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Cosa ne pensate (sinceramente) del Self publishing?


Mattia Alari

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33 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Io invece parlo di qualcosa che si scrive, una storia che viene in mente e che poi... si propone. Ma senza pensare "il pubblico è al centro, devo tenerlo in considerazione"

 

34 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Ci sono pittori che lavorano su commissione (e si parla di grandissimi artisti, da sempre, quindi non è un giudizio "qualitativo") e altri "che fanno" e poi propongono. Io sono della seconda categoria, anche se rispetto profondamente la prima.

(potenzialmente OT, perché non si parla squisitamente di self)

Nel momento in cui scrivo, so che ciò che scrivo dovrà essere letto, compreso e apprezzato da qualcun altro. Uno qualunque, anche l'ultimo degli ultimi. Non importa chi. Ci sarà almeno una persona, che non sono io, autore, che dovrà entrare in sintonia con il mio testo, con la mia storia, quella che ho immaginato, sognato, cesellato parola per parola.

Questo qualcuno non è necessariamente come me, ma a questo ultimo degli ultimi, questo essere immaginario, è a lui che mi rivolgo. Io parlo a lui, non a me stesso. Altrimenti finisco nell'autocompiacimento (è un mio limite, e lavorare in team ha aiutato enormemente). Questo non mi impedisce di fare ciò che mi piace fare.

Non è lavorare su commessa, è la volontà di sintonizzarsi su una frequenza di ricezione che non sempre coincide con quella di trasmissione. Diversamente, posso anche dire di essere rimasto all'ermetismo, e va bene lo stesso (ma poi non devo crucciarmi se qualcuno mi stronca 😜).

Aggiungo che, con un background professionale di stampo tecnico e scientifico, penso che il risultato della fase creativa dovrebbe essere già di qualità alla prima stesura, mettendo l'editor nelle condizioni di non dover disperare sulla grammatica, l'ortografia, le ripetizioni e la punteggiatura, ma di concentrarsi su come migliorare la storia (lessico, sequenza degli eventi e della narrazione, consistenza e coerenza della trama, etc).

Non ricordo quale autore molto famoso dicesse che ogni giorno scrive più o meno dieci pagine, e il giorno dopo, prima di dedicarsi al resto, rivede e corregge le dieci pagine del giorno precedente. Ha ancora bisogno dell'editor, ma fanno, insieme, un lavoro di maggiore qualità e a più alto valore aggiunto. Approcci di questo tipo, utilissimi in una filiera editoriale tradizionale, sono IMHO essenziali nel selfpublishing.

38 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Non mi piace tenermi i miei preconcetti troppo stretti, ho cercato il confronto per riconsiderarli. Quindi... No, le tue parole non sono inutili. E no, non stai perdendo tempo con un cocciuto convinto delle sue ragioni.
Grazie di dedicare tempo alla discussione.
Stiamo ragionando, no?

Alla grande. Grazie a te 🙏

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Mezzo OT ma si torna al Self:

Io ho un altro background culturale (opposto) ma capisco che intendi.
E con me sfondi una porta aperta ma io sono anche più estremo di te: io detesto che l'editing coincida con la "riscrittura del testo" o la sua "Normalizzazione" in un senso che purtroppo spesso coincide con la sua riduzione "in serie" e la perdita dello stile dell'autore.
Succede anche questo, purtroppo.
Di editor bravi e seri ne conosco (ho anche lavorato con un ragazzo molto in gamba che ha editato un mio racconto per una rivista) e che un editor possa farti notare che certi punti non sono "chiari" ci sta. Anche dei lievi problemi. Se già la trama è debole e il tuo testo va montato e rimontato... per me non vale la pena. Sarebbe già da scartare.
Trovo persino offensivo che si possa prendere in considerazione un autore che non ha fra le sue doti la generale correttezza e più "talento" della norma nel gestire la narrazione.

Ho avuto l'esperienza del ghostwriting (mi cercano ancora) e purtroppo la porto avanti in altro senso (diciamo pure che "aiuto" delle persone) quindi sono convinto che essere corretti, limpidissimi ed efficaci sia necessario.
Non ho neanche stima dell'ermetismo involontario o di certe supercazzole narrative che vengono rifilate per "stile" o sperimentazioni.
Ci vuole sempre onestà nell'esprimere sé stessi (è il mio punto di vista) e proprio per questo è doveroso FARSI CAPIRE. Altrimenti si tace (in tutti i sensi). Ma questo, dal mio punto di vista, è diverso da prendere in considerare di avere un pubblico. Forse è una sfumatura, non so. Ma...
Probabilmente fa la differenza tra la scrittura di una storia e una "propria storia" (senza che questo abbia a che fare con l'autobiografismo).
Per anni e anni ho scritto e chiuso tutto in file nel mio PC. Scrivevo e scrivo per altri ma non avevo mai pensato di pubblicare o far leggere NIENTE di mio. Eppure... scrivevo. Cose che dovevano avere senso.
Anche qui, tengo un diario ma lo aggiorno senza pensare a chi lo legge o se qualcuno lo legge. E' lì. E' quello.
Io scrivo per me stesso e se qualcuno mi è "compagno" lo ringrazio, tanto.
Ho scritto la mia raccolta con questo spirito.

Ho iniziato a inviare qualche racconto in giro e sono stato pubblicato dalle riviste e far leggere mi piace, mi piace parlare di scrittura. Mi piace confrontarmi. Però mi piace anche la competizione, il confronto, la selezione. E... non lo so... Probabilmente è anche questo che mi fa percepire il Self come qualcosa di "diverso" rispetto alla mia idea di essere pubblicato con una CE.
Gli aspetti tecnici e commerciali dell'impresa, ad esempio, li vorrei anni luce da me stesso. Per un pittore è un paradosso, forse, ma non sono portato a mostrare.
E come "scrivente", forse per reazione a quello che faccio (anche) di mestiere... Io sono un disorganizzato grafomane (dico sul serio) refusista professionista senza rimorsi o ritegno. Sono uno che con la lingua ha un rapporto spontaneo e "casual". Mi piace giocarci. Ma...
Cesellare, ad esempio, è qualcosa che non mi è molto spontaneo. Produrre e scrivere tantissimo sì, anche troppo. Veramente troppo (non dico o scandalizzo qualcuno). Ma solo perché mi è spontaneo e non è un atto di volontà.
Non mi faccio vanto di nulla del genere, sia ben inteso. Ma prendo atto dei miei limiti personali anche in termini di "potenziale impresario di me stesso". Come avete detto il self non è per tutti. Sicuramente in questo senso prima che in altri.

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Mi piacerebbe tornare su un punto che mi pare sia emerso nel corso della discussione, per il quale si considererebbe l'autopubblicazione più favorevole per le opere di nicchia, saggistica scientifica, mentre la narrativa resterebbe più appropriata per l'editoria tradizionale. Io troverei più probabile il contrario, nel senso che una valutazione qualitativa scientifica credo sia più facilmente ottenibile giovandosi di una struttura di controllo preesistente all'interno di una casa editrice o delle riviste che a quella casa fanno capo (comitato scientifico) con le procedure di peer review, mentre per chi si organizza in totale autonomia suppongo sia più difficile trovare una rete di professionisti adeguata a tale fine, in assenza di una struttura precostituita. Cioè, si possono trovare soluzioni, ma immagino con molte più difficoltà, dipende dalle contingenze. Mentre per quanto riguarda la narrativa, non vincolata a garanzie di controllo scientifico in quanto più soggetta a valutazioni legate al gusto soggettivo e arbitrario del lettore, tale necessità cade, e suppongo che, almeno da questo punto di vista, la mancanza di una casa editrice dovrebbe farsi meno sentire. Non so se avrete voglia di tornare sull'argomento.

