci occupiamo: “libertà”, “forma”, “limiti”. E “antifascismo”.
Ora, non entreremo nel merito e nei cavilli di una questione di cui si sta parlando da giorni e tanto (per fortuna!), ma abbiamo deciso anche noi e senza esitazione alcuna di riportare fedelmente il monologo sul 25 aprile di Antonio Scurati, previsto per il programma di Rai 3 Chesarà e poi annullato senza una chiara spiegazione. Sì, lo so, una “spiegazione” è stata data, ma un po’ come in classe quando eravamo ragazzini, alzo il braccio (sinistro) e dico: “Mi scusi, non ho capito”.
Ci uniamo, dunque, a tutti e tutte coloro che in queste ore lo stanno condividendo per strapparlo dalle grinfie feroci di un pericoloso silenzio futuro. Lo facciamo perché la memoria è quanto di più prezioso abbiamo come individui e quindi, per stretta connessione, come società. Aristotele lo diceva, siamo animali è vero (vi vedo che vi grattate il palmo della mano coi denti!) – animali sociali. Ecco il monologo, ma vi aspettiamo alla fine…
Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924.
Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su sé stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neofascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’Anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.
Antonio Scurati
In “un’Italia oggi piena di problemi”, l’ideologia fascista è ancora la culla di molti di questi. E ha tante forme, tantissime, ma nessuna ha equipaggiato dell’olio di ricino. Non è così che li riconosceremo, oggi.
In un’Italia piena di problemi, nei consultori è autorizzato negare la libertà delle donne di decidere del loro corpo e della loro vita. In un’Italia piena di problemi, urlare la parola “PACE” fa paura anche quando tra le macerie ci sono bambini. In questa Italia, oggi 25 aprile 2024, la paura ha ricominciato a bendare occhi e bocche, a legare polsi, a mordere le caviglie. Ha ricominciato a erigere muri di limiti di cui non sempre ci rendiamo conto, nessuno di noi è escluso, ma oltre i quali c’è il Nulla e dilaga.
In un’Italia piena di problemi, ci dicono oggi più che mai che il regime “ha fatto anche cose buone”: potenza economica, il PIL, le pensioni, le paludi, la natalità. I treni che passano in orario. Cercano di farci guardare il “bicchiere mezzo pieno” (di whisky, grazie!), a volte indicandoci la maestosa architettura che ci circonda e provano a dirci che niente è solo bianco o solo “nero”, che anche il “rosso” ha ucciso, represso, negato. E allora le foibe? E allora le Brigate Rosse? E allora, e allora. E allora…
… allora narrano storie che non ci appartengono, strappandole al loro contesto pur di negare che il fascismo e l’ideologia fascista, brutali assassini a sangue freddo della libertà, sono tra noi e si nascondono dietro l’assunto di un falso anacronismo, ma sono ancora qui; non se ne sono mai andati, non davvero. Ci dicono che il passato è passato e che non dobbiamo guardarci indietro, ma “sempre avanti”, perché il passato “non torna”, “non può tornare” e chi si ferma a rimuginare è perduto. Lo sappiamo: “boia chi molla”. Ah, sì. Anche la positività tossica è fascista.
Alla fine, qualcuno ci dice la cosa più pericolosa di tutte, perché non ha colore – non è rossa, non è nera, non è niente ed è madre di isole di solitudine e stanze fatte da pareti senza finestre: ovvero, che votare non serve più, perché è inutile. Che anche lottare non serve, perché nessuno ci vede lì da quelle poltrone e nessuno ci ascolta nelle piazze, tutti ci prendono in giro, tutti mentono. Spesso senza volerlo, trasformati dalla mancanza di speranza e di fiducia in un presente che spaventa perché non riusciamo a leggerci dentro il nostro domani, figuriamoci quello dei nostri figli, chi ce lo dice cerca di convincerci che quella crocetta su una scheda elettorale non ha più alcun valore. Che quel Nulla di cui sopra è arrivato. E qui, io Atreiu me lo riprendo.
Non credeteci. Resistete.
Infilate le mani in quelle vecchie fiamme che ancora ardono e tirate fuori dal rogo un libro, apritelo e leggete.
E se le sue pagine sono ancora bianche, scrivetelo.
A cominciare da una semplice “X”.
E siate oggi, domani, per sempre e ovunque: liberi.
Buona Liberazione!
Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.
Italo Calvino, Il Sentiero dei Nidi di Ragno.
Nata a Bari alla fine degli anni ’80, si considera parte di una generazione salva per un pelo. Quelle recenti, infatti, non conoscono l’Orso Balosso. Si diploma difendendo Catilina in tribunale e sostiene che, quando la tragedia era greca, le catarsi passavano in orario. Laureata in Lettere Moderne e Contemporanee, delusa da un programma di studi ingannevole e capitalista, bocciata più volte all’esame di Positività Tossica perché si rifiuta di dire che “la resilienza è salita al potere nella legalità costituita”, decide di vivere da nomade in tanti posti quanti sono i libri (o i manuali di gioco di ruolo) che le capitano tra le mani. Predilige il realismo solo quando apocalittico, abbaia alle auto blu e siede alla destra dei villain che hanno nobili intenti, ma una pessima comunicazione. Un giorno sposerà l’antieroe dei suoi sogni. Oggi, è una giovane editor di narrativa e giochi di ruolo. Questa è la prima volta che si reincarna, finalmente, in un opossum.
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