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Il Messo dei Numi (La Guerra del Vespro, Vol. 1)
Estelwen Oriel ha pubblicato una discussione in In Vetrina
Il Messo dei Numi (primo volume della trilogia "La Guerra del Vespro") di Estelwen Oriel Genere: epic fantasy Editore: Words Edizioni Pagine: 329 Link acquisto e preview: https://www.amazon.it/Messo-dei-Numi-Estelwen-Oriel/dp/8831481843/ref=tmm_hrd_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=1667060687&sr=8-1 Trama: Belfodor e Man’thur, due fratelli umani, giungono a Galadin per chiedere aiuto all’immortale re Noemathar, il Messo dei Numi, su suggerimento della galadiniana Sarluan. Ella ritiene che il re possa essere in grado di comprendere i problemi che affliggono Belfodor: il ragazzo, infatti, spesso compie azioni che trascendono l’umano, per poi dimenticarsene. Quando arrivano in città, i due compiono l’errore di attraversare il confine proibito e vengono condotti nelle prigioni di Galadin. Durante la notte, Belfodor viene aggredito da uno spirito malvagio e inaspettatamente è tratto in salvo da Talrion, figlio di Noemathar. Ma cosa lega il giovane contadino al principe e perché proprio questo legame sembra essere la scintilla che darà origine al caos? La realtà, così com’è conosciuta, verrà infranta, dimostrando la fragilità delle proprie fondamenta. Nessun uomo potrà più aggrapparsi alla fede per identificare se stesso, ma sarà costretto a trovare la propria natura originaria. Scontri epici, antiche creature e il volere dei Numi che si appresta a essere compiuto: l’universo intero si prepara a rinascere in questa spettacolare saga corale, volgendo al suo aspetto finale con la separazione definitiva della luce dall’ombra. -
TITOLO: L'indomabile AUTORE : Romina Piazza EDITORE: Selfpublishing GENERE: Fantasy PAGINE: 209 LINK ACQUISTO & PREVIEW: https://www.amazon.it/dp/B09GW7VSR4 TRAMA: Si narra che nel lontano regno di Giulmya, dove solo i portatori di magia ne conoscono l'esistenza, vivevano un Re ed una Regina amati e e rispettati dal proprio popolo. Lei dalla rara bellezza e lui dall'animo forte, per secoli avevano portato la corona con onore, guidando al meglio il proprio popolo. Questi purtroppo caddero a causa della sete di potere del loro primogenito Rufus che, sin da piccolo, mostrava un'aura così oscura ed assetata di sangue da mettere in allerta chiunque nel regno. I secoli passano e dei regnanti, dopo il fatale scontro contro il figlio, non si seppe più nulla. Non tutti però hanno perso la speranza. Si dice che l'oracolo ha professato il ritorno di una giovane fanciulla destinata a ripristinare l'equilibrio ed a riportare in vita quello che ormai è andato perso. Sulla terra invece, Helena continua a sentirsi sbagliata. Da sempre nasconde un segreto più grande di lei. Un fardello così pesante da non poter condividere con nessuno. Derisa ogni giorno per il suo strambo aspetto, denominata "strega", prosegue le sue giornate in solitudine fin quando un giorno la sua vita non cambia radicalmente. Le sue origini, il suo essere... sono sempre stati una menzogna. La realtà a cui dovrà andare incontro svelerà i più grandi segreti fino ad ora celati. Sarà forse vero o ancora una volta il regno sarà costretto a perdere quella piccola luce di speranza che per secoli ha donato, a chi vi credeva, la forza di lottare per quello in cui crede?
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Si narra che nel lontano regno di Giulmya, dove solo i portatori di magia ne conoscono l'esistenza, vivevano un Re ed una Regina amati e e rispettati dal proprio popolo. Lei dalla rara bellezza e lui dall'animo forte, per secoli avevano portato la corona con onore, guidando al meglio il proprio popolo. Questi purtroppo caddero a causa della sete di potere del loro primogenito Rufus che, sin da piccolo, mostrava un'aura così oscura ed assetata di sangue da mettere in allerta chiunque nel regno. Ormai sono passati secoli e dei regnanti, dopo il fatale scontro contro il figlio, non si seppe più nulla. Non tutti però hanno perso la speranza. Si dice che l'oracolo ha professato il ritorno di una giovane fanciulla destinata a ripristinare l'equilibrio ed a riportare in vita quello che ormai è andato perso. Helena troverà la sua vita stravolgersi del tutto. Costretta ad affrontare la realtà e tutte le sue paura, rischiando di svelare il proprio segreto. Sarà un duro percorso e tanti cambiamenti stanno per arrivare, forse non tutti buoni o forse si. Sarà forse vero o ancora una volta il regno sarà costretto a perdere quella piccola luce di speranza che per secoli ha donato, a chi vi credeva, la forza di lottare per quello in cui crede? PROLOGO.doc
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Link al commento. C’era un uomo che non era mai stato praticante, nonostante fosse cresciuto in una famiglia e in un paese di baciapile come non ce n’erano da nessun’altra parte. Sin da quando era bimbetto quest’uomo, che si chiamava Eusebio, si metteva sull’uscio della chiesa e ci buttava dentro i botti, oppure tirava un moccolo durante la funzione, oppure metteva la salsa di pomodoro nell’acquasantiera. Tutto questo era durato fin quando, una volta che s’era fatto giovanotto, non aveva trovato moglie. Una figliola dabbene, Rosetta, la cui famiglia era tutta nelle grazie del vecchio sacerdote di Cavalacapra. Era stato lui ad affidarle l’onerosa missione di recuperare lo scalmanato e farlo avvicinare alla croce, contrariamente a quanto avevano deciso per lei i due anziani genitori, che la volevano in moglie a un giovane di cert’altra caratura. E lei giù pianti, perché non voleva saperne di avvicinarsi a uno che aveva quella foggia lì, che dovunque andasse aveva la fama di bestemmiatore e che in qualunque paese della regione si vedeva chiudere sul muso i battenti delle parrocchie. Si pensi che il parroco di Cavalacapra si era rifiutato persino di comunicarlo, perché, a