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Cosa ne pensate (sinceramente) del Self publishing?


Mattia Alari

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Il 29/8/2021 at 22:42, Mattia Alari ha scritto:

continuare a venderlo "per coraggiosi" (raccomandando di lavorare il testo, di investirci sopra, di contattare professionisti e quindi far funzionare "la filiera") è un po' disonesto intellettualmente, a mio parere

Sono d'accordo. Il self non è "per coraggiosi". Per quella che è la mia esperienza, si appoggiano al self due macro-categorie di persone: chi pubblica per il solo vezzo di vedere il proprio libro pubblicato e stampato (questa è la categoria più ampia, e i prodotti sono piuttosto scadenti, in generale); chi diventa effettivamente editore di se stesso, e sceglie consapevolmente di esserlo – le motivazioni dietro alla scelta, in questo caso, dipendono dal caso specifico.

Tralasciando chi pubblica così tanto per, e intasa il mercato con obbrobri, chi invece sceglie di essere il proprio editore non è coraggioso, è una persona pragmatica che si fa i conti, struttura il suo piano di business quantomeno per arrivare a un punto di pareggio rispetto le spese sostenute. E questa cosa non è per tutti. Non è per tutti essere imprenditori in generale, tantomeno imprenditori di se stessi.

Quindi, il coraggio non c'entra proprio niente, qui, e vendere il self come un qualcosa per i "coraggiosi" non lo trovo né etico, né professionale, come approccio, specie se viene proprio dagli addetti del settore e viene utilizzato come esca per facili guadagni. Il self non dovrebbe essere un'esca per attrarre clienti, perché è una scelta che sta all'autore.

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@Mrs. Tabitha sono totalmente d'accordo con te. E infatti è assurdo che questa campagna per "guadagnarci sopra" o comunque per "allungare la filiera" sia sempre più forte, probabilmente da parte di molti professionisti del settore che considerato il libro soprattutto un prodotto (e in qualche modo lo è) e che sfruttano l'ambizione (senza talento) di molti per "campare" in un settore dove, lo sappiamo tutti, non si naviga nell'oro.
E' probabilmente questo, oltre la mia brutta esperienza da lettore, ad avermi fatto maturare il preconcetto nei confronti del self.
Metto ben in chiaro che io non credo assolutamente che tutti coloro che si occupano di lavorare un testo siano "disonesti intellettualmente", anzi. Ma è pur vero che ciò che probabilmente andrebbe spesso cestinato, viene molte volte "salvato" per interesse (e mi riferisco a certi editing che poi scivolano verso il ghostwriting, qualcosa che ben conosco). Tutto questo è eticamente corretto? Siamo in una zona grigia.

Seguivo una pagina, tempo fa, si chiama "Book Blister".
L'editor sembra in gamba e poiché io sono a digiuno di certe cose, con un approccio molto naif (in questo caso) mi sono ritrovato a cercare "consigli" e quindi sfogliare pagine di blog e guardare video.
Questa bella signora molto professionale, raccontava nei suoi video (e in alcune dirette che penso non abbia più fatto) la sua esperienza lavorativa, dando consigli per gli aspiranti autori. Tutto bello ma... non faceva che ripetere due cose alquanto irritanti dal mio punto di vista (e magari verissime):
1. Un libro DEVE essere lavorato da dei professionisti. Sempre. E prima di essere proposto ad un'agenzia (o una casa editrice) deve essere già passato da più mani che ne hanno fatto un prodotto praticamente finito.
Questa cosa vale per tutti i libri perché siano tali. Altrimenti si tratta di prodotti da hobbisti che come tali non avranno nessuna speranza, sommersi da altri che invece sono professionalissimi.
Una volta si investiva nella lavorazione all'interno delle CE oggi no. Oggi ci deve pensare l'autore a priori.
2. Un bel libro non è affatto detto che trovi collocazione editoriale. Quindi devi <--- mettere in conto editing, magari farti fare una bella scheda di valutazione da un'agenzia (che può o meno proporti la rappresentanza) e quindi (tenendo in considerazione che "l'invio spontaneo" è sempre meno considerato) metterlo in mano ad un agente il quale lo proporrà ai suoi contatti cercando di spingerlo il più possibile. Ma trovate le porte chiuse... il libro è "bruciato" e quindi è possibile che dopo un anno e più di tentativi (e succede spesso) un bel libro torni al suo autore con nulla di fatto.
A quel punto l'autore CORAGGIOSO <--- se è convito della qualità del suo lavoro... si fa imprenditore di sé stesso e OSA il Self, che potrebbe (in alcuni casi) diventare un ottimo biglietto da visita per una successiva presentazione ad una casa editrice che, vedendo risultati incoraggianti nel self, potrebbe decidere di ristampare il libro.
Facendo i conti a tutta la cosa... è evidentemente un investimento "a perdere" che non tutti possono permettersi. Ma l'editor in questione diceva che anche l'editore fa investimenti di questo tipo quindi non vi è nulla da scandalizzarsi.

Ad ogni modo l'impegno economico per un'impresa di questo tipo, che porti alla proposta di un libro dal punto di vista fisico curato (quindi qualitativamente ottimo, con una bella copertina professionale, con un'impaginazione e cura del dettaglio anche SUPERIORE a quella della casa editrice media) e ben pubblicizzato (l'editor parlava di ufficio stampa e quindi di organizzazione di eventi, vitali per comunicare l'esistenza del libro e quindi spingerlo su vari fronti) comporta una bella cifretta di investimento (a parte il tempo!).
Lei fu la prima (da me sentita ma non la sola) a definire questo tipo di cose "da coraggiosi" con tantissimi autori di self che le davano gioiosamente ragione salvo poi ammettere, in media, di non aver venduto più di 200 copie e aver dovuto "rimaneggiare il testo" più volte.

Sono molti i professionisti della FILIERA che propongono all'autore il Self come fosse un'ottima opportunità alla portata di tutti. Ed è questo che trovo terribilmente sbagliato e irritante. Come hai detto: non è per tutti ed esattamente per ciò che hai fatto presente e poi anche per i costi.
Il Self a buon mercato è praticamente inutile.
E su questo... beh, sono praticamente tutti d'accordo e allora va fatto presente: fa una selezione sul reddito che invece una pubblicazione su CE fa "meno".

 

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Il 31/8/2021 at 11:54, Mattia Alari ha scritto:

fa una selezione sul reddito

Una precisazione: non c'è una selezione sul reddito, ma sulla disponibilità finanziaria (mi rendo conto che si tratti di una precisazione linguistica, ma in un forum di apprendisti scrittori credo sia perfettamente in topic). Anche con un reddito basso, potrei decidere di risparmiare come una formichina, fino ad avere abbastanza risorse per percorrere una strada piuttosto che l'altra.