Per quanto riguarda la contrapposizione fra punto di vista "autorecentrico" e "lettorecentrico", trovo che tale contrapposizione possa esistere, ma solo oltre certi limiti inerenti la pretesa quantitativa di un pubblico. Cioè, quanto più la soglia numerica di lettori che ci si pone come obiettivo si alza, tanto più i due punti di vista confliggono, ma quanto più si tiene bassa tanto più c'è conciliabilità. Se a me ponessero, come alternativa, scrivere su di un tema che mi coinvolge poco o nulla come interesse, ma su cui avrei ampie possibilità di avere un vasto numero di lettori, oppure scrivere in piena libertà su di un tema scelto da me e trattato da me, ma essendo letto da massimo tre, quattro persone, sceglierei senza indugio la seconda alternativa. Al tempo stesso però non concepisco (ma è una posizione del tutto personale e arbitraria) il concetto di "scrittura privata": mai tenuto un "caro diario", appunti personali tenuti solo per me. L'idea di scrivere senza alcuna prospettiva, per quanto minimale e improbabile, di essere letto, mi demotiva completamente, la sentirei come fatica buttata via. Ho bisogno di mettermi alla prova, avere un riscontro esterno, e proprio qua ci si riconnette al punto di vista "autorecentrico", apparentemente opposto a questo! Perché il mettersi alla prova, al giudizio di un ipotetico lettore, ha senso solo se ciò che viene letto sia davvero farina del tuo sacco, espressione massima della libertà autorale (altrimenti come si potrebbe parlare di "mettersi alla prova", il giudizio del lettore non riguarderebbe il mio vero "io", ma una maschera fittizia creata appositamente per piacere, e allora che soddisfazione ne avrei?) Questa coincidenza tra riferimento al lettore e esigenza di massima libertà autorale resta in piedi però fintanto che le aspettative sul numero di lettori resta limitato a una nicchia, finché si parla di nicchia ha senso pensare che la libertà dell'autore potrà essere riconosciuta e apprezzata da una ristretta tipologia di lettori che condividono con lui interesse per il tema e apprezzamento per un determinato stile o idee, mentre nel momento in cui le aspettative arrivano al fare del proprio libro un best seller, allora i compromessi e un certo snaturarsi per conquistare un pubblico tanto ampio diventano necessari, ed ecco che l'armonia tra "autorecentrismo" e "lettorecentrismo" si spezza e inizia la contrapposizione. Personalmente, muovendomi serenamente nell'ultra-nicchia, questa contrapposizione è un problema che non sento, o meglio posso sentire e magari l'ho già sentita, ma nulla su cui non si possa trovare una sintesi soddisfacente.

 

 

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4 ore fa, greenintro ha scritto:

Mi piacerebbe tornare su un punto che mi pare sia emerso nel corso della discussione, per il quale si considererebbe l'autopubblicazione più favorevole per le opere di nicchia, saggistica scientifica, mentre la narrativa resterebbe più appropriata per l'editoria tradizionale

Probabilmente è stato un mio commento a lasciar intendere questo, che non è esattamente quello che intendevo.

Nella non fiction, chi scrive (e successivamente auto-pubblica) ha più da perdere che da guadagnare. E' un problema di reputazione e credibilità. Se scrive un libro imbarazzante (nei contenuti, prima ancora che nella forma), ci rimette professionalmente, non ha solo scritto e pubblicato qualcosa di brutto. Di solito, chi scrive non è l'ultimo arrivato in quello specifico settore, ma è qualcuno che ha studiato e lavorato in quell'ambito, qualcuno che ha qualcosa da aggiungere alla base di conoscenza della nicchia in cui opera. Una rete di peer con cui confrontarsi di solito esiste e viene ampiamente utilizzata durante la stesura del testo, con cicli di feedback rapidi, su stesure preliminari e incomplete dell'opera.

In ambito accademico questa cosa funziona meno, o non funziona affatto, perché di solito l'auto-pubblicazione non viene considerata molto dal punto di vista reputazionale. Ci sono case editrici specializzate per aree e domini, se pubblichi fuori da quel giro, è come se non avessi pubblicato nulla.

Per cui, non posso dire in assoluto che sia la strada preferenziale per la non-fiction, in molti casi non lo è affatto. Ma il problema non è la qualità dei contenuti, che, soprattutto per chi vuole mantenere credibilità nel proprio lavoro, sono validati da persone esperte, quanto o forse più che un comitato scientifico di una CE.

La narrativa è un'altra storia, secondo me. La rete che una persona può avere è generalmente quella di amici che nella migliore delle ipotesi sono avidi lettori, ma non sono esperti. La qualità del "come scrivi" è essenziale (non parlo solo di correttezza formale, ma di come è costruita e narrata la storia). Ma anche qui, i distinguo sono troppo: bisogna tenere conto di tanti fattori, a partire dal genere, che, ci piaccia o no, ha spesso degli elementi codificati in modo preciso (penso al fantasy, al giallo, alla fantascienza). In questo senso, non avendo una rete di professionisti scrittori, editor, etc, è probabilmente necessario affidarsi a chi questo lavoro lo sa fare. Una CE, in teoria, queste cose le sa fare.

 

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8 ore fa, greenintro ha scritto:

Al tempo stesso però non concepisco (ma è una posizione del tutto personale e arbitraria) il concetto di "scrittura privata": mai tenuto un "caro diario", appunti personali tenuti solo per me. L'idea di scrivere senza alcuna prospettiva, per quanto minimale e improbabile, di essere letto, mi demotiva completamente, la sentirei come fatica buttata via

Io dubito di essere (anche potenzialmente) uno scrittore perché io scrivo tutto il giorno e su tutto e senza alcun tipo di fatica. Presente la pagina vuota che resta lì e ispirazione zero? Io no. Il mio problema è l'opposto: organizzare, svolgere, dare una forma alla slavina mentale e creativa che spesso si abbatte su di me nei momenti meno opportuni.
@Sofia C.che è una mia cara amica, che taggo perché potrebbe essere interessata all'argomento e continuare a dire la propria (Sofia sta per pubblicare un bellissimo libro di poesie con una CE) mi conosce piuttosto bene in questo senso e bene o male abbiamo più volte parlato di quanto la questione possa differire da persona a persona (o quanto possa essere indizio di mancanza di talento, nel mio caso. E lo dico senza "falsa modestia" perché non fa parte di me).
Per quel che riguarda i compromessi... Se si è in grado di farli e non si è sviliti dalla cosa, ben venga! Ma... io ho 43 anni, non ne ho mai fatti e non ne farò mai. Lo so per certo.
Per me vale il tranquillo ma chiarissimo: è questo: Ti piace? Grazie. Non ti piace? Grazie lo stesso.
Ma non riuscirei MAI ad "aggiustare" la mia ispirazione su quelle che sono le esigenze di pubblico, neanche con la prospettiva di poterlo "allargare".
Riprendo ancora una volta la mia esperienza come pittore: io sono in grado di dipingere in un buon figurativo (diventerebbe persino ottimo, se fossi fissato sulla cosa,, perché ho una mano "raramente precisa" dicono) e si guardagna discretamente nel fare ritratti o quadri iperrealisti, tanto ammirati da tutti. Beh... mi sono stati molto richiesti e non ne ho mai voluto fare uno. Niente. Ho un altro stile, ho altre esigenze creative. Piuttosto che "piegarmi" per bisogno, ho preferito lavorare sui testi altrui, fare ALTRO, al luogo di usare le mie "competenze pittoriche" per affrontare le urgenze (e le ho avute). Onestamente... mi piace essere così.
Meglio 0 che 8 se ciò che vuoi è un 10. Lascio, con serenità, l'accontentarsi o il mediare ad altri che sono molto più bravi di me in tal senso e anche in tutti gli altri, probabilmente.
Quindi... io scrivo, a quanto pare racconti "weird" o storie inquietanti.
Le propongo. Poi si vede. Accetto il giudizio del pubblico senza protestare e senza invidiare la fortuna altrui. Neanche questo fa parte di me.
Non sarò mai un giallista. Non sarò mai uno scrittore di romanzi fantasy. Non sarò mai qualcuno in grado di scrivere "letteratura per pollastre" (cito la definizione di questi libri, non è dispregiativa!).
Chi lo fa, ha tutta la mia ammirazione sincera (e leggerò qualche giallo, almeno!) ma... non sono CAPACE. E amen. 

