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[Parte 1] Nera ed Erna


Enrico

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Rombi impetuosi riempiono l’aria circostante. Apro gli occhi di soprassalto; una folgore attraversa il cielo seguita dal fragoroso boato che cambia la pressione dell’aria, con la sua onda d’urto.

«Amore hai sentito? Che bomba!» Con una mano sondo sotto le lenzuola raggrinzite ma nessuno risponde.

«Erna ci sei?» Quasi urlando, per superare il frastuono della pioggia che percuote la grande porta finestra.

La camera da letto, celata alla tempesta da una tenda porpora pesante, damascata, profumata d’incenso. Lampi di luce l’attraversano ed è scossa da possenti tuoni. La mano non raggiunge ciò che cerca. «Maledetta quella…» Scendo dal letto sbattendo il ginocchio contro il comodino di mogano intagliato, ricoperto dai mosaici di madreperla. Il tappeto morbido sotto i piedi mi da sicurezza, mentre cerco le ciabatte. Quando sono pronto e dopo aver messo una vestaglia malconcia, esco sul corridoio del piano superiore; il frastuono sembra aumentare e i fulmini che solcano il cielo, fanno capolino dai grossi finestroni, illuminando tutto il piano inferiore. Resto lì per un attimo, ammiro gli effetti spettrali e magnetici della ridente domenica iniziata nel migliore dei modi: solo, dolorante e spaventato.

Scendo le scale, che gemono come le ossa stanche di una vecchietta, ed è proprio così! Abbiamo comprata la casa ad inizio anno, perché siamo stati affascinati dal suo carattere rustico ed esotico, oltre che dalla vista unica. A pochi metri da una scogliera a strapiombo sull’oceano. Costruita ad inizio secolo scorso, mantiene una struttura solida ed in ottimo stato…mai a pensare che quando soffia il vento, e soffia molto spesso, gli alberi sembrano chinarsi al loro Dio, così come la casa stessa. Quando piove, un rullante impazzito suona un pezzo Power-Speed Metal anni ‘80, accompagnato da una grancassa di tuoni. Ma la nostra vecchietta ci dona paesaggi memorabili, soprattutto dalla terrazza privata della camera da letto che condivido con la mia compagna, attualmente dispersa.

«Ernanda! Ma dove sei?» Scendo al pianterreno, vado in bagno evitando un'esplosione di vescica, controllo il salotto e cucina: niente! Rifaccio il giro, arrivo alla cantina, la porta è aperta e cigola sui gangheri, come una querula sacrestana, che conta le misere offerte della celebrazione appena finita. L’odore pungente del tabacco imbottigliato ed infilzato dai bastoncini diffusori, arriva troppo forte; scendo a controllare. Nella cantina, il tanfo di umidità misto a salsedine sale dal pavimento di pietra, e solo con un'essenza così decisa abbiamo risolto parzialmente quel fastidioso accidente. La lampadina diffonde una luce calda tremula, tra scatoloni ancora sigillati ed ammassati in un angolo, attrezzi idraulici abbandonati a sé stessi e una pila disordinata di libri, giace inerte e mezza vuota, la boccetta di profumatore d’ambienti.

«Nera? piccola palla di pelo patuffolosa…vieni da papà che ti concia a mo’ di scendiletto!» Sorrido, adoro profondamente la mia bimba nera come la notte, dal petto solcato da uno spicchio di luna candida. La fantasia del nome la dice lunga su di me.

Trovai la gatta un giorno di fine estate - forse il giorno di San Giovanni - che grattava disperata la porta di ingresso. La mia compagna avrebbe dovuto essere lì, ma come succede di frequente, a quanto pare, si lascia desiderare…

Ho chiamato la gatta, Nera, non solo per il suo colore ma perché mi ricorda, con la sue movenze sinuose, la curiosità e l’indipendenza, la mia amata Ernanda, per di più le prime quattro lettere del suo nome ne compongono l’anagramma. So per certo che le donne di casa si odiano! Non le ho mai viste insieme nella stessa stanza; se Erna viene ad abbracciarmi sul divano, poco prima avevo finito di torturare di coccole la mia massaggiatrice artigliata. E quando la donna della mia vita sale per un riposino, sento trillare - in cerca di grattini - la piccola Nera alle mie spalle, mentre finisco di lavare i piatti.

«Piccola maledetta, se ti prendo ti massacro di coccole!»

Raccolgo il diffusore e tampono con un fazzoletto il liquido fuoriuscito. Quando alzo lo sguardo, sento dell’aria sul viso provenire da una parete coperta da una libreria riempita a metà. Nell’alito gelido, aneliti confusi arrivano soffocati. Inizialmente penso che la pioggia riecheggi in qualche anfratto della stanza, ma poggiando una mano sullo scaffale, si apre un varco su un contorto ed oscuro cunicolo. Balzo in dietro col battito che mi gonfia la giugulare. Cerco in un angolo con la mano, che si muove automaticamente fino a trovare la fredda canna del fucile; lo afferro e torno concentrato. Raccolgo da uno scatolone aperto la torcia elettrica, ma quando spingo l’interruttore, la luce appare e scompare come un’ossessa. Dopo un paio di colpi al vano batterie si allerta anche lei. Spingo con la canna grigia la libreria, blocco la torcia vicino al grilletto e poggiò il calcio alla spalla.