Ciò premesso, mi pare si stia convergendo su alcuni punti:

  1. Sulla filiera editoriale, si sono aggiunte professionalità che lucran... ehm, offrono servizi più o meno onerosi per arrivare ad avere un vero e proprio libro, e questo riguarda sia il self che il CE
  2. I consigli per gli acquisti per i self-publisher sono infiniti, si è creato un ventaglio di offerte che neanche le CE hanno: ufficio stampa (really???), vedita di recensioni, promozione su blog e social... c'è davvero di tutto
  3. Proporre un libro (CE o Self) richiede un investimento (anche economico) per far risaltare la propria opera; nel caso di pubblicazione con CE, può essere sufficiente una scheda valutazione, un editing o una revisione bozze; per il self c'è anche tutto il resto (dalla copertina in poi)
  4. Self non è coraggio: è impresa, che si preoccupa non solo di scrivere, ma di fare (quasi) tutto quello che farebbe una CE; aggiungo una nota: per me il prodotto non è il libro, ma l'autore (ma questa è una storia più lunga)
  5. Questo permette non scrittori di pubblicare solo perché possono permettersi di pagare ghost writer, editor, grafici, correttori di bozze, stampatori, scegliete voi. A volte, per sola vanità 😉. Chiaramente una competizione ad armi impari con chi questo non se lo può permettere
  6. Il self è un'opportunità, ma non è né ottima, né per tutti (per attitudine, mentalità e disponibilità di risorse finanziarie)
  7. Il mercato editoriale è letteralmente sommerso di nuovi libri, quello in self è straripante. Per emergere, è necessario promuovere il libro. In self, questo è sempre a carico dello scrittore, con la CE ci si augura di essere aiutati in questo senso
  8. I libri in Self non sono acquistabili in libreria (fattore molto limitante per una fetta importante di lettori)
  9. Con il self si hanno dei tempi di pubblicazione (molto) più brevi, e non è sempre un bene
  10. Con il self si possono modificare rapidamente i libri dopo la pubblicazione, senza nuove edizioni (a vantaggio dei nuovi lettori, per il cartaceo, a vantaggio di tutti, per i libri digitali)
  11. Con il self si hanno riscontri più immediati (leggo ovunque che ci sono autori pubblicati da CE che non hanno mai visto un rendiconto sulle vendite dei loro libri)

Sicuramente mi sono dimenticato qualcosa.

Rileggendo, per l'ennesima volta, il thread, mi sorge un dubbio: ma per fare self-publishing, c'è davvero bisogno di scimmiottare una vera CE, magari una grande, senza essere una CE?

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50 minuti fa, K. Wendice ha scritto:

Proporre un libro (CE o Self) richiede un investimento (anche economico) per far risaltare la propria opera; nel caso di pubblicazione con CE, può essere sufficiente una scheda valutazione, un editing o una revisione bozze; per il self c'è anche tutto il resto (dalla copertina in poi)

Scusa ma, a proposito di precisazioni, questo non è esatto. Si può pubblicare con una casa editrice senza investire un soldo in schede di valutazione o in tutti i servizi professionali necessari alla realizzazione di un libro, che sono forniti dalla CE. E si può anche fare self senza investire in tutto ciò di cui parli, no? Si è detto. Infatti, accade quotidianamente. Certo, la tua opera risalterà meno.

1 ora fa, K. Wendice ha scritto:

Anche con un reddito basso, potrei decidere di risparmiare come una formichina, fino ad avere abbastanza risorse per percorrere una strada piuttosto che l'altra.

Anche nel tuo esempio, di fatto, è una selezione basata sul reddito. È ovvio che la scelta di fare self è a portata di tutti. Ma se ho un reddito basso dovrò risparmiare e quindi aspettare molto più a lungo di chi ha più soldi. Tempo. Tempo prezioso. E sacrifici ulteriori. Inoltre, verosimilmente, accederò anche a servizi da professionisti meno "blasonati", e molte cose le farò da me. Potremmo pensare a chi ha un reddito basso ma un patrimonio a disposizione, tuttavia la sostanza, molto precisa in sé, rimane la stessa: soldi.

1 ora fa, K. Wendice ha scritto:

per me il prodotto non è il libro, ma l'autore (ma questa è una storia più lunga)

In realtà è una storia interessante, proprio a proposito del self. Ad esempio, è uno dei fattori discriminanti che non mi fa considerare il self, o un certo tipo di editoria, con stima. Né un luogo meritocratico o almeno onesto. Conosco abbastanza bene questo tipo di logica e di pensiero: lungi da me volerlo banalizzare, ma è una tiritera che ha svuotato ogni cosa di senso e ha legittimato delle schifezze in ogni campo.

Alla fine, se il prodotto è l'autore, possiamo smettere di scrivere e di pubblicare. Se il prodotto è l'autore, perché scrive? Potrebbe anche solo fare finta di farlo, e via con una situazione degna di un racconto di Borges. Perché dovrei leggere le sue pagine? Potrebbero essere vuote o scritte in farfallino. Sto volutamente esagerando, ma nella realtà, comunque la si veda, il prodotto è il libro: se mi vendi l'autore, il libro non vale una cicca o è sopravvalutato. Delle due, l'una.

Nel self, ti sostieni con le tue forze, perché ti sei pubblicato e nessuno ti ha scelto o valutato (e già... Non so se è lucida follia o una stima di sé davvero considerevole). Dunque... ti vendi? Ma, allora, altro che scrittore-imprenditore! Qui c'è del marketing, della comunicazione, c'è di tutto. Sicuri di voler fare... Lo scrittore? (Scherzo. Fino a un certo punto.)

1 ora fa, K. Wendice ha scritto:

c'è davvero bisogno di scimmiottare una vera CE, magari una grande, senza essere una CE?

No, ripeto. Puoi (sto usando un "tu" generico, a scanso di equivoci) prendere quello che hai scritto e farne un libro col self-publishing senza scimmiottare nessuno e facendo poco o niente. Non si capisce perché farlo, però. Meglio (parere mio) prendersi la briga di selezionare delle case editrici a cui inviare il manoscritto. Gratis.

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1 ora fa, K. Wendice ha scritto:

Una precisazione: non c'è una selezione sul reddito, ma sulla disponibilità finanziaria (mi rendo conto che si tratti di una precisazione linguistica, ma in un forum di apprendisti scrittori credo sia perfettamente in topic). Anche con un reddito basso, potrei decidere di risparmiare come una formichina, fino ad avere abbastanza risorse per percorrere una strada piuttosto che l'altra.

Accetto la tua precisazione ma è alquanto improbabile che una persona senza disponibilità immediata per qualcosa che non sia un'urgenza sia una persona con un reddito alto quindi è una persona CERTAMENTE con un reddito basso quindi punto e a capo: se hai, spendi. Se non hai... potresti risparmiare ma bisogna pure vedere per cosa. Ci sono formichine così vanitose da mettersi in bolletta per qualcosa del genere, ossia un'impresa praticamente senza speranza o comunque in perdita? Chi ha pochi soldi non ha lo stesso rapporto con "la perdita" di chi ha disponibilità più larghe. Quindi teoricamente la tua precisazione è giusta ma praticamene la formichina vanitosa usa il Self modello base e finisce nello scarico con chi fa come lei QUINDI la selezione del Self è assolutamente "redditocratica" e non meritocratica.
Quando si parla generalmente di selezione "redditocratica" delle professioni creative si intende chi ha disponibilità finanziaria magari non propria ma di famiglia, addirittura. Facendo il pelo alla questione potrei persino avere reddito zero ma un patrimonio di miliardi, no?
Però... qualcuno ha guadagnato alle mie spalle quindi di nuovo si torna a coppe.
A parte il fatto che devo ancora incontrare la formichina con reddito basso che si metta in bolletta pur di pubblicarsi mentre invece conosco fin troppi vanesi (già citati) con un reddito (ebbene sì) o patrimonio che permette loro di "passarsi un po' il tempo".

