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Troppi scrittori


ZG

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Che ne pensate di tutti quelli che, titolari di settordicimila self in vendita su Amazon a 0,99, si lamentano a social unificati del fatto che ci sono troppi scrittori?

e di quelli che, pubblicati da case editrici medie senza grossi risultati visibili, si lamentano a social unificati che la qualità non paga?

e di quelli che, forti del titolo di critici letterari, annunciano con toni da esercito della salvezza che il romanzo è morto e la letteratura non si sente troppo bene?

io non li sopporto, ma vorrei sentire il vostro esimio parere.

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Io sono una di quelle convinte che chi si loda s'imbroda, e l'ambito letterario non fa eccezione. Più di una volta mi sono dovuta mordere le dita per non rispondere all'ennesimo autore con "Scrittore" nel nick di Facebook che ok, ha scritto un libro, mica ha trovato la cura per il cancro.

D'altro canto, però, chi si lamenta e/o rosica dopo un po' rompe i cosiddetti.
Scrivere dovrebbe essere un piacere, soprattutto per chi lo fa a livello amatoriale o poco più (e in questa categoria ricadono praticamente tutti quelli di cui parli). E la sindrome dell'incompreso, e "l'editoria non è pronta per la mia innovazione", e "si stava meglio quando si stava peggio"... e anche basta, insomma.

 

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Ospite Panofsky

Ma dài, il mondo del self-publishing è intasato? Chi mai l'avrebbe detto.

Parere personale: vero, si scrive troppo, si pubblica troppo (e male). Per contro, si legge sempre meno. Basterebbero questi due dati – incontrovertibili, riportati da qualunque indagine del settore – per fare generare qualche perplessità.

Gli editori pubblicano tanto, troppo, per motivi che niente hanno a che fare con la letteratura. Pubblicano per tenere in moto apparati mastodontici e per colonizzare vetrine e scaffali, pubblicano per inseguire mode e cavalcare onde effimere, pubblicano sperando nella botta di culo che gli assesti i conti.

Nel self anche peggio: da quando c'è Internet si è piano piano diffusa la falsissima convinzione che picchiettare su una tastiera sia scrivere. Ancora più triste, che qualsiasi cosa scritta abbia il diritto di essere pubblicata.

Non si più scouting, non si fa selezione, non si investe sul futuro, non si premiano le eccellenze ma si inseguono gli instant book.

Rimbocchiamoci le maniche.

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  • 3 settimane dopo...

Ma dài, il mondo del self-publishing è intasato? Chi mai l'avrebbe detto.

Parere personale: vero, si scrive troppo, si pubblica troppo (e male). Per contro, si legge sempre meno. Basterebbero questi due dati – incontrovertibili, riportati da qualunque indagine del settore – per fare generare qualche perplessità.

Gli editori pubblicano tanto, troppo, per motivi che niente hanno a che fare con la letteratura. Pubblicano per tenere in moto apparati mastodontici e per colonizzare vetrine e scaffali, pubblicano per inseguire mode e cavalcare onde effimere, pubblicano sperando nella botta di culo che gli assesti i conti.

Nel self anche peggio: da quando c'è Internet si è piano piano diffusa la falsissima convinzione che picchiettare su una tastiera sia scrivere. Ancora più triste, che qualsiasi cosa scritta abbia il diritto di essere pubblicata.

Non si più scouting, non si fa selezione, non si investe sul futuro, non si premiano le eccellenze ma si inseguono gli instant book.

Rimbocchiamoci le maniche.

Riparto dall'intervento di Panofsky, visto che ha già segnalato quei punti di cui volevo parlare.

Per spiegare il presente scenario, io chiamerei in causa tre fattori: 1) socio-culturale 2) tecnologico 3) economico.

