Oggi mi sembra che la minaccia della devastazione incomba su Costantinopoli. Non sono il solo a rendermene conto, eppure in molti, forse in troppi, ridono di tale pericolo, confidano nel Grande Muro, o nella Grazia di Dio e della Vergine Madre, o nell’aiuto dei latini.
La Città non è mai caduta, se non per il vile tradimento dei franchi e dei latini, che, anche per questo, mio padre, come tutti i greci, malsopportava, rei, a suo dire, di quasi tutte le disgrazie che Dio ha mandato all’umanità, prima fra tutte l’antico saccheggio.
[mks_dropcap style=”square” size=”41″ bg_color=”#bd0000″ txt_color=”#ffffff”]P[/mks_dropcap]otrebbe essere e in questa direzione va il titolo, La reliquia di Costantinopoli, l’ennesimo giallo di ambientazione storica, basato sul mistero di reliquie, santi, Templari o Rosacroce. L’ennesimo emulo de Il codice da Vinci e similari, che da almeno dieci anni imperversano sugli scaffali delle librerie e dei supermercati. Invece no. A parte il titolo glamour che strizza l’occhio a quel tipo di letteratura di consumo (a cui cerca di far eco la presentazione sul sito dell’editore, che parla di “romanzo d’avventura”), il romanzo di Paolo Malaguti, che purtroppo non ce l’ha fatta a entrare nella cinquina del premio Strega, è un libro di tutt’altra sorta. Siamo nel romanzo storico alto, quello che si inserisce alla perfezione in una tradizione che in Italia va da Manzoni a Eco e Vassalli. Del resto come aspettarsi qualcosa di meno dalla casa editrice Neri Pozza.
La struttura si inserisce proprio nel solco manzoniano. Abbiamo una cornice, dove il narratore di primo livello, l’ormai anziano Giovanni, ci racconta la sua piccola peripezia ( fatta di azioni, certo, ma anche e soprattutto psicologica) per ritrovare uno scartafaccio, cioè le memorie redatte dal suo maestro di greco, il chierico Gregorio Eparco. Il diario, come già avrete capito, costituisce il corpo principale della narrazione, permettendo al lettore di seguire da vicino gli ultimi giorni di Costantinopoli, presa d’assalto dal sultano Maometto nel 1453. Gregorio Eparco, insieme al suo amico e sodale, il mercante ebreo veneziano Malachia Bassan, si prefiggono una missione: salvare le sacre reliquie custodite nelle chiese di Costantinopoli – anche quali e dove siano fa parte della ricerca. Per la maggior parte della narrazione seguiamo dunque il giovane Gregorio, un uomo colto che incarna molto bene il tipo dell’intellettuale bizantino, anche nella sua vita successiva alla caduta di Constantipoli, di cui abbiamo brevi accenni nella cornice del romanzo – sopravvive alla caduta della città, emigra in Italia dove vive lavorando come precettore di greco, poi si ritira in un monastero. Gregorio, che ricorda da vicino celebri personaggi storici, come Bessarione, i Calcondila o Antonio Eparco (di cui forse è un eco il cognome del protagonista) si sente investito della missione quasi divina di preservare l’essenza stessa della Città e della storia dell’Impero Romano, non solo quello costantiniano. Malachia, al contrario, incarna un altro tipo di personaggio, abbastanza frequente nella società veneziana del Quattrocento: il mercante spregiudicato e avventuriero, che vede nell’operazione di salvataggio delle preziose reliquie anche un’eventuale possibilità di guadagno. Se Gregorio Eparco è erudizione e idealismo, Malachia sembrerebbe essere lo stereotipo del mercante furbo e avido, quasi un personaggio da commedia. I due personaggi principali, però, non si lasciano ingabbiare in ruoli prestabiliti: così lo studioso greco si rivela anche furbo e con uno spiccato senso pratico e la conoscenza cabalistica di Malachia sarà fondamentale per trovare le reliquie.
L’impianto narrativo da romanzo d’avventura, però, è poco più di un pretesto, il vero tema del romanzo e il suo maggior pregio è la restituzione al pubblico moderno non solo della storia e dei luoghi della Costantinopoli del Quattrocento, ma anche della sua cultura, della sua società e in generale dell’atmosfera. La reliquia di Costantinopoli è un saggio sulla mentalità bizantina, su quel misto di orgoglio per essere i diretti eredi della Storia, i continuatori dell’Impero di Roma, la culla della cultura greco-romana che ha fondato l’Occidente e allo stesso tempo i custodi dell’unica vera fede, ma anche la consapevolezza di una società ripiegata sul proprio passato, minacciata da qualcosa di estraneo, pericoloso, ma forse più vitale e determinato (gli Ottomani). Il parallelismo diretto con lo scontro tra l’Occidente figlio dell’Illuminismo e l’Islam radicale di Daesh e dell’IS era facile; per fortuna La reliquia di Costantinopoli rifugge da questo gioco banale.
Il romanzo è documentatissimo, come attesta a chi non padroneggi la materia la cospicua bibliografia inserita in calce al volume; tra le pagine stesse del libro i più acuti sentiranno l’eco delle cronache bizantine dell’epoca. La topografia dei luoghi è esatta al dettaglio, ma a rendere interessante la lettura è soprattutto la capacità di rendere vivo e intellegibile lo spirito dell’epoca, come solo un romanzo storico di alta qualità sa fare. Facendo cara non solo la lezione del romanzo storico, ma anche quella del realismo, Malaguti inserisce battute e interi dialoghi in dialetto veneziano (che sia quello quattrocentesco o quello contemporaneo poco importa) e citazioni in latino (tutto viene tradotto in nota per agevolare la comprensione). Il lettore potrà divertirsi a riconoscere i riferimenti colti disseminati nel testo: proprio in questa fitta trama di rimandi il testo e lo stile di Malaguti strizzano l’occhio a Il nome della Rosa e più ancora a Baudolino.
L’impianto narrativo, piuttosto lineare, si inserisce così senza troppe sbavature né particolari innovazioni nei canoni consolidati della narrazione storica e nella tradizione italiana del romanzo storico di alta qualità. Sia la cornice che la storia vera e propria sono narrate in prima persona, introducendo uno dei pochi tocchi contemporanei in un impianto solidamente tradizionale e permettendo al lettore di avvicinarsi di più al protagonista, grazie anche a qualche riflessione in prima persona che dona pause all’azione per farci entrare nel cuore di un uomo che lentamente realizza la decadenza e la morte del mondo che ha sempre conosciuto. La prosa è ricca, vivida, distesa, chi si aspetta una lettura rapida e piena di colpi di scena forse potrebbe rimanere deluso; lo stile si adatta e forse volutamente riecheggia in alcune pagine la ricchezza dei prosatori bizantini in un fluire lento e denso che sospende il tempo. La reliquia di Costantinopoli non è un libro facile né di puro intrattenimento e forse proprio per questo il tempo migliore per leggerlo è durante una vacanza, per lasciarsi prendere da quel mondo forse troppo conscio di se stesso, autoreferenziale e allo stesso tempo spaventosamente fragile e decadente, che forse assomiglia un po’ alla nostra società contemporanea, ma è descritta iuxta propria principia.