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Cosa ne pensate (sinceramente) del Self publishing?


Mattia Alari

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22 minuti fa, Serena Carlucci ha scritto:

La ritengo un’ottima soluzione se studiata, un ottimo trampolino di lancio. Vi faccio un esempio: una mia autrice ha pubblicato in self vendendo in due mesi 2500 copie. È stata notata da tre case editrici big e ha da poco firmato con la Salani. 

Per vendere in due mesi 2500 deve essere una super social che si piazza alla grandissima da sola. Deve pure avere soldi da spendere "nella filiera", più o meno quello che fa prosperare certi mestieri.
Diversamente il self non ti lancia se non in un bidone della spazzatura.
Ho aperto questo topic da mesi e ho due amici che intanto hanno provato, convinti di potersi gestire in autonomia l'impresa. Beh... come prevedevo è stato UN DISASTRO. Siamo sempre lì: non avevano abbastanza da spendere in nessun senso (tempo e soldi) e questo prima del resto.
No, il self non è una via facile e per me è sempre un ripiego o il trampolino di lancio di chi può, perché non tutti hanno tempo (e voglia) di fare operazioni del genere (essere sempre visibili, essere ovunque, pagare per editing, uffici stampa e magari per l'agente che ti rappresenti...).

Se poi è solo LA VENDITA a renderti appetibile (la tua capacità di piazzarti, direi) allora diciamo che un esordiente puro, senza un seguito social (e soldi da spendersi addosso, diciamolo pure) non verrà mai considerato anche se in possesso di un grandissimo talento.
Ma lo scouting VERO è ormai finito in soffitta?
Me lo chiedo ogni giorno, cercando di trovare qualcosa di decente da leggere in mezzo alla slavina di gente che "paga" (in un modo o in un altro).

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Ospite Serena Carlucci
51 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Per vendere in due mesi 2500 deve essere una super social che si piazza alla grandissima da sola. Deve pure avere soldi da spendere "nella filiera", più o meno quello che fa prosperare certi mestieri.
Diversamente il self non ti lancia se non in un bidone della spazzatura.
Ho aperto questo topic da mesi e ho due amici che intanto hanno provato, convinti di potersi gestire in autonomia l'impresa. Beh... come prevedevo è stato UN DISASTRO. Siamo sempre lì: non avevano abbastanza da spendere in nessun senso (tempo e soldi) e questo prima del resto.
No, il self non è una via facile e per me è sempre un ripiego o il trampolino di lancio di chi può, perché non tutti hanno tempo (e voglia) di fare operazioni del genere (essere sempre visibili, essere ovunque, pagare per editing, uffici stampa e magari per l'agente che ti rappresenti...).

Se poi è solo LA VENDITA a renderti appetibile (la tua capacità di piazzarti, direi) allora diciamo che un esordiente puro, senza un seguito social (e soldi da spendersi addosso, diciamolo pure) non verrà mai considerato anche se in possesso di un grandissimo talento.
Ma lo scouting VERO è ormai finito in soffitta?
Me lo chiedo ogni giorno, cercando di trovare qualcosa di decente da leggere in mezzo alla slavina di gente che "paga" (in un modo o in un altro).

Come già detto, il self non è per tutti, è un investimento e va ponderato. Posso però assicurarti, per esperienza diretta di altri miei autori e di conoscenze nel settore, che molti emergenti vengono notati da una pubblicazione self. 

Diventa un disastro nel momento in cui questa scelta viene presa alla leggera, quando l’ intento è solo quello di vedere il proprio libro cartaceo e non si sono valutati i pro e i contro, il mercato, se ne vale davvero la pena.

Io non ritengo questa strada un ripiego, è un approccio differente. Però se non si ha voglia di costruirsi delle basi, di fidelizzare un pubblico, non si può dare la colpa a questo metodo di pubblicazione. Non c’è una formula magica in nessun caso, neanche con una pubblicazione tradizionale.

Lo scouting vero c’è, ma non è professato da tutti e mi riferisco sia alle agenzie che alle CE. 

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3 minuti fa, Serena Carlucci ha scritto:

Però se non si ha voglia di costruirsi delle basi, di fidelizzare un pubblico, non si può dare la colpa a questo metodo di pubblicazione. Non c’è una formula magica in nessun caso, neanche con una pubblicazione tradizionale.

E' un sistema che avrebbe escluso (ed esclude) autori eccellenti perché non sono grandi piazzisti di sé stessi (o non hanno molti mezzi).
Non penso sia la migliore selezione possibile. Mio punto di vista, comunque. Io farei la differenza tra la cosa "che si vende a più gente possibile" e i continuti di valore. Ma mi rendo pure conto che il mercato italiano è una disperazione e tutti scrivono ma nessuno legge quindi...
C'è gente che giustamente LAVORA anche grazie all'ambizione (più o meno motivata) di chi vuole emergere.

Personalmente ho sempre avuto ottimi riscontri in termini di "letture" e "critiche", quando ho abbandonato del mio materiale in rete. Ma non sono la persona che ha tempo o voglia di fare il tronista social quindi, se le regole sono queste, penso che non troverò mai un editore. Amen.

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Ospite Serena Carlucci

@Mattia AlariNon è tutto bianco o nero e queste non sono le regole dell’editoria, ma quelle che la società crea, cioè i lettori stessi. Ricordiamoci che un editore è prima di tutto un imprenditore e deve portare avanti un’attività, non si possono pubblicare tutti i libri proposti, non è materialmente possibile.