1) Negli ultimi 50 anni la percentuale di persone che hanno frequentato la scuola dell'obbligo è cresciuta considerevolmente. Ciò implica che, rispetto alla prima metà del XX secolo, è aumentato non solo (e non tanto) il numero di potenziali lettori, ma, soprattutto, di potenziali scrittori. Ciò è dovuto anche all'aura intellettualistica di importanza socio-culturale di cui "lo Scrittore" viene rivestito dalla scuola stessa, influenzando in tal maniera l'opinione della società stessa verso tale categoria artistico-professionale. Anche la grande editoria (ovviamente per tirare acqua al suo mulino), negli ultimi anni ha contribuito a tale impressione impegnandosi in politiche spregiudicate, con pubblicazioni di baby-autori e con il premere sulle emulazioni del best-seller del momento. Ovvero: lo scrittore è faigoscrivere è cool. Indice di questo fattore, secondo me, è che negli under 50 anche gli individui non amanti della lettura comunque riconoscono un valore allo scrittore e al pubblicare, anche se non direttamente economico. Conseguenza di questo fattore è che diventare scrittore e pubblicare diventa qualcosa di appetibile per chiunque senta il bisogno di esprimere sé stesso, cioè per chiunque pensi di avere qualcosa da dire. E qui subentra il fattore tecnologico.

2) negli ultimi ven...trent'anni (oh, come passa il tempo! O_o) abbiamo avuto l'esplosione di internet e dell'informatica. Da un computer per ufficio siamo passati a un computer per casa fino a più di un dispositivo per persona. Ad esempio, anche non essendo la mia una famiglia benestante, a casa (prima che il mio pc si suicidasse) in 4 persone avevamo 3 portatili+5 smartphone+1 tablet=9 dispositivi, cioè più di 2 a persona! Non è poco, se consideriamo che fino a trenta-quarant'anni fa quasi nessuno aveva un computer fuori dall'ufficio. Nell'era pre-internet (pare XVII secolo ormai) per comunicare bisognava scriversi per posta, telefonarsi o (terribile!) incontrarsi. Se si voleva, e qui arrivo al punto, comunicare ad un vasto gruppo di persone, ovvero, manifestare ed esprimere sé stessi alla comunità, bisognava o parlare ad una platea, o scrivere su un giornale/volantini o scrivere un libro. Pochi però ovviamente disponevano di queste possibilità: chi non era giornalista, politico o scrittore, doveva accontentarsi del bar o del salotto. La tecnologia di internet invece, per dirla con una citazione famosa quanto recente, ha dato diritto di parola a legioni di imbecilli. I social sono i nuovi salotti, Internet la nuova sala da ballo del Re Sole. Tutti possono dar fiato alla bocca e sentirsi importanti e considerati dalla comunità. La conseguenza che allora ci interessa è che molte persone in più possono aver voglia di scrivere e di sentircisi pure bravi o pensando che esso non richieda nessun talento o impegno particolare e che, fondamentale, ora hanno davvero la possibilità di farlo. Il digitale ha dato questa possibilità, sia tramite lo strumento dei blog, dei forum e dei social per scrittori, sia tramite l'auto-pubblicazione in digitale: le piattaforme di printing on demand e di assistenza all'auto-pubblicazione (digitale e non) sono una conseguenza di ciò.

3) A questi due fattori si aggiunge quello economico, cioè quello della "crisi" che ha portato alla modifica de facto degli equilibri sociali d'Italia (e non so in che misura negli altri paesi). Nello scenario attuale, fondamentalmente, i consumi sono di bassa portata, ovvero i consumatori comprano meno e per ogni acquisto spendono meno. Di contro, c'è un eccesso dell'offerta di manodopera rispetto alla domanda nella maggioranza dei settori. A questo si aggiunge la concorrenza spietata di aziende straniere che possono permettersi di lavorare con materie prime e personale a basso costo e poco tutelato. In questo scenario, la logica aziendale è mutata: non si investe più nel lavoratore e nella sua formazione (causa mancanza fondi e al contempo disponibilità di manodopera anche esperta) e si abbattono i costi in ogni maniera possibile, cercando al contempo di aumentare il numero di vendite pure a prezzi contenuti. Ciò vuol dire meno contratti a tempo indeterminato (ormai per molte aziende la normalità è il contratto mensile/trimestrale/semestrale, è un'impresa trovare persino contratti stagionali annuali), 0 investimenti sul lavoratore (0 formazione), quantità>qualità. Questa logica pare aver contagiato l'editoria, con sempre meno impegno sull'editing e nello scouting, con sempre più affidamento negli store online e con una configurazione editoriale che rischia sempre più di rendere indistinguibili una CE da un POD, dove chiunque può essere pubblicato senza una reale cura del prodotto e quindi a prezzi contenuti che, grazie anche alla illimitata accessibilità degli store online, aumenta le vendite di quel tanto che basta per tenere l'azienda a galla.