Mi incuriosice la tua chiusa. Cosa pensi che il self potrebbe fare "di diverso"? Ah, proprio ieri leggevo su un forum dedicato alla scrittura (o era una pagina? Leggo troppe cose contemporaneamente) che pubblicizzava dei popolarissimi laboratori di scrittura (a pagamento salato, giusto per far presente la cosa e come molti li consigliassero "per prendere contatti") che molti persone "hanno alzato le mani" dopo tanti tentativi con CE e quindi "hanno ripiegato sul self" (cito testualmente). C'era una bella lista di aspiranti autori piuttosto inferociti dopo l'esperenza in merito, definita FALLIMENTARE nonostante molto impegno. Continuo ad essere perplesso.
Ma forse sono storto io a non pensare 500 copie vendute come un successo.
Resta la domanda: non vuoi fare "come una CE"? Come vuoi fare?

 

6 minuti fa, Sofia C. ha scritto:

Alla fine, se il prodotto è l'autore, possiamo smettere di scrivere e di pubblicare. Se il prodotto è l'autore, perché scrive?

Se vogliamo fare una precisazione il prodotto è proprio IL LIBRO perché è quello che l'editore (eh sì!) vende. E chiaramente si parlava del libro ANCHE come prodotto fisico (per gli estimatori della lettura, anche una pagina che non abbia i margini giusti è DISTURBANTE!).

Quanti autori poi, dopo un successo, non riescono più a scrivere qualcosa di decente e quindi vengono scaricati? Diciamo parecchi.
Non sono tutti Stephen King.
Parecchi sono stati anche bruciati (e questo è un altro discorso) ma...
Veramente: con questo approccio superpragmatico-commerciale ci stiamo ritrovando ad escludere un mondo intero di persone valide (ma senza il carattere adatto - magari -  a mettersi in un bel barattolino con etichetta) e avere tra i piedi solo praticoni furbastri con disponibilità FINANZIARIA sufficiente a togliersi capricci.
E la selezione qualitativa dei testi? Non se ne parla.

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Devo aggiungere una voce all'elenco (che avevo nella testa ma poi, non so perché, ho dimenticato):

  • Passando da una CE, lo scritto viene valutato da uno o più professionisti, che decidono se il tuo lavoro vale l'investimento della CE stessa, perché di qualità. Nel Self, questo filtro non esiste per definizione (e, a scanso equivoci, questo è il più grande problema del selfpublishing). La conseguenza è che c'è tanto ciarpame (e mai detto che quanto abbiamo pubblicato in self non lo sia, non siamo così presuntuosi 😉)

Al quale si deve aggiungere un corollario della non generalizzazione: se nel self ci sono tante cose di bassa qualità (anche quelle dove la gente ha investito dei soldi), non significa né che non ci siano cose di qualità, né che queste non siano visibili e non abbiano successo (ammetto che stabilire quale sia il criterio di successo, non l'ho ancora capito: Stefania Crepaldi, nell'intervista a Giulia Beyman, dice che 400 copie sono una miseria, io conosco un paio di persone a cui piccole CE non a pagamento hanno fatto una tiratura iniziale di 250 copie, poi vediamo. Come si misura il successo di un libro? Quanti lettori deve avere? Contiamo solo le copie fisiche o anche gli ebook? Ho cercato ma non ho trovato sul forum, sapete se c'è una discussione su questo argomento?)

Il secondo corollario è che se nella media, i testi pubblicati dalle CE sono di qualità MOLTO migliore rispetto al self, ho avuto tra le mani testi (di CE importanti) con errori ortografici, grammaticali e problemi di impaginazione e stampa. Pochi, ma succede.

1 ora fa, Sofia C. ha scritto:

Scusa ma, a proposito di precisazioni, questo non è esatto. Si può pubblicare con una casa editrice senza investire un soldo in schede di valutazione o in tutti i servizi professionali necessari alla realizzazione di un libro, che sono forniti dalla CE. E si può anche fare self senza investire in tutto ciò di cui parli, no? Si è detto. Infatti, accade quotidianamente. Certo, la tua opera risalterà meno.

Corretto, avrei voluto scrivere "può richiedere" anziché "richiede"; il senso è quello che dici tu 😉

1 ora fa, Mattia Alari ha scritto:

la selezione del Self è assolutamente "redditocratica" e non meritocratica

Non mi piacciono gli assolutismi. Comprendo, ma non condivido.

2 ore fa, Mattia Alari ha scritto:

devo ancora incontrare la formichina con reddito basso che si metta in bolletta pur di pubblicarsi

Per pubblicarsi, probabile, non ne conosco neanch'io. Esistono altre strade, magari più impervie, ma a costo potenzialmente nullo (ad esempio, proporsi a una CE). Ma, nel mondo reale, tante formichine hanno messo da parte (a volte fatto debiti) per realizzare qualcosa: comprare una casa, andare in vacanza, comprare l'iphone o creare la propria impresa. Non vorrei banalizzare la questione come una mera discussione sui redditi e le ricchezze familiari, si rischia banalizzare il tema della disparità sociale a suon di ovvietà. Proseguite pure, io mi tiro fuori da questo discorso. Ripeto, sul reddito, la precisazione era meramente linguistica. 

2 ore fa, Mattia Alari ha scritto:

Resta la domanda: non vuoi fare "come una CE"? Come vuoi fare?

A dire il vero voleva essere una domanda aperta, fatta proprio perché non so come voglio fare e vorrei confrontarmi. Non so quale sia il modello più sensato, ma quello che vedo e osservo è proprio quell'offerta (nella filiera del self) che chiede al povero sfigato di turno di diventare Editore per un giorno, come se dalla sera alla mattina diventasse l'amministratore delegato di Mondadori o di Einaudi, anche se per un solo libro. Nella mia esperienza professionale, raramente i processi industriali scalano verso il basso, né verso l'alto (semplificando all'osso, l'artigiano non lavora come la multinazionale, e viceversa). Ammesso e non concesso che possiamo considerare il self come l'artigianato dell'editoria, cosa e come cambia? Le ricette di successo che ci racconta chi (in pieno "conflitto di interessi") ci propone la sua soluzione per vendere i propri servizi è l'unica via? Non ho una risposta, mi tengo il dubbio e mi piacerebbe discutere senza pregiudizi di questo tema.

Infine, il tema che  sapevo avrebbe scoperchiato il vasetto di pandora: autore come prodotto.

La cosa è complessa e non riguarda (solo) il self. Anzi, a giudicare da come si muovono le grandi CE, è spesso più vero che il prodotto sia l'autore che vende, a prescindere da cosa scrive (sono sorte leggende più o meno metropolitane sulla schiera di ghostwriters che lavorerebbero per autori di bestseller).

Voglio provare a chiarire il mio pensiero. Il prodotto autore nasce con la sua opera prima, evolve, a volte anche cambiando genere e stile, sperimenta, instaura un rapporto con i suoi lettori, che magari aspettano impazienti di leggere qualcosa di nuovo. A volte si blocca e smette di scrivere, per sempre, o magari perché aveva un solo libro dentro di sé. I libri che scrive, sono solo tappe di questa evoluzione. Anche quando scrive un'unica opera, autore e libro si fondono, fino a creare un unicum difficilmente separabile. Mi spiace per il malinteso, non c'è niente di commerciale in tutto questo, neanche nell'uso della parola prodotto. Concedo che la frase lasciata lì così, senza commenti, potesse generare un mini-flame.

Chiudo con una riflessione: per quanto accetti volentieri, e spesso stimoli, le provocazioni, perché attivano il pensiero critico, mi sembra che a volte si discuta solo per iperboli, senza entrare nel merito delle cose, a volte banalizzandole 😞. Ma forse sono io che fraintendo, dimenticandomi che, anche se siamo in un forum di scrittori, stiamo utilizzando la forma meno completa e più ambigua di comunicazione: quella scritta.

