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La barca oltre la vita - Capitolo 1


PierpaoloR

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Buongiorno, mare. Grazie per avermi lasciato andare quando ero fragile.

Socchiudo gli occhi allo sciabordio delle onde. I granelli bianchi rotolano, spinti su per la battigia.
«Giorgio!» urla Sergio. «Vieni a fare il bagno.» Sputa sul vetro della maschera.
«Più tardi, forse.»
La schiuma, ritirandosi, deposita una striscia scura di posidonia che serpeggia lungo le delicate curve della costa. Il sole bacia la pelle, la brezza scivola sui frangenti, portando con sé il profumo del mare.
Sergio corre da me, si mette sopra, a gambe aperte e gocce gelide d’acqua mi cadono sul ventre. 
«Ti sei già stufato di rompere le scatole ai poveri pesci?» 
Si china e mi bacia. «Vedi di farti la barba, poi ti resta il segno.»
«Pensa alla tua.»
Si sdraia accanto, con gli occhi chiusi, la testa sui palmi e un sorriso leggero, appena accennato. Si gira su un fianco, i capelli gli scivolano sul viso, coprendo la cicatrice sullo zigomo che mi fa impazzire.
Schiude le palpebre e sospira. «Questa è vita, eh?» Solleva una mano verso il cielo limpido. «È il paradiso e potrei rimanere qui per sempre.»
Due vele gonfie spuntano dalle onde, la prua punta all’isola piana.
«Potremmo farlo.» Mi sollevo sui gomiti. «Compriamo una barca, via da tutto e tutti.»
Sergio ride. «Sì, solo per noi, senza stress.» Si volta sul golfo dell’Asinara, gli occhi seguono le linee dell’orizzonte. «Svegliarsi ogni mattina con questo panorama, il sole che ci saluta sull’acqua e noi... liberi.» Lascia scivolare la sabbia tra le dita, il suo profilo si staglia nitido contro il blu del cielo.
Mi siedo, incrocio le gambe e afferro la borsa frigo. «Allora facciamolo davvero.» Prendo due birre. «Non sto scherzando. Compriamo una barca e giriamo la Sardegna. Ci fermiamo dove ci va.»
Due bambine e un bambino sono accovacciati accanto a tre castelli di sabbia.
«Dici davvero?» Solleva un sopracciglio e dà un buffetto alla spalla. «Tu e le tue idee pazze.» Si fa serio, il sorriso più dolce. «Sì, mi piacerebbe davvero. Io, te e una barca nel Mediterraneo.» Si tira su, si avvicina e appoggia la fronte contro la mia. «Un giorno lo faremo.»
Apro la lattina e gliela passo. «Ci riusciremo, vedrai.» Sergio si mette in piedi, scrolla via la sabbia dall’asciugamano e lo posa, si lascia cadere all’indietro aprendo le braccia. Lo osservo per qualche secondo e mi sdraio accanto a lui. Le nostre dita si intrecciano, restiamo così, con la cantilena del mare interrotta dalle urla dei gabbiani in cerca di cibo.

