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L’amore non cancella il dolore: su Dove troverete un altro padre come il mio di Rossana Campo

C’era qualcosa dentro di me, una parte forse infantile, o molto antica, che sorrideva a Renato. Una parte che era sempre stata mischiata con la furia e anche il dolore, uniti a un senso di vergogna per essere quella che sono e per il fatto di avere sempre collegato quella che sono a lui, a Renato, mio padre. Adesso però c’era qualcos’altro, un sentimento quasi gioioso, e liberatorio, collegato a una specie di gratitudine insensata, ma sincera, per tutto quello che lui era stato e per le cose che mi aveva trasmesso, forse suo malgrado, forse solo come eredità genetica.

[mks_dropcap style=”square” size=”41″ bg_color=”#bd0000″ txt_color=”#ffffff”]L[/mks_dropcap]’ultimo libro di Rossana Campo, Dove troverete un altro padre come il mio (Ponte alle Grazie 2015), fresco di vittoria del Premio Strega Giovani e già nella dozzina del premio Strega, è un memoir sul padre, sulla sua memoria e sui suoi lasciti. «La storia è bella perché è una storia senza filtri. Padre e figlia si ritrovano nel mondo della parola, della scrittura che non ha paura di chiamare le cose con il loro nome, di strappare il velo di convenzioni e di falsi moralismi», recita la motivazione del premio Strega Giovani: e di fatto, nelle 150 pagine di racconto emerge il mondo di Rossana, emergono la sua crescita, le difficoltà che l’hanno segnata e le enormi mancanze che hanno contribuito a fare di lei la scrittrice diretta che è oggi, a raccontare le sue storie di personaggi ai margini della società, ad usare una prosa forte, spontanea, ruvida.

Il protagonista di questo libro è dunque Renato: ex poliziotto radiato dall’arma per negligenza e ubriachezza, marito violento e padre assente. La leggenda di famiglia vuole che Renato sia nato da una famiglia di zingari accampatisi al sud, nel paese della madre, la quale a seguito di un corteggiamento tanto serrato da poter quasi essere definito stalking accetta di sposarlo, e i due si trasferiscono nella provincia di Genova, posto di servizio di Renato. La scoperta dell’inaffidabilità di Renato è evidente da subito, dal momento in cui la madre si trova a dover usare tutta la sua dote, i suoi risparmi, per ripagare i debiti lasciati dal marito. Ma Concetta Campo non è mai rappresentata come una donna martire, o una vittima, o uno stereotipo: sebbene meno presente del marito nel racconto di Rossana, è una figura a tutto tondo, al contempo la donna malmenata, la sarta che mantiene la famiglia e una donna cosciente della sua bellezza, vanitosa, felice di mostrarsi e flirtare con chi si dimostra sensibile alle sue grazie. La stessa donna che, in età avanzata, non smette di beccarsi con il marito, la stessa che durante i periodi delle sbronze cattive usciva fuori casa la sera e girava per Albisola con Rossana, fino al mattino. Questa ‘famiglia di matti’ crea non pochi problemi alla piccola Rossana, che si trova a crescere in un ambiente in cui è immediatamente marchiata come l’esclusa, la terrona, ma soprattutto quella che non sa le cose: esemplare in questo caso la scena in cui la maestra chiede a tutti i bambini di portare come compito un disegno della lanterna di Genova, il famoso faro portuale della città, e Rossana, completamente ignara e aiutata da un padre altrettanto all’oscuro, porta a scuola il giorno dopo un bellissimo disegno di una lanterna, accolto da prese in giro e cattiverie cui la bambina reagisce nell’unico modo che conosce: «Ma che caspita ci avete da ridere, ma siete proprio dei mongoli!»

Sono poche pagine: e anche se molto è esplicitato, Dove troverete un altro padre come il mio sembra fondarsi più che altro sui non detti, sulle allusioni, su ciò che l’autrice sceglie di fare intuire al lettore piuttosto che raccontarlo esplicitamente. È soprattutto dagli scarni dialoghi col fratello che si intuisce quanto la condizione del padre fosse pesante per la famiglia, perché il fratello, al contrario di Rossana, non ha mai avuto il modo di vedere e conoscere il Renato sobrio, quello dei tempi buoni: quello che Rossana vuole ricordare e portare alla luce. È il padre spaccone, coraggioso, strafottente, che le ha insegnato a fregarsene dei pregiudizi e anzi, ammantarsi della diversità e farne un punto di forza. Scene come queste mostrano perfettamente l’ambivalenza che è al cuore del libro, un amore e un orgoglio per il padre sempre ammantati da una patina di rancore che forse nemmeno il buddismo abbracciato da Rossana Campo riesce a mitigare del tutto. Un rancore esibito e ribadito che niente toglie all’affetto.

