Le parole del sesso
Ero single, eterosessuale e femmina. Nel 2011 avevo trent’anni e credevo ancora che le mie esperienze con il sesso sarebbero giunte a un epilogo, come un trenino delle giostre in battuta d’arresto. (Future sex)
Chris Kraus, una regista indipendente di 39 anni e Sylvère Lotringer, un professore di college di New York di 56 anni, cenano con Dick ___, un conoscente di Sylvère, in un sushi bar a Pasadena. (I lover Dick)
Due incipit diversi nello stile scelto: il primo impiega la prima persona per inaugurare un saggio sulla sessualità; il secondo sceglie la narrativa nella forma di cronaca degli eventi. Eppure Future sex (traduzione di Claudia Durastanti, minimum fax) e I love Dick (traduzione di Maria Nadotti, Neri Pozza) usciti a quasi venti anni di distanza sono indizi di un bisogno di scandagliare la sessualità e, in particolare, la sessualità femminile. Non c’è bisogno di forzarne il confronto perché, anche se si tratta di due generi e stili diversi tra loro, s’individuano dei punti d’incontro. Tutto inizia dalla constatazione dell’età anagrafica: Emily Witt, 30 anni al momento di iniziare il suo lavoro, Chris Kraus, 39 anni, personaggio di finzione fino a un certo punto se si pensa che la sua autrice ha lo stesso nome. Qui riverberano alcune inferenze immediate che il semplice accostamento di cifre fa tradurre come maturità sentimentale e sessuale, un discorso che, superata l’età di transizione e delle tempeste ormonali, viene accantonato come se lo scarto fra vita single e sistemazione familiare venisse colmato da un destino scontato. Le due opere mettono immediatamente in chiaro il loro discostarsi dalla norma. In I love Dick la coppia Kraus-Lotringer, dopo l’incontro con Dick, racconterà l’infatuazione grazie a delle lettere a lui indirizzate. I coniugi esplorano il risveglio del desiderio sessuale – che nel tempo hanno sublimato con una comunicazione totale – alimentando una corrispondenza ideale corredandola di desideri, fantasie, terapia di coppia e racconto diaristico che simula lo sfogo terapeutico. Non si impiega molto per notare che il rapporto tra Chris e Sylvère è una dipendenza con qualche squilibrio: la comunità intellettuale che frequentano, quasi tutti colleghi di Sylvère, è imbrigliata nell’astrattismo teorico; incontrando il flirt con Dick la protagonista avverte un’essenzialità mai toccata da tempo («Chris nota che Dick sta flirtando con lei, la sua vasta intelligenza si estende oltre le parole e la retorica postmoderna per mostrare una solitudine essenziale che solo loro due possono condividere»); Sylvère è a tratti una macchietta, fiero esponente della controparte maschile ma continuamente frustrato perché non metterà mai in pratica le prerogative dell’uomo dominante.
Future sex, invece, propone un’indagine sulla sessualità contemporanea per capire quali sono le regole che orientano la libertà sessuale. Ogni capitolo approfondisce un’esperienza sessuale (incontri su internet, meditazione orgasmica, il porno su internet, poliamore, contraccettivi e riproduzione) che cattura e guida il lettore grazie all’espediente dell’autofiction. La storia di una coppia contro il reportage di una single basterebbe ad allontanare i due libri superficialmente, ma le similitudini si giocano su un’indagine lessicale e semantica.
Il linguaggio che usavamo per descrivere quei rapporti non era sufficiente per formulare una definizione. La loro caratteristica saliente era che li intrattenevi pur restando single, senza sapere bene quale fosse il modo migliore per definire quel certo grado di legame. «Farsi una scopata» implicava che i nostri incontri fossero privi di convenevoli o di gentilezza. «Amanti» era un’espressione antiquata, e spesso eravamo solo amiche delle persone con cui facevamo sesso, per non dire che eravamo «solo amici e basta». […]
Anche la parola single aveva perso la sua specificità: poteva significare nubile o celibe come sulla carta d’identità, ma le persone non sposate spesso non erano single.
Emily Witt considera le sedimentazioni di significati che si sono accumulate nel tempo diventando depositarie di un sapere tradizionale nei ruoli di genere. Non è lasciato alla lingua il compito di svecchiare le convenzioni: la chiave del libro della Witt è che dipende dal modo di usare e di rinnovare le parole da parte delle nuove generazioni che fanno sesso. L’indagine solitaria all’interno degli spazi collettivi moderni e lungo le convenzioni e i pregiudizi personali aiuta alla scissione tra la concezione del sesso come diretto prodotto sentimentale delle parole e il sesso come atto puramente fisico. È nei limiti che il libro trova il suo compimento, perché partendo da una prospettiva personale non potrà che fermarsi a esplorarne i confini. Per esempio, quando si concentra su una coppia di poliamoristi benestanti, impiegati in Google, o quando riporta esempi di esperienze esclusivamente eterosessuali, non restituisce l’idea di un saggio a tutto tondo sulla sessualità. Uscire dalla comfort zone ed essere coinvolta in prima persona ha significato approfondire spazi sessuali personali, parlare del sesso non in chiave educativa ma culturale l’ha separata dal rapporto unidirezionale tra corpi e relazioni amorose avvicinandola alla prospettiva inedita del sesso con l’obiettivo di soddisfare un desiderio di puro piacere.