Siamo noi lettori a sostenere l’editoria dei numeri, preferiamo comprare letture dai big piuttosto che sostenere le piccole realtà che selezionano un dattiloscritto con cura.  I numeri dicono questo, in Italia, al momento c’è una forte vendita di libri stranieri, fantasy e romance.  Se non rientri in questa categoria le cose si complicano. È giusto? No, ma ci si adegua come in ogni altro settore. Se vuoi qualcosa provi a ottenerla nel limite delle tue capacità e possibilità.

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4 ore fa, Serena Carlucci ha scritto:

Siamo noi lettori a sostenere l’editoria dei numeri, preferiamo comprare letture dai big piuttosto che sostenere le piccole realtà che selezionano un dattiloscritto con cura.

Realtà italiana, dove la gente non legge. Non è "così". La situazione è un circolo vizioso nel quale solo pochi si rifiutano di fare il giro comodo. E la differenza è sempre data da chi "non si adegua". Non si tratta di lagnarsi ululando ovunque "non è giustooohhh!" ma di opporsi nei fatti e soprattutto di smettere di sostenere un'opinione sbagliata come fosse l'unica opzione ragionevole. ADEGUARSI. No, grazie.
Puoi avere talento e non volere scrivere fantasy, romance, young adult e roba più o meno imparentata. Sostenere che produrre "in serie" sia l'unica possibilità è sbagliato, non "il dato di fatto". Il dato di fatto è molto discutibile nella sua reale sostanza.

Se poi pensi ("visti i tempi") che per essere scrittori sia normale essere "tronisti" è un parere e come tale lo rispetto, ma l'esperienza mi insegna che il seguito che crei somiglia qualitativamente alla tua impresa e in certi casi è spaventosamente volatile e qualunquista.
Prendiamo l'esempio del cibo, tanto caro agli italiani.
La gente, nonostante tanta arroganza al proposito di capirne, mangia generalmente MALISSIMO e spesso critica cosa ben fatte sostenendole "cattive" perché cresciuta a "pasta e pomodoro della lattina" quindi molto rigida nei gusti. Le catene spaccia schifezze sono ovunque e anche in Italia hanno un grandissimo successo ma non mi sembra che cercare di fare "cucina ricercata" o comunque buona cucina sia impossibile o che i ristoranti di qualità siano stati annientati dai fastfood. E per ristoranti di qualità non intendo quelli di lusso, con clientela settoriale e sceltissima, ma luoghi dove è possibile trovare sana e ONESTA CUCINA che piace a tanti. Tutti quelli che amano davvero il cibo.
Se inizi a proporre schifezze perché LA MASSA mangia schifezze... vuol dire che non hai nessuna capacità di fare la differenza. Né pensi di essere in grado, per davvero, di trovare clienti per la tua cucina.
A tal proposito... Non so cosa scriva la tua cliente, ma se il suo libro può inquadrarsi nella "letteratura per pollastre" (la cito per la sua definizione tradotta, non è un giudizio) o "young adult" in salsa fantasy avrà un certo tipo di pubblico; Se scrive altro... Il suo seguito sarà differente.
Un pubblico che ESISTE e che potrebbe diventare anche più numeroso, se si proponessero le cose piuttosto che "nasconderle" o escluderle dal sistema "perché sì".

Ci sono una serie di luoghi comuni che trascinano l'editoria mediocre ma basta fare un salto "laterale" rispetto a ciò che si definisce con il comodissimo "così va il mondo" che ci si rende conto che certe cose non vendono semplicemente perché nessuno le propone.
Come ho detto, io ho messo in giro gratuitamente anche testi strani (ibridi) sotto vari pseudonimi e pubblicato dei racconti sulle riviste. Sinceramente ho avuto ottimi riscontri sia in termini di numero di persone che mi hanno letto e lasciato pensieri, critiche, complimenti, suggerimenti.. Che in termini di "qualità" degli stessi. Questo è poi il tipo di rapporto con il pubblico che mi piace e che non presuppone la tua presenza in una stanza (magari la parrocchia del tuo paese) con una quindicina di libri davanti sperando che si palesino i cugini di terzo grado chiamati da tua madre o i paesani curiosi.
Le presentazioni fisiche, un certo tipo di presenza social "passiva" e senza forti opinioni (per non scontentare nessun potenziale cliente) sono roba che sta per lasciare il passo ad altro.
I libri si venderanno in modo diverso, è palese. Continuare a fare impresa "vecchio stile"solo per ciò che riguarda il modo concreto di investire e procedere ma non per LA SELEZIONE dei testi (ahimè!) è semplicemente essere antiquati e incapaci di aggiornarsi.
Ma certo... L'impreditore medio medio (magari anche un po' ottuso, quello che pensa di guadagnare "sicuro") preferisce rovistare tra blog pop e paginette con più di 1000 seguaci. Questo sarebbe lo scouting? Mah.

Sarà che io sono interessato solo a leggere qualcosa di buono e che mi faccia venire in mente delle cose, che migliori la mia persona e la mia scrittura... Ma questa roba, senza essere snob, mi sembra solo favorire chi non legge. I libri della velina scaduta di turno (o del calciatore filosofoahò, magari suo marito) sono sfogliati e poi buttati. Conservati se firmati ma ho trovato pure copie autografate buttate via quindi...
E' solo... spreco di carta.
Vedi, vista la situaziona culturalmente deprimente che vi è in Italia (dove l'analfabetismo funzionale colpisce l'80% delle persone, e tornando - in vacanza grazie al cielo! - dopo due anni, mi sono accorto che purtroppo la gente non capisce quando parli e sembra sempre più inabile ad esprimere concetti che non siano "elementari") se decidi di fare l'editore e non sei una corazzata tipo la Mondadori, sostenere la necessità di vendere pattume "per vivere" è trovare una scusa per la tua mancanza di motivazioni e soprattutto per la tua carenza totale di ambizione CULTURALE.
L'editoria è un'impresa disperata, per coraggiosi e incoscienti, vista la situazione. Se poi non hai neanche la forza di proporre qualcosa che mostri la tua visione (in termini di proposta e "prospettiva") sei soltanto una persona poco acuta, vista la tipologia di impresa che hai scelto di portare avanti, che cerca di tirare su un po' di soldi da qualunque micro pulce con un paio di persone che lo seguono, sperando vanamente di fare "il botto" che regolarmente non farai.
Neanche in termini di reputazione, sia chiaro.