suo dire, “quel giovane aveva tre o quattro diavoli in corpo, tutti insieme e ben baldanzosi”. Comunque, per rispettare i voleri di quel parroco che aveva sempre tenuto un atteggiamento di gran riguardo verso la sua famiglia, la giovane aveva acconsentito. Col tempo aveva scoperto che quell’Eusebio non era nemmeno così malvagio come si pensava, e che non faceva quel che faceva perché ce l’aveva con Dio, ma perché la gente si comportava in una certa maniera in suo nome, salvo poi fare tutto il contrario di quel che professava. E questo non gli garbava. L’aveva messa persino davanti alle prove. Era venuto fuori, per esempio, che il giovane Pirolo chiamava babbo il padre sbagliato, cioè Firante il macellaio, mentre invece era figlio di Caspio il falegname. O che la pettinatrice Betta, moglie di Caspio, era coinvolta in un rapporto di intima cordialità con Savino l’organista. O che la gatta Dorinda, di proprietà della signora Gruccetti, che ne aveva tanto pianto la scomparsa, faceva le fusa davanti al camino nel salotto della signora Valbioli, che davanti alla casa del Signore aveva platealmente confortato l’amica per la sua perdita. E le rose che la signora Frumino aveva trovato tutte spampanate? Il “vento” era stata la mano della corpulenta signora Tambucci. Ma l’evento degli eventi, cioè la scoperta delle scoperte, era stata la collezione di certi opuscoletti sotto un’asse del pavimento in sagrestia, che avevano aperto una breccia nell’aurea di ascetica innocenza che da sempre ammantava il vecchio parroco. Eusebio e la Rosetta avevano riso tanto e, nelle vesti di unici detentori della verità in merito ai rivolgimenti che occultamente erano a governo del paese, avevano finito con l’innamorarsi. Si erano versati un po’ dell’uno nell’altra, cosicché la Rosetta dopo un po’ dava l’impressione d’essere meno bacchettona e l’altro, Eusebio, di non essere così apostata come fino ad allora si era creduto. E così alla fine avevano vissuto una vita insieme, non sempre d’accordo, ma sempre felici. Almeno fin quando la Rosetta non decise, in una bella e silenziosa mattina d’autunno, di affrontare l’ultimo viaggio. La grande desolazione che piovve addosso a Eusebio lo costrinse, più per attaccamento alla sua Rosetta che non per un’irreprensibile fede, a riscoprirsi nel desiderio di prendere la via della chiesa tutte le domeniche, e a fermarsi in dialogo col Cristo. E così, tramite lui, gli pareva di comunicare con quel che di lei doveva essere rimasto. Un giorno, già ad inverno inoltrato, durante quella che sembrava un’interminabile tempesta, un gran fragore fece tremare la casa. Sicché Eusebio, temendo che il grosso ippocastano lì fuori avesse sfondato il portico, si avventurò sotto la pioggia scrosciante e, con sua grande meraviglia, scorse poco lontano un grosso affare inabissato nel terreno per quasi la metà. Infilò gli stivali e una volta sul posto, cercò un’apertura. Ne tirò fuori un ometto, simile in tutto agli esseri umani se non per il fatto che era tutto rosso e alto non più di quattro o cinque spanne. Siccome era esanime, lo portò in casa e lo pose davanti al fuoco. Si rinvenne che era sera tardi e farfugliò qualcosa che Eusebio non capì. Allora l’esserino si infilò qualche cosa nell’orecchio e cominciò a parlare in un italiano che neanche il meglio linguista. - Mi conferma almeno che sono arrivato sulla Terra? - Sì, sì. Questa è ben la Terra. E poco dopo, davanti a un bel bicchierone di vin brulé bollente, avevano avviato una chiacchierata che qualche professorone avrebbe trovato parecchio interessante. Parlarono del mare, parlarono della televisione e parlarono di come sul pianeta di Xotykulkag (questa una possibile pronuncia del nome dell’uomo rosso) fosse ormai chiaro che la morte è un concetto che non esiste. - Anche noi si credeva in Dio qualche milione d’anni fa. Certo, non era quello il nome che gli si dava, ma il concetto era lo stesso. Poi finalmente si scoprì dov’è che abitava questo presunto Dio, e venne fuori che era uno dei Fusgherlenghi. - Uno dei che? -, fece Eusebio tutto stranito. - Fusgherlenghi. Un popolo di creatori di mondi che pare abbiano l’appalto da qualche miliardo di anni. - L’appalto da parte di chi? - Non lo sa nessuno. Però è certo che non si muore. Nel loro disegno è previsto un sistema d’evoluzione per questo universo, che quando il nostro corpo è troppo vecchio – pare che su qualche pianeta li abbiano già aggiornati e ora non invecchino più – si spenge e noi si va da un’altra parte. C’è un pianeta così grosso che nemmeno da tutta la distanza di tutti gli universi si potrebbe vedere tutto, perché è così grosso che persino il nome sarebbe troppo lungo da pronunciare. E così si va tutti lì. - E allora Dio non esiste? - Non per come lo intendete voi, almeno. Eusebio fu rincuorato dalle parole dell’omino rosso e ora non vedeva l’ora di morire per rivedere la Rosetta ma, a un tratto, gli venne un dubbio. - Ma se è come dici chi li ha architettati i Fusgherlenghi? - Bisognerebbe incontrarne uno e chiederglielo. Eusebio lo guardò con tanto d’occhi: - Ma come, non li avete mai visti? - Solo il nostro profeta, Kotzikalga. - E a lui gliel’avete chiesto? - Non si può. È esistito milioni di anni fa. - E come fai a sapere che quel che hai detto è vero? L’ometto rimase un po’ lì a rimuginarci. - Dev’essere così per forza, sennò quando il corpo si spenge dov’è che si va? Ed Eusebio l’essere umano, quello cioè che apparteneva a quel gruppo di creature che non aveva ancora imparato ad andare da un mondo a quell’altro, non ebbe cuore di disilluderlo. E in fondo era quello che sperava anche lui sebbene non conoscesse nessuno al mondo, e a quanto pare anche fuori del mondo, che potesse averne la certezza. E così disse solo: - Dev’essere proprio un bel pianeta quello dove tutti ci si rincontra -. E rimase lì, a guardare l’ometto rosso che annuiva mentre sorseggiava il suo vin brulé.