E l'aspirante scrittore? Come è mutato l'aspirante scrittore medio è evidente. Mancando di educazione e formazione, non è in grado (anche volendo, ma spesso è inconsapevole di tale necessità) di editare (o di far editare) al meglio la sua opera e, anche quando riesce a ricevere un'offerta da una CE, non si trova nella posizione di pretendere un servizio di editing e promozione decente, a causa delle politiche aziendali di cui sopra. E' un po' la medesima logica del comune lavoratore che, a priori di titoli, qualifiche e doti personali, deve rinunciare ad un salario degno e a molti diritti per non rimanere disoccupato.

L'autore e la sua opera insomma, sia che ci sia di mezzo una CE sia che si tratti di self-publishing, sono solo un anonimo numero nei cataloghi di CE, POD e store online. L'attenzione è rivolta tutta sui consumatori che non importa cosa acquistino, purché acquistino.

E' come se insomma l'istruzione pubblica e internet siano arrivati nel momento sbagliato: invece di giungere in una congiunzione economica favorevole che permettesse loro di produrre uno sviluppo artistico-culturale senza precedenti, sono arrivate all'apice nel pieno di una crisi che ha prodotto, al contrario, il più basso livello qualitativo di mercificazione consumista della letteratura possibile (ma forse no: potrebbe piovere).

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Riparto dall'intervento di Panofsky, visto che ha già segnalato quei punti di cui volevo parlare.

Per spiegare il presente scenario, io chiamerei in causa tre fattori: 1) socio-culturale 2) tecnologico 3) economico.

1) Negli ultimi 50 anni la percentuale di persone che hanno frequentato la scuola dell'obbligo è cresciuta considerevolmente. Ciò implica che, rispetto alla prima metà del XX secolo, è aumentato non solo (e non tanto) il numero di potenziali lettori, ma, soprattutto, di potenziali scrittori. Ciò è dovuto anche all'aura intellettualistica di importanza socio-culturale di cui "lo Scrittore" viene rivestito dalla scuola stessa, influenzando in tal maniera l'opinione della società stessa verso tale categoria artistico-professionale. Anche la grande editoria (ovviamente per tirare acqua al suo mulino), negli ultimi anni ha contribuito a tale impressione impegnandosi in politiche spregiudicate, con pubblicazioni di baby-autori e con il premere sulle emulazioni del best-seller del momento. Ovvero: lo scrittore è faigoscrivere è cool. Indice di questo fattore, secondo me, è che negli under 50 anche gli individui non amanti della lettura comunque riconoscono un valore allo scrittore e al pubblicare, anche se non direttamente economico. Conseguenza di questo fattore è che diventare scrittore e pubblicare diventa qualcosa di appetibile per chiunque senta il bisogno di esprimere sé stesso, cioè per chiunque pensi di avere qualcosa da dire. E qui subentra il fattore tecnologico.

2) negli ultimi ven...trent'anni (oh, come passa il tempo! O_o) abbiamo avuto l'esplosione di internet e dell'informatica. Da un computer per ufficio siamo passati a un computer per casa fino a più di un dispositivo per persona. Ad esempio, anche non essendo la mia una famiglia benestante, a casa (prima che il mio pc si suicidasse) in 4 persone avevamo 3 portatili+5 smartphone+1 tablet=9 dispositivi, cioè più di 2 a persona! Non è poco, se consideriamo che fino a trenta-quarant'anni fa quasi nessuno aveva un computer fuori dall'ufficio. Nell'era pre-internet (pare XVII secolo ormai) per comunicare bisognava scriversi per posta, telefonarsi o (terribile!) incontrarsi. Se si voleva, e qui arrivo al punto, comunicare ad un vasto gruppo di persone, ovvero, manifestare ed esprimere sé stessi alla comunità, bisognava o parlare ad una platea, o scrivere su un giornale/volantini o scrivere un libro. Pochi però ovviamente disponevano di queste possibilità: chi non era giornalista, politico o scrittore, doveva accontentarsi del bar o del salotto. La tecnologia di internet invece, per dirla con una citazione famosa quanto recente, ha dato diritto di parola a legioni di imbecilli. I social sono i nuovi salotti, Internet la nuova sala da ballo del Re Sole. Tutti possono dar fiato alla bocca e sentirsi importanti e considerati dalla comunità. La conseguenza che allora ci interessa è che molte persone in più possono aver voglia di scrivere e di sentircisi pure bravi o pensando che esso non richieda nessun talento o impegno particolare e che, fondamentale, ora hanno davvero la possibilità di farlo. Il digitale ha dato questa possibilità, sia tramite lo strumento dei blog, dei forum e dei social per scrittori, sia tramite l'auto-pubblicazione in digitale: le piattaforme di printing on demand e di assistenza all'auto-pubblicazione (digitale e non) sono una conseguenza di ciò.