Per quel che riguarda il tuo discorso al proposito della letteratura scientifica, quoto interamente quanto detto da @K. Wendice
Ma... continuo a pensare che se vuoi esordire in SELF e fare una cosa "buona" finisci per spendere quanto spenderesti per far "sistemare" (diciamo "controllare") il tuo testo a un editor professionista (e per me serve) e poi proporlo ad un'agenzia letteraria e quindi pagare schede di valutazione o altro.
A conti fatti (ieri ero curioso e quindi mi sono anche passato il tempo a fare questo) ci sono case editrici A PAGAMENTO che offrono un servizio "tutto compreso" (anche di editing) a un costo più contenuto di quello che potresti ottenere da solo pagando ogni singolo professionista di cui avresti bisogno. E i risultati fisici della stampa sono qualitativamente molto validi (devo recuperare quel sito, ieri ne avrò sfogliati cento mentre però facevo altro).
PERO' scegliere un CE a pagamento vuol dire "dequalificare" il proprio lavoro più di quando non avvenga nella pubblicazione in SELF.
Non va neanche messa da parte l'opzione "prima Self e poi CE" perché succede ed è possibile. Cosa che invece non è possibile se il tuo testo è stato già stampato con una CE a pagamento (o almeno... ancora meno probabile).

Personalmente... sto scrivendo un saggio che secondo me potrebbe avere moltissimo pubblico per il tema che sto affrontando (e ogni volta che ho partecipato a delle discussioni on line, pensando fosse edito, molte persone mi chiedevano dove acquistare il mio libro) TUTTAVIA questo è un testo per il quale, soprattutto dopo la nostra discussione, potrei pensare al Self.
Far uscire un saggio "controverso" del signor Nessuno potrebbe essere spesso molto più rischioso piuttosto che "positivo" per una CE e poi... detto proprio chiaramente...
Io non posso/voglio fare promozione "di persona". Con il mio saggio poi, a causa del suo tema, ci sarebbe anche la possibilità che incontri fisici possano trasformarsi in momenti problematici.
Inutile pensare che una cosa del genere potrebbe dare luogo ad un "fenomeno": io sono mister X e potrei fare "rumore" ma quanto in assoluto? Possibilmente molto di più "virtualmente".

Certo... sia per il Self che per la pubblicazione in CE io ho il problema della promozione. La mia piena disponibilità è solo virtuale e neache in video. Ma abito all'estero, ho delle esigenze "particolari" e penso che la combinazione possa essere "esplosiva" per un editore quindi...
Capisco pure chi non vorrebbe una gatta da pelare di questo tipo (anche se trovo ingiusto, come ho detto, limitare un autore in base alla sua disponibilità alla promozione fisica). Con il self il problema promozione è poi TUTTO sulle tue spalle. Riuscire a gestirlo non è da tutti.

Continuo però ad avere riserve sul SELF quando si parla di pubblicare un romanzo non di genere o una raccolta di racconti. Secondo me, un buon testo non ha molto modo di "circolare" come con un CE. E questo fa molto la differenza. Potenzialmente il bacino d'utenza della narrativa è superiore numericamente a quello della saggistica ma... Troppa concorrenza e troppa spazzatura in cui si è immersi.
Davvero: un bel libro, un testo DAVVERO BUONO e potenzialmente con un buon pubblico, non meriterebbe forse la "competizione" e quindi di essere "scelto" e sostenuto da qualcuno che non sia il suo autore?
 

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Grazie, @Mattia Alari.

Sono contenta di aver letto in questo thread pareri ed esperienze ragionati (e ragionevoli). Quanto a me, rispetto al self-publishing resto critica, nel senso che non riesco a considerarla una modalità di pubblicazione come un'altra. Non ho niente contro chi vi ricorre, né dubito della possibilità di trovare testi validi autopubblicati. Per alcuni progetti ha sicuramente senso prenderla in considerazione e... ben venga, per carità! Qui è stato citato il caso di saggi o manuali molto specifici: ma davvero, specie nel caso di un saggio che, per quanto di nicchia, può trattare proprio argomenti importanti da un punto di vista interessante e originale, magari persino coraggioso, non vale la pena - a maggior ragione - cercare L'editore giusto?

D'altro canto, purtroppo, non si può nemmeno essere tanto ingenui da credere che qualunque cosa venga pubblicata da una ce non a pagamento sia davvero meritevole o che tutti gli autori validi attualmente in giro abbiano trovato l'editore, ma resta il fatto che al self chiunque può accedere con qualunque opera, dunque... Che dirne?
E' un mezzo, un canale, per dare a uno scritto lo status di "libro"? Sì, lo è. Ma non so se lo si possa classificare come editoria. Di certo la frase "ho pubblicato un libro" acquista un senso pieno, visto che proprio tu hai scelto di pubblicarlo.
Ma, se fatto come dovrebbe, e non tanto per poter dire "ho scritto questo libro", il self assomiglia più a un'onerosa impresa imprenditoriale e di marketing che non tutti possono e vogliono permettersi (altrimenti, tanto vale aprire un blog, un profilo e una pagina FB, una pagina IG, e buttare lì le proprie riflessioni - incappando anche nel "rischio" fortunato di essere notati da un editore o un agente, no?), che ad altro; e si potrebbe dire che anche una casa editrice è un'impresa di questo genere. Ma se è seria, piccola o grande che sia, è ben di più. E' animata da un intento, una linea editoriale, un progetto e, guardate, ci può essere molta sincera passione. C'è una cultura, LA cultura dell'editoria e della produzione e circolazione del libro. Con le sue scelte, l'editore è una roccaforte, una specie di avamposto che porta avanti una forma di educazione e resistenza contro un'idea liquida, priva di forma, della letteratura. Quella che, bene o male, ha portato a pensare che tutti possiamo scrivere; e sì che tutti noi possiamo, CERTO, come tutti possiamo prendere in mano un pennello (compresa la sottoscritta) per voglia, hobby, necessità di esprimersi, ma senza pretesa di essere pittori o di saper fare i tagli alle tele come Fontana.

Per il resto, sono già stati detti da Mattia (sostanzialmente, mi trovo d'accordo con lui) i meccanismi che regolano il self e le dinamiche del pubblico di lettori. Perciò non sto a ripeterli. Spesso sono proprio quelli. Credere, data la mancanza del filtro di un editore, che il merito si misuri in seconda battuta con la risposta del pubblico è utopistico nella maggior parte dei casi (anche per autori emergenti pubblicati da piccole ce, figurarsi!).

