La prima sensazione che si prova guardando la recente serie tv The Handmaid’s Tale è la stessa che nasce dalla lettura dell’omonimo romanzo di Margaret Atwood del 1985: disagio. Molte scene dal fortissimo impatto emotivo, atti violenti mostrati con crudo realismo, tanto sullo schermo quanto sulla pagina, che costringono più volte a distogliere lo sguardo, fare una pausa dalla lettura, riprendere fiato. È una storia forte, terribile, raccontata in modo diretto e brutale in cui, tuttavia, la violenza mostrata non è mai fine a sé stessa ma funzionale alla trama. E assolutamente necessaria è la storia stessa, nell’originale letterario e nell’interessante trasposizione televisiva creata da Bruce Miller, che riaccende la polemica intorno al romanzo distopico di Atwood e vi imprime nuove sfumature legate al particolare momento storico in cui viviamo. Non è un caso, infatti, che proprio in un periodo complesso e contraddittorio come quello attuale la storia di Atwood, rielaborata in forma seriale, abbia colpito così tanto il pubblico e riaperto il dibattito caricandolo di nuovi spunti di riflessione. La società distopica immaginata dalla scrittrice canadese trent’anni fa, la guerra civile che ha portato all’ascesa di un totalitarismo brutale in cui le donne sono considerate soltanto in base alla loro capacità di procreare, private di ogni potere e diritto, è, naturalmente, finzione letteraria, ma la terribile verosimiglianza del mondo di Atwood rende la lettura, così come la visione della serie, particolarmente disturbante. Dopotutto, come l’autrice ha più volte sottolineato, soprusi, discriminazioni, repressione ed estremismi inseriti, certo, in un contesto immaginario, richiamano direttamente episodi e consuetudini caratteristici delle età più buie della storia umana. E, soprattutto, la realtà immaginata da Atwood sembra nutrirsi di paure, spettri, ragionamenti distorti ed estremismi del nostro tempo, ma anche della pericolosa apatia e indifferenza con cui troppe volte abbiamo distolto lo sguardo invece di indignarci e far sentire le nostre voci.
Now I’m awake to the world. I was asleep before. That’s how we let it happen. When they slaughtered Congress, we didn’t wake up. When they blamed terrorists and suspended the Consitution, we didn’t wake up then, either. Nothing changes instantaneously. In a gradually heating bathtub, you’d be boiled to death before you knew it.
È, a mio avviso, proprio il dialogo aperto con l’attualità a rendere The Handmaid’s Tale, tanto il romanzo quanto la trasposizione televisiva, particolarmente interessante e a spiegare le ragioni del successo di una serie che, con buone probabilità, in un clima storico diverso da quello contemporaneo non sarebbe stata accolta con altrettanto clamore: riletture del romanzo di Atwood, dibattiti sugli innumerevoli spunti offerti dalla vicenda e, soprattutto, la consapevolezza della delicata fase storica che stiamo attraversando, in cui il rinnovato successo di classici della distopia e del femminismo novecentesco non è per nulla casuale, ma sintomo di un disagio profondo. È negli Stati Uniti dell’era Trump che tale malcontento assume le forme più plateali – e, perché no, efficaci per catturare l’interesse dei media e dell’opinione pubblica – e la realtà si intreccia alla finzione, letteraria o televisiva che sia: forte del successo di The Handmaid’s Tale e dell’impatto sull’immaginario collettivo, continuano a rimbalzare sui social immagini di piccoli gruppi di donne vestite come le Ancelle di Atwood, impegnate a dimostrare il proprio dissenso nei confronti di una politica che sta alimentando in maniera allarmante il gender gap e le discriminazioni sessuali. E come nei più riusciti racconti distopici, a riprova dell’agghiacciante verosimiglianza della finzione letteraria-televisiva con il mondo reale, la ricostruzione delle “ragioni” che hanno aperto la strada al totalitarismo, ancora una volta spiazzanti proprio perché realistiche: nella società post bellica di Atwood, devastata da guerre, armi chimiche, inquinamento, crisi economica e da un tasso di natalità che rasenta lo zero, l’estremismo religioso e la repressione violenta trovano terreno fertile, facendo leva sulle paure comuni di un’umanità che rischia davvero di scomparire. Un clima di disperazione e paura che ha permesso la scalata al potere di un gruppo di fanatici e la creazione di un nuovo ordine sociale, il governo di Gilead, in quelli che un tempo erano gli Stati Uniti, adesso una realtà militarizzata ed estremamente violenta. Una realtà in cui le donne hanno perso ogni diritto, ogni potere, e quelle poche tra loro ancora in grado di procreare sono costrette nel ruolo di Ancelle, ripetutamente violentate allo scopo di perpetuare la specie.
