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Opinioni dei professionisti (autori e redattori) sulla digressione.


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Perdonatemi,

stamattina mi sono svegliato con in testa due imperativi categorici: cercare un nuovo lavoro e capire cosa pensano gli editor sulla digressione nei testi narrativi. In particolare nei testi narrativi in prima persona. In particolare nei testi narrativi del paese da un milione (circa) di titoli l'anno. In particolare nel paese in cui, forse di conseguenza, l'asticella si abbassa sempre più...

Il Milan Kundera anziano difendeva le "licenze digressive" nei suoi romanzi. Sosteneva che se non avesse potuto "divagare" rispetto a sequenze narrative e dialoghi, non avrebbe potuto esprimere, ad esempio, la sua riflessione sul kitsch. Chiedo perché a trovare un altro lavoro da soli si fa sempre in tempo, mentre la dilagante assenza di "problematizzazioni" della realtà (anche di quella fictional) contribuiscono di molto a creare il paese che vediamo... (altro che disoccupazione: precarietà, acriticità, predominio della popolarismo da algoritmo social...).

So che sembra "na pippa", ma mi chiedo... la pratica di mettere dubbi nella testa della gente seppure in vendibilissime formule pop, è ancora in voga?

Scusate gli errori, scrivo da telefonino (e non trovo neanche un "modifica").

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