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4 ore fa, K. Wendice ha scritto:

Concedo che la frase lasciata lì così, senza commenti, potesse generare un mini-flame.

vabbè... meno male che lo concedi!
Non era un mini flame comunque. Esprimere il proprio dissenso verso un'idea espressa non lo è.
 

4 ore fa, K. Wendice ha scritto:

Per pubblicarsi, probabile, non ne conosco neanch'io. Esistono altre strade, magari più impervie, ma a costo potenzialmente nullo (ad esempio, proporsi a una CE). Ma, nel mondo reale, tante formichine hanno messo da parte (a volte fatto debiti) per realizzare qualcosa: comprare una casa, andare in vacanza, comprare l'iphone o creare la propria impresa.

Come prima ho detto: lasciamo perdere chi compra l'iphone (lasciamo proprio perdere) ma andare in vacanza (anche la vacanza di una vita per una coppia o una famiglia) è probabilmente qualcosa di più significativo del superfluo cercare di "stampare" (uso improprio per "pubblicare", precisiamolo... non sia mai!) sé stessi, perché alla fine è questo.
Comprendo e non condivido affatto l'idea che il Self sia così "democratico" (sempre uso "sfumato" del significato): ribadisco l'idea che spendendo 100 euro (che per qualcuno possono essere anche tante) non hai il prodotto di chi ne mette sul piatto 1500 e onestamente si parlava di cifre decisamente superiori (basti pensare quanto costa una VERA COPERTINA, ad esempio. Qualcuno si scandalizza ma non io).

Per la tua domanda sul Self...

io non ho idea perché non so vendermi affatto e questo è un mio problema anche perché, penso sia manifesto, non ho nessuna voglia di piacere a qualcuno per forza. Proprio NESSUNA.
Ma se gli autori fossero stati tutti simpatici, non avremmo avuto sui libri di storia della letteratura (o sugli scaffali) le stesse persone. Dato di fatto.
Non penso che la capacità di proporsi o l'essere estroversi abbia a che fare con il talento ma sia un talento ben differente da quello che dovresti avere in genere per fare Arte (di qualunque tipo). Bisognerebbe prenderne atto, ben separare le cose piuttosto che confonderle, e smetterla di sostenere che questo tipo di selezione (come quella basata sulla disponibilità economica) siano giuste. Diciamo pure che fanno schifo e la chiudo qui per gentilezza. E' decisamente meglio.

No, che io sappia nel forum non c'è una discussione in merito ad alcune cose, puoi aprirla.

4 ore fa, K. Wendice ha scritto:

Chiudo con una riflessione: per quanto accetti volentieri, e spesso stimoli, le provocazioni, perché attivano il pensiero critico, mi sembra che a volte si discuta solo per iperboli, senza entrare nel merito delle cose, a volte banalizzandole 😞

Beh, allora falla più semplice :)
e non banalizzare.


Giusto perché insisti sulla qualità "linguistica" del tuo appunto: La tua precisazione era imprecisa e abbastanza discutibile perché io ho usato UN VOCABOLO CON UNA CERTA INTENZIONE quindi no, qui sono io che non te lo concedo affatto: in un sito di scrittura sarebbe auspicabile una certa elasticità mentale e una minore "rigidità scolastica". Si parlava di concetti, penso di essermi ampiamente spiegato (ma era già evidentissimo dal mio uso della parola e dal concetto dietro "redditocrazia") e quindi no, la bacchettata "linguistica" la rimando al mittente e la definisco per ciò che è con la tripla "I" che merita: imprecisa (appunto) inesatta concettualmente e indisponente.

Riflessione personale: sarebbe il caso di non cercare di prendere il controllo di una discussione, che come tale si svolge molto naturalmente e quindi è previsto che possa avere delle digressioni.
Provarci in modo indiretto facendo il moderatore di turno a botte di "restate in topic", tirando bacchettate inopportune oppure accusando il prossimo di esprimersi per inconsistenti iperboli... è passivo aggressivo.
Io preferisco i toni diretti come pugni, si sarà capito. La discussione è stata aperta da me per ascoltare campane differenti e possibilmente mettere in discussione i miei pregiudizi ma se da parte tua è esaurita, amen. Ti ringrazio di aver partecipato.
Chiaramente la discussione resta qui perché eventualmente altri si esprimano in merito.

 

Modificato da Mattia Alari
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3 ore fa, K. Wendice ha scritto:

Corretto, avrei voluto scrivere "può richiedere" anziché "richiede"; il senso è quello che dici tu 😉

Non lo era, invece: hai voluto mettere sul medesimo piano due cose molto differenti. E io non faccio correzioni concettuali su un'eventuale imprecisione formale.

Ad ogni modo, ti faccio presente, in merito alla tua ultima precisazione,  che ognuno discute come può e si esprime con i mezzi e i modi che ha. Elasticità e varietà di contenuti, prima ancora che formale. Hai tacciato i tuoi interlocutori, neanche tanto tra le righe, ora di banalizzare, ora di polemizzare, ora di partire con "mini-flame", e quindi si sono persino lette puntualizzazioni un po' pretenziose e dal tono di sufficienza: è questo, mi chiedo io, il modo giusto di discutere, ovvero alla pari? Per me, no. Se hai in mente un interlocutore tipo, che ragioni come piace a te e non faccia digressioni (ammesso che siano tali) e si appassioni a certi aspetti del tema invece che ad altri, beh... allora non si può discutere.

Faccio anche notare che sembri molto interessato a rispondere più che altro a un solo utente (Mattia, nella fattispecie), con un certo accanimento che esclude gli altri, di fatto. Lo trovo poco educato nei confronti di tutti (compreso l'utente in questione, ovvio), e ancora meno produttivo. E stancante. Ma non volermene. Prendo atto del fatto che questo è un modo di fare ricorrente che trovo scorretto.

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@Sofia C. @Mattia Alari, intanto grazie per aver risposto. Accetto le critiche e le osservazioni, non le condivido tutte, ma mi permette di rileggere le cose notando cose che non avevo notato, in ciò che ho scritto e in come l'ho scritto.

Mi interessa l'argomento di cui si parla, senza volontà di accanimento nei confronti di nessuno in particolare (non ce l'ho con Mattia, quotato spesso solo perché ha scritto molto più di altri). Non c'è la non volontà di discutere, al contrario. Non sarei qui, non avrei partecipato attivamente. Non c'è neanche la volontà di bacchettare o di cercare un interlocutore tipo. Non sarebbe produttivo, non è il motivo per cui sono qui. Per cercare il confronto, come strumento di arricchimento collettivo di chiunque partecipi al forum. Non giudico le persone, per abitudine e mentalità, e non tiro cazzotti, neanche verbali, non ho il physique du role. Questo non mi impedisce di portare fatti e opinioni, di discutere quelle degli altri (sapendo che è difficilissimo separare il giudizio su quanto scritto dal giudizio su chi l'ha scritto), consapevole che quanto scrivo potrà essere criticato, più che disponibile ad accettare le critiche per cercare di migliorare. E di modificare il mio punto di vista, sulla base di nuove informazioni. La mia vita professionale è fatta di feedback, non ho paura a chiederlo perché sono disposto ad accettarlo, anche quando non mi piace.

La lista (incompleta) che ho pubblicato qualche post fa ne è un esempio lampante. In una prima stesura mi ero perfino azzardato a indicare i punti per cui CE è meglio di Self (ma risultava meno leggibile). Nove punti su dodici (post-integrazione) sono lì a dimostrare come la strada CE sia preferibile alla strada Self (in tutta onestà, un paio di punti sono neutrali, perché dipendono da chi li legge). Quando ho iniziato a partecipare a questa discussione ero molto più sbilanciato su un cinquanta-cinquanta.