Personalmente, poi, anche se non credevo che avrei trovato un editore interessato (ci credeva invece @Mattia Alari) non avrei mai voluto pubblicare le mie poesie col self. Piuttosto, a un certo punto, ne avrei stampato pochissime copie, se non una per me e una da regalare alla persona a cui sono dedicate, per il piacere di vederle in forma fisica. E si parla di poesia: un genere che vende pochissimo, di nicchia e, per quanto riguarda le ce non a pagamento, preso in considerazione proprio da realtà coraggiose e appassionate che scelgono di dedicarsi (anche) a questo. Un genere, anche, persino più soggetto di altri alla carica di poeti autodichiaratisi tali perché scrivono frasi e aforismi sulla vita, l'universo e tutto quanto, o sanno tutto tutto del metro e della rima baciata o tripla carpiata con torsione della strofa.
Per un romanzo o una raccolta di racconti, poi, è improponibile non sottoporre il testo a un editing professionale. E se te ne sobbarchi tu, paghi profumatamente. E se puoi pagare qualunque cosa, dov'è la soddisfazione di essere scelto? E, alla fine, rischi comunque di dare il tuo lavoro di mesi o anni in pasto al grande e accogliente nulla di internet o ai recessi polverosi degli scaffali della libreria locale.

Beh, questo è il mio parere.
Ci tengo a ripeterlo: non sto dequalificando a priori un autore che ricorre al self. Lungi da me. Critico proprio il sistema in sé.
Come ci sarebbe da criticare tanta editoria, ovviamente.

Modificato da Sofia C.
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Il selfpublishing riflette lo specchio dei tempi in cui viviamo. Non possiamo pensare che l'editoria sia ancora quella dell'Ottocento (quando erano più le persone analfabete che quelle in grado di scrivere), ma neanche quella di fine Novecento, e nemmeno quella di dieci anni fa. Il cambiamento è ineluttabile, se sarà una cosa effimera o una duratura non lo posso sapere. Sicuramente cambierà anche il mondo del self. Mi viene da citare, molto impropriamente, Gandhi: Prima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti combattono. Alla fine, vinci". (Per essere chiari, non mi interessa che vinca il self, mi interessa leggere libri di qualità, da dovunque arrivino.)

Questo cambiamento non riguarda solo la letteratura, ma anche altre forme espressive a cavallo tra l'arte e l'opera dell'ingegno (come la musica, il cinema, e forse anche la pittura e la scultura). Oggi ci sono opere d'arte digitale che si vendono con in non fungible tokens, senza dover passare per una casa d'arte (ometto cosa ne penso realmente), band più o meno note che si auto-producono, video-maker indipendenti che partecipano con successo ai festival. Hanno tutti preso scorciatoie? Hanno tutti investito gazilioni di euro, più di chi ha fatto un percorso "tradizionale" (etichetta discografica, produttore cinematografico, ...)? Non penso, e sono sicuro che qui nessuno lo pensi, anche se... rimane il fatto che tutto il mondo indie è visto un po' come di serie B.

Trovo, tra l'altro, un po' naif il pensiero che il self sia per chi se lo può permettere, pagando. Chi propone a una CE, spesso e volentieri, se vuole avere più probabilità di essere seleziionato, un servizio di miglioramento del testo lo percorre (che sia una scheda di valutazione o un editing serio). La promozione, a meno di non essere uno scrittore di best seller, e soprattutto nelle CE importanti, è in larga misura a carico dell'autore. Non dico che non ci sia differenza "economica" e di impegno tra l'una e l'altra strada, solo mi sembra che la si guardi in modo molto sbilanciato e pregiudizievole.

Altra cosa che forse è stata interpretata in modo diverso dal mio pensiero è il concetto "lettore centrico". Credo, da questo punto di vista, che il self sia più aperto a opere che se ne fregano del pubblico e siano una libera espressione dell'autore. Le CE sono imprese, devono fare profitti, e se devono rischiare con uno sconosciuto che ha scritto qualcosa di difficilmente catalogabile, lo scartano più per un mismatch con il loro pubblico che non per le qualità del libro.

Detto questo, credo che nel cuore di ogni scrittore ci sia il desiderio di essere pubblicati da una casa editrice che lo valorizzi e che rispecchi l'autore, in termini di collana e linea editoriale. Ma richiede tempo, sacrificio, dedizione, pazienza. Esattamente come il self (anzi, il self ne richiede un po' di più 😜)

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34 minuti fa, K. Wendice ha scritto:

La promozione, a meno di non essere uno scrittore di best seller, e soprattutto nelle CE importanti, è in larga misura a carico dell'autore.

No, in realtà. Non si parla di impegno ad esporsi ma di SOLDI da impiegare, ad esempio, per pagare un ufficio stampa e organizzare eventi. Cose a carico della CE se sei un loro autore e non in self.
Per quel che riguarda il "percorso di miglioramento del testo ok. Ma con il self è uguale quindi bene o male è il costo da pagare DI BASE, a meno che tu non decida di fare "diversamente" con l'aiuto di amici e parenti ma i risultati si vedono.
Non è quindi tanto naif come pensi, considerare il self per chi può permetterselo (e più del tentativo di proporsi alle CE). Purtroppo è stata creata "la filiera" per cui tanti devono "mangiare" sull'autore anche se non sarà mai tale. E' questo che io trovo disturbante.

Quando alla situazione "indie"... è un dato di fatto che è di serie B.
Non è una scelta. Non lo è mai. A meno che tu non sia "di ritorno" ad essa e quindi la faccenda è differente. Ma... ESSERE INDIE è il contrario di indipendente: sei un artista che non riesce ad esserlo quanto molti presuntuosi sostengono (magari i meno indie di tutti).

E non si parla di qualità delle opere, ma si parla di considerazione diversa dalla "gloria" o il premio di turno. Si parla di "riuscita" dell'impresa (che può anche voler dire ritorno economico per il suo autore e quando si LAVORA nel campo dell'Arte, parlare di guadagni è necessario).
Essere "qualcuno" in un ambiente indie vuol dire restare lì quasi sempre. Vinci premi e hai considerazione "underground"? Nulla si muove. Perché c'è TROPPO indie. Purtroppo.
E sulla questione ho oltre vent'anni di esperienza (e molti amici di indubbio talento che non hanno modo di fare altro che autoproduzioni di qualità alta ma con pochissimi mezzi e poca diffusione quindi NON LI CONOSCE NESSUNO). Se hai delle ambizioni non è abbastanza.
Ad un certo punto è pure degradante perché, per reazione, l'underground decide di essere "aperto a tutti" (come il self) e quindi TUTTO finisce per avere PRETESA di dignità artistica e sei letteralmente ricoperto di porcherie che occupano spazio e tempo e travolgono le cose valide perché più numerose.

Sono andato via dall'Italia proprio per vedere se altrove è possibile uscire da questo stato di cose che sembrerà tanto interessante e pittoresco (dall'esterno) ma è immerso in una "media costante disperazione" che non meriteresti, perché magari sei davvero bravo e intanto non ti vede NESSUNO.

