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[Capitolo 5] Carlo, il padre indifferente


Xx98

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Sono le sei del pomeriggio. Ci troviamo al Good Cafe, il bar preferito di mio padre. Questa è la prima volta che mi invita a prendere qualcosa insieme. Ordino al titolare un cappuccino, Carlo un caffè espresso. Mentre ognuno di noi beve la propria bevanda, iniziamo a chiacchierare del più e del meno, come in un normale rapporto tra genitore e figlio. 

 

«Sei stanco, Manuel?»

«Giusto un po'.»

«Beh, è normale. In fondo questa è la tua prima giornata lavorativa. A poco poco ci farai l'abitudine, fidati.»

«Grazie!»

Carlo mi guarda con un'aria un po' sbalordita, come se avessi detto qualcosa di strano. 

«Grazie? E per cosa?»

«Per aver messo una buona parola per me con il tuo capo. Lo sai, no? A Vorigo trovare lavoro, e soprattutto tenerselo stretto, è difficile.»

«Era il minimo che potessi fare. Anche se, per quanto possa sembrare strano, non è la prima volta che metto una buona parole per te.»

«Dici? Eppure ogni volta che ripenso ai momenti in cui eri distaccato, mi vengono in mente solo le tue frequenti assenze, quando giocavo a calcio da ragazzino, ad esempio. Solo una volta eri venuto a trovarmi, e te ne sei andato subito. Lo ricordo perché era lo stesso giorno in cui ho smesso definitivamente.»

«Però, ecco, ti avevo iscritto io lì. E sempre io ti accompagnavo e prendevo a calcio. Così come ogni mattina a scuola»

 

Proprio in quel momento preciso arriva il cameriere che porta via i bicchieri di plastica e le tazzine.

 

«Non mi riferisco a quello. Parlo di come, nonostante ciò, mancavi ad ogni allenamento, partita e, in sostanza, del tuo scarso interesse in generale. La differenza tra adesso e quei momenti è proprio questa.»

 

«Cioè?»

«Quando acconsentivi alle mie richieste, o ti presentavi alle riunioni scolastiche, vedevo come per te o erano momenti in cui non potevi mancare ai tuoi doveri o per tenermi il più distante possibile. Adesso, invece, sento più partecipazione nei miei confronti, una vera mano. È l'approccio ad essere diverso, ecco...»

«Capisco.»

 

Dal taschino del camice, Carlo inizia a tirare il pacco di Malboro rosse, accendo una sigaretta, mentre io guardo le mie mani sporche di vernice e penso al futuro. Rifletto su questi anni persi ad oziare dopo il diploma e se questo nuovo inizio poteva dare dei risultati. 

Non ho il tempo di continuare a pensare che sento la voce acuta del vecchio dire qualcosa: «Comunque, so che continuare a scusarsi non risolverà le cose, motivo per cui sto provando a rimediare»

«Si»

«Dimmi, hai ancora intenzione di fare il ragioniere?»

«Certo! Proprio per questo mi sto dando da fare e sempre per il medesimo motivo, due anni fa, ti avevo chiesto di aiutarmi.»

«Bene. Andiamo a casa?»

 

Tornati a casa, Carlo chiude la porta e mi dice di seguirlo in cucina. Senza rendermene conto tira fuori circa quattrocento euro. 

 

«Tieni. Sono soldi che avevo messo da parte. So che non è sufficiente per pagare complessivamente le varie spese universitarie, ma credo siano abbastanza per iniziare ad iscriverti a Settembre.»

 

«Ma... ma... perché? Ti ho già ringraziato per l'aiuto, ora tocca darmi da fare. Non voglio essere mantenuto e gradirei...»

Carlo interrompe il mio discorso mettendo una mano sulla mia spalla. 

 

«Ascolta, Manuel. Quello che dici ti fa onore e nessuno, tantomeno io, ti impedirà di continuare a lavorare per pagarti gli studi. Però, permettimi di aiutarti il meglio che posso. Non voglio sforzarmi di fare quello che non ho mai fatto per tutto questo tempo. No. Voglio aiutarti davvero. Voglio riparare alla mia assenza in maniera concreta.»