***

Mi siedo sul divano e scruto l’interno della teca. Dentro, i ragni si muovono lenti sui rami secchi che Sergio ha disposto a diversi livelli, incastrati l’uno sull’altro, formando piccoli nascondigli e passaggi. Stare vicino a loro mi mette a disagio.
«Stai tremando.» La voce di Sergio è calma. Mi accarezza la guancia. «Vuoi che li tolga dalla stanza?» 
«No, no...» Sbuffo. «È solo che... non capisco come fai a trovarti bene con queste bestie.»
«Se avessi la tua allergia forse neanche io li adorerei così tanto.» I suoi occhi brillano nel riflesso del vetro. «Ma non ti faranno niente, promesso.»
«Certo. E poi, una sera, mentre dormiamo, uno scappa e viene a darmi il bacio della buonanotte.»
Ride. «Sono chiusi bene, non hai nulla da temere.» Solleva il coperchio, rivelando un ragno nero, lucido. «Questo è uno dei più pericolosi per te.» Mi lancia uno sguardo. «Non male, vero?»
«A me sembra un incubo a otto zampe.» La pelle d’oca corre lungo le braccia. «Perché tenerne uno in casa?»
Sfiora il vetro con le dita. «In foto non è la stessa cosa. Non vedi come si muovono, come reagiscono. Sono eleganti, perfetti. Creature che pochi capiscono.»
All’interno, il mostriciattolo solleva due zampe.
«Certo, ma c’è differenza tra capirne uno e tenerlo come animale domestico, no?»
Mi stringe a sé e mi bacia. «Ho sempre avuto gusti particolari.» Mi squadra da capo a piedi. E tu ne sei la prova.» Ridacchia.
«Che simpatico.»
Si avvicina. «Ho una cosa per te. Chiudi gli occhi.»
Rumore di carta; sta aprendo un pacco. Cosa ci sarà?
«Puoi aprirli,» dice.
Davanti a me appare un modellino di barca a vela. «È bellissima. E questa?»
«Sarà la nostra casa, è così che l’ho immaginata, ed è così che la farò costruire.» Posa il modellino sul comò e si sdraia accanto, appoggiando la testa sulla mia coscia.
«Stanno per arrivare i nostri amici.»
Ci sono tutti. Sgombero il tavolino di legno scuro dalla pila di libri, rimuovo il segnalibro e ripongo Space Mission Analysis and Design sulla mensola. Al loro posto, dispongo i piattini con salatini, olive e tramezzini al centro. 
Ci sediamo attorno al tavolo.
«Sì, certo che hai vinto tu,» dice Francesca, scuotendo la testa e versando altro vino nel bicchiere di Sergio. «Ma vorrei proprio sapere come hai fatto a convincere quel vecchio con la bancarella di pesce che i tuoi due ficus sono bonsai!»
Sergio alza le mani. «Gli ho solo detto che erano della mia collezione privata. Se poi lui ha creduto che valessero così tanto... beh, non è colpa mia.»
Alessio, dall’altra parte del tavolo, si piega in avanti. «Ah, sei sempre il solito, Sergio! Riusciresti a vendere acqua di mare ai pescatori.» Si gira verso di me. «Sei fortunato, Giorgio, lo sai, vero?»
Mi appoggio allo schienale della sedia, con un bicchiere di vino tra le dita. «Certo, lo so.»
Francesca sorride e aggiusta i capelli arruffati, Alessio gesticola come farebbe un pittore davanti alla sua tela. E Sergio... beh, Sergio illumina tutto, come sempre.
Mi alzo per portare via i piatti vuoti. Sergio mi afferra il polso, facendomi girare. «Dove vai? Lascia stare, siediti. La domenica è fatta per rilassarsi, non per fare il cameriere.»
Mi siedo e spingo i piatti al centro del tavolo. «Qualcuno dovrà pur farlo.»
Francesca si distende sul divano e poggia i piedi sullo sgabello. «Ci penserà Alessio,» dice, puntando un dito su di lui. «Dopotutto, ha mangiato come se non ci fosse un domani.»
Alessio fa una smorfia e incrocia le braccia al petto. «Ehi, un momento! Io sono l’ospite.» Scuote la testa. «Non so voi, ma io voto per far pulire Giorgio. Lui è sempre così organizzato... sempre preciso, no?»
Faccio spallucce. «È quello che stavo facendo.»
Sergio ride, si avvicina e mi sussurra all’orecchio. «Ti amo quando fingi di darmi retta, ma alla fine fai come vuoi.» Mi bacia sulla guancia. «Questa barba inizia a pungere.»
Il suo respiro caldo mi sfiora il collo. «Pensa alla tua.»
Alessio si sporge sulla sedia e indica lo strumento appoggiato contro il muro. «Ehi, Sergio, non è ora di tirar fuori quella chitarra?»
Sergio mi lancia uno sguardo e si alza, allungando la mano, non ci arriva. Alessio lo anticipa urtando il comò, il modellino della barca dondola pericolosamente, sta per cadere. 
Sergio si alza di scatto e la prende al volo. «Okay, ma niente richieste strane.»
Mi giro verso Alessio. «Hai rischiato la vita, se avessi rotto quel modellino ti avrei ucciso.»
Alessio spalanca gli occhi. «Esagerato, per una barca.»
«Non è solo una barca, è la Barca.»
Francesca si alza, apre il congelatore e prende la bottiglia di mirto. «Chi ne vuole un po’?» Passa lo straccio asciutto sul vetro ricoperto di brina.
«Fa' come se fossi a cassa tua eh!» Mi accomodo meglio sulla sedia. «Per me solo un goccio.»
Sergio inizia a suonare; le prime note sono lente, delicate, la sua voce si unisce alla melodia, morbida e calda. Alessio batte le mani a ritmo sulle cosce, Francesca canta il ritornello con il bicchierino in mano.
Sergio ha la testa leggermente piegata e gli occhi socchiusi. 
Ecco il futuro che vorrei: le domeniche da passare insieme, a ridere, cantare, a vivere. Mi sembra tutto così semplice. Le cose semplici sono le più difficili da ottenere.
La canzone finisce con una nota lunga, stonata; a nessuno di noi importa. Sergio si appoggia allo schienale e mi guarda con quel suo sorriso furbo, che trova il modo di rilassarmi e farmi stare bene. «Giorgio,» dice. «La felicità è tutta qui. Un po’ di vino, gli amici, e qualcuno da amare.»