E nonostante questo, continuo a provare più attrazione dal lato oscuro del self che da quello delle CE.

E questo mi dà da pensare.

Modificato da K. Wendice
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Faccio anche io il punto ma enumerando i motivi per cui una CE (come si deve, non la pinkopallo edizioni di quartiere) è decisamente migliore di un Self.

1. Il tuo testo passa una selezione. Per quanto tu possa averci investito nel raffinarlo, la CE lo curerà nel suo interesse. Non di rado infatti i testi vengono sottoposti a un secondo editing e non è a carico dell'autore.

2. In termini di prestigio, visibilità (anche circoscritta all'ambiente di riferimento) e autorevolezza, una pubblicazione con una casa editrice è ben altra cosa. Lo è anche professionalmente parlando.
I miei docenti all'università non pubblicano in self (neanche ora, ne seguo più di qualcuno e conosco le loro pubblicazioni).
Non ha lo stesso valore.

3. Il testo viene "comunicato" e sostenuto dalla CE. L'autore ovviamente fa il suo ma viene spinto e proposto dall'ufficio stampa della CE ed è sempre la CE che si occupa della promozione che NON E' a carico dell'autore.
Una volta dentro una CE, l'autore non spende un soldo.

4. Se la CE è seria i suoi potenziali lettori sono sicuramente di più e di maggiore qualità.

5. I maggiori concorsi letterari sono per libri editi con CE.
I risultati del concorso magari non vogliono dire nulla in termini di valore assoluto del testo, ma è pur vero che è meglio partecipare a certe cose che non farlo. Ho conosciuto così molti libri che ho poi letto per curiosità.
Con il self non puoi partecipare a moltissimi, la maggior parte.
Mi si dirà che il "Premio Calvino" accetta testi in self (se ricordo bene) ma non mi riferivo a questo tipo di iniziative, preziose per chi vuole trovare un editore (guarda caso).

Appunto: a Edinburgo, dove vivo, c'è un famoso festival letterario.
Beh, guardando il catalogo dei libri presentati (e degli autori presenti al talk) non ho visto autori di self. Ho un opuscolo proprio davanti ma... no.
Poi magari mi sbaglio di grosso (non ho guardato TUTTO IL PROGRAMMA ma la maggior parte) tuttavia usando san Google per tutti i nomi (e non ne conoscevo quasi nessuno) vengono fuori pubblicazioni con CE. Per tutti. Anche per i poeti.

Non so che dire... 
Sono incline sempre a passare al lato oscuro se hanno il bacon (i biscotti possono tenerseli) ma... Probabilmente mi piacciono le cose più difficili ed essere pubblicati con CE è più difficile che darsi al Self.
Mio punto di vista, eh?

 

Ah, poiché io sono una persona molto onesta intellettualmente, lascio qui un articolo che secondo me porta acqua al mulino del Self. Forse.

Un caso. Che è diventato un caso:

https://www.theguardian.com/books/2012/jan/12/amanda-hocking-self-publishing

Modificato da Mattia Alari
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5 ore fa, K. Wendice ha scritto:

Voglio provare a chiarire il mio pensiero. Il prodotto autore nasce con la sua opera prima, evolve, a volte anche cambiando genere e stile, sperimenta, instaura un rapporto con i suoi lettori, che magari aspettano impazienti di leggere qualcosa di nuovo. A volte si blocca e smette di scrivere, per sempre, o magari perché aveva un solo libro dentro di sé. I libri che scrive, sono solo tappe di questa evoluzione. Anche quando scrive un'unica opera, autore e libro si fondono, fino a creare un unicum difficilmente separabile. Mi spiace per il malinteso, non c'è niente di commerciale in tutto questo, neanche nell'uso della parola prodotto. Concedo che la frase lasciata lì così, senza commenti, potesse generare un mini-flame.

Concordo in parte, nel senso che mi sembra un pensiero che vale soprattutto dal punto di vista dell'autore, per cui certamente ogni libro non è mai qualcosa di isolato, ma la tappa di un percorso esistenziale, incarna una fase della sua vita, riflette la sua personalità, in esso rivede se stesso. Diverso, credo, il discorso per quanto riguarda il lettore, nei cui confronti nulla impedisce di poter apprezzare un singolo libro di un autore, senza per forza leggere gli altri dello stesso. Nella saggistica effettivamente può essere utile leggere un libro di un autore successivamente ad altri dello stesso, a partire da cui chiarire meglio dei presupposti teorici (non necessariamente in ordine cronologico di scrittura, ma anche retrospettivamente) senza i quali la lettura di un libro è più complessa, ed ha senso vedere le diverse pubblicazioni collegate a un filo conduttore unico che è l'autore stesso ( per quanto penso anche che il "bravo saggista" dovrebbe comunque sforzarsi in ogni suo libro, per quanto possibile, di "ripartire da zero", esplicitare il più possibile le premesse teoriche senza pretendere che tutti quelli che prendono in mano il libro debbano aver già letto tutti gli altri suoi libri).  Nella narrativa, tale vincolo c'è ancor meno, le emozioni suscitate dalla lettura di una storia sono qualcosa di estremamente personale, legate alla soggettività del lettore, che sussiste indipendentemente dalla conoscenza delle intenzioni dell'autore. Poi può succedere che un lettore attratto dallo stile dell'autore senta la curiosità, dopo aver letto un libro, di leggerne altri dello stesso autore, ma considero questa possibilità come accidentale, non necessaria all'apprezzamento del libro. Nel momento in cui un libro viene letto, fuoriesce dall'ambito di significato della vita dell'autore, per entrare in quella del lettore, che lo vivrà sulla base di coordinate del tutto diverse da quelle dell'autore, quella lettura avrà un senso in relazione ai momenti della sua vita, senso che sussisterà anche senza tener conto del senso con cui invece il libro è stato vissuto da chi lo ha scritto. Personalmente non avrei problemi, ad esempio, a leggere il libro di un anonimo. La mia curiosità rimarrà insoddisfatta per un certo aspetto, ma non per questo le sensazioni che vivrò leggendolo saranno meno autentiche.

 

Chiedo scusa per il fuori topic,  ma il punto mi ha stimolato.

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@greenintro Io parto dall'idea che più o meno ognuno di noi, indipendentemente da quello che legge e quanto legge, ha uno o più autori preferiti (e magari li cambia nel tempo), non importa che abbiano scritto un solo libro, dieci, cento, una serie o libri auto-conclusivi. E in casi eccezionali, potrebbe essere anche un anonimo.

Secondo me non c'è confine tra narrativa e saggistica. Nella saggistica cerco l'autore perché ne riconosco la competenza, anzi magari lo conosco prima professionalmente che non come scrittore, o perché lo trovo citato in bibliografia, o per referenze. E magari leggo altre opere.

Nella narrativa le dinamiche sono molto diverse. Personalmente faccio scelte molto irrazionali e ho letto un'infinità di libri di perfetti sconosciuti (e continuo a farlo in modo quasi compulsivo). Alcuni di questi mi hanno lasciato molto più di altri, nel modo in cui hanno saputo raccontare la storia, tratteggiare i personaggi e, in ultima analisi, entrare in sintonia con me. Di questi autori, finisco inevitabilmente per cercare altre opere per scoprire se sia stato un caso o meno, e se si crea il feeling finisco per leggere quasi tutto quello che ha pubblicato.