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- Titolo: Emozione e verità - Autore: Margherita Fasano - Editore: Le Mezzelane - Ringworld - sci-fi&fantasy - Genere: Romanzo narrato da diversi punti di vista - N° di pagine: 462 - Link per l’acquisto: https://negozio.lemezzelane.eu/prodotto/emozione-e-verita-ebook https://negozio.lemezzelane.eu/prodotto/emozione-e-verita-carta https://www.amazon.it/Emozione-verità-Margherita-Fasano-ebook/dp/B0CCCH2G1F https://www.mondadoristore.it/Emozione-e-verita-Margherita-Fasano/eai978883328736/ https://www.libraccio.it/libro/9788833287362/margherita-fasano/emozione-e-verita.html https://www.ibs.it/emozione-verita-libro-margherita-fasano/e/9788833287362?queryId=76ab541f2a2791b9562eefac8fa411ac - Trama Angelica, una ragazza di sedici anni, incontra l’eccentrico Zacabrio, che le propone un patto: diventare bella rinunciando alla sua sensibilità. Dopo aver accettato, Angelica scompare come voce narrante, ma la sua presenza trascina il diciottenne Rodolfo nei primi pensieri amorosi. Nel frattempo, Claudio, un compagno di classe di Rodolfo, conosce Salvatore, di cui si innamora a prima vista. Claudio si è trasferito a Roma, città in cui è ambientato l’inizio del romanzo, con l’intenzione di entrare in seminario, ma questa attrazione improvvisa mette in crisi la sua fede. Le vicende, narrate dal punto di vista dei personaggi, coinvolgono anche due professori liceali (voci della Filosofia e della Fisica). I cinque protagonisti partono per la gita scolastica, nel corso della quale, per motivi diversi, si addentrano in un labirinto e vengono proiettati in un misterioso mondo fantastico. Ricchissimo dal punto di vista narrativo, “Emozione e verità” è sospeso in una dimensione speculativa e fantastica che lo rende godibile sia per chi ami il dialogo filosofico sia per chi desideri divagarsi con una narrativa non banale. Per ulteriori informazioni: https://margheritafasano.wordpress.com/2023/07/20/emozione-e-verita/
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Ciao a tutti. Per la mia prossima lettura mi piacerebbe leggere qualche bel romanzo gotico scritto in epoca contemporanea. No Shelley, Poe, Stoker, Jackson, per intenderci. Ho già letto la produzione di Anne Rice, ma adesso cerco qualcos'altro. Confido in voi!
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(Ho provato a cercare un topic su questa serie tv, ma non riesco a trovare nulla. In caso chiedo scusa) Ho iniziato a guardare The rings of power pur non essendo uno "studioso" di Tolkien (non ho letto Il signore degli anelli e la mia conoscenza su questo mondo si ferma ai film. Non linciatemi, chiedo perdono), di conseguenza non so addentrarmi sulla diatriba fedeltà-non fedeltà che fa scannare tanto discutere i fan della saga. Voglio comunque dare i miei due cent su queste prime puntate. (Non aprire gli spoiler perché, indovina un po', potrebbero esserci spoiler sui primi 4 episodi)
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...Davvero non c'è un topic su Doctor Who? DAVVERO?! E sono IO l'admin di questo forum?! Ok, angoscie a parte. Io sono una fan MOLTO fan di DW. Vi mostro il mio altarino dedicato, dove ci sono pure gli steelbook – edizione tedesca per la dodicesima stagione e inglese per gli speciali post Flux, dato che in italiano hanno smesso di produrre tutto dopo l'undicesima (e manco li biasimo, biasimo Chibnall). Se fossi ricca avrei molta più roba, ma devo accontentarmi 🥲 Attendo con ESTREMA ansia il ritorno di David Tennant e Catherine Tate a novembre, insieme a Russell T Davies (Nostro Salvatore, sempre sia lodato), con gli episodi speciali per il sessantesimo anniversario. Chi segue Doctor Who? Chi è in pari? Chi è indietro? Chi è un infedele e non lo conosce?