OT:
Se tu non ti esprimi in merito "all'arte digitale" o lavorare "senza galleria"... meglio che non lo faccia neanche io. Nel mio campo sei senza galleria quando non puoi averla è inutile. E io potrei pure vendere i miei lavori, come tazze e bicchieri, ma mi rifiuto di farlo.
Ho sempre venduto in contesti differenti.
Per tornare a certe opere, che traducono i tempi (di m***) che stiamo vivendo da ogni punto di vista, io non sono un conservatore (esattamente l'opposto, mi sono specializzato in scultura ceramica contemporanea... ) ma certa roba mi sembra che prenda solo per i fondelli un pubblico culturalmente diseducato. E bisognerebbe avere l'onestà critica, da parte dei miei colleghi (e qui parlo da storico dell'Arte) di dire che "il re è nudo". Ma non si fa. Il re ha spesso tanti soldi e restare alla sua corte a mangiare è più o meno l'ambizione di molti che si vedono, diversamente, condannati ad un'esistenza in una coop "culturale" che ti tratta come fosse l'ultimo degli inservienti e ti paga pure meno (a me sono stati offerti, per un lavoro full time 8 ore al giorno "e lo straordinario vien da sé!" ben 1,50 LORDI all'ora "... e ringrazia. Se non prendi tu, c'è la fila!". Ti sembra normale? Ti assicuro che nel mio ramo purtroppo lo è).

Forse è questa esperienza di vita che mi fa avere certe perplessità sul Self.

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50 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Non è quindi tanto naif come pensi, considerare il self per chi può permetterselo (e più del tentativo di proporsi alle CE). Purtroppo è stata creata "la filiera" per cui tanti devono "mangiare" sull'autore anche se non sarà mai tale. E' questo che io trovo disturbante.

Capisco il tuo punto di vista, ma non è obbligatorio foraggiare tutti quelli che si mettono a mangiare sull'autore. Il fatto che esistano anche quelli che ti vendono il libro o il corso su come vendere il tuo libro su amazon, o come avere un milione di followers, non significa che tutti debbano abboccare e spendere. Questa filiera non è tutta obbligatoria. Alla fine, sull'autore ci mangiano comunque in tanti, si tratta di decidere chi, come, quanto e quando. Io un po' di conti li ho fatti e la differenza non mi è sembrata così stratosferica. Per ufficio stampa ed eventi, posso dirti che sopravvivo benissimo senza (forse non sono abbastanza ambizioso 😜).

53 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Quando alla situazione "indie"... è un dato di fatto che è di serie B.
Non è una scelta. Non lo è mai. A meno che tu non sia "di ritorno" ad essa e quindi la faccenda è differente. Ma... ESSERE INDIE è il contrario di indipendente: sei un artista che non riesce ad esserlo quanto molti presuntuosi sostengono (magari i meno indie di tutti).

Non generalizzerei in maniera così ampia, anche se capisco quello che intendi. Allo stesso modo ti potrei dire che gli artisti che lavorano con le major (scegli tu l'ambito) siano tutt'altro che indipendenti, costretti a sviluppare l'arte che chi "mecenate" (si fa per dire) di turno decide che tu debba sviluppare. E alla fine nessuno è realmente indipendente. Ma così non se ne esce.

54 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Essere "qualcuno" in un ambiente indie vuol dire restare lì quasi sempre. Vinci premi e hai considerazione "underground"? Nulla si muove. Perché c'è TROPPO indie.

Questo succede anche nella vita lavorativa. Ho conosciuto persone che hanno lanciato startup, pluripremiate, ma oltre alla vana gloria, non c'erano i soldi per proseguire. Adesso queste persone fanno i dipendenti.

55 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Ad un certo punto è pure degradante perché, per reazione, l'underground decide di essere "aperto a tutti" (come il self) e quindi TUTTO finisce per avere PRETESA di dignità artistica e sei letteralmente ricoperto di porcherie che occupano spazio e tempo e travolgono le cose valide perché più numerose.

Il mondo dell'indie, compreso il self, cambierà. Tutto cambia ed evolve, a volte in meglio, a volte no. Possiamo solo decidere se abbracciare il cambiamento, farne parte o accelerarlo, magari in direzioni che consideriamo più funzionali rispetto ai nostri ideali, oppure continuare a pensare che si è sempre fatto così 😅

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Credo che interpreti male il mio approccio, bene o male ho notato che torni sempre sulla questione con certi toni, come sei io fossi "naif" con convinzioni miope e superate e per questo diffidassi del nuovo, forse non riuscendo ad adeguarmi alla contemporaneità per mancanza di elasticità mentale. Perdonami ma sbagli di grosso.
Neanche sono un tipo "arrendevole" o che si sente "perseguitato" dal mondo crudele, uno che macina complottismi e imputa la mancanza di riuscita al mutare in peggio dei tempi.

Messo in chiaro, spero, che il conservatore lagnoso è altrove (e i miei punti di vista sulle cose possono non essere, dal tuo punto di vista, quelli giusti ma non sono affatto naif quanto in certi casi "estremi", ed è diverso) permettimi un'altra riflessione opposta a quello che dici (che di fatto è un po' lo spot di chi sta sostenendo, agenzie in primis, che il self sia "il futuro"... senza aggiungere "di molti") :
Il self... Sta cambiando?
Perché a me sembra solo che si stia dotando di maggiori sovrastrutture, esattamente come l'editoria classica, e quindi ci siano di mezzo tanti filtri dai quali passare e per cui pagare avanti, o "investire", come preferisce fare l'autore che si sente "imprenditore" (e magari pretende che si debba esserlo). In questi giorni mi sono fatto un giro per le piattaforme e sono andato a vedere cosa c'è in giro.
Qualitativamente vedi il self riempito di testi così belli e originali da essere stati rifiutati perché "fuori da una logica di mercato", ad esempio?
Con tutto il rispetto io vedo generalmente il Self zeppo di libri "di genere" (più o meno medi) saggi (più o meno di nicchia) e in mezzo qualche libro "strano".
A volte neanche in senso buono.

Se poi pensiamo a quanto lo sviluppo social abbia convinto molta gente di poter scrivere... Beh, posso dire che il Self si è riempito anche di questi. E così.. Prima il self veniva considerato prevalentemente dal noioso notaio in pensione che iniziava a pontificare su materie che non erano la sua sfoggiando un'arrogante ignoranza rilegata su carta lusso (un esempio non a caso, ma riferito a pubblicazioni artistiche assurde ma che si trovavano ovunque grazie alla grande disponibilità economica dell'autore) ora invece viene preso d'assalto dalla mamma che pensa sia interessante pubblicare il suo diario "di famiglia" con copertina scarabocchiata dalla pupa o da qualcuno che è convinto di avere un sottile senso dell'umorismo quando invece ha solo uno sgradevole punto di vista sulle cose (mi riferisco a tanto pseudo "humor nero" che non è tale e sembra ovunque).
E' pieno di questa roba. Oggi più di prima.

Quindi... in cosa sta cambiando? Sta diventando una reale VALIDA alternativa alla CE? Forse, mi state dicendo di sì. Posso pure capire in che senso.
Ma il self è anche, se non soprattutto, questo. Alla data di oggi.
Non penso "vincerà" mai.
Se un autore è abbastanza buono vorrà sempre essere pubblicato da una CE piuttosto che lanciarsi nell'impresa di essere editore di sé stesso e quindi confuso (magari dall'ignorante come me, eh?) tra tutta questa gente "non meritevole di attenzione" ma che di fatto la pretende.

Comunque...
perdonami ma il dannato "indie" lo conosco bene perché "ci vivo" da vent'anni. E credimi... non è cambiato come pensi.
Di recente si è affiancata al vero indie una sorta di sua versione patinata che, praticamente, è il gioco di lusso di finti poveri con molti mezzi (vorrei tanto ignorare quanto i lavori creativi siano presi di mira da annoiatissimi RICCHI da generazione. Vorrei tanto. Ma non posso). Ci sono sempre stati, vecchia storia. Oggi però sono LORO che portano maggiore attenzione su cose che prima non consideravano che i pochi davvero interessati.

