Non c’è Strega senza polemica, potremmo dire. Forse perché quest’anno la vittoria era davvero così telefonata e scontata che il conteggio dei voti e l’impiego molto pittoresco della lavagna per segnare le varie votazioni non erano decisamente il punto focale della serata. Quindi ci concentriamo direttamente sulle polemichette, che sono la cosa più succosa.
Partiamo dalla vincitrice: ha vinto il Premio Strega 2024 Donatella Di Pietrantonio, che in poco più di dieci anni si è imposta come una delle voci più importanti – e più redditizie, diciamolo – della letteratura italiana contemporanea. Di Pietrantonio sta vivendo una “seconda vita” da scrittrice, dopo essersi laureata in Odontoiatria e aver esercitato per molti anni la professione di dentista pediatrica.
Esordisce nel 2011 direttamente con Einaudi, con il romanzo Mia madre è un fiume, dedicato al rapporto tra una donna e la madre che soffre di Alzheimer, con cui l’anno dopo vince il Premio John Fante Opera Prima. Personalmente, io Di Pietrantonio non l’ho mai letta, ma dalle critiche e dalle recensioni percepisco una scrittura molto consapevole, legata sia al suo territorio (l’Abruzzo) e alle sue tradizioni ma allo stesso tempo a tematiche molto attuali, come l’identità e la questione di genere.
Il vero exploit lo fa con L’Arminuta nel 2017, che coniuga un ottimo riscontro della critica (Premio Campiello, per citare il più importante) con il successo di pubblico: oltre 400.000 copie, tradotto in più di 30 lingue, un adattamento teatrale e un film (di cui l’autrice co-scrive la sceneggiatura, vincendo anche il David di Donatello per la miglior sceneggiatura adattata nel 2022). Il seguito del romanzo, Borgo Sud, è un nuovo successo ed entra nella cinquina finalista dello Strega 2021.
Perché vi ho fatto tutto questo pippone sul curriculum della vincitrice del Premio Strega 2024? Perché mi sta profondamente sul cazzo leggere polemiche sul fatto che, se una donna vince – o, Dio non voglia, due donne di fila! – un premio importante, allora c’è un complotto oscuro.
“Se vincono le donne, è solo un discorso di quote rosa”
Mi è davvero difficile accettare che un autore snobbi la propria vittoria di un premio, affermando che è stato scelto uno dei suoi romanzi peggiori solo perché era l’anno della marchetta al suo editore, ma parli di ANORMALITÀ quando a vincere lo stesso premio sono donne.
Lo screen viene da un’intervista uscita su Rivista Studio a Walter Siti, che dimostra che non basta appartenere a una minoranza sociale per non abbracciare il patriarcato e il paternalismo.
È veramente mortificante pensare che se vincono le donne sia per un occulto accordo tra editori o tra professionisti, anche perché, se guardiamo l’albo dei vincitori, questo regime di anormalità non sussiste affatto.
Prendiamo la tabella dal 2014: nelle undici edizioni, 8 vincitori uomini contro 3 donne. Dunque cosa ha turbato Walter Siti, la vittoria consecutiva di due donne? Eppure c’è già un precedente (2002-2003, Mazzantini e Mazzucco). O, forse, lo ha turbato che le cinquine di finalisti negli ultimi anni siano molto più equilibrate tra generi rispetto a qualche decennio fa, in cui c’era (quando andava bene) UNA donna nel gruppo, quasi una gentile concessione.
Eppure le donne che hanno vinto lo Strega sono nomi importanti della letteratura italiana contemporanea: Ginzburg, Morante, Bellonci, Ortese, Maraini… altre autrici sono forse oggi meno conosciute – ma come del resto molti dei vincitori uomini, aggiungerei.
Tanto più che, come vediamo, Di Pietrantonio era una scommessa vinta e/o, quanto meno, un cavallo di razza su cui l’editore ha deciso di investire da tempo – e a ragione. Lo dicono i dati di vendita che avevamo pubblicato allo svelamento della dozzina dei finalisti: già a marzo Di Pietrantonio staccava nettamente tutti gli altri titoli in lizza, ed era la sola ad aver superato le 20.000 copie (e non di poco: al 31/03 contava più di 53.000 copie vendute). La strada per replicare il successo commerciale dell’Arminuta è ancora lunga, ma vedremo se lo Strega permetterà di replicare.