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Liwaria. La spada di diamante blu di Giada Abbiati
Giada Abbiati ha pubblicato una discussione in In Vetrina
- Titolo: Liwaria. La spada di diamante blu - Autrice: Giada Abbiati - Editore: Giada Abbiati (selfpublishing) - Genere: fantasy epico - N° di pagine: 586 cartaceo flessibile - Link per l’acquisto/download: https://amzn.to/3Lmw5QL - Preview online o scaricabile di minimo 10 pagine: estratto disponibile al link Amazon - Trama: Una falsa profezia distrugge la sua vita. Una spada di diamante blu rappresenta il suo riscatto. Hilya è una mezzosangue e per le leggi di Liwaria non dovrebbe esistere, ma a renderla la minaccia principale del continente è una profezia: sarà lei a risvegliare i Senzaluce che un secolo prima hanno devastato Liwaria. Sedici anni dopo la sua fuga, la spada di diamante blu lasciata da sua madre segna l'inizio del suo viaggio per guadagnarsi il riscatto. Quello che non sa è cosa si cela dietro la spada: può essere lei la salvatrice del continente, ma vuole diventarlo davvero per un mondo che la ripudia? Ma attorno a lei si muovono trame ben più complesse: è la manipolazione ad aver distrutto Liwaria e affonda le radici in un passato ancora sanguinante, che cela drammi e persecuzioni di cui Hilya è solo l'ultima manifestazione. In questa scacchiera spezzata, Hilya sarà costretta a percorrere la strada del riscatto per dimostrare che né profezie né dei possono determinare chi è l’eroe e chi il carnefice. E soprattutto, che da sola non può compiere un viaggio da cui dipende il destino di Liwaria tutta. Liwaria - La spada di diamante blu è il primo volume di una saga epic fantasy per adulti. Il libro giusto se ami un worldbuilding vasto e curato, molteplici personaggi, intrighi dal passato, poteri distruttivi, creature fantastiche e una protagonista che si discosta dai canoni dell’eroina spavalda disposta a tutto. ALTRO DALLA SAGA: Il secondo volume della saga di Liwaria uscirà in inverno 2023 (novembre/dicembre). Nel frattempo, è disponibile la novella La promessa del mercante, che è ambientata prima dei fatti narrati nel volume 1 della saga.-
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Link al commento. Si combatteva una guerra da qualche parte in Europa, forse qualche anno fa o tra qualche anno, importa poco. In questa guerra, come in ogni altra guerra, c’erano i soldati che di lontano, in una grande città ormai irriconoscibile, si ammazzavano con i fucili e con le bombe. Questi soldati molto giovani erano stati radunati in fretta e furia, perché pare che fosse successo qualcosa tra due Capi di Stato e che la guerra bisognasse farla con grande urgenza. Allora erano partiti, alcuni con un po’ di reticenza, e in breve si erano ritrovati tutti bardati, con gli elmetti e i gilet imbottiti, con questi grossi e pesanti fuciloni a tracolla che rallentavano loro il passo e toglievano il respiro. Camminando e camminando fino alla zona designata per fare questa guerra, a una certa distanza, dietro alcuni palazzoni alle cui finestre c’era affacciata la gente di quel posto, questi soldati avevano visto i loro omologhi dell’altro esercito. Erano tutti camuffati come loro e come loro avevano indosso gli elmetti e i gilet. Allo stesso modo gli stivaloni affondavano nella fanghiglia per via del peso del mortifero arsenale. Il comandante di una delle due parti si era fermato per considerare cosa fosse più opportuno fare, perché quella era la sua prima guerra e non aveva ancora un piano. Vide che il comandante dell’altro esercito faceva lo stesso, allora gli venne l’idea di andarsi a confrontare con lui. Si incontrarono sul confine. - Senti, siccome io la guerra non l’ho mai fatta e stamattina mi hanno svegliato col dire che sarei dovuto venire qui a combattere contro di voi, mi sapresti dire com’è che si inizia? L’altro lo guardò con un par d’occhi. - Allora, se è per questo -, disse, - Bisogna che ti confessi che la guerra non l’ho mai fatta nemmeno io e son venuto sul confine per chiedere a te com’è che si facesse. Considerando che non sarebbero venuti a capo di nulla, fecero per lasciarsi col proposito che uno si sarebbe messo da una parte e avrebbe sparato il primo colpo, e il resto sarebbe venuto da sé dopo il primo morto. C’era un vecchietto però, affacciato a una delle finestre, che di guerra ne sapeva tutto perché aveva combattuto a Gadevertengo, a Santa Pastulia e nella guerra di Giufinzio. - Fermi, ve lo dico io come dovete fare! -, disse. I due giovani comandanti si fermarono allora col naso all’insù. - Dovete fare come nel nascondino, ce l’avete presente? Quelli annuirono. - Bene. Voi dite ai vostri eserciti che si nascondano dietro codesti palazzi e nei campi tutt’intorno. Fate passare un po’ di tempo, anche un’ora se è necessario, dopodiché, all’ora che avrete pattuito, fate uscire i soldati allo scoperto e gli ordinate di ammazzare quelli dell’altra parte che incontreranno sulla loro via. Non c’è cosa più facile di fare la guerra! - E noi? -, chiese uno dei due comandanti. - E voi dovete fare una scelta -, disse il vecchio portando un dito avanti e mettendo un’espressione da gran dotto in viso. - Vedete che gli uomini di comando sono di due tipi. Ci son quelli che sopravvivono e mandano i propri uomini a morire e ci sono quelli che muoiono con i propri uomini. Io li ho visti di entrambe le qualità e i primi li ho sempre avuti in antipatia, ma questa è la guerra e più di un certo numero di morti non si può evitare né in un caso né in quell’altro. - E come si sceglie? -, domandò l’altro comandante. - Tutto dipende dalla paura che si ha di morire e dalla voglia che si ha di vivere. Io sono stato comandante a Santa Pastulia, e allora