Finlandia, fine anni Trenta. Il 21 giugno 1938, nello stadio di Helsinki, si disputa la gara che avrebbe premiato il campione nazionale nei cento metri. A vincere è Abraham Tokazier, anche se poi la classifica lo vide ingiustamente in quarta posizione. Il motivo? Tokazier non poteva vincere perché ebreo: i finlandesi non volevano inimicarsi i tedeschi, non in quegli anni già difficili tra la fine della Prima Guerra Mondiale e l’incombente ascesa del nazismo in Germania a turbare gli equilibri internazionali. La vittoria di quella gara venne riconosciuta ai familiari di Tokazier solo settanta anni dopo.Sulla città aleggiava un’atmosfera irreale. La vita un sogno, un miraggio dai contorni indefiniti. Ecco di nuovo quella parola. Chissà perché continuava a ripresentarsi. Poi le venne in mente Konni. Le aveva scritto in febbraio da Åbo, dove viveva e gli Arizona erano stati ingaggiati all’Hamburger Börs per tutto l’inverno. Le aveva parlato dei nuovi pezzi che aveva composto si chiamava proprio Miraggio.
Anche la cerchia di amici più affiatata corre il rischio di disgregarsi quando la politica diventa guerra.
Proprio questo episodio molto delicato ha spinto Kjell Westö, uno dei maggiori autori finlandesi di lingua svedese, a scrivere Miraggio 1938, edito in Italia da Iperborea con la traduzione di Laura Cangemi. Un romanzo dalle forti tinte psicologiche più che di gusto spiccatamente noir, in cui Westö ci racconta parte della Storia del secolo scorso e le sue devastanti ripercussioni sulla quotidianità, attraverso le esistenze di Claes Thune, di professione avvocato con aperture politiche liberali che non si fa problemi a nascondere, e della sua segretaria, la signorina Wiik, all’anagrafe Milija Matilda Aleksandra Wiik, ma per tutti solo Matilda, segretaria silenziosa e impeccabile, che dietro alla sua notevole efficienza nel lavoro nasconde un passato fatto di segreti, dolore e voglia di dimenticare. Accanto a loro troviamo anche i membri del Circolo del Mercoledì, amici di Thune, che insieme, come scrive testualmente l’autore, tentano di “contribuire al mantenimento e all’approfondimento del dibattito politico e culturale in lingua svedese nella città di Helsinki, ma il vero motivo era offrire ai membri un pretesto per bere”.
Thune sentiva ancora balenare la gelosia dentro di sé come una lama d’acciaio lucente, e succedeva almeno una volta la settimana, ma aveva deciso: era venuto il momento di essere magnanimi. Aveva telefonato a Lindermark invitandolo personalmente. La conversazione era proceduta a rilento ma Thune aveva insistito e Robi, confuso, aveva accettato.
Il signor Claes Thune, quarant’anni, si è separato dalla moglie Gabi, scrittrice emergente di romanzi scomodi, che lo ha lasciato per uno dei suoi migliori amici, Robi Lindermark, anche lui membro del Circolo del Mercoledì. Thune, come lo stesso Kjell Westö, fa parte della minoranza di lingua svedese che, dopo gli anni della guerra civile, è sempre più ai margini.
Non le sarebbe importato nulla se avesse scoperto che Cary Grant non si chiamava Archibald Leach ma Bronomir Mankulovskij, o che Leslie Howard era nato Yoram Kardasjian e non Leslie Steiner. Ma lì a Helsinki voleva sapere da dove la gente veniva davvero. Se nessuno conosceva il vero nome di Santeri Soihtu significava che nessuno poteva sapere nemmeno cosa lui facesse vent’anni prima.
La signorina Wiik è tanto efficiente sul lavoro quanto riservata sulla sua vita privata e, soprattutto, sul suo passato. Non parla volentieri dei suoi trascorsi né della sua famiglia. La serenità che vorrebbe lasciar trapelare dalla sua risolutezza e dal suo essere sempre composta e in orario, il suo voler essere la segretaria perfetta, insomma, le servono per nascondere le ombre e le sofferenze patite negli anni addietro. Non solo: Matilda Wiik ha l’estremo bisogno di avere la sicurezza che nessuno sappia nulla di cosa le è successo. Questo perché, circa vent’anni prima, da ragazzina, era stata internata in uno dei campi di affamamento, come li chiama Kjell Westö nel libro: i campi di prigionia finlandesi in cui i “Bianchi”, i nazionalisti, imprigionavano i “Rossi”, i socialisti. Le cicatrici di quel periodo non si vedono esternamente, se non dalle unghie che si rosicchia per sfogo (e il signor Thune lo nota eccome), ma la sua vita è ancora tormentata dalla paura provata, che difficilmente l’abbandonerà.
Nel momento in cui un membro rientrava nella cerchia, ecco che ne veniva a mancare un altro. Joachim Jary aveva comunicato di aver avuto un impedimento. O meglio, nel corso della telefonata con Thune il primario Lindermark gli aveva comunicato l’impedimento di Jary: aveva avuto un nuovo crollo nervoso ed era stato ricoverato all’ospedale di Kopparback a nord della città.
In questo clima di incertezza stretto tra ansie del passato e paura del futuro, il Circolo del Mercoledì rappresenta forse l’unica cosa certa: un incontro abitudinario tra amici, rivedersi con la scusa di parlare di cosa succede nel loro Paese e nel mondo, stare insieme e, perché no, farsi un bicchiere per non pensare troppo, alla fine.
Leggendo Miraggio 1938 si può avere conferma che gli autori nordici portati in Italia da Iperborea, un po’ per posizione geografica, un po’ per il loro modo di vedere il mondo, riescono sempre a presentarci la Storia come qualcosa investe la vita dei propri protagonisti senza stravolgerla del tutto. Una dignità, un voler sopravvivere a tutti i costi che si può leggere già in Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson, autrice e giornalista svedese, tradotto sempre dalla Cangemi per Iperborea.
A fine lettura del romanzo di Kjell Westö, più che le intenzioni letterarie dell’autore di voler scrivere un noir, quello che vi resterà più impresso è la profonda attualità della Finlandia degli anni Trenta, così come lui ce la racconta.
Vive a Milano, laureata in Lettere moderne, sta ultimando i suoi studi in Editoria. Si occupa più o meno regolarmente di libri, social e cose belle. Cura anche un suo spazio personale sempre dedicato alla lettura, il lunedì dei libri.