 

 

 

Modificato da *Celaena*
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12 ore fa, Enrico ha scritto:

Rombi impetuosi riempiono l’aria circostante. Apro gli occhi di soprassalto; una folgore attraversa il cielo seguita dal fragoroso boato che cambia la pressione dell’aria, con la sua onda d’urto.

«Amore hai sentito? Che bomba!» Con una mano sondo sotto le lenzuola raggrinzite ma nessuno risponde.

«Erna ci sei?» Quasi urlando, per superare il frastuono della pioggia che percuote la grande porta finestra.

La camera da letto, celata alla tempesta da una tenda porpora pesante, damascata, profumata d’incenso. Lampi di luce l’attraversano ed è scossa da possenti tuoni. La mano non raggiunge ciò che cerca. «Maledetta quella…» Scendo dal letto sbattendo il ginocchio contro il comodino di mogano intagliato, ricoperto dai mosaici di madreperla. Il tappeto morbido sotto i piedi mi da sicurezza, mentre cerco le ciabatte. Quando sono pronto e dopo aver messo una vestaglia malconcia, esco sul corridoio del piano superiore; il frastuono sembra aumentare e i fulmini che solcano il cielo, fanno capolino dai grossi finestroni, illuminando tutto il piano inferiore. Resto lì per un attimo, ammiro gli effetti spettrali e magnetici della ridente domenica iniziata nel migliore dei modi: solo, dolorante e spaventato.

Scendo le scale, che gemono come le ossa stanche di una vecchietta, ed è proprio così! Abbiamo comprata la casa ad inizio anno, perché siamo stati affascinati dal suo carattere rustico ed esotico, oltre che dalla vista unica. A pochi metri da una scogliera a strapiombo sull’oceano. Costruita ad inizio secolo scorso, mantiene una struttura solida ed in ottimo stato…mai a pensare che quando soffia il vento, e soffia molto spesso, gli alberi sembrano chinarsi al loro Dio, così come la casa stessa. Quando piove, un rullante impazzito suona un pezzo Power-Speed Metal anni ‘80, accompagnato da una grancassa di tuoni. Ma la nostra vecchietta ci dona paesaggi memorabili, soprattutto dalla terrazza privata della camera da letto che condivido con la mia compagna, attualmente dispersa.

«Ernanda! Ma dove sei?» Scendo al pianterreno, vado in bagno evitando un'esplosione di vescica, controllo il salotto e cucina: niente! Rifaccio il giro, arrivo alla cantina, la porta è aperta e cigola sui gangheri, come una querula sacrestana, che conta le misere offerte della celebrazione appena finita. L’odore pungente del tabacco imbottigliato ed infilzato dai bastoncini diffusori, arriva troppo forte; scendo a controllare. Nella cantina, il tanfo di umidità misto a salsedine sale dal pavimento di pietra, e solo con un'essenza così decisa abbiamo risolto parzialmente quel fastidioso accidente. La lampadina diffonde una luce calda tremula, tra scatoloni ancora sigillati ed ammassati in un angolo, attrezzi idraulici abbandonati a sé stessi e una pila disordinata di libri, giace inerte e mezza vuota, la boccetta di profumatore d’ambienti.

«Nera? piccola palla di pelo patuffolosa…vieni da papà che ti concia a mo’ di scendiletto!» Sorrido, adoro profondamente la mia bimba nera come la notte, dal petto solcato da uno spicchio di luna candida. La fantasia del nome la dice lunga su di me.

Trovai la gatta un giorno di fine estate - forse il giorno di San Giovanni - che grattava disperata la porta di ingresso. La mia compagna avrebbe dovuto essere lì, ma come succede di frequente, a quanto pare, si lascia desiderare…

Ho chiamato la gatta, Nera, non solo per il suo colore ma perché mi ricorda, con la sue movenze sinuose, la curiosità e l’indipendenza, la mia amata Ernanda, per di più le prime quattro lettere del suo nome ne compongono l’anagramma. So per certo che le donne di casa si odiano! Non le ho mai viste insieme nella stessa stanza; se Erna viene ad abbracciarmi sul divano, poco prima avevo finito di torturare di coccole la mia massaggiatrice artigliata. E quando la donna della mia vita sale per un riposino, sento trillare - in cerca di grattini - la piccola Nera alle mie spalle, mentre finisco di lavare i piatti.

«Piccola maledetta, se ti prendo ti massacro di coccole!»

Raccolgo il diffusore e tampono con un fazzoletto il liquido fuoriuscito. Quando alzo lo sguardo, sento dell’aria sul viso provenire da una parete coperta da una libreria riempita a metà. Nell’alito gelido, aneliti confusi arrivano soffocati. Inizialmente penso che la pioggia riecheggi in qualche anfratto della stanza, ma poggiando una mano sullo scaffale, si apre un varco su un contorto ed oscuro cunicolo. Balzo in dietro col battito che mi gonfia la giugulare. Cerco in un angolo con la mano, che si muove automaticamente fino a trovare la fredda canna del fucile; lo afferro e torno concentrato. Raccolgo da uno scatolone aperto la torcia elettrica, ma quando spingo l’interruttore, la luce appare e scompare come un’ossessa. Dopo un paio di colpi al vano batterie si allerta anche lei. Spingo con la canna grigia la libreria, blocco la torcia vicino al grilletto e poggiò il calcio alla spalla.

Davvero davvero bellissimo. Complimenti 👏

 

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