decisi di essere della seconda qualità. Ero pronto a morire perché in quel periodo di vivere non è che ne avessi tanta voglia, però sopravvissi. Ebbi la fortuna che l’altro comandante era della mia solita qualità, ed essendo anche lui sopravvissuto mi graziò. Così facemmo la conta dei morti e venne fuori che avevo vinto io. Ci salutammo e la guerra finì. - Sembra proprio facile! -, fece un comandante. - Ve l’ho detto. E più la fate più diventa facile. L’altro comandante però era assorto in riflessione. Disse a un certo punto: - Sì, però se questi palazzi verranno distrutti, morirà anche tutta questa gente affacciata alle finestre. - Sì -, fece il vecchio, - La guerra costa un prezzo che forse non smetterete mai di pagare, però se i vostri Capi vi hanno detto che va fatta, allora dovete farla. - Ma morirà anche lei. - Sì, ma a me non dispiace. Io ho vissuto per parecchio e mi sono levato tutte le soddisfazioni. Non è per me che dovete aver premura, ma per i bimbetti. Loro nelle guerre non ci dovrebbero entrar nulla. - Allora facciamo così -, disse uno dei comandanti, - Se il mio omologo è d’accordo io farei sfollare tutti i bimbetti con le loro mamme e nei palazzi ci lascerei solo gli uomini, perché tutti non si possono salvare. - Io sono d’accordo. E così fecero. Ringraziarono il vecchio e gli augurarono un sereno trapasso, poi aspettarono che tutti i bimbetti e le donne si fossero allontanati e dissero ai soldati di andare a nascondersi. Iniziò la guerra. Fu tutto un Pim, un Pum e un Pim-Pum-Pam e nel mezzo di quello scambio di fuoco non si riusciva a capire nulla. Tra bombe che cascavano e lanciarazzi che vomitavano le loro capsule di morte, sembrava che tutta la lietezza del mondo fosse ormai estinta. I comandanti, dalle loro rispettive postazioni, controllavano la situazione e annotavano i morti della loro fazione. Si guardavano da lontano e si facevano dei cenni, per capire se la guerra la stessero facendo come si doveva. Poi tornavano a concentrarsi sull’andamento del conflitto. I palazzi vennero giù. C’era gente che cascava insieme alle macerie con ancora il pentolino del latte in mano, oppure chi era ancora a letto e non s’accorgeva di nulla. Quando il terreno ebbe cambiato colore, perché si erano mescolati il rosso e il marrone originando il tipico color conflitto, i comandanti seppero riconoscere che la guerra poteva finire lì. Si rincontrarono sul confine. - Io volevo essere della seconda qualità di comandante, però ora che ci penso non mi è riuscito perché la guerra l’ho solo vista e non l’ho combattuta. - Anch’io -, rispose l’altro, - ma non me ne sono nemmeno accorto. Pensavo ci fosse più tempo. - Non è stata una guerra lunga, in effetti. - Dipende dalla gente che c’è coinvolta. Ma forse il vecchio aveva torto. Non è che si sceglie di essere quella qualità di comandante o quell’altra, lo si è e basta. E poi, forse, siamo comandanti proprio perché non si aveva voglia di morire. L’altro sembrava convenire, ma gli venne un dubbio: - E quindi pensi che i nostri soldati avessero voglia di morire? L’altro rimase lì, con un po’ d’incertezza ben spalmata in viso. - Sai che facciamo? Glielo chiediamo -, disse a un tratto, e si mise alla ricerca di un soldato ancora vivo. Trovò un ragazzo che era lì lì per morire, con la bocca contorta perché stava provando un gran dolore. - Ragazzo -, disse, - Prima che tu muoia bisogna che ti faccia una domanda. Tu avevi voglia di morire? Il giovane ebbe qualche spasmo, si contorse un po’. I due comandanti attesero finché, proprio prima di tirar le cuoia, non diede il suo responso, scotendo gravemente la testa. - Va bene -, disse uno dei comandanti, - Allora vuol dire che si muore anche quando non se ne ha voglia. Ora che ci siamo tolti questo dubbio, se non abbiamo voglia di morire anche noi, nelle prossime guerre ci converrà continuare a fare i comandanti. L’altro assentì. - Ora bisogna fare la conta dei morti per vedere chi ha vinto. Sicché si misero a fare questa conta. Si scambiarono i taccuini e lessero i numeri. Contarono e ricontarono, ma veniva sempre fuori lo stesso risultato, cioè erano pari. Gli stessi morti da una parte e da quell’altra. - E ora come si fa? -, chiese uno. - Bisognerà continuare la guerra con i soldati che ci son rimasti. Ma l’altro non era d’accordo. - Senti, siccome non è detto che i nostri uomini abbiano voglia di morire e in fin dei conti i comandanti siamo noi, potremmo scegliere di diventare comandanti della seconda qualità e di giocarcela a sorte. - Cosa intendi? - Intendo che potremmo fare testa o croce, e chi perde l’altro l’ammazza e ottiene il vantaggio. L’altro proprio di morire non n’aveva voglia, ma il ragionamento non era sbagliato. E poi c’era il cinquanta per cento di possibilità che di morire toccasse all’altro. E infatti, tirando la moneta, venne fuori che era proprio l’altro a dover morire. - Va bene -, disse, - Ormai è andata così. Ora io mi inginocchio e te mi spari, così la guerra l’hai vinta te. - Mi dispiace che sia andata a questa maniera -, disse l’altro con sincera compunzione. - Lo so, ma non importa. Qualcosa da questa guerra l’ho imparato lo stesso, mi dispiace solo che non lo potrò mettere in pratica. - Lo posso fare io per te. - Te ne sarei grato. Così si inginocchiò e l’altro gli sparò. Mentre gli eserciti si disperdevano e le mamme coi bimbetti tornavano a quello che rimaneva delle loro case, giunsero tutti trafelati un paio di ambasciatori. - Ma la guerra l’avete già finita? -, chiese uno di questi al comandante superstite. - Parrebbe di sì -, rispose lui guardandosi intorno. - Ah, peccato -, fece allora l’ambasciatore, - I Capi hanno fatto la pace e hanno detto che di fare la guerra non ce n’era più bisogno.