***

Le candele sono ormai alla fine, il loro profumo di vaniglia si è diffuso in tutto il soggiorno. La luce illumina i quadri e i libri sparsi sulle mensole. Seduto sul tappeto con Sergio, la bottiglia di vino tra di noi, i bicchieri abbandonati accanto ai piatti sporchi della cena.
Ha la testa leggermente inclinata all’indietro, i capelli ricci sfiorano le spalle.
«Ricordami domani di sfilare il bastone dal culo di Marta.»
Scoppia a ridere e mi spinge con la mano. «Sempre serio, e poi te ne esci con queste cavolate.»
«È lei che mi fa uscire di testa. Possiamo licenziarla, ti prego.»
Le sue labbra sfiorano il mio collo, si spostano sulla guancia. Le dita si infilano tra i miei capelli, e i suoi occhi mi fissano con quell’intensità che mi fa sentire unico.
Mi lascio andare, lo abbraccio forte, le nostre mani scivolano l’una sull’altra, cerco ogni millimetro di lui. Sbottono la sua camicia; il corpo è caldo contro il mio, i nostri respiri si incontrano, affannati.
Lo bacio, e lui risponde con una fame che mi fa perdere la testa. Le sue dita si fanno più veloci, e la mia bocca scende lungo il suo torace. Sergio si blocca. Si irrigidisce. Si porta una mano al petto e mi guarda, gli occhi vuoti.
«Tutto a posto?» 
«Sto... sto bene.» La sua voce trema e il volto diventa pallido in un istante.
Mi ritraggo. «Sergio!» 
Lui si piega in avanti: una mano stringe il tappetto, l’altra si aggrappa a me. Si alza, barcolla, urta il comò, e rovescia il diffusore, il profumo di pesca invade la stanza. Il vaso con l’orchidea cade sul pavimento, mandandolo in frantumi.
«Sergio!» Lo scuoto. Piega la testa all’indietro, gli occhi spalancati, persi nel vuoto. 
Non risponde e respira a fatica.
Corro in cucina, afferro il telefono con mani tremanti e digito il numero dell’ambulanza.
«Per favore, venite subito... il mio ragazzo... non riesce a respirare, ha dolore al petto... non so cosa fare, per favore, fate presto!»
Torno da lui, mi inginocchio accanto al suo corpo; le labbra bianche, chiude gli occhi.
«Sergio, per favore... stai con me. Respira, ti prego... l’ambulanza sta arrivando.»
Le lacrime cadono senza sosta; non posso perderlo, non ora, non così.
Sergio apre gli occhi per un istante; le labbra si aprono appena, senza produrre un suono. Le dita cercano la mia mano, gliela stringo forte.
Ogni secondo è un’eternità. La sirena dell’ambulanza arriva ovattata.
«Non mi lasciare, ti prego, resta con me...»
Finalmente la porta si spalanca; irrompono le ombre dei paramedici che corrono da noi. Lo sollevano, gli parlano, gli danno ossigeno, ma io non capisco niente.
Lo portano via. Resto in ginocchio, solo.

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