Commander: We only wanted to make the world better.
Offred: Better?
Commander: Better never means better for everyone. It always means worse for some.
Il potere patriarcale assoluto, da mantenere mediante la repressione totale e durissima, un mondo dominato dal terrore e da una morale distorta, raccontata con un realismo brutale in episodi-scene a tratti agghiaccianti, in cui il prima che emerge dai flashback della protagonista contrasta ferocemente con la realtà che è costretta a vivere. Una nuova “normalità”, violenza e terrore divenuti il quotidiano con allarmante facilità:
Girls? I know this must feel so strange, but ordinary is just what you’re used to. This may not be ordinary to you now, but after a time it will. This will become ordinary.
Una storia che, naturalmente, ci spinge a riflettere su discriminazioni di genere, paure e pericoli della società contemporanea, estremismi, stereotipi, e che si apre ad ulteriori tematiche e spunti con cui lo spettatore-lettore è chiamato a confrontarsi. Il dialogo aperto con l’attualità, in primo luogo, tra gli aspetti, come si è detto, più interessanti della vicenda, e la necessità di raccontare per mezzo di una forma espressiva efficace come il prodotto televisivo una storia che fa leva sulle nostre paure profonde, ci costringe a distogliere lo sguardo talvolta per l’insopportabile violenza mostrata, un episodio via l’altro non sempre all’altezza delle aspettative ma comunque intrigante, ricchissimo di spunti, tematici quanto formali.
La trasposizione televisiva riprende piuttosto fedelmente l’originale letterario, in un gioco di sottrazioni ed aggiunte che riesce alla fine a soddisfare tanto il pubblico che si avvicina alla storia per la prima volta, quanto i lettori del romanzo di Atwood che forse storceranno il naso di fronte ad alcune differenze tra una versione e l’altra, ma senza dubbio non potranno fare a meno di apprezzare i tentativi di interpretare quelle zone rimaste inesplorate dal romanzo, l’attenzione per il dettaglio – dai costumi alla scenografia – il gioco di flashback a rendere ancora più dolorosa la storia presente, la colonna sonora perfetta, i giochi di luci, i colori sbiaditi, le ombre, la luce abbagliante, sapientemente dosati.
Ci sono poi elementi della storia che colpiscono ogni lettore-spettatore in maniera peculiare, così come lo sguardo soggettivo su una vicenda ci spinge ad enfatizzare un aspetto a discapito di altri: in una vicenda dominata da violenza e negazione, il più piccolo atto di resistenza assume un valore immenso, la speranza si nutre di solidarietà. È questo il punto di luce più abbagliante di The Handmaid’s Tale, quella forza che nasce dall’unione, il sentimento di sorellanza di cui non sempre siamo capaci ma che, anche nella situazione più disperata, può spingere a rompere gli schemi, ribellarsi ad un sistema opprimente.
There was an Offred before me. She helped me find my way out. She is dead. She is alive. She is me. We are Handmaids. Nolite Te Bastardes Carborundorum bitches.
Raccontare, condividere divengono una necessità per accendere la speranza: Offred, l’ancella protagonista e voce narrante della vicenda, scopre nelle parole incise di nascosto da chi l’ha preceduta in quella casa, nelle numerose lettere scritte clandestinamente da altre donne imprigionate come lei, una forza insospettabile, che la spinge a reagire e ispirare altri piccoli, fondamentali, atti di ribellione. Un’Ancella da sola non può sconfiggere il male, ma tutte insieme, un esercito rosso cremisi, possono combatterlo.
Now darkness and secrets are everywhere. Now there has to be an us, because now there is a them.
A mio avviso The Handmaid’s Tale è anche e soprattutto una storia di resistenza e speranza: un inno al coraggio delle donne, che messe da parte rivalità e stereotipi possano scoprire la forza che è nella nostra natura stessa.
E raccontare, ancora una volta, è l’atto più coraggioso che possiamo compiere.
Ligure di nascita, vagabonda nel cuore. Laurea magistrale in Letteratura Inglese, vive da sempre in mezzo ai libri. Redattore per la rivista Critica Letteraria, Social Media Manager (Cattedrale Magazine), blogger. Un work in progress, perché non si sa mai dove la porterà la prossima avventura.