Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, mia anima. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e mezzo con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.
Come non iniziare, per introdurre Lolita, con la frase più conosciuta, il suo araldo, la sua entrata in scena. Questo romanzo, frutto di un grandissimo lavoro da parte di Nabokov, ha segnato una svolta: l’autore odia la sua opera e tutti la ritengono scandalosa (ci sono stati dei precedenti, ma mai in modo così forte e sentito come per Vladimir). Ma lui si è impegnato al massimo e ha reso il suo lavoro – la cui genesi risale al ’26 e ha visto la luce solo nel ’55 – uno dei libri più letti, più interessanti e più affascinanti del secolo scorso.
In un’intervista del ’64, nel descrivere il perché del nome Lolita, Nabokov ha dichiarato: Per la mia ninfetta avevo bisogno di un diminutivo che suonasse come un motivetto pieno di lirismo. Una delle lettere più luminose è la “L”. Il suffisso “-ita” trabocca di tenerezza latina, e a me serviva anche questa. Dunque: Lolita. […] Un altro motivo è stato il gradevole mormorio che si può cogliere nel nome originario, nella sorgente da cui scaturisce “Lolita”: le rose e le lacrime di “Dolores” [il nome allude alla radice latina dolor e, tradizionalmente, alla Vergine Maria]. Dovevo tener conto dello straziante destino della mia ragazzina, oltre che della sua grazia e limpidezza.
Ed è proprio del destino straziante di Dolores che voglio parlare.
Ma partiamo dall’inizio: un inglese, Mr. Humbert, si trasferisce in America e cerca una casa in cui alloggiare; sarà la signora Haze a ospitarlo nella casa dove vive con la figlia Lolita.
In un batter d’occhio Humbert rievoca dalla memoria la figura del suo primo amore, la bambina con cui aveva sperimentato le prime gioie del sesso e che, inesorabilmente, aveva aperto per lui il mondo delle ninfette, le ragazzine già donne che popolano incessantemente i pensieri del protagonista, che gli annebbiano la mente e lo fiaccano nello spirito. Perché, non c’è altro da dire, Humbert è irrimediabilmente attratto dalle bambine in fase prepuberale.
Mi è molto difficile esprimere con forza adeguata quel lampo, quel brivido, quell’empito di appassionata agnizione. Nell’attimo iniettato di sole in cui il mio sguardo scivolò sulla bambina inginocchiata (le palpebre che battevano al di sopra di quei severi occhiali scuri – la piccola Herr Doctor che mi avrebbe guarito dai miei dolori), mentre le passavo accanto travestito da adulto (un grande, possente, splendido esemplare di virilità hollywoodiana), il vuoto aspirante della mia anima riuscì a risucchiare tutti i dettagli della sua radiosa bellezza, che paragonai a quelli corrispondenti della mia promessa sposa defunta. Presto, naturalmente, lei, questa nouvelle, questa Lolita, avrebbe eclissato completamente il suo prototipo.
La scrittura è fantastica, suadente… ma il contenuto? Penso sia uno dei libri che ho più odiato leggere, ma che mi ha più stregato. Capisco bene perché negli anni ’50 abbia fatto così scalpore (e penso ne farebbe altrettanto anche oggi!).
Fatto sta che la storia deve proseguire e Humbert non solo va a vivere a casa della signora Haze, ma la sposa pure! A tutti gli effetti diviene “padre” di Lolita. Ma la sposa vuole la sua intimità col nuovo maritino, quindi manda la figlia a studiare fuori, non sospettando di gettare così il vecchio Humbert nello sconforto. La vita inizialmente sembra scorrere tranquilla, con il protagonista che rivive i bei momenti trascorsi con Lolita trascrivendoli giorno dopo giorno. Ma l’idillio e l’attesa del ritorno della piccola Lo vengono bruscamente interrotti dalla scoperta: la signora Haze trova il taccuino e legge le perverse fantasie che il marito ha nei confronti della figlia. E quello che più la turba non è il sentimento malato che un uomo maturo prova nel confronti di una ragazzina, ma il fatto di essere surclassata dalla giovinezza di lei. Ah, che magnifico scrittore che è Nabokov! Ha saputo creare un romanzo malato, in cui la perversione e il disgusto che pervadono il lettore non sono solo per il protagonista, ma per tutti.
«La Haze grande, la strega, la vecchia arpia, l’invadente mammà, la… la vecchia, stupida Haze s’è svegliata. Sì, ha… ha…» La mia bella accusatrice tacque, ingoiando il suo veleno e le sue lacrime. Qualunque cosa Humbert Humbert abbia detto o cercato di dire in quel momento è di secondaria importanza. Proseguì: «Sei un mostro! Sei un impostore ignobile, detestabile, un criminale! Se ti avvicini… vado alla finestra e mi metto a gridare! Vattene!». Di nuovo, qualsiasi cosa H.H. abbia mormorato può essere omessa, credo. «Parto questa sera. La casa è tua. Ma non rivedrai ma più, mai più quella miserabile mocciosa. Esci da questa stanza»
La povera (diciamo) donna, fuori di sé, scappa via di casa, corre per strada e viene investita. L’unica testimone del perverso comportamento del rispettabilissimo marito inglese muore.
“Bell’espediente, ora Humbert può fare ciò che vuole, la farà franca” è proprio quello che il lettore è portato a credere… e lo crede anche il protagonista stesso. Arriva al campo estivo dove si trova Lolita e la porta via con sé. Attraversano tutti gli Stati Uniti, vivendo un’avventura amorosa malata, fatta di amore pedofilo, ossessioni, gelosie, notti insonni.