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James Biancospino - Viaggio nell'Apocalisse
Simone Chialchia ha pubblicato una discussione in In Vetrina
Inviato Febbraio 2, 2021 (modificato) - Titolo: James Biancospino - Viaggio nell'Apocalisse - Autore: Simone Chialchia - Editore: APOREMA EDIZIONI - Genere: Fantasy - N° di pagine: 260 - Link per l’acquisto/download: CLICCA QUI - Preview online o scaricabile di minimo 10 pagine: CLICCA QUI - Trama: La fine del mondo si avvicina a grandi passi. Ripudiati dalla comunità dei Liberati per la loro inaffidabilità, James e compagni devono trovare il modo di recuperare le pietre magiche superiori dalle grinfie dello stregone Wilburn per sconfiggere una volta per tutte i non-morti. Durante l’assalto alla villa del capo della Confraternita della Luce non tutto fila secondo i piani stabiliti. Per Biancospino riprende così un percorso mozzafiato, tra futuro e passato, ricco di clamorosi colpi di scena, dove il ruolo di vecchi e nuovi protagonisti della saga si mescola in continuazione, fino all'epico e sorprendente finale. - Estratti: «Se mi guardo alle spalle» le confessò infine, «se ripenso a tutto quanto mi è successo in questi ultimi anni, finisco sempre per convincermi di star vivendo un incubo, una specie di lunghissima allucinazione, piena di particolari assurdi. Certe volte, spero ancora di potermi svegliare e scoprire come sia stato solo un brutto sogno.» -
Si sfiorò solo il polso destro, dove le dita dell'altro avevano cercato di afferrarlo. Lo fece ripensare al quadro, agli altri sogni osceni di Rubens: le carni rosa e bianche, la loro abbondanza, il tremolio d'acqua con cui il piacere sembrava propagarsi come movimento o danza da un corpo all'altro, in un'orgia di materia sensibile e viva. Una pulsazione, greve come musica, come quel suono nella sua testa. Il brivido che ne trasse fu così discreto che poté raccontarsi di non averlo sentito. * Era un mese prima. Era pieno inverno. Erano le 10.27 del mattino e lo Sconosciuto era disteso su un letto d'ospedale assediato da un grappolo di medici. Aveva finito di prepararsi per l’esperimento di Emersione del paziente Ian Harlow, anni 43, stanza 206 del New York-Presbyterian Hospital. Era terrorizzato. “Ricordati che è solo un esperimento, ok?” James Finch, medico neurochirurgo e suo amico da quando aveva cinque anni e mangiava i pastelli a cera, lo guardò mentre controllavano le cannule e preparavano l’anestetico. Visto da quella prospettiva, sembra una qualche presenza divina. “Non fare l’eroe. Non metterti a rischio per salvarlo a tutti i costi. E’ in coma da 15 anni e non possiamo sapere se la sua mente sarà pronta a tornare o meno. Nessun coinvolgimento emotivo, te lo ricordi vero?” Lo Sconosciuto annuì. “Non c’è niente di cui aver paura. Ti sveglieremo noi. Non è compito tuo tirarlo fuori da là, raccogli solo dati su tutto ciò che vedrai e di cui avrai esperienza, nient’altro. Siamo dottori, non filantropi, ok?” Annuì di nuovo. Un’infermiera informò il dottor Finch che l’anestetico era pronto. “Non avere paura” gli ripeté posizionandogli la maschera sul viso, “ti seguiremo 24 ore su 24. Ora conta all’indietro partendo da dieci” Lo Sconosciuto sentì il cuore martellargli nel petto. La vista gli bruciò un po', si velò d'acqua. La chiazza di luci e ombre di James si chinò su di lui. Gli asciugò una lacrima con il polpastrello della mano. "Ehy - ehy. Cosa ti ho detto? Non ti perdiamo d'occhio un attimo, lo giuro. E se vedo che le cose vanno per le lunghe, ti tiro fuori io, costi quel che costi, ok?" Lo Sconosciuto prese un respiro che rimbombò e vibrò nello spazio del suo cranio. Per l'ultima volta, annuí. James sorrise dietro la mascherina. "Così mi piaci. Dentro, fuori, e poi una quantità disgustosa di soldi dall'università per il mio indebitatissimo amico, e la gloria medica per me. Andrà bene". Si rimise dritto. "E ora, conta con me" Lo Sconosciuto obbedì. Si riempì gli occhi di ciò che poteva ancora vedere del mondo - il luccichio dei vassoi di metallo nel sole pallido, le voci mormorate delle infermiere, persino la linea verde che disegnava il suo battito su uno schermo - tutto, tutto, prima del salto, prima di affondare dentro un altro. Dall'altra parte, la fine dei debiti studenteschi, un amico felice; la sua vita, migliore, più leggera. Ma in mezzo, in mezzo? Dio, non lo sapevo. Dio, come aveva fatto a credere che non avrebbe fatto paura. Prima che dovessero dirglielo di nuovo, aprì la bocca. Cominciò a contare. “Dieci… nove… otto… sette…” L’ultima cosa che vide fu il paio di occhi nocciola di James. “Niente pazzie, niente eroismi. Guida piano, Gary Miller” Gli si chiusero gli occhi. Si addormentò. Ci fu un suono che lo accompagnò giù, il suo battito tradotto nel bip dell’elettrocardiogramma. Era un suono ritmico, meccanico nel suo modo di riverberarsi, greve da tremare nello stomaco e riempire ogni interstizio della sua mente. Poi sparì nel silenzio da cui era venuto. Nelle ossa del suo cranio, nei denti, nello stesso pulsare del sangue percepiva tuttavia ancora l'eco di quel suono, come se il suo intero organismo fosse un diapason messo in vibrazione da una mano sconosciuta. Un secondo battito cardiaco, quindi - ma elettrico, ed enorme, e senza armonia. Gary Miller non era più a New York.