Tra l’altro, Di Pietrantonio è la terza autrice a riuscire a vincere sia il Premio Strega principale che il Premio Strega Giovani (prima di lei Paolo Cognetti con Le otto montagne e la vincitrice dell’anno scorso, Ada D’Adamo, con Come d’Aria). Interessante come la giuria di giovani (mille ragazzi e ragazze di scuole secondarie in Italia e all’estero) dall’istituzione del Premio Giovani abbia premiato in undici edizioni sei donne e cinque uomini, con una parità molto più marcata rispetto al Premio Strega “big”.
Altra curiosità: tra gli “strilli” che consigliano L’età fragile, ci sono l’attuale direttrice del Salone del Libro e il suo predecessore, Annalena Benini (che lo recensisce per il Foglio) e Nicola Lagioia (che scrive invece sull’inserto tuttolibri della Stampa). La recensione che non si può trovare da nessuna parte invece è proprio quella di Walter Siti, che nell’intervista si vanta di non aver letto i finalisti salvo Chiara Valerio, perché gli ha mandato personalmente il libro.
Quindi potremmo, forse, archiviare la cosa sotto al classico “maschio boomer che grida al complotto senza poter neanche dare un giudizio concreto”, però… però non è solo Walter Siti.
Il pregiudizio sulla scrittura delle donne, la sola anormalità che persiste
Le statistiche ISTAT ogni anno ci dicono che le donne leggono di più e comprano più libri, oltre a frequentare di più le biblioteche. Da anni tuttavia ci si interroga perché le donne continuino a fare più fatica nel raggiungere la pubblicazione. Per i grandi numeri, più si legge e più si scrive, ma non si pubblica allo stesso ritmo.
Rimangono forti i bias per cui la letteratura scritta da uomini è UNIVERSALE, mentre quello che scrivono le donne è solo robetta per donne. È un pregiudizio fortemente radicato, non solo in Italia, tanto da arrivare a contestare la vittoria quando a vincere premi importanti dal Nobel in giù sono autrici donne.
A volte, le vittime del pregiudizio sono generi interi, dal romance al grande ombrello delle fanfiction (rispettivamente roba per donnette e ragazzine ormonate, secondo molti). A volte, le autrici sono incoraggiate ad adottare uno pseudonimo neutro, poiché un nome chiaramente femminile in copertina potrebbe scoraggiare alcuni acquirenti…
Non mi credete? Nominerò una persona che ormai sta diventando Colei che non deve essere nominata proprio a causa delle sue posizioni sul concetto del “genere”, ma che rimane un esempio perfetto di questa casistica: la K di J.K. Rowling è posticcia, aggiunta per fingere un secondo nome su richiesta dell’editore in modo da mettere la doppia iniziale e non far capire subito che si trattava di una donna. Perché nell’editoria per bambini e ragazzi gli autori (e i libri con un maschio protagonista) sono per tutti, ma le autrici e le protagoniste femminili sono solo per femmine – perché potrebbero intaccare la mascolinità e l’eterosessualità dei giovani lettori.
E questa roba si ripete sempre, ancora; poi apri libri di autori famosissimi e amatissimi e trovi descrizioni di sentimenti imbarazzanti o scene di sesso improponibili (ciao, Murakami!). Ma sono uomini, quindi se scrivono di sentimenti vengono considerati seri, e se oggettivizzano le donne, tutto va bene.
Mi piacerebbe davvero fare un test e far leggere dieci romanzi senza indicazioni sul genere dell’autore; secondo me, i pareri cambierebbero radicalmente sia per gli uomini che le per le donne.
È poi curioso che, quando case editrici di prestigio come la Penguin annunciano iniziative per contrastare i bias dei propri selezionatori ed essere più inclusivi nella scelta dei romanzi da pubblicare, si gridi allo scandalo. Perché è anormale riconoscere un pregiudizio e cercare di superarlo, anziché accettare una rappresentazione parziale e incompleta del mondo come se invece fosse collettiva e universale – sì, è sarcasmo.