3) A questi due fattori si aggiunge quello economico, cioè quello della "crisi" che ha portato alla modifica de facto degli equilibri sociali d'Italia (e non so in che misura negli altri paesi). Nello scenario attuale, fondamentalmente, i consumi sono di bassa portata, ovvero i consumatori comprano meno e per ogni acquisto spendono meno. Di contro, c'è un eccesso dell'offerta di manodopera rispetto alla domanda nella maggioranza dei settori. A questo si aggiunge la concorrenza spietata di aziende straniere che possono permettersi di lavorare con materie prime e personale a basso costo e poco tutelato. In questo scenario, la logica aziendale è mutata: non si investe più nel lavoratore e nella sua formazione (causa mancanza fondi e al contempo disponibilità di manodopera anche esperta) e si abbattono i costi in ogni maniera possibile, cercando al contempo di aumentare il numero di vendite pure a prezzi contenuti. Ciò vuol dire meno contratti a tempo indeterminato (ormai per molte aziende la normalità è il contratto mensile/trimestrale/semestrale, è un'impresa trovare persino contratti stagionali annuali), 0 investimenti sul lavoratore (0 formazione), quantità>qualità. Questa logica pare aver contagiato l'editoria, con sempre meno impegno sull'editing e nello scouting, con sempre più affidamento negli store online e con una configurazione editoriale che rischia sempre più di rendere indistinguibili una CE da un POD, dove chiunque può essere pubblicato senza una reale cura del prodotto e quindi a prezzi contenuti che, grazie anche alla illimitata accessibilità degli store online, aumenta le vendite di quel tanto che basta per tenere l'azienda a galla.

E l'aspirante scrittore? Come è mutato l'aspirante scrittore medio è evidente. Mancando di educazione e formazione, non è in grado (anche volendo, ma spesso è inconsapevole di tale necessità) di editare (o di far editare) al meglio la sua opera e, anche quando riesce a ricevere un'offerta da una CE, non si trova nella posizione di pretendere un servizio di editing e promozione decente, a causa delle politiche aziendali di cui sopra. E' un po' la medesima logica del comune lavoratore che, a priori di titoli, qualifiche e doti personali, deve rinunciare ad un salario degno e a molti diritti per non rimanere disoccupato.

L'autore e la sua opera insomma, sia che ci sia di mezzo una CE sia che si tratti di self-publishing, sono solo un anonimo numero nei cataloghi di CE, POD e store online. L'attenzione è rivolta tutta sui consumatori che non importa cosa acquistino, purché acquistino.

E' come se insomma l'istruzione pubblica e internet siano arrivati nel momento sbagliato: invece di giungere in una congiunzione economica favorevole che permettesse loro di produrre uno sviluppo artistico-culturale senza precedenti, sono arrivate all'apice nel pieno di una crisi che ha prodotto, al contrario, il più basso livello qualitativo di mercificazione consumista della letteratura possibile (ma forse no: potrebbe piovere).

Okay, dopo questa analisi vado a suicidarmi... Addio!

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Ospite Steamdoll

Ogni epoca ha la sua crisi, la nostra, molto più che economica, è culturale.

Come già detto da Alexander, l'obbligo di istruzione personale ha portato a credere che l'analfabetismo sia stato abbattuto. Guardiamoci intorno, però: quanti di quelli che troviamo per strada o su internet sanno coniugare correttamente i verbi? Quanti hanno una proprietà di linguaggio adeguata ad aver conseguito studi decennali? Pochi, molto pochi.

Di contro, scrivere sembra la cosa più facile da fare. Fonti autorevoli (un tempo blog, ormai morti, oggi i social network) scannano in pubblica piazza gli scrittori di successo (Dan Brown? Fa schifo! Stephenie Meyer? Mormona bigotta che adesca le ragazzine! Licia Troisi? Vomito su carta! E.L.James? Davvero? Scrittrice?), cosa che autorizza chiunque a sentirsi molto meglio e a pensare: wow, se scrivono loro, posso farlo anche io. Non si rendono conto che in quei testi che hanno avuto grande successo, se non qualità letteraria, c'è comunque qualcosa di valido che possiamo condividere o meno.