Anche Chris Kraus ha avuto tanti partner sessuali eppure non utilizza una grande varietà lessicale. Parlerà spesso di “sesso” e di “andare a letto” ma l’ossessione non è definire i termini sentimentali bensì il significato dell’atto stesso. “Sesso” richiama la corporeità e l’incontro istintuale e sembra sminuire la promessa del desiderio che è così allettante se non soddisfatto. Disseminati nelle lettere di Kraus ci saranno le richieste di rendere il sesso meno grottesco e complesso dell’individuo fino a non adottare mai del patetismo sentimentale per lanciarsi nelle conseguenze più disparate della sublimazione dell’ossessione sessuale. Che nel caso di I love Dick si tratta di idealizzare l’infatuazione fino a sublimarla in splendide considerazioni sull’arte. Se «la cattiva arte rende attivi» la carriera mai decollata e la crisi attraversata da Chris vengono rivitalizzate in chiave artistico-letteraria. In una delle considerazioni sull’artista femminista Hannah Wilke Kraus s’interrogherà sulla missione dell’arte e perché, se questa è diretta espressione dell’interiorità femminile, non possa essere resa e considerata universale.
Come se per una donna l’unica ragione possibile di rivelare pubblicamente se stessa fosse terapeutica. Come se il punto non fosse quello di rivelare le circostanze della propria oggettificazione. Come se Hannah Wilke non avesse brillantemente alimentato il pregiudizio e la paura del suo pubblico, invitandoli a unirsi a lei per un pasto nudo.
Le geografie del sesso
Al motivo semantico e ai modi diversi di affrontarlo si affianca un aspetto non indifferente nelle narrazioni d’oltreoceano: la geografia.
Chris Kraus inaugura l’esplorazione dell’infatuazione solitaria all’interno di una dipendenza emotiva e proietta l’instabilità in viaggi catartici tra l’East e la West Coast. Il suo viaggio avviene in solitudine, allontanata dalle convenzioni e dalla svalorizzazione sociale, per immergersi nella geografia americana. Nel capitolo chiamato Route 126 la storia grottesca del “vicolo di sangue”, teatro di numerosi incidenti stradali, di corpi scaricati lungo la strada e di immigrazione clandestina si unisce mano a mano al sogno esistenziale, alla metafora zen che Dick ha costruito. L’ambiente, la casa situata in una strada senza uscita, dalla parte opposta di un cimitero, rendono la sua solitudine «una linea diretta a tutta la tristezza del mondo» fino a unire una prospettiva ambientale di morte e distruzione con una di ispirazione e fascino.
Emily Witt più volte ribadirà la scenografia delle sue indagini: San Francisco che da un lato gode della sperimentazione estrema, tra il passato di amore libero e delle comuni, e dall’altro è una città la cui fama ha sofferto per la deriva fanatica di santoni ed esperimenti sociali poi finiti male. Il faro dell’innovazione che diffonde la sua luce verso la costa statunitense opposta è profondamente cambiato: il matrimonio non è più la destinazione scontata della vita umana, gli incontri si arricchiscono di possibilità grazie a internet, la gentrificazione inaugurata dai colossi della Silicon Valley ha decorato il cambiamento sociale e la vita aziendale integrando apertura sessuale e droghe psichedeliche senza che queste pratiche siano etichettate come controcultura. Il cambiamento demografico e tecnologico esula dalle caratteristiche biologiche e sfocia nel comprendere il significato personale di desiderio sessuale. È emblematico il coinvolgimento massivo delle tecnologie, nate per uno scopo diverso, poi declinate a seconda dei bisogni umani e assoggettate a una moneta a due facce tra due poli in opposizione: il desiderio e la morale. In una nazione che perde continuamente la corrispondenza tra la libertà e la realtà, il sesso è parte delle sue contraddizioni. È il caso dei contraccettivi la cui mancanza di innovazione si scontra con l’idea che il loro utilizzo risponda alla scelta di deviare dalla norma invece di essere un diritto di scelta. È come se, laddove non arriva la lingua non ci sia innovazione, ma Future sex e I love Dick propongono due modi di risolvere il cortocircuito tra la lingua e la materialità del corpo attraverso un’innovativa codifica del sesso.
Avevo scoperto che la sessualità non aveva molto a che fare con il sesso che si faceva. […] Erano la formulazione e l’espressione delle proprie intenzioni a diversificare i vari tipi di sessualità non il sesso in sé. Il sesso del futuro non sarebbe stato un modo storicamente irriconoscibile di farlo, ma solo un modo diverso di parlarne.
(Fonte immagine di copertina: FSG Work in Progress)
I Love Dick è del 1997, tra i due libri sono passati vent’anni, non dieci