E dopo la shit-storm, le scuse che non tappano il buco
Dopo che l’intervista è diventata virale sui social ed è partita la valanga polemica, Walter Siti si è scusato.
A seguito delle polemiche nate da una risposta data nell’intervista, Walter Siti ci tiene a precisare più esaustivamente il suo punto di vista: «Viviamo in una società che accetta ancora la disparità di genere e mi è evidente la necessità di riportare l’attenzione sui libri scritti da scrittrici. Il mio augurio è che nella società del futuro si possa tornare a concentrarci sull’opera letteraria indipendentemente dal genere, dall’orientamento sessuale o dall’etnia di chi l’ha scritta»
Il problema di queste scuse “posticce”, che arrivano al solito dopo che è partita la shitstorm, è che non solo non risolvono la frase problematica, ma confermano il problema. Perché, di fatto, il tempo della normalità a cui guarda nostalgicamente Walter Siti non c’è mai stato: non accadeva quando le donne nel XIX secolo dovevano pubblicare anonimamente o sotto pseudonimo maschile per non finire alla pubblica gogna, né quando venivano criticate per occuparsi di temi seri come i conflitti sociali o la guerra – troppo impegnativi per i loro deboli cervellini.
Critiche che non risparmiano nemmeno autrici che la guerra l’hanno vissuta in prima persona. Pensiamo alla ferocia subita da Elsa Morante all’uscita de La Storia, rea di essere sposata con un uomo importante come Alberto Moravia che quindi le avrebbe spianato la strada della pubblicazione (immeritatamente, secondo le critiche) e di aver osato raccontare anche il lato oscuro della resistenza. La dimostrazione per una certa critica (in teoria progressista, ricordiamocelo) che, appunto, le donne non dovrebbero occuparsi di temi seri, tanto più osando far PIANGERE i lettori. La Storia, guarda caso, vinse il Premio Strega.
Non si salva neanche Oriana Fallaci, da questa logica storta, che scrive i suoi romanzi in prima persona, il che porta i giornalisti a cercare di scoprire altarini segreti nella vita dell’autrice – sempre per il pregiudizio sulle donne che possono scrivere solo delle cose che vivono in prima persona e sui propri sentimenti, mentre la dimensione universale è riservata ai colleghi col pene. La Fallaci è stata una giornalista di guerra, svolgeva un lavoro pericolosissimo e non ha accettato limitazioni alla propria libertà personale neanche al momento di intervistare l’Ayatollah Khomeini; quindi immaginate la miseria di colleghi e intellettuali che hanno cercato di ridurla sempre a una fonte di pettegolezzi e dettagli scabrosi.
Quello che Walter Siti non capisce, dunque, è che l’attenzione ai libri scritti dalle donne e i tentativi di “pareggiare” i conti sono proprio una ricerca di quella normalità che lui percepiva prima, ma che per l’altra metà del cielo non è mai esistita. Poi c’è il marketing, che è un’altra questione: possiamo discutere sul fatto che questo recente filone di retelling dei testi classici con le donne al centro possa risultare stucchevole e spesso fonte di libri mediocri o pessimi, ma è solo un trend editoriale, come tanti altri. Ci mancherebbe.
E tuttavia, se i trend sono (quasi sempre) dettati dal gusto letterario delle donne o delle ragazze, è semplicemente perché le donne comprano più libri. Il mercato risponde a quello che i clienti comprano. E le clienti, in particolare, non possono diventare stupide o frivole solo quando si appassionano a un trend che non coinvolge gli autori come Siti… o sarebbero stupide anche quando a migliaia comprano Walter Siti, no?
Geppi Cucciari, l’unica nota veramente positiva della serata
Tornando allo Strega, mi sento di dire che la diretta della finale è risultata sostenibile solo grazie a Geppi Cucciari, da tempo volto Rai dei format televisivi legati ai libri, che ha condotto anche quest’anno con brillantezza e rifiutando eventuali bavagli. Le sue stoccate, pur misurate, erano ben calibrate e hanno toccato le varie controversie che hanno recentemente coinvolto la televisione di stato.