E continuo a dire che usare la presenza social come misura di valore fa capire ESATTAMENTE perché in giro ci sia il 90% di spazzatura (almeno riferendomi alla roba pubblicata da grandi CE e medio grandi) e perché la letteratura (parola alla quale qualcuno è diventato allergico) sia in decadenza. Una decadenza che invece non esiste, perché gli autori buoni ci sono! Solo che pubblicano in giro e spesso neanche in self ma su piattaforme gratuite, per misurare il loro gradimento ed esporsi alla critica (e non sto parlando di me). Trovo triste, ingiusto e IGNORANTE che quasi nessuno li vada a cercare. Che non emergano.

Se come autore con qualche ambizione (che non sia rifilare 100 copie ad amici e parenti) hai intenzione di testare il tuo "gradimento" con lettori veri, buttarsi sulle piattaforme gratuite è ottimo e ti dà molte indicazioni su come procedere. Ben più del self ma senza spendere soldi nella filiera e spesso fare la parte del pollo spennato (e far campare una serie di persone sulla tua eventuale presunzione di valore, magari inesistente).

Non vorrei essere frainteso: io rispetto moltissimo e ammiro tutti i professionisti che lavorano un testo (che ha sempre bisogno di interventi di vario tipo, anche tu fossi pieno di talento) ma credo che dovrebbero essere impiegati nel migliorare cose già buone piuttosto che fare la plastica a mostri senza capo né coda (e avendo fatto "il fantasma" so cosa significa). Se professionalmente qualcuno lo ritiene corretto, per me già è un disonesto. Ovviamente da un punto di vista intellettuale, sia ben inteso.

Faccio inoltre presente che il pattume neanche vende quanto si dice, ci sono fin troppi trucchetti di marketing per spingere le vendite IN DUE MESI UTILI dopo i quali il libro è quasi sempre "morto". E i libri NUOVI di grosse case editrici, a sei mesi dall'uscita, sulla bancarella a 5 euro li ho visti dieci giorni fa). 

Per me, lo scouting è qualcosa che prima si era più capaci di fare. Ora la scusa commerciale è diventata ottima per chi si annoia di investire tempo e risorse in un'impresa (e farlo davvero).
Elena Ferrante ha venduto SENZA PRESENTAZIONI.
La fantascienza era stata dichiarata morta e sepolta e invece... sta molto bene. TUTTI I GENERI sono potenzialmente vendibili e anche le cose strane ma... non vengono proposte. All'estero si producono anche romanzi gialli IN VERSI! Gli autori italiani capaci di fare "cose diverse" ci sono, sono in giro e si possono leggere ovunque e persino seguire (se hanno blog, più che paginette nelle quali si manifestano con buongiornissimikaffeee per poi spammare il loro libro tipo piazzisti isterici). Se non vengono pubblicati non è una scelta "compresibile commercialmente" ma solo una dichiarazione di complice ignoranza.
E va pure bene! Ma sarebbe giusto dichiararla per quella che è, e non usare la ragione "economica" come scusa. Non regge come si pensa.
E sicuramente non chiude il becco alla critica con argomentazioni forti.

Modificato da Mattia Alari
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  • 1 anno dopo...

Ciao! Io ho pubblicato con bookabook quindi in seguito a un crowdfunding, lasciamo perdere. Sto pensando per il prossimo libro di non perdere tempo e provare il self publishing. Ovviamente farei correggere la bozza da un professionista e poi mi impegnerei a farmi pubblicità. Se voi potete farmi chiarezza: se avete pubblicato in self publishing quali sarebbero le migliore piattaforme?

Le librerie, da quelle più importanti alle indipendenti, accettano libri non provenienti da case editrici?

Grazie!

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  • 1 mese dopo...
Il 18/2/2023 at 11:43, Feiner ha scritto:

quali sarebbero le migliore piattaforme?

 

A mio avviso la piattaforma migliore cui affidarsi è Amazon KDP.  Permette di avere il ritorno economico migliore, di avere il grado di libertà più ampio rispetto alla scelta dei professionisti cui affidarsi (perché non ti vende servizi, cosa che invece altre piattaforme fanno, con costi ridicoli e di conseguenza un risultato poco passabile) e, cosa non scontata, di pubblicare in massimo 72 ore dopo l’inserimento del libro negli store, con anche la possibilità di rendere pre-ordinabile il libro nel formato eBook (cosa che può favorire le vendite e la “scalata” delle classifiche Amazon).

Per quanto riguarda la presenza in libreria, puoi provare a chiedere un conto vendita, alcuni librai accettano, ma la cosa dipende da libraio a libraio. Più che altro, da self-publisher, per proporti a una libreria dovresti avere partita iva, altrimenti non potresti sul piano fiscale fare una manovra del genere.