L’amore. Ecco a cosa aspira Humbert, a possedere e amare e venerare e cristallizzare, in un eterno momento di giovinezza, la figlia adottiva, la sua amante, Lolita.
Frigide gentildonne della giuria! Io pensavo che mi ci sarebbero voluti mesi, forse anni, per trovare il coraggio di rivelarmi a Dolores Haze; ma alle sei lei era completamente sveglia e alle sei e un quarto eravamo, tecnicamente, amanti. Sto per dirvi una cosa molto strana: fu lei a sedurre me. […] La mia vita fu maneggiata dalla piccola Lo in modo energico e sbrigativo, come se fosse un aggeggio privo di sensibilità del tutto separato da me; ma pur avendo una gran voglia di impressionarmi con quel modo di «ragazzi tosti», non era preparata a certe discrepanze fra la vita di una ragazzina e la mia. Soltanto l’orgoglio la trattenne dall’arrendersi; perché, in quella ben strana situazione, io ostentai un supremo candore e la lasciai fare almeno finché riuscii a sopportarlo.
Bene bene, da carnefice a vittima. Nabokov ci mette di fronte a un uomo che non comprende come stia corrompendo quella ragazzina, che anzi è lusingato dalle attenzioni di lei e la reputata una figura seducente che lo ammalia. Ma la vita di Lolita si sta chiudendo in una morsa di desolazione e dolore che nessuno si aspettava.
Pagata in cambio di favori sessuali, con accanto un patrigno amante che la tiene sempre con sé, Lolita cercherà in tutti i modi di evadere dalla prigione in cui il fato l’ha condotta.
Arrivati nella cittadine di Breadsley vi si trasferiscono, fingendo, davanti al mondo, di essere padre e figlia. Qui la gelosia di Humbert arriva alle stelle, non riesce più a contenersi, la vuole tutta per sé, ma finalmente Dolores riesce a fuggire: a causa delle voci che circolano sullo strano rapporto tra i due si mettono nuovamente in viaggio, ma l’uomo pensa di essere seguito; d’un tratto Lo si ammala e viene ricoverata… sparirà. Per sempre.
Il protagonista non si dà pace, la cerca per tanto tempo, non sapendo chi l’abbia sottratta dalla loro gabbia dorata, dal mondo “ninfatico” e isolato in cui Humbert credeva di vivere insieme a lei.
Dopo ben tre anni, una lettera; Dolly è ancora viva, ha 17 anni, è sposata e incinta; vuole del denaro. A quanto pare, neanche Lolita si salva, sotto la penna di Nabokov. Ma cosa c’è da aspettarsi da una ragazzina a cui gli uomini hanno portato via la giovinezza? Con una madre morta che in fondo la odiava e un patrigno pedofilo?
Fatto sta che Humbert si reca immediatamente a casa di lei e la trova diversa, grande. E si scopre la verità sulla fuga della ragazza: Quilty, un regista che entrambi conoscevano, l’aveva portata via con sé per renderla una diva della pornografia; e quando Lolita si è rifiutata non ci ha pensato un attimo e l’ha sbattuta fuori, per strada.
Lei si era rifiutata di partecipare perché lo amava, e lui l’aveva buttata fuori. «Quali cose?»
«Oh, cose strambe, sporche, fuori dal normale. Sai, prendeva due ragazze e due ragazzi, e tre o quattro uomini, e l’idea era di abbracciarci tutti nudi mentre una vecchia ci filmava»
«Quali cose esattamente?»
«Oh, delle cose… Oh, insomma, io… » Emise quell’«io» come un grido soffocato mentre prestava ascolto alla sorgente di dolore, e in mancanza di parole aprì le cinque dita della mano che si muoveva angolosamente su e giù. No, non ce la faceva, si rifiutava di entrare in particolari con quel bimbo nel ventre. Questo mi parve sensato.
«Non ha più importanza, adesso» disse picchiando col pugno un cuscino grigio e mettendosi sdraiata sul divano a pancia in su. «Cose pazze, cose sporche. Io ho detto di no, non ho intenzione di [usò, con la massima disinvoltura, una disgustosa espressione gergale che, tradotta letteralmente in francese, sarebbe «souffler»] i tuoi schifosi ragazzi, perché io voglio solo te. Be’, mi ha sbattuta fuori a calci».
Dopo il racconto della fuga, e dopo averle lasciato i soldi, Humbert si mette alla ricerca di Quilty, lo trova e lo uccide. E viene arrestato. E muore in carcere (e questo lo si sa immediatamente, nella prefazione fittizia del libro).
Desidero che queste memorie vengano pubblicate solo quando Lolita non sarà più in vita. Così, nessuno dei due sarà vivo quando il lettore aprirà questo libro. […] Penso agli auri e agli angeli, al segreto dei pigmenti duraturi, ai sonetti profetici, al rifugio dell’arte. E questa è la sola immortalità che tu e io possiamo condividere, mia Lolita.
Così finisce la storia del pedofilo: senza condanna, senza pentimento, senza espiazione.
In copertina: foto di monicore da Pixabay
Nata nella splendida Palermo nel 1992, ha passato l’infanzia trasferendosi frequentemente da una cittadina all’altra, fino al ritorno nella città natia; dopo essersi laureata in Lettere Moderne a Palermo è volata a Bologna, dove ha conseguito la magistrale in Italianistica, Scienze Linguistiche e Culture Europee. Subito dopo, per non smentirsi, è corsa a Torino per lavorare in una casa editrice.
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