«Ti voglio bene, papà»

«Anch'io, Manuel», frase accompagnata da un nostro abbraccio.

 

Dalle sue parole avverto davvero un affetto sincero. Sono felice perché finalmente quella indifferenza se ne era andata per sempre. Felice perché finalmente Carlo non era più indifferente. 

Fine. 

 

 

 

 

 

 

 

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  • 2 settimane dopo...
Il 10/7/2022 at 22:20, Xx98 ha scritto:

non è la prima volta che metto una buona parole per te

parola

Il 10/7/2022 at 22:20, Xx98 ha scritto:

Fine

No, un c***o! Per niente!

E me lo chiudi così? Un po' come dire, ero infelice ora non lo sono più.

Procediamo per ordine: dall'oggi al domani il papà prodigo torna a casa e si mette a fare il papà. Va bene, dopo una vita passata ad essere ignorato il protagonista lo perdona e lo accoglie a braccia aperte (io non so se l'avrei fatto).

Il cambiamento a cosa è dovuto? A un sogno? E così, con la facilità con cui si ruota un selettore dalla modalità "padre indifferente" a quella "padre premuroso", il papi mi diventa buono e partecipe? Sì, ci può stare... in un mondo di pura fantasia. Non è solo una questione di stile dipo rendere più avivncente il racconto; è che proprio non si cambia così dall'oggi al domani.

Una relazione che è sprofondata in un tale abisso ha bisogno di tempo e impegno per risalire la china.

Il 10/7/2022 at 22:20, Xx98 ha scritto:

Non voglio essere mantenuto e gradirei...

Be' in tutti gli anni che ha passato a osservare l'imbiancatura del soffitto con quali soldi ha  mangiato?

Questo più che un racconto può essere un buon soggetto per un qualcosa di più corposo. Fossi in te ci farei un pensierino.

Occhio però ai tempi del verbo che, se non ricordo male, ogni tanto sono cambiati.

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Non lo so, a me sembra di capire che in questo racconto non si salvi nulla, se non forse l'idea di base, e quindi non solo per quanto riguarda il "finale" (il quale effettivamente non ha convinto per nulla neanche me, così come tante altre parti).  Grazie sempre delle tue osservazioni. 

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È proprio dall'idea di base che puoi ripartire. Ricorda però che in un racconto c'è sempre un oggetto del desiderio che deve rimanere tale fino alla fine. Ovvero non deve essere ottenuto da nessuno fino all'ultimo.

Questo per evitare commenti tipo: e quindi?

In altre parole, la storia deve raccontare quello che succede prima che Carlo riprenda a dialogare con il figlio. Tutto quanto viene dopo è giusto una scena di chiusura.

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Entriamo nel locale,  il barista da dietro il bancone solleva una mano, mio padre si avvicina al banco, «ciao Marco, come sta Maria?»

Marco sorride e pizzica la radice del naso, «molto meglio, grazie. Ti preparo il solito? E per lui?»

Mio padre mi guarda, solleva gli occhi al soffitto e passa le dita sul mento, «per me sì, mio figlio non so cosa prende, chiedo».

 

Saluta il barista per nome, gli chiede di Maria e li prepara il solito. Non ho scritto che è il bar preferito del padre, non c’è l’autore che lo spiega ma ho costruito una scena dove si vede che è un locale abituale.

Mio padre mi guarda e passa le dita sul mento, «per me sì, mio figlio non so cosa prende, chiedo»

Non dico che è la prima volta che lo invita a bere insieme, costruisco una scena dove il padre non sa cosa il figlio prende di solito, quindi o è la prima volta o non vanno spesso. Non ho aggiunto descrizioni del locale, che sono da fare perché entri per la prima volta, più descrivi e più osservi i dettagli, meno descrivi e meno osservi o sei gi stato lì. E anche se il lettore pensa ad altro scenario va comunque bene. Il lettore deve costruire il suo film mentale.

Solo un esempio. 

 

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