Spero di esserti stata utile 😊

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39 minuti fa, Scrittoremanontroppo ha scritto:

Del self publishing non apprezzo solo il fatto che certi autori, letteralmente, prendano immagini coperte da diritti, spacciandole per proprie, senza alcun controllo 😑

Francamente è molto più preoccupante la qualità del prodotto letterario piuttosto che altro.
Da pittore posso solo trovare patetiche (ed esteticamente molto cafone, se non proprio tragicomiche) certe scelte di alcuni autori che "si fanno da soli le copertine". Va detto che purtroppo anche alcune case editrici hanno varie volte utilizzato immagini senza compensare gli artisti (anche modificandole senza il loro permesso) quindi... Figuriamoci cosa può succedere nel self (ma in genere ovunque si scambino e condividano immagini).
Quando vedo certe cose, penso solo che è stata opera della "signora Nunzia" o del "signor Beppe" di turno (oppure di gente con pseudonimi tipo Impavida_baby4evah69) autori di qualcosa che è bene scartare a priori perché è ESATTAMENTE quello che sembra.

Modificato da Mattia Alari
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  • 3 mesi dopo...

 

Mi sto interessando al mondo del self publishing, in quanto, la strada per chi è alle prime pubblicazioni, resta il dover spesso far affidamento a dei micro editori. Invece, pubblicare con una big, senza avere già un buon seguito, può essere addirittura deleterio. Perciò, nelle varie sperimentazioni che un’artista deve seguire, ci sta benissimo anche auto pubblicarsi, anche solo per rendersi conto di alcune dinamiche del mercato editoriale. In generale, quindi, non penso male del self publishing, sicuramente, è un’attività che “nasce senza tanti filtri”, perché poi ci vorrebbe qualcuno che legge e giudica questi libri. Certamente, la vincita di un concorso o la recensione di una persona competente può essere già un’ottima cosa. Le recensioni negative, però, sono davvero difficili da trovare… E la “critica” sembra solo la promozione di un prodotto. Io penso che bisognerebbe avere molto più coraggio nell’esprimere le proprio idee, quando poi queste sono riportate con la giusta educazione e sostenute dalle prove, si ha il pieno diritto di esprimere un’opinione. Naturalmente, dove c’è un diritto c’è anche un dovere, almeno due andrebbero citati: 1) Il dovere di rispettare i diritti o la reputazione altrui (riferito al nostro caso, si dovrebbe parlare del libro e non dei vizi o virtù di chi l’ha scritto, soprattutto, quando poi si arriva a illazioni o diffamazioni; 2) La protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico. Scrivere perché ci ha disgustato un libro di Moccia, non è reato.

Il self publishing, in definitiva, è un’altra possibilità per arrivare ai lettori, perché sono sempre loro gli “utilizzatori finali” del prodotto. Resta, quindi, una gara sperando che parta il “famoso passa parola”, perché i libri belli devono essere consigliati, altrimenti, non avremmo nemmeno i nostri amati “classici”. Bisogna, inoltre, valutare l’investimento dietro quest’impresa, impossibile che si possa fare tutto senza spendere nulla, la soluzione ideale sarebbe trovare altri professionisti (editor, grafici ed ecc.) che vogliano mettersi in gioco, sposino il progetto, perché ci credono e poi, in base ai ricavi, ottenere il giusto compenso. Questa però non è la realtà, bisogna anticipare tutte le spese, cosa non sempre possibile. Strano, comunque, non trovare altri professionisti sconosciuti che siano “coraggiosi” come i self publisher. Pure qui sul forum, nella sezione “salotto professionisti”, nessuno offre questa possibilità. Una volta chiesi a un illustratore, se una volta letto il mio romanzo, avesse voglia di rappresentare la mia storia a fumetti. Ero presa un po’ dalla moda “Zerocalcare”, convinta, comunque, che oltre alla storia conti anche la capacità di saperla rappresentare graficamente. Niente, il professionista in questione non aveva il “coraggio” di lavorare e poi farsi pagare in base al reale valore commerciale della sua opera. A questo punto, io penso, che siano proprio gli autori a stabilire alcune dinamiche di mercato (il luogo dove avviene domanda e offerta) e che senza un “sindacato”, un “collettivo”, capace di stabilire delle regole, una per tutti di evitare gli editori a pagamento come condizione di appartenenza all’associazione, resta tutto un “far west” e il “si è sempre fatto così” impone leggi anche ingiuste, perché non discusse alla pari. Sono un esempio i contratti editoriali proposti agli autori, così diversi tra loro, che non esiste un’unica forma riconosciuta, almeno a livello nazionale, come legale, se fossero registrati davanti a un “notaio” (ebbene sì, altre spese, ma chi è che acquisterebbe una casa con una stretta di mano?) che non certifichi solo le firme, ma anche l’equità di quanto stabilito, forse ci sarebbe più giustizia.

 

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Ciao a tutti,

premesso che ognumo è libero di agire come meglio crede, io non sono favorevole al self. Non ho mai preso in considerazione l'idea di utilizzarlo e non credo proprio che in futuro la prenderò.

Per tre motivi.

  1. Per vanità. L'assunto che una CE decida di investire in un mio scritto e che abbia alle spalle personale qualificato per un editing e una copertina come si deve, mi lusinga e mi dà garanzie per un prodotto alla regola dell'arte.
  2. Per mancanza di tempo. La cosa più importante non è la pubblicazione, ma la promozione e, per far conoscere il proprio prodotto all'universo letterario, è necessario un full-immersion per lo meno nei social della durata non quantificabile.
  3. Per convenienza. Ci sono alcune CE (come la Giunti) che non considera pubblicazioni quelle con contributo o in self. Pubblicare in questo modo significherebbe bruciare magari un testo valido.