Si torna sempre al fatto che sembra che da più di vent'anni non si possa AMBIRE ad una carriera artistica DI ALTO LIVELLO se sei nato in una famiglia povera o con mezzi nella norma (figlio di due impiegati magari, anche con una buona carriera).

Dici che alla fine "nessuno è davvero indipendente" e qui, a mio parere, ti sbagli.
Se la consideri in linea di massima allora non esiste l'indipendenza perché non siamo MAI indipendenti da niente o nessuno, non lo è neanche la nostra esistenza. Ma se fai un discorso più a terra...  Presente. Io sono un indipendente davvero. Sul serio, eh?
Che poi esserlo sia raro e in genere qualcosa che fa davvero paura a molti, per le estreme conseguenze che può portare e la vita che ci si ritrova a fare, ci sta. Ma si può essere e restare indipendenti (nell'ispirazione e nella direzione della propria ricerca, ad esempio).
Se poi hai soldi, ne hai fatti almeno un po', essere sinceramente INDIE potrebbe persino essere... più facile.
Se la gente non lo è... non è perché non si può esserlo ma perché costa TROPPO.
 

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1 ora fa, Mattia Alari ha scritto:

Credo che interpreti male il mio approccio, bene o male ho notato che torni sempre sulla questione con certi toni, come sei io fossi "naif" con convinzioni miope e superate e per questo diffidassi del nuovo, forse non riuscendo ad adeguarmi alla contemporaneità per mancanza di elasticità mentale. Perdonami ma sbagli di grosso.

Ambiguità linguistica, per quanto mi impegni, finisce che il mio pensiero non sempre venga letto come lo avevo nella testa, anzi a volte succede il contrario alla ricerca di una maggior chiarezza. Non parlo di te, né del tuo approccio, né li giudico. Non te la prendere, ma è più interessante discutere dei temi affrontati nel thread che non parlare di Mattia o di K. o di chiunque altro 😉. Mi spiace per l'incomprensione e spero di aver chiarito. Per essere ancora più chiari, non ho mai detto né pensato che tu sia naif, o che lo sia chiunque abbia contribuito a questa conversazione.

Abbiamo punti di vista diversi, raggiunti con esperienze diverse, ed è una cosa ottima, perché solo attraverso il confronto su posizioni diverse ci si arricchisce e si matura un pensiero evoluto rispetto al precedente. Sfortunatamente, è rimasta una cosa sulla quale non riesco a convincermi: l'importanza che si dà alla disponibilità economica dell'autore in self-publishing (e quindi escludo tutto ciò che non ha a che fare con il mestiere di scrivere). Ma forse, qui, quello naif sono io.

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1 ora fa, Mattia Alari ha scritto:

a quello che dici (che di fatto è un po' lo spot di chi sta sostenendo, agenzie in primis, che il self sia "il futuro"... senza aggiungere "di molti") :

Siccome questa frase me l'ero persa, vorrei chiarire: no, non ho mai detto che il self è il futuro, non lo penso neanche. Dico, ed è una cosa molto diversa, che è l'editoria sta cambiando e che non può ignorare il fenomeno self, con tutti i suoi limiti e le sue imperfezioni.

Che non sia per molti, l'ho detto in modo quasi ossessivo e compulsivo, sin dal primo post che ho scritto (ma non è solo una questione di soldi, ripeto, questa cosa non mi convince). 

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1 minuto fa, K. Wendice ha scritto:

Non te la prendere, ma è più interessante discutere dei temi affrontati nel thread che non parlare di Mattia o di K. o di chiunque altro 😉.

In realtà quando si è in tema, si parla anche della propria esperienza e non volermene ma probabilmente se si può dire qualcosa di interessante (o per lo meno molto aderente a certe questioni) è anche il caso di parlare di sé stessi, proprio per sostenere il proprio parere ;)

A me piace sostenere le mie idee e solo dopo.., cambiarle, se è il caso.

Ci sono magari cose che non riesci ad accettare (io una bella fila, come penso sia evidentissimo) ma purtroppo sono quello che sono nell'evidenza empirica dei fatti e anche facendo due conti la situazione è questa: hai da spendere? Puoi provare. Hai da spendere di più? Puoi fare meglio.
Niente che abbia a che fare con la qualità che sembra arrivare in coda alla possibilità stessa di poterci provare quindi di poter spendere.
Se continui a non essere convinto si può iniziare a parlare di cifre. Di conti.
Magari è anche interessante.

Oggi il self è più economico, soprattutto a basso livello? Assolutamente sì! Può persino costare quasi zero, se neanche pensi di fare promozione in alcun modo. In questo senso è davvero alla portata di tutti.
Ma non lo è un potenziale "successo" o la visibilità sufficiente a definire una pubblicazione... un vero libro.
Intendiamoci: anche solo 10 anni fa, quante persone conoscevi che avevano pubblicato un libro? Io pochine.
Ed erano studiosi che affidavano i loro testi a realtà locali spesso superspecializzate in un certo tipo di pubblicazioni. Poi conoscevo (e conosco) un paio di poeti per pretesa, che sono finiti in pasto nell'editoria a pagamento e firmavano copie della loro preziosa raccolta nella sala della biblioteca comunale di paese dopo l'intevista con il maestro di scuola improvvisato critico. Conosco anche un poliziotto che scrisse una specie di giallo che pubblicò da solo "roba che scotta!" facendo grande impressione (secondo lui) e così... scandalizzò ben cinquanta persone con il racconto (appena romanzato) di un crimine noto localmente.
Roba così. Roba che c'è ancora. Ma... Ora?
Uhm... Mi perdonerai ma parlo ancora di me stesso, è attraverso i miei occhi che guardo il mondo: Dopo aver contato ora, per la prima volta, le persone che SO PER CERTO avere pubblicato (e praticamente tutte in self) mi ritrovo (almeno) TRENTA autori di gialli, di genere storico (... avoja...) di romance, di autobiografie familiari romanzate il minimo sindacale, qualche erotico e un paio di libretti di letteratura per pollastre.
TRENTA AUTORI PUBBLICATI.
Se allargo il cerchio a conoscenti ancora più superficiali... posso arrivare a 50. Sì, frequento un ambiente che è pieno di persone con ambizioni di un certo tipo (purtroppo) e TUTTE si sono date al self sostenendo di poter "controllare" e quindi avere un maggiore ritorno (addirittura!) dalla loro pubblicazione. Di un paio conosco la fila di rifiuti ma non posso assolutamente dire che sia stato così per tutti, anzi. Alcuni hanno rivendicato pure la scelta dicendo che pubblicheranno sempre così.
La maggior parte di questi libri ha venduto una trentina di copie, comunque.

Ho sentito persino definire questo "un successo". Beh, punti di vista.
Ovvio che si parla per sé, no?

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Suggerisco, a chi vuole approfondire la questione se il self sia un ripiego o una scelta (e  personalmente credo che possa essere entrambe le cose), di guardare questo video con Giulia Beyman, che ho avuto l'onore di conoscere personalmente e incontrare spesso a festival e manifestazioni culturali. Scrittrice indie da più di 10 anni, nel 2018 aveva già totalizzato 100.000 copie. Sinora non ha ritenuto opportuno passare all'editoria tradizionale, pur avendo molte richieste in tal senso. Col tempo ha iniziato a far tradurre le sue opere che oggi sono molto lette nei paesi anglofoni e in Germania. Caso isolato? Sì, isolatissimo, ma mi piace più pensarlo come a un caso virtuoso. 