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Lo Sconosciuto nascose un mezzo sorriso; scrollò le spalle. Non disse mai le parole d'accordo sul non essere d'accordo, ma Ian le sentì limpide come se fossero state pronunciate ad alta voce. Non se la prese davvero. In una piega nascosta dentro di sé sapeva di amare quelle discussioni, il sottile gioco di scherma dei botta e risposta, le manipolazioni di parole con cui quello straniero cercava di scassinare i suoi segreti. Costringevano il suo cervello a lavorare; lo inducevano a muovere circonvoluzioni di esso rimaste immobili per anni, a evocare una parte maggiore delle sue forze. "Come preferisci" disse lo Sconosciuto. "Non ti importa, d'accordo. A me invece i musei piacciono parecchio. Sono luoghi riposanti, soprattutto quello della mia città - quello vicino al parco, museo di storia e arte, sono sicuro lo conoscerai. Ogni tanto ci vado in pausa pranzo, anche se spesso le mie pause sono ad orari abbastanza strani, e visito un paio di sale completamente a caso. È un gioco che mi diverte. Soprattutto quando non ne so niente" Ian non fece commenti, ma alzò le sopracciglia quando l'altro incrociò il suo sguardo. Lo Sconosciuto lo interpretò come un incoraggiamento, non del tutto a sproposito. "Beh, una delle ultime volte mi sono infilato in una sezione che non avevo mai visto. Arte Europea. Arte Europea dell'età Moderna, per essere precisi. Credo fosse specificamente - ah, sì, la sezione sul Barocco, ecco" Ian stava ancora mescolando il tè nella sua tazzina. Rallentò il movimento senza volere. "Mi è piaciuta parecchio. Mi è piaciuta la passione di quegli artisti per quei colori scuri, i volti - e per i corpi, brutti o belli che fossero. Oh, e i ritratti. Quelli sì che sono interessanti" Lo Sconosciuto si grattò una guancia. Poggiò le mani sulla chiave di volta di quell’arco austero, si preparò a far forza e a toglierlo dal centro. "C'era un quadro, poi - uno di quelli fiamminghi, se non sbaglio. Non medievale, però. Piuttosto grosso. Rappresentava una coppia - un uomo magrolino e con un grosso cappello e sua moglie, una di quelle generose signore barocche, vestita di nero. C'era anche un bambino, un povero piccolo disgraziato biondo avvolto in una di quelle terribili sottane leziose. Scelte di moda a parte era molto bello, molto vivo: credo che il pittore fosse uno di quelli famosi di quel periodo. Mi sfugge il nome. Ma comunque..." Lo Sconosciuto continuò la sua storia. Ian smise di ascoltarlo. Rimase solo l'eco delle cose dette, la forma che inevitabilmente stavano prendendo nella sua testa. Le mani gli sudarono intorno al cucchiaino da tè. Il suo campo visivo tremolò in una vertigine e fu costretto ad alzare gli occhi verso un punto impreciso davanti a sé, al di là dello straniero. Fu quello a perderlo. Se fosse stato un altro dipinto, anche di quello stesso secolo, anche della stessa meravigliosa mano, sarebbe stato in grado di controllare la propria reazione, di simulare un passeggero interesse. Invece fu quello: e quando Ian ne sentì la descrizione nelle parole secche dello Sconosciuto venne invaso da un’associazione di idee, ricordi, immagini - le immagini, la sua dannazione: la forma meno ragionevole di ricordo, quella di cui la sua anima sapeva liberarsi meno efficacemente - così veloce che non poté anche solo pensare di frenarla. Fu un puro tradimento del cuore, e più insidioso perché scaturito da una parte di cuore che avrebbe dovuto essere morta. Ritornò la memoria di quelle figure, della carta opaca e spessa del libro d'arte; rivide nel suo occhio interno l'uomo con il cappello in piedi contro il verde del giardino di piacere, la bellezza di burro della donna al suo fianco, il bimbo ai loro piedi. Arrivò la commozione. Le parole gli rotolarono fuori dalla bocca come un respiro. "Rubens" sussurrò. "L'autoritratto con Helena Fourment e Frans. 1635-40, probabilmente 1640-" Ian si zittì. Era già troppo tardi. Il viso dello Sconosciuto si illuminò, come se gli avesse appena fatto un meraviglioso regalo già mezzo atteso. Ed ecco, la chiave di volta non c’era più. Tutto iniziava a crollare. Ci mise molto a rispondere. Molto. Poi: "... Sì," disse, "sì, credo fosse proprio quello il dipinto. Te ne intendi, direi" "So qualcosa" "Questo non è saperne qualcosa" "Tutti hanno i propri passatempi," disse Ian in fretta, "anche i bibliotecari. Ho letto qualche libro" “Questo non è proprio possibile, mi dispiace. Non in una biblioteca dove la sezione di storia dell’arte è completamente assente. Solo quella. Non credo sia un caso”. Lo Sconosciuto abbozzò un mezzo sorriso. "E sinceramente dubito che chi lo fa per hobby pronunci il nome di un pittore così" "Così come-" "Come il nome di un amante" Ian lasciò andare il cucchiaino, un tintinnio di metallo contro il marmo del tavolino. Arrossì. Si odiò per quella concessione al gusto discutibile dello Sconosciuto, che gli aveva spesso detto quanto gli piacessero su di lui quei fiotti visibili di pudore. "Sei volgare" sibilò. "Non vedo perché. Non era affatto una critica, se vuoi saperlo" "Non è niente di così strano invece. Ho semplicemente un certo senso estetico" Ian sbatté le palpebre. "Ho anch'io gli occhi per vedere se qualcosa è sublime" aggiunse, ed ebbe l'impressione che anche quella