Alla prossima.

Edison

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@Edison, sono contenta che questa discussione sia ripartita e vorrei approfondire alcune cose da te riportate. Partirei proprio dall'ultima: "Per convenienza", ho pensato subito ti riferissi all'aspetto economico della vicenda, ma in self, a fronte di un investimento iniziale, la percentuale delle royalties, in riferimento alle copie vendute, è maggiore. Tu, invece, fai riferimento al fatto di bruciare un testo valido, che sembra a tutti gli effetti una contraddizione. I testi validi, appunto perché tali, non vanno in fumo, anzi, esistono svariati casi di grandi CE che hanno chiesto di ripubblicare libri di successo editi in self. Non vedo, quindi, nessuna preclusione ma un'opportunità più. Vorrei aggiungere di aver visto, alcune agenzie ed editori, suggerire agli autori che si proponevano, di tentare prima la strada del self, per poi valutare in base alle vendite se conveniva la pubblicazione: una sorta di crowdfunding. Poi questa pubblicazione, per fornire un certo curriculum, deve ottenere comunque delle ottime prestazioni (concorsi, recensioni e ecc.). Non è che una pubblicazione con Giunti garantisca il sicuro successo del libro. Naturalmente, i professionisti che possono essere messi in campo da una grande azienda, possono trasformare un ranocchio in un principe, ma un ranocchio cosa ne sa di regni e regine? Questo per dire che non è tutto oro quello che luccica e alcuni lettori lo sanno.

Io sto da poco sperimentando la strada del self publishing (ho già pubblicato tramite editoria tradizionale) e il fatto di dotarsi di un editing o copertina restano sempre delle scelte personali, la garanzia dovrebbe essere proprio il nome di chi ha scritto il libro (il modo in cui è stato pubblicato, fosse pure a cura dell'Anonima edizioni, soprattutto, per il lettore è un fatto secondario). Naturalmente, se parliamo di pubblicare con una big, il paragone con il self resta improponibile. Trovo invece non veritiero il fatto che questi due mondi (Big e Self) possano escludersi a vicenda.

45 minuti fa, Edison ha scritto:

Non ho mai preso in considerazione l'idea di utilizzarlo e non credo proprio che in futuro la prenderò.

Io, invece, penso sia un'esperienza quasi imprescindibile, che si può giudicare solo dopo aver provato. Ad esempio, tu hai già delle pubblicazioni al tuo attivo con l'editoria tradizionale? Cosa pensi possa esserci davvero di diverso? Vanità, tempo e convenienza sono elementi indispensabili, comunque la si voglia vedere.

  • Grazie 1
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Ciao @Valente,

scusa se ti rispondo solo adesso, ma ho avuto problemi.

In merito alle tue osservazioni sul mio commento, comunque la si veda, stiamo camminando su un terreno aleatorio. Con il numero enorme di scrittori che si affidano al self, è difficile a parere mio cogliere il libro buono tra tanti altri mediocri. Ci sono stati casi in cui questo si è verificato, ma mi sembra così facendo di aspettare la manna dal cielo.

Anche io ho pubblicato con l'editoria tradizionale e uno dei miei libri ha vinto un trofeo letterario di una certa importanza: la differenza che trovo tra la prima e il self è la possibilità di svolgere presentazioni e firmacopie in cui il contatto con il pubblico è più diretto e, a parere mio, più efficace.

Inoltre utilizzando i social per pubblicizzare il proprio libro, si comprende che il tuo messaggio viene diluito in un mare di altri messaggi simili e rischia di essere tralasciato. Io non sono nessuno e di conseguenza il mio nome non avrebbe nessun riscontro con la popolazione letteraria.

Come ti ho detto, preferisco cimentarmi con editori in carne e ossa. Anche perchè sono impreparato ad affrontare una pubblicazione in self e impossibilitato a dedicarci il tempo necessario.

Alla prossima.

Edison

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  • 1 mese dopo...
Il 8/4/2023 at 18:51, Mrs. Tabitha ha scritto:

l grado di libertà più ampio rispetto alla scelta dei professionisti cui affidarsi (perché non ti vende servizi, cosa che invece altre piattaforme fanno, con costi ridicoli e di conseguenza un risultato poco passabile)

Però bisogna precisa che anche autopubblicando con altre piattaforme non c'è alcun obbligo di utilizzare i loro servizi. Io avevo già fatto editare, correggere e impaginare il mio file. 

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  • 2 mesi dopo...
Il 13/1/2021 at 23:13, Mattia Alari ha scritto:

Il mio parere al proposito è piuttosto negativo per un motivi prima di tutti gli altri: la mancanza di selezione dei testi. Anche se ciò che vedo pubblicato spesso mi fa pensare male del concetto di "selezione".
Senza farla lunga, oggi ho saputo che un mio amico ha deciso di investire nel self e pubblicare il suo libro. Nonostante abbia provato a proporlo (ma senza agente e qualcuno dice che il problema è quello e poi tutto il resto...) è sempre stato o ignorato o respinto.
Sono molte le persone che hanno esperienze simili e per questo molti si armano di quello che alcuni chiamano "coraggio" (una famosa editor lo ha più volte definito così) e fanno da sé.
A maggior ragione quando i testi sono più "difficili".

Voi ne sapete più di me? Perché sarei tentato di dire al mio amico di risparmiare la somma che deve investire (e non è da poco) e farsi un viaggio dopo la fine del Covid, ma penso che l'esasperazione faccia brutti scherzi e magari... Chissà! Forse ha ragione lui a tentare.