Quando scopro che non è un caso, non cerco più la singola storia, ma l'autore. E anche quando non succede, se vedo un libro nuovo di un autore che è stato capace di emozionarmi con una qualunque delle sue opere, lo guardo con maggior interesse. Allo stesso tempo, so anche che alla prima delusione, probabilmente me ne allontanerò, pur mantenendo nel cuore il primo libro, quello che ha fatto scoccare la scintilla.

 

@Mattia Alari Non esiste confronto: essere pubblicati da una CE seria e in grado di garantire un certo livello di distribuzione, non ha paragoni, per le ragioni che hai elencato e tutte quelle che troviamo nel lungo thread. Non c'è confronto, il self perde su quasi tutta la linea e, a dieci anni più o meno dalla sua nascita, è diventato una giungla in cui tutti scrivono e tanti cercano di lucrare (se avete tempo da perdere, cercate "low-content self-publishing", per capire il livello di degenerazione a cui si è arrivati) e dove emergere è praticamente impossibile.

Per rendere ancora più chiaro il mio pensiero, non consiglierei il selfpublishing quasi a nessuno. Non a quelli che hanno ricevuto l'ennesimo rifiuto da una CE, non a quelli che lo fanno per vanità, non a quelli che cercano una scorciatoia, nemmeno a quelli che pensano che magari una CE mi nota grazie al self, per non parlare di quelli che pensano addirittura di guadagnarci.

Per quella ristretta minoranza di persone che ne hanno compreso limiti e potenzialità, l'impegno che richiede, in termini di studio, soldi, tempo e ansia, allora, forse, se ne può parlare. In rari casi il self può essere fonte di soddisfazione, nella maggior parte dei casi sono soldi buttati e tanta frustrazione (con tutti i se e i ma di cui ho ampiamente scritto).

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11 ore fa, Mattia Alari ha scritto:

Comprendo e non condivido affatto l'idea che il Self sia così "democratico" (sempre uso "sfumato" del significato): ribadisco l'idea che spendendo 100 euro (che per qualcuno possono essere anche tante) non hai il prodotto di chi ne mette sul piatto 1500 e onestamente si parlava di cifre decisamente superiori (basti pensare quanto costa una VERA COPERTINA, ad esempio. Qualcuno si scandalizza ma non io).

Concordo.

Per quel che posso dire, lato professionale, pur offrendo differenti soluzioni di prezzo per dare l'opportunità a chiunque di avere quantomeno un confronto con un professionista – così da evitare di mettere sul mercato robaccia inguardabile dal punto di vista grafico – c'è comunque una differenza nel prodotto finale tra una copertina realizzata dall'autore, corretta e discussa durante una consulenza, una copertina esecutiva basata su un layout preimpostato, e una copertina realizzata con un progetto grafico completo. In genere, il cliente sceglie il servizio anche in previsione del volume di vendite che si aspetta. Per esempio, è inutile che un autore che vuole reimmettere sul mercato una pubblicazione edita in precedenza con una CE, per cui è scaduto il contratto, realizzi un progetto grafico: il più delle volte, sarebbe buttare via i soldi. Meglio, quindi, indirizzarlo su contenuti gratuiti e al massimo una consulenza per correggere eventuali errori commessi.

Chiaro è, però, che la differenza c'è.

25 minuti fa, K. Wendice ha scritto:

Per rendere ancora più chiaro il mio pensiero, non consiglierei il selfpublishing quasi a nessuno. Non a quelli che hanno ricevuto l'ennesimo rifiuto da una CE, non a quelli che lo fanno per vanità, non a quelli che cercano una scorciatoia, nemmeno a quelli che pensano che magari una CE mi nota grazie al self, per non parlare di quelli che pensano addirittura di guadagnarci.

Concordo anche su questo. Nulla di ciò identifica un pensiero o un ragionamento imprenditoriale, che è la base dietro alla scelta ponderata dell'autoedizione.

Riguardo l'ennesimo rifiuto da parte di una CE, poi, per quella che è la mia esperienza, con l'autore in autoedizione di successo avviene esattamente il contrario: è l'autore stesso a rifiutare la proposta della CE (grossa) e fare da sé. Come esempio pratico: una mia cliente ha rifiutato la pubblicazione con Penguin perché avrebbe dovuto aspettare circa due anni prima di vedere il libro immesso in commercio. Quindi ha fatto da sola e ha avuto un successo sorprendente. Continua a fare da sé e il risultato è che ha venduto diverse migliaia di copie, il libro è in commercio in tre lingue, in italiano è disponibile anche l'audiolibro, e ne ha fatto girare anche un cortometraggio.

All'inizio, però, come tutti gli imprenditori, ha dovuto investire di tasca propria, e ha investito perché spera di poter risolvere un problema familiare non da poco, con la diffusione di questo libro. Poi, con il ritorno di investimento e gli utili, ha fatto anche il resto.

Ribadisco, però, che non è per tutti scegliere di intraprendere un percorso simile.

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Sempre in tema con il soggetto della discussione ma andando "lateralmente" c'è un altro "problema" sul quale apprezzerei moltissimo il vostro parere ossia la questione dell'identità dell'autore.

Ci sono persone, come me, che vorrebbero rimanere totalmente separate dall'autore. Sono il contrario di quello che vuole essere riconosciuto o parlare delle proprie cose e sì, esistiamo anche noi e non è neanche detto che siamo negati (quindi da escludere a priori) o "solo dei problemi che non vale la pena di gestire" (mi sono sostanzialmente sentito dire pure questo, da qualche editore, quando si è discusso di queste cose).


Secondo voi, a pubblicare in Self da "anonimo" e non essendo eventualmente disposti a promozione fisica (per molti motivi) si hanno più speranze che nel cercare di proporsi sotto pseudonimo con una CE ed essere disposti solo a promozione "indiretta" (ossia nulla che comporti farsi "vedere" o viaggiare)?
Sembra una domanda stupida ma non lo è, soprattutto vista la volontà delle CE (italiane) di puntare su un certo tipo di strategia di comunicazione, a mio parere davvero obsoleta (mi riferisco alle presentazioni fisiche).
 

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31 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Secondo voi, a pubblicare in Self da "anonimo" e non essendo eventualmente disposti a promozione fisica (per molti motivi) si hanno più speranze che nel cercare di proporsi sotto pseudonimo con una CE ed essere disposti solo a promozione "indiretta" (ossia nulla che comporti farsi "vedere" o viaggiare)?
Sembra una domanda stupida ma non lo è, soprattutto vista la volontà delle CE (italiane) di puntare su un certo tipo di strategia di comunicazione, a mio parere davvero obsoleta (mi riferisco alle presentazioni fisiche).

Domanda molto interessante.

Faccio una piccola premessa: il libro che abbiamo pubblicato in self prevedeva sin dall'inizio la pubblicazione in self con pseudonimo, era in un certo senso parte integrate di un esperimento che si prefigurava, tra le altre cose, di capire come funziona il self, le sue dinamiche, i riscontri e tutto il resto. Non ho quindi un confronto con la proposta a una CE.

Pubblicare in self da anonimo (o con pseudonimo) si può fare, ma complica maledettamente le cose: non hai un'identità, non hai una rete di contatti, non hai nulla su cui normalmente potresti basare una comunicazione sui social. Lo so, perché è quello che abbiamo fatto. Per complicarcela di più, abbiamo utilizzato in modo quasi nullo la nostra rete di contatti del mondo reale, per non essere "scoperti", anche in modo indiretto, tramite recensione di amici, o di amici di amici. Insomma, si parte da zero e ci si complica maledettamente la vita.