Dalla censura da parte della Rai dei fischi al ministro Sangiuliano: “Applaudite, siamo in diretta, non si possono coprire i fischi! Applaudite fortissimo”, alla critica della scelta dei conduttori in base alle amicizie dei membri del governo, giocando con il nome del co-conduttore Pino Strabioli: “È arrivata questa proposta: al Premio Strega ci mettiamo Pino. E io ho detto: va bene, se ti chiami Pino, in Rai, va sempre bene”.
Non è mancato anche il riferimento alla censura da parte della Rai persino dei monologhi antifascisti, che ha portato in questi giorni alla sospensione di Serena Bortoli per aver osato leggere il testo dopo lo stop: “Pino (Strabioli), hai detto Scurati? Hai detto Antonio Scurati? La tua serata finisce qua”.
Molti si chiedono se Cucciari sarà la prossima a finire nel mirino dei vertici Rai e politici, dimostrazione di un’idea di televisione pubblica che si piega al potere… considerando che parliamo di un evento dedicato alla cultura, cultura che dovrebbe essere la voce fuori dal coro e non un megafono dei potenti, l’idea diventa ancora più triste.
La polemichetta delle librerie
Intanto, nel fine settimana il CorSera ha pubblicato un suggerimento su dove comprare la vincitrice dello Strega e gli altri finalisti (spoiler, su Amazon). Ovviamente, la cosa si è tirata dietro la solita levata di scudi: lo Strega è uno dei pochi eventi dell’anno che richiama in libreria anche persone che non leggono ma che si incuriosiscono per la notizia, fonte dunque di guadagno importante per i librari. Ha senso dunque che il più importante quotidiano inviti a snobbare i negozi fisici?
Dunque, io su questa cosa non ci voglio entrare, però il problema, forse, è quante librerie dipendono da eventi come lo Strega per galleggiare. La facilità di acquisto del gigante della GDO ha sicuramente permesso a molti che seguivano la diretta di giovedì sera di comprare il libro di Di Pietrantonio pochi minuti dopo la proclamazione. L’età fragile è infatti schizzata in cima alla Top 100 di Amazon, quello strano buco nero in cui in questo periodo dell’anno la narrativa si contende lo spazio con i libri di testo delle superiori e gli eserciziari dei compiti delle vacanze.
La comodità di ordinare da casa e la rapidità di Prime mettono Amazon su un piano completamente diverso. Forse, invece di continuare con le invettive contro Amazon, dovremmo chiederci come dare un valore aggiunto che superi questi vantaggi.
Sono fermamente convinta che le librerie possano svolgere un ruolo importantissimo di presidio sociale sul territorio. Tuttavia, servono iniziative diverse per qualificarsi in tal senso.
Ottima disamina. Grazie.
Io penso spesso di venire da un altro pianeta, perché in vita mia non ho mai ammirato un quadro, un edificio, un’ opera d’arte qualsiasi, né letto un libro informandomi prima del sesso o genere dell’autore. Non ho mai proprio visto alcuna differenza di valore nelle persone che ho di fronte, collegando a priori tale valore a fattori come l’aspetto fisico, il paese di provenienza, il credo religioso. Di alcune persone mi piacciono le idee, di alcune condivido i gusti, di altre invidio, in senso positivo, i talenti. E non capisco come si rinunci a conoscere il mondo che ciascuna persona può custodire, decidendo da prima questo sì, questo no in base a criteri che trovo così insignificanti. Come se ciò che siamo non fosse un miscuglio unico di talmente tante cose da rendere ridicola una classificazione come: uomo. O donna. O italiano. O buddista. O qualsiasi altra etichetta. Detto ciò, per quanto riguarda le librerie fisiche a presidio del territorio, la realtà è che interi piccoli comuni non ne hanno più. E Amazon è non UNA alternativa, ma LA sola alternativa.
Articolo che, seppur letto dopo un mese dallo Strega, mi fa riflettere su