Ah mi era sfuggito questo post.
Guarda, se toglie mercato alle EAP può essere un male necessario. C'è tanta spazzatura in giro scritta da persone senza indole creativa, e il fatto che qualcuno li sfrutti chiedendogli il contributo editoriale mi sa molto di wanna marchi. Il mio giudizio sul self è lo stesso dell'editoria crowdfunding: togliere guadagni alle EAP è la prima fase di questa battaglia, e va bene qualsiasi cosa.

Detto questo, io ho trovato due anni fa una casa editrice free che mi sta distribuendo in tutta Italia, e mi ritengo estremamente fortunato. Da esordiente purtroppo cedetti alle EAP, ma avevo vent'anni e mi chiesero pochissimo come contributo, quindi accettai. Se fossi ventenne esordiente oggi, non lo rifarei e mi rivolgerei a questi strumenti gratuiti come il self o il crowdfunding se non riuscissi a trovare editori interessati, e magari farei dei corsi di scrittura creativa per confrontarmi con altre persone, in modo da far crescere le mie abilità. Quindi consiglio questo al tuo amico: mai EAP e tanto confronto con esperti del settore.

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  • 2 settimane dopo...

Ho letto la traduzione di un romanzo di Souseki pubblicata in self. Era piena di virgole fuori posto, e nonostante l'amore e la cura del traduttore, la mancanza di un editing serio si è fatta sentire. Penso sia così per la maggiorparte del self-publishing. E questo cmq era uno studioso, non un tizio random che voleva pubblikare il kapolavoro inkompreso. Sui libri di qualsiasi autore serve un investimento pesante, serve un editor capace a cui rompere le palle per mesi e mesi e che rompa le palle all'autore per mesi e mesi. Atrimenti, semplicemente, il libro risulta pesante, se non impossibile da leggere, a causa errori e refusi. Per non parlare poi della promozione. Ormai secondo me il valore di un editore, triste a dirsi, è dato dal numero di follower che ha sui social e dal fatto che abbia dei buoni editor. Il self va bene soltanto con influencer in grado di auto promuoversi, non privi di soldi o di qualche amico/a editor di professione. Un libro bn fatto è una cosa troppo complessa e su cui devono lavorare in tanti, di solipsismo ce n'è già tanto in giro, non serve neanche nella "letteratura" (o post-letteratura, che è meglio, dato che la letteratura vera penso sia già morta). 

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  • 2 settimane dopo...

Ho letto libri (traduzioni?) di case editrici orribili.  Molti anni fa, quando ancora non c'era il self-publishing, mi ricordo comprai una traduzione di Le Mille e Una Notte ad una bancarella, e si faceva una fatica enorme a leggerla da quanti errori c'erano.  E recentemente ho comprato un libro per ragazzi  in una libreria, uno di questi classici che ormai possono essere pubblicati da chiunque, ed era penoso leggerlo. 

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  • 3 settimane dopo...

Ciao a tutti. L'argomento è spinoso, ma trovo giusto confrontarsi sul tema. Nel rispetto delle decisioni di tutti, la mia opinione è che  autopubblicarsi equivalga, nella stragrande maggioranza dei casi, a una sconfitta. Grande o piccola, poi, dipende dai casi.

L'essere scelti da una terza parte (in questo caso, un editore valido), competente e con una storia alle spalle, rende giustizia al lavoro di chi crea, oltre che grande soddisfazione personale. Non parlo delle vendite, ovviamente, visto che si possono ottenere (molto raramente) buoni risultati di mercato anche come autori autoprodotti.

Viviamo in un'epoca che partorisce quotidianamente sedicenti talenti in quasi ogni disciplina. Direi che volersi mettere alla prova con il professionismo, quindi, sia un dovere di chiunque creda (con i dovuti limiti di buon gusto) in se stesso . Il confronto è alla base della crescita, quale momento migliore di questo?

Poi il discorso si può ampliare alla qualità delle case editrici o delle agenzie letterarie, piuttosto che a quella dei potenziali lettori, ma si entrerebbe in un ginepraio. La selezione naturale non è giusta di per sé, ma è ciò fa migliorare le specie. Perché non dovrebbe valere, come peraltro finora è stato, anche nella letteratura?

Se si è convinti di aver scritto qualcosa di grande, occorre avere altrettanta voglia nel credere che, prima o poi, i nostri sforzi ci daranno ragione. Se non si ha tenacia, il talento non basta. A mio modesto parere... 

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Uno potrebbe dire che,  proprio se si è scritto qualcosa di grande , non si dovrebbe avere bisogno di una casa editrice.   Ripenso all'autrice di Harry Potter, racconta spesso che quel suo libro fu rifiutato da una dozzina di case editrici, e ci mise del tempo quindi per trovare con chi pubblicarlo.   A quei tempi il self publishing non esisteva, altrimenti chissà, forse avrebbe fatto ricorso a quello.   E forse avrebbero avuto un successo a livello mondiale.

A quanto ho capito, la casa editrice offre qualcuno che corregge le bozze, che impagina, che stampa....  ma a quanto sembra ci sono freelancer che possono aiutare in queste fasi.   La casa editrice può volere scegliere certi aspetti, come ad esempio il formato del libro, la copertina, quante copie stampare, che all'autore possono non piacere.  La casa editrice può promuovere il ibro, ma se una persona è già conosciuta (come autore, o calciatore, o influencer, ecc.) è probabile che la gente ricerchi quella persona online e sia disposta a comprare qualsiasi cosa comunque.