Quello che abbiamo fatto è stato di investire poche decine di euro in advertising e qualche riscontro lo abbiamo avuto. Le circa 120 copie in un mese (tra ebook, cartaceo e letture su kindle unlimited) e le 26 recensioni ricevute (tante valutazioni, anche con voto basso, sfortunatamente senza commento a corredo) sono quasi esclusivamente di perfetti sconosciuti e probabilmente più sincere.

Sicuramente ci sono altre strade (ma costruire un network da zero è davvero faticoso e time consuming). L'unico suggerimento che mi sento di dare è di dare vita allo pseudonimo sui social molto in anticipo rispetto all'auto-pubblicazione (almeno 3 mesi prima, meglio 6).

L'unico vantaggio che ci vedo è che se anche ci si dovesse bruciare (perché magari il libro è una ciofeca), uccidi lo pseudonimo, ti rimbocchi le maniche, studi, impari, ti affidi a professionisti diversi, e ci riprovi. Il plus è non doversi prestare a eventi e presentazioni, neanche online 😉.

Non sono sicuro, tornando indietro, che rifarei questa scelta, ma c'erano (e ci sono ancora) ottime ragioni personali per mantenere l'anonimato. 

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48 minuti fa, K. Wendice ha scritto:

L'unico suggerimento che mi sento di dare è di dare vita allo pseudonimo sui social molto in anticipo rispetto all'auto-pubblicazione (almeno 3 mesi prima, meglio 6).

Se si fosse abbastanza bravi nel social si potrebbe persino pensare ad una pagina in cui condividere "sé stessi" prima di annunciare l'uscita di un lavoro. Potrebbe anche misurare il grado di interesse possibile nei confronti di ciò che si scrive.
Io l'ho fatto inviando i miei testi alle riviste letterarie, fino ad ora ho scritto racconti, ma la creazione di un blog (e di una pagina FB legata al blog SOPRATTUTTO) potrebbero far parte di una buona strategia di comunicazione, utilissima anche si fosse pubblicati da una CE.

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27 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Se si fosse abbastanza bravi nel social si potrebbe persino pensare ad una pagina in cui condividere "sé stessi" prima di annunciare l'uscita di un lavoro. Potrebbe anche misurare il grado di interesse possibile nei confronti di ciò che si scrive.

Esatto, è fondamentale incominciare a essere presenti e annunciare in anticipo, anche per validare l'idea prima di buttarsi a capofitto nell'opera. Tra l'altro avevo letto da qualche parte di una scrittrice self (su KDP) che usava questo approccio più le prenotazioni sugli ebook per misurare l'interesse. Rimane il problema di emergere (un po' di rumore lo si deve pur fare perché questo tipo di misurazione abbia un senso 😉)

Nel nostro caso, alcune cose le abbiamo decise troppo tardi (il titolo e lo pseudonimo, giusto per citare due inezie 🤦‍♂️), altre le abbiamo scoperte a pubblicazione già avvenuta. Va anche detto che con il self, i tempi di reazione si accorciano e si può (parzialmente) rimediare agli errori anche dopo aver cliccato per la prima volta il tasto "Pubblica" 😅.

Usando uno pseudonimo, il self può essere un'ottima palestra per esercitarsi e testare le proprie idee con un livello di rischio mediamente molto basso (soprattutto reputazionale). Di contro, si hanno molti gradi di libertà: dalla copertina, alla sinossi, ma anche le keyword, la categoria, i social. Non escludo che qualcuno possa pensare di farlo come esperimento prima di trovare dentro di sé la forza di proporsi a una CE (ma non era negli obiettivi del nostro esperimento).

Per assurdo, considerando che i rischi sono trascurabili, si può anche pensare di farlo a costo zero o investendo cifre irrisorie (e forse, se si sperimenta, dovrebbe essere questo l'approccio), ma questo poi va tenuto in considerazione quando si valutano i risultati. Quello che si risparmia in soldi, tra l'altro, si spende in tempo, con un fattore moltiplicativo importante. Bisogna studiare e mettere in pratica un sacco di roba:  meccanismi di funzionamento delle piattaforme di pubblicazione, dei social, del SEO e del SEM, senza contare tutto ciò che attiene al libro.

Insomma, può essere davvero un super sbattimento e comprendo perfettamente chi non se la senta di affrontarlo.

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  • 2 mesi dopo...
Ospite LauraMcMiller

Io mi sono fatta un'idea precisa sull'autopubblicazione: Per me è un opportunità e ora vi spiego il perchè.

Spesso se si è alle prima armi e si ha una agenzia letteraria, le CE difficilmente ti pubblicano perché non hai un pubblico, quindi per farti pubblicare volente o nolente devi avere un pubblico che ti segue e formare una community, questo vuol dire che le CE grandi o piccole che siano, pubblicano solo se il romanzo in questione fa soldi (avete presente il caso 50 sfumature? Non un capolavoro, ho letto libri decisamente migliori di questo) Ora per fare questo devi spaccarti il cu*o e farti la gavetta, in poche parole devi vendere.

Però, non puoi presentare al pubblico un opera piena di refusi, ed errori, e non puoi pubblicare un romanzo senza avere la conoscenza minima delle tecniche editoriali, questo vuol dire che devi fare un operazione fondamentale EDITING, CORREZIONE BOZZE IMPAGINAZIONE E GRAFICA.

Vuol dire che il tuo romanzo deve avere una preparazione professionale, che non ha nulla da invidiare ai libri che escono con le CE, rendo bene l'idea? Altrimenti se fai un operazione amatoriale vai su wattpad e scrivi con lo smartphone, ma non è lo stesso che cominciare a far gavetta scrivendo romanzi e pubblicandoli per guadagnarci, si è poco me ne rendo conto, ma alla fine è tutta una questione di soldi, se non vendi non ti pubblica nessuno.

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Ospite LauraMcMiller

Precisiamo, non ho nulla contro le case editrici eh? Se ti pubblicano loro ben venga, sei stato scelto e la trafila la fanno loro. Comunquesia sia se ti pubblica la CE, sia che si usa l'autopubblicazione, ci sono pro e contro, certo la CE ti seleziona, il romanzo però non è di tua proprietà, tu guadagni il dieci per cento (se sei fortunato anche il dodici)  e aspetti almeno sei mesi per vedere il tuo romanzo nelle librerie, stessa cosa (in un certo senso) l'autopubblicazione. Il romanzo è completamente tuo, non ci sono vincoli e lo puoi pubblicare dove vuoi MA, lo si vende online, devi pagare le campagne pubblicitarie e via dicendo, a lungo andare le uniche differenze stanno qui. Però, per l'autopubblicazione è il pubblico a scegliere cosa leggere, ti giudica, se il libro è buono ti premia col passaparola, invece le CE  sceglie l'editore e il suo team.

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Personalmente non riesco a dare lo stesso valore ad un libro autopubblicato e un libro che dietro ha una casa editrice, anche se è ovvio che le case editrici non selezionino i testi (solo) in base alla qualità.
La vendibilità di qualcosa fa la differenza in entrambi i casi e cioè, se scrivi qualcosa di "popolare" hai un certo riscontro ma diversamente... con il self è anche più difficile farsi vedere.

Io non credo che sarò mai pubblicato, per vari motivi, tuttavia in astratto penso che in linea di massima il tuo carattere e cosa sei disposto a fare per "spingere" il tuo testo, faranno moltissimo. Molte persone, come me, non hanno né il tempo né la voglia di pensare a piani "commerciali" (e infatti non vendo neanche i miei quadri, come fanno altri, su pagine personali o spammando i miei lavori sui social) quindi una casa editrice e tutti i servizi che offre, sarebbero il modo migliore di "liberarsi" di parte di quello che considero un peso. Mio limite personale, lo ribadisco.

