Per collocare Il corpo che vuoi nella narrativa americana contemporanea bisogna risalire a qualche anno fa. Era il tempo degli scrittori guardoni, contagiati dall’osservare l’illusione televisiva, che utilizzavano come crogiolo e fonte narrativa. Si andava dalla citazione esplicita – come l’enorme insegna della Colgate che chiude il primo capitolo delle Mille luci di New York di McInerney – alla messa in scena del consumismo, come ci ricorda Wallace, a proposito di Rumore bianco di DeLillo, nel saggio E unibus pluram: gli scrittori americani e la televisione. Il confine tra la citazione svuotata di ogni sottotesto critico e la metafora implicita era molto sfumato.Vado in bagno a guardarmi. Mi metto davanti allo specchio e valuto la differenza tra l’aspetto che avevo ieri pomeriggio e quello che ho ora. In questo modo misuro la quantità di vita che mi ha tolto amare qualcuno, di persona, faccia a faccia. La calcolo in base all’opacità della pelle, all’ombra scura intorno all’occhio sinistro, al rossore diffuso che è il risultato dello sfregamento contro la barbetta di C che cresce e si fa sempre più ispida ogni ora che passa.
Così l’esordio di Alexandra Kleeman, in Italia come prima pubblicazione della neonata Edizioni Black Coffee, attraversa questi anni e va a posizionarsi in un futuro nuovo, in una delle possibili declinazioni del postmodernismo, dopo che: «la televisione è diventata capace di inglobare e neutralizzare ogni tentativo di cambiamento o anche di denuncia».
A, la protagonista, ristabilisce il contatto con il proprio corpo percependolo come parte imprescindibile di sé. Un involucro così anonimo per A, tanto da aver paura di essere confusa con la coinquilina B a causa della loro somiglianza. Il rapporto con il ragazzo, C, è più una dipendenza per affermare la propria diversità. Nell’anonimato di un sobborgo americano la dissociazione avviene attraverso i presagi di essere sostituita da un doppio, e dopo aver visto una famiglia indossare lenzuoli bianchi e abbandonare la propria casa. I suburb sono piccole oasi di «piccolezza» e di «uguaglianza», la televisione e le catene di supermarket sono l’unico occhio sul mondo. Nella discesa atemporale di eventi si inseriscono casi mediatici e, soprattutto, pubblicità descritte nei minimi dettagli:
Gli occhi di Kandy Kat si inumidiscono e si vede benissimo che è pieno di speranza, si capisce da come gli martella il cuore nella piccola cassa toracica. Una lingua rosa e asciutta lentamente gli rotola giù dalla bocca.
E le merendine attaccano. Come fossero un unico corpo e una sola mente, si abbattono su di lui. Si abbattono su di lui mordendolo con le loro boccucce crudeli, arrampicandoglisi addosso, ricoprendolo interamente, piegandolo sotto il loro peso, mentre Kandy Klown osserva a pochi passi di distanza. Gli strappano il costume e i brandelli volano ovunque e si sente il rumore come di molle che saltano mentre una voce fuori campo annuncia:
KANDY KAKE, SAPPIAMO CHI SEI DAVVERO
Il romanzo è ambientato ai giorni nostri ed è incentrato sull’analisi di come percepiamo l’immagine di noi stessi: proprio per questo sembra anacronistica l’assenza di ogni riferimento al web. Il vero motore della storia della Kleeman non è la pubblicità, ma i suoi effetti. Il pensiero di A è coinvolto in una disperata ricerca di significato per un’immagine sempre dissociata dall’autenticità, dal momento che quest’ultima suggerisce una verità troppo uguale a se stessa – a partire dal corpo: «un chirurgo mentre effettua un’incisione non pensa al mio corpo in particolare, ma a un corpo generico, riprodotto in sezione su una pagina qualunque di un testo scolastico».
La mancanza di nomi di persona e l’incompletezza di quelli dei protagonisti, fa intuire che le misure del mondo per A sono sopratutto i corpi di chi le sta vicino e, in un secondo momento, dei corpi frammentati della televisione. Il corpo di A è percepito in funzione dell’esistenza fisica degli altri: «La parte migliore è nascosta sotto quella vera» dirà mentre trucca B. Il confronto si gioca tra lo smettere di rendere l’aspetto così importante e l’impossibilità di mantenere quello che il trucco promette. I membri della Nuova Chiesa Cristiana dei Congiunti del Cibo predicano una genuinità estrema negando all’essere di manifestarsi con il proprio aspetto: si coprono con lenzuoli bianchi e si nutrono di Kandy Kake, l’unico alimento non “oscuro” e più sincero. Le lunghe sessioni alla televisione, il clamore mediatico per avvenimenti come Michael, il tizio che vuole salvare i vitelli comprandone le carcasse al Wally’s Supermarket, hanno un raggio di propagazione che colpisce chi si rivolge alla televisione con atteggiamento completamente recettivo, senza alcun filtro. A, trascinata dalla spinta omologante, ne metterà in dubbio l’efficacia e ne scoprirà le falle, perché quando sarà obbligata a non riconoscere il suo corpo e quello degli altri si sentirà anonima ed esattamente uguale agli altri. Anche i modelli che prenderà come esempio si frantumeranno davanti ai suoi occhi:
«Sei agitata?» le chiedo.
Con fare conturbante, l’attrice si siede e mi sorride.
«Ma no, è una sciocchezza» dice. «Devo solo muovermi a ritmo di musica ed essere me stessa».
Vorrei chiederle com’è che per lei è così semplice, come può essere così semplice essere se stessi. Le domando: «Non hai paura di cosa potrebbe succederti in mezzo a tante comparse? Non hai paura di perderti?»
«No» risponde ridendo. «È solo questione di saper “fingere meglio”, e di solito a questo gioco vinco io».
Lo stile della Kleeman racconta un crescendo di voce interiore sempre più compromessa dalla strada intrapresa, senza un’apparente via d’uscita. Ricorda a tratti il precipitare infinito che si avverte a un certo punto nelle storie di Dick: non è difficile vedere il sovrapporsi di verità/realtà, come succede nelle Tre stimmate di Palmer Eldritch, che nella Kleeman diventano identità/realtà. Il corpo che vuoi è come un corpo nella pubblicità: smonta e destruttura un’identità non ben definita, cui mancano gli strumenti per maturare una visione della realtà, che resta così continuamente contagiata dalla televisione e da una completa alienazione dall’interiorità.
(Immagine: Sasha Malov)
romanzo
Edizioni Black Coffee
304
Raffaele Anello
Sara Reggiani
02/03/2017
La scrittura della Kleeman dimostra la consapevolezza dei maestri passati e crea un nuovo stile, in grado di alternare l'empatia assoluta all'alienazione straniante.
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Laureata in Editoria e Pubblicistica sta cercando di entrare a far parte del mondo dell’editoria. Per questo scrive e legge come se non ci fosse un domani. Interessata all’informatica e all’editoria digitale nella misura in cui non la facciano sentire stupida. Per un po’ ha scritto di cinema e serie-tv su Cinefilos.it.
Adora l’horror perché è cresciuta senza conoscere le sue paure e le raccolte di racconti che le ricordano come non ci sia solo una storia da raccontare. Oltre a scrivere su Ultima Pagina, si diverte a inventare nomi per categorie improbabili sul suo blog: Il mondo urla dietro la porta.