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16 ore fa, Memole ha scritto:

Uno potrebbe dire che,  proprio se si è scritto qualcosa di grande , non si dovrebbe avere bisogno di una casa editrice.   Ripenso all'autrice di Harry Potter, racconta spesso che quel suo libro fu rifiutato da una dozzina di case editrici, e ci mise del tempo quindi per trovare con chi pubblicarlo.   A quei tempi il self publishing non esisteva, altrimenti chissà, forse avrebbe fatto ricorso a quello.   E forse avrebbero avuto un successo a livello mondiale.

A quanto ho capito, la casa editrice offre qualcuno che corregge le bozze, che impagina, che stampa....  ma a quanto sembra ci sono freelancer che possono aiutare in queste fasi.   La casa editrice può volere scegliere certi aspetti, come ad esempio il formato del libro, la copertina, quante copie stampare, che all'autore possono non piacere.  La casa editrice può promuovere il ibro, ma se una persona è già conosciuta (come autore, o calciatore, o influencer, ecc.) è probabile che la gente ricerchi quella persona online e sia disposta a comprare qualsiasi cosa comunque.

Pur rispettando la tua opinione, mi trovo a dire di essere in totale disaccordo con quanto hai affermato.

L'autrice di Harry Potter fu, appunto, pubblicata da una casa editrice. Non pensare che il fatto di non potersi pubblicare da sola, sia stato un problema. Non abbiamo alcuna prova (ma molti dubbi) che avrebbe avuto il successo che ha avuto, usando il self publishing. Peraltro qui si dimentica l'abissale differenza fra l'editoria anglosassone e quella italiana, e quella fra i due mercati. Poiché viviamo in Italia, mi sono attenuto a una risposta riguardante il Paese in cui siamo.

Ci sono professionisti che correggono bozze, ecc. Vero, ma una casa editrice non è solo quello. Il tema non è che un privato sia impossibilitato a essere autosufficiente nel pubblicare un testo, ma la realistica possibilità di farlo bene dando visibilità commerciale alla sua opera senza spendere capitali improbabili.

Per quanto riguarda gli influencer e i calciatori, non vedo cosa c'entrino. Ovvio che possono fare come vogliono: la loro fama e il loro seguito sono punti a loro favore che qualsiasi CE li pubblicherebbe, rischiando il minimo a livello economico. La qualità, però, è un'altra cosa... e si vede!

Io ho provato a rispondere alla domanda iniziale, ponendomi nei panni di chi scrive e si chiede se scegliere di autopubblicarsi o meno, e ribadisco che - con tutte le storture del caso, di cui sono vittima anche io - un parere dato da professionisti del settore vale più del proprio. 

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Per mia indole sono sempre contento e curioso quando la tecnologia mette a disposizione nuovi strumenti. Si tratta di un'alternativa all'editoria tradizionale e la libertà di scelta è sempre benvenuta.  Dopo aver pubblicato con diversi editori, sono un po' stufo delle dinamiche che si ripetono a ogni nuovo titolo che sta per uscire. Non escludo che in futuro utilizzerò il self publishing e non lo considero una sconfitta. Penso anche che questa nuova opportunità potrebbe tornarmi utile per ripubblicare i titoli i cui diritti ormai sono scaduti., invece di buttarli alle ortiche.

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52 minuti fa, Andrea Mauri ha scritto:

Per mia indole sono sempre contento e curioso quando la tecnologia mette a disposizione nuovi strumenti. Si tratta di un'alternativa all'editoria tradizionale e la libertà di scelta è sempre benvenuta.  Dopo aver pubblicato con diversi editori, sono un po' stufo delle dinamiche che si ripetono a ogni nuovo titolo che sta per uscire. Non escludo che in futuro utilizzerò il self publishing e non lo considero una sconfitta. Penso anche che questa nuova opportunità potrebbe tornarmi utile per ripubblicare i titoli i cui diritti ormai sono scaduti., invece di buttarli alle ortiche.

Per carità! Ci mancherebbe che tutti debbano essere d'accordo con me. Anzi, io sono convinto di non essere in linea col pensiero della maggioranza, però vanno fatte diverse distinzioni di merito. Si parla di autori già pubblicati? Di titoli che vanno fuori catalogo, ecc?

A me il tema che piacerebbe affrontare invece, da scrittore, è che ci fosse il modo di contrastare il monopolio dei grandi gruppi editoriali, con la nascita di altri competitor con la forza adeguata di opporre una vera concorrenza. Qui, però, andiamo fuori argomento: come avevo detto all'inizio, è facile cadere in un ginepraio.

E aggiungo che quando parlo di sconfitta mi riferisco a tutto il comparto, includendo i lettori. 

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Il 13/12/2023 at 10:29, Sennafumi ha scritto:

Pur rispettando la tua opinione, mi trovo a dire di essere in totale disaccordo con quanto hai affermato.

L'autrice di Harry Potter fu, appunto, pubblicata da una casa editrice. Non pensare che il fatto di non potersi pubblicare da sola, sia stato un problema. Non abbiamo alcuna prova (ma molti dubbi) che avrebbe avuto il successo che ha avuto, usando il self publishing. Peraltro qui si dimentica l'abissale differenza fra l'editoria anglosassone e quella italiana, e quella fra i due mercati. Poiché viviamo in Italia, mi sono attenuto a una risposta riguardante il Paese in cui siamo.

Ci sono professionisti che correggono bozze, ecc. Vero, ma una casa editrice non è solo quello. Il tema non è che un privato sia impossibilitato a essere autosufficiente nel pubblicare un testo, ma la realistica possibilità di farlo bene dando visibilità commerciale alla sua opera senza spendere capitali improbabili.