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  • 2 settimane dopo...

Dopo  un periodo di assenza dal forum abbastanza lungo, un breve aggiornamento sull'esperimento di autopubblicazione, che ha lo scopo più che altro di condividere un po' delle cose che abbiamo imparato strada facendo.

Disclaimer: i dati sono quelli del nostro libro, per altre persone e relativi libri i risultati possono essere molto diversi. Il libro è stato pubblicato in anonimo e non si è praticamente minimamente la rete di contatti diretti (inclusi parenti e amici) per promuovere il libro. Di conseguenza non è stata fatta nessuna attività di promozione tradizionale, come presentazione del libro o similari. Di contro, sono stati creati un profilo social (e un mini sito) con risultati a dir poco imbarazzanti (ma si è dedicata un'energia veramente infima per seguirli e costruire una rete di relazioni).

A 114 giorni dalla pubblicazione i riscontri sono i seguenti:

  • Kindle Unlimited funziona più della vendita (al momento il 57% delle letture arrivano da KU)
  • in generale l'ebook vende molto di più della carta (200 ebook contro 24 copie cartacee)
  • essere messi in una lista promozionale (su KDP si può richiedere di partecipare alle offerte gestite da Amazon) aiuta tantissimo le vendite: nel mese di novembre il libro ha venduto 99 copie, contro le 125 totali dei tre mesi precedenti. L'effetto si è trascinato anche sulle letture Kindle Unlimited
  • il sistema di promozione (adverstising) di Amazon aiuta, ma non fa miracoli; se usato con poca oculatezza può fare molto male al portafoglio (tanti soldi spesi per poche vendite), ma almeno nel primo mese di pubblicazione ha sostenuto le vendite (circa il 50% delle copie del primo mese arrivano da advertising). Come approccio, abbiamo reinvestito parte delle royalties per fare pubblicità (e il bilancio al momento è ampiamente positivo tra royalties "guadagnate" e soldi spesi)
  • essere ben posizionati in una classifica di genere (nel nostro caso, "Gialli su crimini internazionali") aiuta a essere visti e quindi letti; la selezione della categoria è un'arte oscura, ma alla fine il criterio che per noi ha funzionato meglio è stato di cercare autori ai quali ci sentissimo affini e abbiamo scelto la categoria in cui più spesso appaiono i loro libri
  • il sistema di valutazione e recensione è spietato. Al momento ci sono 121 valutazioni (poco più di un lettore su quattro), con un numero inquietante di valutazioni a 1 e 2 stelle (tutte senza recensioni); le recensioni sono infinitamente poche (11) rispetto alle valutazioni, e tutte positive. Questo aspetto limita molto la capacità di capire cosa abbia funzionato e cosa no e come migliorare un successivo esperimento
  • metà dei lettori ha dato un voto positivo (62 voti a 4 o 5 stelle); un quarto ha dato un voto neutro (ma comunque critico, secondo gli standard di Amazon) e il restante quarto un voto negativo
  • abbiamo pubblicato tre revisioni del libro (due per "refusi" che erano passati inosservati a più cicli di revisione e una terza che ha rivisto e, sperabilmente, migliorato un paio di capitoli che avevano oggettivamente meno mordente) e cambiato una volta la copertina (desaturando i colori, che facevano sembrare il tutto meno convincente rispetto ad altri libri nella stessa categoria)

Al momento il libro ha superato i 520 lettori (tra copie vendute e pagine lette su Kindle Unlimited), che è un risultato che va al di là di ogni nostra più rosea aspettativa.

Che conclusioni ne abbiamo tratto?

Un'enorme soddisfazione, tanti punti interrogativi, ma la convinzione di di continuare e riprovarci, anche se sicuramente qualcosa cambierà nel processo di scrittura (quello creativo, ma soprattutto quello post-scrittura). Su questo, ahimè, ci stiamo ancora lavorando 😉

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Condivido allora anche io una cosa, di cui non avevo parlato.

Non dirò lo pseudonomo che ho usato e neanche dove ho pubblicato ma ho lasciato in giro un testo (una "novella" di 98 pagine circa) per fare un esperimento e nel giro di un mese... Lo avevano letto più di 100 persone e ancora continuano (non so quante visualizzazioni capitolo per capitolo ci siano ma il fatto che non crollino al secondo e al terzo ma si mantengano nei numeri del primo è già un successo perché vuol dire che la gente non ha mollato la lettura). Chiaramente non ho investito un soldo e non ho richiesto niente. Tutto gratis.
Recensioni positive, richieste di contatti da parte di altri autori (soprattutto autrici, devo dire) che pensavano chissà chi ci fosse dietro...
Un paio di discussioni molto interessanti.

In genere posso dire che se per caso vuoi condividere una cosa, senza che questa sia significativa in termini di "guadagno", mollare testi in giro su piattaforme di scrittura ti fa leggere, eventualmente apprezzare e molto criticare. E' sempre un dai/ricevi, quindi se non ricambi il favore considerando chi ti considera... il sistema non funziona (ma a quanto pare è così anche per le recensioni di libri "seri", ne sto prendendo atto).
Ma se il fine è essere letti... buttare le cose in giro funziona.
E' su guadagno e reputazione che resto perplesso.

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Su guadagno posso rispondere in fretta: non si guadagnano cifre strepitose, ma d'altra parte non era il nostro obiettivo. Lo scopo è sempre stato quello di capire se eravamo all'altezza di scrivere (e concludere) un romanzo che ci sarebbe piaciuto leggere e verificare se i risultato sarebbe piaciuto solo a noi. Il resto è un di più.

Sulla reputazione non so rispondere 

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Sul dai e ricevi e più in generale sul mondo del feedback... c'è tanto da migliorare.

Quando leggo un libro (o anche altro tipo di testo), cerco sempre di circostanziare il mio "voto" spiegando cosa mi è piaciuto e cosa no, non metto mai un voto giusto per dare, piuttosto mi astengo. E quello che scrivo lo scrivo pensando che lo leggerà l'autore, prima che gli altri lettori. Questo esperimento ha dimostrato che il canale self con KDP non mantiene questa promessa (se mai l'ha fatta).

Mi rendo conto che la platea di chi legge gli ebook (probabilmente da un dispositivo Kindle, che non aiuta nella scrittura di testi più o meno lunghi di argomentazione) trovi più semplice limitarsi al compitino di cliccare su una delle stelle.

Il mondo del cartaceo (analizzando le recensioni di svariate centinaia di testi, in self e non, di autori famosi e autori meno noti) è molto diverso: chi lascia un commento, lo fa volutamente, si è preso il tempo per farlo e magari lo fa da un PC o da uno smartphone.

Interessante (opzione che non avevamo neanche immaginato) l'ipotesi di sottoporre il testo in altri contesti, non necessariamente nello spietato mondo del self.

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  • 4 settimane dopo...
Ospite Serena Carlucci

Il self-publishing non è per tutti. Ai miei clienti dico sempre di pensare al motivo per cui vogliono pubblicare in self; se è un ripiego, non funzionerà. Bisogna conoscere il mercato, le tempistiche di pubblicazione, lavorare con professionisti seri e avere una community forte.

La ritengo un’ottima soluzione se studiata, un ottimo trampolino di lancio. Vi faccio un esempio: una mia autrice ha pubblicato in self vendendo in due mesi 2500 copie. È stata notata da tre case editrici big e ha da poco firmato con la Salani. 

Questo non accade a tutti, per questo dico che deve essere una scelta ponderata e studiata. Sicuramente non è la via più semplice.

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