Spero possa tornarvi utile.

 

  • Grazie 2
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@Desy Icardi grazie come sempre per i tuoi suggerimenti.

Ma a questo punto, visto che parliamo di costi, posso anche chiamare di nuovo in causa @Sofia C.che studia da traduttrice (e traduce): quanto costa una traduzione?

  • Love 1
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3 ore fa, K. Wendice ha scritto:

Trovo, tra l'altro, un po' naif il pensiero che il self sia per chi se lo può permettere, pagando. Chi propone a una CE, spesso e volentieri, se vuole avere più probabilità di essere seleziionato, un servizio di miglioramento del testo lo percorre (che sia una scheda di valutazione o un editing serio)

Il self se lo possono permettere più o meno tutti, invece. E' proprio questo che ho detto anche io, ma con un doveroso distinguo: non c'è nulla di naif nell'ammettere che esiste modo e modo di fare self-publishing. Anzi, sarebbe onesto mostrarne le due facce: lo si può fare investendo poco o investendo molto. Puoi non investire nulla, o quasi, oppure utilizzare più risorse e farti fare un editing come si deve del testo, una copertina che sembri il più possibile professionale, poi spendere per promuoverlo con pubblicità online, ad esempio. Non credo che tutti se lo possano permettere, o se lo vogliano permettere.

4 ore fa, K. Wendice ha scritto:

La promozione, a meno di non essere uno scrittore di best seller, e soprattutto nelle CE importanti, è in larga misura a carico dell'autore. Non dico che non ci sia differenza "economica" e di impegno tra l'una e l'altra strada, solo mi sembra che la si guardi in modo molto sbilanciato e pregiudizievole.

Io sono molto critica anche nei confronti di quelle CE che mandano avanti l'autore tipo piazzista, aspettandosi che sia l*i a organizzare eventi e piazzare copie del libro, appunto, che è cosa ben diversa dal chiedere di partecipare attivamente alla promozione del libro, in questi tempi di ... beh, magra culturale ed economica.
Ma col self c'è eccome la differenza: economica (come sopra), di impegno e di mezzi. E rappresentanza. Io nella vita non posso occuparmi di promuovere e distribuire il mio libro (l'idea dello scrittore imprenditore di sé stesso esiste ma non fa per tutti ed è anche a doppio taglio), né mi sento, come dire, tanto narciso da mettermi a pubblicizzarlo, perciò avere alle spalle una CE che ha creduto nella mia opera e vi ha investito tempo, soldi e risorse umane per darle una forma compiuta, mi fa sentire rappresentata, apprezzata e "tranquilla". Senza farsi false speranze sul successo del libro in sé, mi pare chiaro.
 

4 ore fa, K. Wendice ha scritto:

Altra cosa che forse è stata interpretata in modo diverso dal mio pensiero è il concetto "lettore centrico". Credo, da questo punto di vista, che il self sia più aperto a opere che se ne fregano del pubblico e siano una libera espressione dell'autore. Le CE sono imprese, devono fare profitti, e se devono rischiare con uno sconosciuto che ha scritto qualcosa di difficilmente catalogabile, lo scartano più per un mismatch con il loro pubblico che non per le qualità del libro.


Ecco, a me sembra invece che si guardi spesso il self in maniera pregiudizievole, perché potrebbe essere una nuova forma di circolazione del libro, una terra della Libertà e della Rivincita dove esprimere forme narrative e idee nuove altrove osteggiate, ma di fatto così non è. E' un enorme contenitore in cui ci si può trovare di tutto.
Una cosa che ieri ho appositamente evitato di scrivere per non dare giudizi potenzialmente fuorvianti, ma che a questo punto mi pare necessaria, è che il self ha dato il via libera alle velleità letterarie di tanti scrittori di genere, più che altro: romanzi rosa, gialli, fantasy e cose in ogni declinazione possibile e immaginabile. Ma non solo: manuali di sedicenti wannabe influencer/guru a vario titolo;  pedante saggistica che fa le pulci; diari, persino... In mezzo al tanto di discutibile c'è sicuramente l'apprezzabile, ma soltanto perché la porta è enorme, aperta, e nessuno all'ingresso ti giudica. Un po' troppo facile e allo stesso tempo difficile. Non c'è competizione prima, e quella in corsa è diluita in una marea di concorrenza troppo vasta e multiforme.
Di fatto, "Opere che se ne fregano del pubblico", per quanto riguarda il punto di vista dell'autore, non ne esistono. Scrivo per me, ma se desidero la pubblicazione voglio, bramo, il contatto e il confronto col pubblico. Semmai bisogna vedere quale pubblico si può raggiungere, e il self attira di tutto (troppo?) da un lato e dall'altro della barricata, col rischio per certe opere di non essere notate neanche di striscio, e confuse in un mare di scritti di qualità infima o terribilmente mediocre - e si torna alla necessità di promuovere.
C'è anche scarsa conoscenza del mondo delle CE. E' un po' un "chi cerca trova" l'editore giusto, oggi come ieri. Le CE sono tante e varie (tanti e vari gli autori, alcuni con pretese e aspettative irrealistiche), ma tutte sono imprese che cercano di non fallire - ah, la quantità di libri che si pubblicano perché vendono e dunque permettono di pubblicare altri libri meno facili! In questo non c'è niente di male, né svilisce il loro ruolo nella cultura (e si parla sempre di quelle meritevoli, non di qualunque CE). Avere un catalogo orientato in un certo senso e incapace di accogliere altro, può assicurare la qualità dell'offerta e evitare all'autore che si propone con un testo valido ma non adatto al pubblico della CE (o che, come ad esempio nel caso di certa saggistica, necessita di un fact-checking rigoroso che la casa editrice non specializzata in quel genere non può offrire) la cosa peggiore che può capitare a chi scrive: vedere sprecato il proprio lavoro.
Poi, però, se ci mettiamo a parlare di come funzionano le CE e di quanto certi meccanismi e pretese impediscano ad alcuni autori di essere presi in considerazione, è un altro thread. Anche su questo si possono aprire infinite discussioni, per esperienza molto più scomode e spinose di quelle sul self.

Adesso leggerò le altre risposte. Se ho scritto cose già dette, è per questo.

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... Ok...
Costei NON E' il primo che arriva e decide di pubblicare, in nessun senso. Una sceneggiatrice televisiva con esperienza nel settore. Che si è potuta anche permettere di non portare avanti l'interesse di una grande CE perché "aveva fretta di pubblicare" e ormai si gestiva le cose "con i suoi tempi"...

Non metto in dubbio che sia un luminoso esempio di Self ma proprio per come racconta della cosa (sto continuando ad ascoltarla) è ovvio che un Self non è "alla portata di tutti" se non formalmente. E oggi molto meno di ieri (parole sue) vista la quantità enorme di concorrenza.
Un self così è un LAVORO a tempo pieno. Su cui investi tempo ma anche soldi (gli altri professionisti che "ti aiutano" a confezionare il prodotto).
Puoi anche non potertelo permettere in nessun senso.

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42 minuti fa, Mattia Alari ha scritto:

Ma a questo punto, visto che parliamo di costi, posso anche chiamare di nuovo in causa @Sofia C.che studia da traduttrice (e traduce): quanto costa una traduzione?

Non sono arrivata al punto di poter rispondere a questa domanda, sinceramente. So che i costi variano a seconda della lunghezza del testo e della proposta del traduttore. E' pure difficile, da principiante, riuscire a capire quale tariffe applicare... Non esiste un listino prezzi unificato, almeno non qui in Italia. All'estero, poi, non saprei.
Comunque sia è un costo abbastanza importante, se poi ci si vuole aggiungere anche una revisione ulteriore.