Per quanto riguarda gli influencer e i calciatori, non vedo cosa c'entrino. Ovvio che possono fare come vogliono: la loro fama e il loro seguito sono punti a loro favore che qualsiasi CE li pubblicherebbe, rischiando il minimo a livello economico. La qualità, però, è un'altra cosa... e si vede!

Io ho provato a rispondere alla domanda iniziale, ponendomi nei panni di chi scrive e si chiede se scegliere di autopubblicarsi o meno, e ribadisco che - con tutte le storture del caso, di cui sono vittima anche io - un parere dato da professionisti del settore vale più del proprio. 

In effetti sì, chissà se la storia di Harry Potter avrebbe avuto quel successo se non fosse stata pubblicata da una casa editrice...  che ha creduto in quella storia, si è impegnata a pubblicizzarla, e l'ha fatta diventare un successo mondiale.

Quello che temo delle case editrici è che vogliono molto e danno poco.  Non ne ho esperienza diretta, ne ho solo sentito dire così da un paio di persone (autori e rappresentanti di questi).  Nel senso, ho sentito dire che vogliono che vengano fatti certi cambiamenti alla storia, anche se all'autore non piacciono.  Vogliono decidere l'aspetto della copertina, dando all'autore la possibilità di scegliere fra un paio di opzioni, ma niente di più.  Vogliono scegliere il formato del libro, quando pubblicarlo, e quante copie stampare.  Vogliono decidere se è il caso di ristamparlo oppure no.  Vogliono decidere, se va all'estero, con quale casa editrice estera verrà pubblicato.  Vogliono un'alta percentuale dei guadagni.  E cosa offrono?  A parte un minimo guadagno sulle vendite, di correggere il libro, di stamparlo, di distribuirlo, di farne un po' di pubblicità  (ma anche questa con molte case editrici pare minima e va a carico dell'autore).    Se è così, non so se ne valga la pena...

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Il 15/12/2023 at 14:22, Memole ha scritto:

In effetti sì, chissà se la storia di Harry Potter avrebbe avuto quel successo se non fosse stata pubblicata da una casa editrice...  che ha creduto in quella storia, si è impegnata a pubblicizzarla, e l'ha fatta diventare un successo mondiale.

Quello che temo delle case editrici è che vogliono molto e danno poco.  Non ne ho esperienza diretta, ne ho solo sentito dire così da un paio di persone (autori e rappresentanti di questi).  Nel senso, ho sentito dire che vogliono che vengano fatti certi cambiamenti alla storia, anche se all'autore non piacciono.  Vogliono decidere l'aspetto della copertina, dando all'autore la possibilità di scegliere fra un paio di opzioni, ma niente di più.  Vogliono scegliere il formato del libro, quando pubblicarlo, e quante copie stampare.  Vogliono decidere se è il caso di ristamparlo oppure no.  Vogliono decidere, se va all'estero, con quale casa editrice estera verrà pubblicato.  Vogliono un'alta percentuale dei guadagni.  E cosa offrono?  A parte un minimo guadagno sulle vendite, di correggere il libro, di stamparlo, di distribuirlo, di farne un po' di pubblicità  (ma anche questa con molte case editrici pare minima e va a carico dell'autore).    Se è così, non so se ne valga la pena...

Io non so con quali CE lavorino i tuoi conoscenti, ma è da quando esiste il mondo che le cose vanno così. Se una grossa CE decide di investire su un autore (e sottolineo "se"), è logico che possa avanzare delle richieste. Poi se la CE in questione vende ad amici e parenti, allora uno può decidere di lasciar perdere e scegliere altre strade.

Neanche io amerei se mi dicessero di cambiare questo o quello del mio romanzo, e ho già realizzato a una copertina (essendo un appassionato di fotografia) che possa andar bene, ma ciò non toglie che se mai avessi la fortuna di essere scelto da Mondadori, Einaudi o Longanesi, fai in modo di limitare le mie pretese. Sempre nel rispetto reciproco dei ruoli. Il problema è che, come alcuni editori o agenti letterari, certi autori sono convinti di possedere la verità assoluta. E forse anche per la mancanza generalizzata di umiltà, adesso siamo in queste condizioni.

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  • 2 settimane dopo...
Il 18/12/2023 at 10:50, Sennafumi ha scritto:

Io non so con quali CE lavorino i tuoi conoscenti, ma è da quando esiste il mondo che le cose vanno così. Se una grossa CE decide di investire su un autore (e sottolineo "se"), è logico che possa avanzare delle richieste. Poi se la CE in questione vende ad amici e parenti, allora uno può decidere di lasciar perdere e scegliere altre strade.

Neanche io amerei se mi dicessero di cambiare questo o quello del mio romanzo, e ho già realizzato a una copertina (essendo un appassionato di fotografia) che possa andar bene, ma ciò non toglie che se mai avessi la fortuna di essere scelto da Mondadori, Einaudi o Longanesi, fai in modo di limitare le mie pretese. Sempre nel rispetto reciproco dei ruoli. Il problema è che, come alcuni editori o agenti letterari, certi autori sono convinti di possedere la verità assoluta. E forse anche per la mancanza generalizzata di umiltà, adesso siamo in queste condizioni.

Certo che ci vuole umiltà. e riconoscere che se la trama non fila o ci sono errori vari il libro vada corretto.  E la copertina, chiaro che sia importante, e che debba attirare il pubblico.  Però non so, mi pare che già il fatto che per ogni libro venduto  la maggior parte del guadagno vada alla casa editrice sia un compenso sufficiente....  ma probabilmente mi sbaglio.  

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