Cinquanta sfumature è un testo discutibile? Altamente.

Twilight fa venire il mal di testa? Garantito.

Tuttavia, sputarci sopra e affilare i forconi non aiuta la gente a sviluppare lo spirito critico perché spesso quelle stesse persone che criticano non hanno delle motivazioni di supporto adeguate e razionali. Hanno preso un sasso perché il linciaggio era già partito. Questo genera un'onda d'urto per cui si dequalifica qualsiasi cosa venga pubblicata, per cui si arriva a pensare che l'editoria fa schifo a prescindere e allora sicuramente "i miei temini di terza media erano meglio".

Scrivere non è un peccato, finché ci si rende conto dei propri limiti.

Scrivere per pubblicare è diverso. Il fatto che ormai non si creda al sistema editoriale in profonda crisi e netta decadenza a causa del collasso economico e della loro congenita necessità di trascinarsi in avanti dopo aver vissuto l'età dell'oro, ha portato alla nascita del self-publishing, che è un po' la versione autoriale dei musicisti che inseriscono video su youtube. Sono tanti, alcuni sono anche bravi, eppure i loro video hanno molte meno visualizzazioni di quelli di tutorial make-up e di chi fa torte e cupcake a forma di Elsa. Perché?

Perché, purtroppo, ci vogliono le strutture adeguate. Perché se ci si accontenta di avere qualche fan sfegatata (più di qualche, a volte, sia chiaro) allora quella è la via migliore, altrimenti l'editoria è ancora la risposta. Perché per quanto ci possa fare ribrezzo, è un filtro che non fa arrivare di tutto in libreria. Cosa succederebbe se venisse pubblicato di tutto? Lo vedete da voi, su internet. La gente deve smettere di scrivere? Assolutamente no.

Ma è ora di finirla di essere carini con gli amichetti. Se una cosa che hanno scritto non ha tecnica, valore e talento bisogna dirlo.

Invece il circolo vizioso che alimenta l'ambito degli scrittori di scuderia c'è anche su internet: ha pubblicato il mio amico? Lo compro subito!

Metto mi piace! È una figata!

Farà bene all'autostima di quella persona, ma non fa bene né al self-publishing, né al mondo della scrittura.

Ho partecipato due volte a IoScrittore, ho ricevuto anche commenti piuttosto duri (anche se mai del tutto negativi). Questo è quello che serve in generale a chi crede di poter essere scrittore e che tanto l'editor sarà un correttore automatico di Word. Questo è quello che serve per far capire alla gente che se vuoi omaggiare la letteratura devi prima amarla e capirla, non basta avere le dita.

Modificato da Steamdoll
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L'autore e la sua opera insomma, sia che ci sia di mezzo una CE sia che si tratti di self-publishing, sono solo un anonimo numero nei cataloghi di CE, POD e store online. L'attenzione è rivolta tutta sui consumatori che non importa cosa acquistino, purché acquistino.

E' come se insomma l'istruzione pubblica e internet siano arrivati nel momento sbagliato: invece di giungere in una congiunzione economica favorevole che permettesse loro di produrre uno sviluppo artistico-culturale senza precedenti, sono arrivate all'apice nel pieno di una crisi che ha prodotto, al contrario, il più basso livello qualitativo di mercificazione consumista della letteratura possibile (ma forse no: potrebbe piovere).

Quoto. Il Self Publishing è diventata una vetrina di "autori allo sbaraglio", ma anche l'editoria non scherza. Ci sono case editrici che non fanno editing o comunque non lo fanno come dovrebbero e i testi sono pieni di strafalcioni al pari del self publishing. Contano solo le vendite, di conseguenza si preferisce pubblicare una velina o un calciatore piuttosto che un bravo autore. Il declino dell'editoria è peggiorato con il digitale che permette di immettere a costo zero una quantità illiminata di prodotti che piacciono tanto agli amici e ai parenti dell'autore.

Alcuni editori però, non pubblicano robaccia, continuano a mantenere alto il loro standard. Penso a Sellerio, per esempio. Dovrebbero essere i lettori in primis a farsi sentire in libreria privilegiando solo le buone letture e lasciando il trash sugli scaffali.

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