Il libro è suddiviso in piccoli episodi, ognuno dei quali rivela un aspetto di questo padre inizialmente così odioso al lettore: inizialmente, perché gli episodi raccontati disvelano via via una crescente complessità, fino ad arrivare alla spiegazione, brutale e potente, dell’alcolismo del padre.

Ecco, mi ricordo che stavo giù, un periodo, subito dopo sposati, con mamma stavamo bene, andavamo a ballare, andavamo a fare la festa nei locali, ma io mi sentivo certe cose dentro che mi toglievano ogni allegria, mi arrivavano certi cazzi di pianti che mi facevo d’improvviso, di nascosto da tutti, mi prendevano a tradimento. Di colpo, vedevo qualcosa che non mi piaceva, o qualcuno mi faceva una lavata di capa, sai ’sti stronzi di militari, mi offendevano, mi umiliavano, e io di colpo, non capivo più niente, mi prendevano dei pianti che non finivano più.
E così?
E così, ho cominciato a vedere che se mi facevo un bicchierino di whisky, le cose andavano meglio, mi sentivo subito meglio, mi sentivo più forte, mi veniva voglia di andarmene in giro a testa alta, e se qualcuno mi diceva qualcosa, ci rispondevo per le rime, se mi scassavano le palle, gli tiravo pure un cazzotto. Mi sentivo un campione.

E allora?
E allora, so’ sessanta minuti!
Dai pà!
E allora ho capito che quando ero triste e mi veniva da piangere come ’nu pazzo, bastava che bevevo e mi sentivo forte e nessuno mi scassava più la minchia. E così ho continuato a bere, no.

Rossana non concede scuse al padre per la sua violenza e per le sue assenze, ma gli riconosce anche una parte di potentissima umanità, di tenerezza, che rendono impossibile odiare definitivamente la figura di Reian, di questo padre spaccone sempre fuori posto e fuori fase. Emerge una forma di ammirazione per quest’uomo depresso, sopravvissuto alla fame e alla guerra, che fa del bere l’unica via di fuga e costantemente affronta la vita a petto in fuori, col sottofondo di Domenico Modugno. Vengono in mente altri due libri, usciti di recente, in cui il legame con la figura paterna è raccontato in questa stessa forma tormentata, in cui la condanna per la condotta si associa a un amore incancellabile, e sono Gli anni al contrario di Nadia Terranova, con quel padre tossico e incapace di portare le cose a compimento, e Tutti gli altri di Francesca Matteoni, forse più vicino ancora a questo di Campo, se si pensa al padre spaccone e ubriacone incapace di essere presente per la figlia pur amandola moltissimo, ricambiato.

Ciò che, in modo più o meno simile agli altri due romanzi citati, rende particolarmente interessante questo libro e gli risparmia la trasformazione in mera apologia del padre assente, è la memoria: non basta tutto l’amore del mondo a cancellare il dolore, né si può far finta che l’uno escluda l’altro. Rossana non ha dimenticato tutto quello che le è accaduto durante l’infanzia, ma invece di raccontare la storia in modo mimetico, provando a raccontare se stessa bambina, cerca di trasmettere con il suo linguaggio rozzo ma perfettamente cesellato le varie fasi di confusione, rabbia, comprensione che la lei bambina attraversava. La voce di Rossana adulta campeggia e si sovrappone alla voce della bambina che forse avrebbe preferito fare finta di niente e perdonare. Ma dimenticare non si può, ed è per questo che bisogna raccontare. Sta qui la forza di Dove troverete un altro padre come il mio, nello stile crudo e nel desiderio di raccontare, di mettersi a nudo attraverso la figura di lui. Più si legge, infatti, e più diventa evidente che Rossella, cercando di definire e raccontare il padre, arriva a definire e raccontare se stessa, con tutta la sofferenza che questa operazione implica. Lo ammette lei stessa, nelle interviste, come questa su Letterattitudine:

Ho sempre scritto romanzi partendo da mie esperienze, mi sono raccontata indossando le maschere di vari alter ego letterari. Questa volta volevo scrivere qualcosa senza filtri, volevo togliermi tutti i vestiti, mi sono accorta che è venuta via anche un po’ di pelle.

Ma forse solo il libro è sufficiente.

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