Diciamo che Giulia Beyman, la scrittrice del video, viene proprio da una situazione agli antipodi rispetto a quella tipica dell'esordiente che può valutare di darsi al self oggi. E' una storia interessante, molto, ma non è paragonabile alla media delle esperienze.
Quindi... E' sicuramente un esempio, ma un esempio ben preciso di una persona con già una professionalità e un giro di conoscenze e, per come scorre il tempo nel mercato editoriale e specie nel self, un esempio proprio di altri tempi.

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2 ore fa, Mattia Alari ha scritto:

... Ok...
Costei NON E' il primo che arriva e decide di pubblicare, in nessun senso. Una sceneggiatrice televisiva con esperienza nel settore. Che si è potuta anche permettere di non portare avanti l'interesse di una grande CE perché "aveva fretta di pubblicare" e ormai si gestiva le cose "con i suoi tempi"...

Non metto in dubbio che sia un luminoso esempio di Self ma proprio per come racconta della cosa (sto continuando ad ascoltarla) è ovvio che un Self non è "alla portata di tutti" se non formalmente. E oggi molto meno di ieri (parole sue) vista la quantità enorme di concorrenza.
Un self così è un LAVORO a tempo pieno. Su cui investi tempo ma anche soldi (gli altri professionisti che "ti aiutano" a confezionare il prodotto).
Puoi anche non potertelo permettere in nessun senso.

Esatto, è un lavoro impegnativo, o di tipo imprenditoriale, per il quale, al di là degli investimenti (che inizialmente possono essere contenuti, e magari crescere via via che i libri cominciano a vendersi) bisogna essere portati. Non è facile, come non è facile la via tradizionale, è soltanto  un modo diverso di vivere la professione. 

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@Desy Icardiok... ma scusa qui la questione conferma quello che penso! Costei ha avuto successo nell'impresa per due motivi fondamentali:
1. Esordisce 10 anni fa in un contesto con molta meno concorrenza (parole sue).
2. Sceneggiatrice televisiva ("Don Matteo", "Incantesimo", "Carabinieri" e altre cose così... aggiungerei "scarsissime" ma poi...!) e giornalista per il Corriere della Sera (non l'Eco di Quartiere). Magari non il massimo in entrambe le professioni ma si parla pur sempre di "mestiere" e agganci e questo vuole dire (non mentiamoci che è così per tutte le professioni) contatti e sicuramente una marcia in più perché il suo lavoro avesse più visibilità di altri.

Qui ci sarebbe molto da discutere sul fatto di "poterselo permettere" in vari sensi. Lei ha pure avuto attenzione (e poi la cosa non è andata in porto per una sua scelta <--) da una grossa casa editrice perché LEI (non una a caso) aveva pubblicato in self "qualcosa", non certo la prima che passava. Per altro un personaggio sviluppato per una serialità televisiva che avrebbe avuto, evidentemente (da come ne parla) anche la possibilità di proporre ma che poi ha voluto "tenere per sé". Non è una cosa che la signora Francesca Giusaldi di Cartoceto (magari pure brava e che ha deciso di pubblicarsi in self) potrebbe fare.
E' evidente come si tratti di un caso molto particolare.
Senza sminuire i suoi meriti e la sua intrapredenza, ma va detto.
E prenderla come esempio di "riuscita nel self" da zero... mah, non saprei.
Qui si parla di come uscire da un certo tipo di situazione che pure lei definisce "problematica" ossia la concorrenza SPIETATISSIMA di tantissima gente.
Davvero, in questa situazione, avere pochi mezzi (e solo molta intraprendenza) dà così tante speranze nel Self? Direi di no. Sempre meno.
Perché le persone saranno sempre più organizzate come "macchine da guerra" e questo a prescindere dal loro valore.

Modificato da Mattia Alari
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@MatteoAlari forse mi sono spiegata male: il mio assunto non era "ce la si può fare partendo da zero", né "chiunque può farcela", perché dirlo sarebbe ingenuo nonché falso (e questo non vale solo per il self, ma per qualunque attività. Banalmente anche chi vuole aprire una trattoria, in genere non parte da zero). Qual che volevo dire quando ho pubblicato il video è che il self non è necessariamente un ripiego, e il fatto che una che non è "la prima venuta" scelga questa via, anziché l'editoria tradizionale che certo l'avrebbe accolta, avvalora quanto sopra.  Per il resto non entro nel merito di quanto sia facile o difficile affermarsi nel self perché, come sai, io ho fatto una scelta diversa. 

  • Grazie 1
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@Desy Icardi (Mattia, non Matteo)

No, secondo me no. Rilancio: 10 anni fa, senza concorrenza, la signora ha voluto provare a emulare gli americani. L'esperimento costava davvero poco in termini di investimento e rischio: la concorrenza non c'era (lo ha pure detto).
Inoltre la pretesa verso il prodotto era molto più bassa in tutti i sensi.
Ammettiamolo: non fosse riuscita nell'impresa, non avrebbe avuto problemi a fare altro e non avrebbe "pianto" più di tanto chissà che perdita.

Oggi è diverso. Credo che AGLI INIZI qualcuno abbia davvero pensato ad una nuova forma di editoria parallela alla tradizionale e lo abbia anche fatto con ingenuità e intraprendenza.
Oggi, visto tutto quello che dovresti fare per cercare di emergere in un contesto nel quale la concorrenza è pazzesca (e sempre meglio organizzata) non vi è spazio certo per ingenui e la cosa presuppone maggiori investimenti da tutti i punti di vista. E continuo a non essere convinto del contrario.
Può quindi non essere un ripiego ma una scelta? Sì.
Ma probabilmente non è la migliore per l'uomo della strada che "ha potenziale" e potrebbe essere pubblicato da una casa editrice. Non si può comunque negare che il self diventa il piano B di chi non vuole aspettare "tempi lunghi" (ad esempio) o affrontare una selezione. 
E continuare a venderlo "per coraggiosi" (raccomandando di lavorare il testo, di investirci sopra, di contattare professionisti e quindi far funzionare "la filiera") è un po' disonesto intellettualmente, a mio parere.
Ah... bisognerebbe chiarire una volta per tutte che si intende per "improvvisare".
Se qui (Scozia) sai fare dolci e sei bravo, ti improvvisi pasticcere e vendi i tuoi dolci fatti a casa. Se sai cucinare, apri un locale e se piaci... va. L'ho visto succedere centinaia di volte da quando vivo qui.
Non c'è bisogno di essere titolati o certificati. E neanche di impazzire con una "filiera" che ti impedisce di emergere perché "sei un improvvisato".
Se quindi vogliamo accettare il fatto che la signora Francesca di Cartoceto BRAVISSIMA non potrà mai pubblicare (con successo e visibilità sufficiente) perché "è un'improvvisata" e quindi dare la cosa per normale o "selezione naturale", ok.
A questo punto però è ovvio che si è generato un paradosso ossia il Self diventerà con l'autore ancora più "selettivo" rispetto all'editoria tradizionale. E opererà non una selezione per talento, ma per "disinvoltura" e tutto il resto.

Niente quindi che faccia emergere la qualità.
 

 

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18 minuti fa, Desy Icardi ha scritto:

Spiacente per lo sbaglio del nome. 

Se ti riferisci al fatto che mi chiami sempre Matteo e ti ho fatto notare che invece è Mattia, non è "uno sbaglio ENORME" ma è come ti chiamassi sempre Deny piuttosto che Desy. Solo questo.

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