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La barca oltre la vita - Capitolo 2


PierpaoloR

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Il rumore dell’apparecchiatura di monitoraggio scandisce il tempo con un ritmo costante e monotono.
Una luce fredda illumina la stanza, il bianco delle pareti è spezzato da macchie giallastre. L’aria è satura di un odore di pesca. 
Sergio è immobile, la pelle pallida, le labbra appena socchiuse. 
Sembra così fragile, il suo respiro è lento, regolare. Gli stringo la mano, reagisce con un debole lamento. 
«Sono qui.»
Il rumore delle ruote del carrello, arriva l’infermiera; si china su Sergio, dà un’occhiata alla flebo ed esce.
«Potrebbe dirmi co–»
«Mi scusi, devo andare,» dice la donna, senza girarsi, e sparisce in fondo al corridoio.
Sergio schiude gli occhi e mi regala un debole sorriso. È ancora qui, con me.
«Giorgio...»
Mi piego su di lui, avvicino il viso al suo e lo bacio sulle labbra. «Sì, amore, sono qui. Come ti senti?» Gli accarezzo la guancia.
Rilassa la schiena al mio tocco, contrae la bocca in una smorfia di dolore. «Voglio... andare via da qui,» sussurra. «Portami... fuori, ti prego.»
«Lo farai, tu pensa a stare un po’ meglio.» 
Il bip delle macchine cambia, si fa più rapido, più acuto.
La sua mano scivola dalla mia, il corpo si tende in un arco innaturale, spalanca gli occhi, fissi sul soffitto.
Il terrore mi paralizza. «Sergio!» urlo.
Qualcuno mi afferra per le spalle, mi spinge via. Mi aggrappo a Sergio, voglio restare con lui, ma è inutile. 
Sono fuori. Chiudo gli occhi e prego con le mani tremolanti. 
Non so nemmeno a chi pregare, chiunque, basta che lo riportino indietro, che non se ne vada via da me.
Sergio è disteso, due cannule nelle narici, coperto da un lenzuolo, con un monitor vicino che scandisce i parametri vitali.
Il tempo si dilata; i secondi diventano ore.
All’improvviso, tutto tace. Le voci dei medici si abbassano, il rumore della macchina torna a quel bip... bip... regolare.
Le infermiere con le uniformi blu e mascherine, sono rivolte al macchinario e somministrano i farmaci nella flebo.
I medici si allontanano, il più anziano, con due occhiali rotondi calati sul naso, mi dà una pacca sulla spalla. «È fuori pericolo. Siamo riusciti a riportarlo indietro.»
Mi precipito al suo fianco. Gli occhi di Sergio sono chiusi, il suo petto si solleva piano. Gli stringo di nuovo la mano, più forte stavolta. Ho paura di lasciarlo andare.
«Giorgio...» dice, la voce appena udibile. «Sai... dove sono stato?»
Scuoto la testa. «Dove?»
«Vedevo le due infermiere e i dottori dall’alto, tu, invece, pregavi fuori dalla porta. Poi mi sono ritrovato sulla barca.» I suoi occhi si illuminano appena. «Era tutto tranquillo... il mare calmo. E io... io sapevo che tutto sarebbe andato bene.» Si interrompe, tossisce. «Una barca a vela, come l’abbiamo sognata. L’acqua era calma, con leggere increspature sulla superficie, rifletteva l’arancione e il blu del cielo.»
Socchiude gli occhi.
Lo smuovo. «Sergio,» grido.
Ha uno scatto improvviso. «In lontananza, si intravedevano le sagome scure di colline delineate appena dalla luce residua del giorno.»
«Mi raggiungerai. E saremo insieme sulla nostra barca. Lontani da tutti, lontani da qui.»
Le sue parole mi si piantano nel petto.
Dà un battito di ciglia. «Un giorno... sarò lì, ad aspettarti. Verrai da me? Lo prometti?»
Chiude gli occhi, un sorriso appena accennato gli increspa le labbra.
Gli accarezzo i capelli. «Sei arrivato, amore,» sussurro, la voce che mi si rompe in gola. «Te lo prometto, aspettami.»
Il mio uomo non risponde, il suo respiro si fa sempre più debole.
Appoggio la fronte alla sua, un’ombra passa sul volto di Sergio, i suoi occhi si spengono, opachi. Il monitor emette un suono acuto e continuo; tace.
Nella stanza arriva l’infermiera. «Vada fuori,» urla.
Tutto intorno a me si dissolve.

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