risposta l'avesse compromesso in un modo che in parte gli sfuggiva. Lo Sconosciuto sorrideva ancora. "Sai, all'università ho diversi amici in quel dipartimento - professori ordinari, dottorandi in storia dell'arte. Passano buona parte delle loro giornate perdendo la vista su cose come la raccolta completa di incisioni della Malinconia di Rembrandt, o la corrispondenza di Raffaello, o le ultime emissioni di pagamento della Corte inglese a Van Dyck: sono tra le persone più felici che io conosca. Gente matta, ma molto interessante. Credo però che tu sappia come funzionano queste cose" Ian calcolò cosa dire. Si impose una certa cordialità. "Oh, no, qui ti devo fermare - qui c'è un palese errore di valutazione. Per l'ultima volta, io non so niente di dottorati o di storia dell'arte. Non ho nessun interesse a saperne altro". Sollevò lo sguardo verso il suo. "Sono un semplice bibliotecario. E non sono affatto un uomo ambizioso" Si era aspettato una protesta; al limite una battuta di dubbio gusto, un pungolamento verbale. Invece non ci fu niente del genere. Lo Sconosciuto smise di aggiungere zucchero alla sua tazza - due bustine già smembrate sull'orlo del piattino - e sgranò un poco gli occhi. Sembrò sgomento, abbastanza perché Ian ne fosse compiaciuto e allarmato allo stesso tempo. Poi scoppiò a ridere. Forte. E disse una sola parola. "Stronzate" Ian serrò la mascella. "Prego?" "Stronzate," sghignazzò quando riprese abbastanza fiato per farlo, "oh, questa è la più grande stronzata tra tutte quelle che tu mi abbia mai raccontato, cosina" Ian ricevette quella reazione e quelle parole con un momento di perfetta immobilità. Era la prima volta che sentiva ridere lo Sconosciuto: la prima risata che sentiva da un tempo che non voleva calcolare, in realtà. Gli parve molto forte, molto vicina: si aspettò di vedere crepe emergere ovunque avesse esteso la propria vibrazione sguaiata - sulla superficie del tavolino, lungo la sua spina dorsale, sulle macchie di colore che percepiva con la coda dell'occhio e che avrebbero dovuto essere altre persone. Ian ridusse gli occhi a due fessure furenti. "Come osi offendermi-" "Oso offenderti quando racconti palesi bugie. A me. A te". Ogni traccia di riso era scivolata via dal viso onesto dello Sconosciuto: aveva lasciato solo un quieto sorriso. Gli occhi, quelli che avevano tormentato le giornate di Ian da un po', erano ancora puntati su di lui. "Ascoltami bene. Tu sei la persona più maledettamente ambiziosa che conosca, Ian. È un semplice fatto" "Non è vero. Io non sento nessuna ambizione" rispose con un filo di voce. "Non senti tante cose. Non te lo permetti. Così come sei ora, sei meno di un quarto dell'uomo che potresti essere davvero" Ian trasalí un poco. "Questo è stato crudele. E superfluo" "Non hai detto che è falso" "E tu giochi con le parole". Ne aveva abbastanza. Abbandonò tovagliolo e cucchiaino, la tazza ancora intatta. "Al contrario di ciò che ti compiaci tanto di pensare, non sono costretto a stare qui a farmi insultare" Si alzò di scatto. Uno shock di contatto, a fermare l'impulso del suo movimento: le dita dello Sconosciuto gli si erano strette intorno al polso, calde, magre - gentili, che era forse la cosa più intollerabile. Così come era arrivato il tocco, arrivò anche quel suono metallico, di nuovo: gli attraversò la mente rimbombandogli nel cranio, e costrinse Ian a portarsi la mano libera alla tempia. Succhiò aria fra i denti. “Lo senti anche tu vero?” disse lo Sconosciuto con tono fermo e serio. “Quel rumore nella testa. Lo sai che cos’è, vero Ian?” “Non- lasciam-” “E’ il suono della macchina dell’ECG. E’ forse l’unica cosa vera all’interno di questa vita insieme a noi due” Ian si sottrasse con uno strattone. “Guardati intorno" continuò l'altro. "Le persone non sono nemmeno realmente persone. Non sono qui. Appena ci voltiamo siamo soli. Solo io e te Ian” Ian non si mosse. Non guardò la strada deserta, le sedie improvvisamente vuote, perché non ce n'era alcun bisogno. “Sparisci dalla mia vista” sibilò, massaggiandosi il polso. Sentì lo Sconosciuto accordargli la vittoria con grazia. Si riaccomodò sulla sedia. "Benissimo; benissimo. Libero di andare. Io sono qui". Si addossò contro lo schienale, incastrando uno scarponcino negli intrichi di ferro battuto del tavolo. "Non me ne vado, cosina. Ormai lo sai" Ian lo sapeva. Non gli concesse la soddisfazione di una conferma. Si costrinse invece a voltarsi, a incamminarsi verso la biblioteca a passo sostenuto - era infatti di nuovo mattina, di nuovo le otto in punto dell'inizio del suo turno, esattamente come desiderava - senza controllare sopra la propria spalla neanche una volta se una figurina in impermeabile chiaro fosse ancora seduta a guardarlo.
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Era una buona vita. La biblioteca dove lavorava era spaziosa, semi-deserta, precisamente ordinata; in città c'erano un paio di buoni caffè in cui si poteva andare a fare finta di leggere. Il clima e le persone si assomigliavano, entrambi miti e gradevoli abbastanza da essere dimenticati a comando. Al lavoro, Ian non doveva mai pensare a cose come il denaro, i documenti d'identità scaduti, i corsi di aggiornamento, l'iscrizione di nuovi utenti o l'acquisto di altri libri. C'era solo la sua giornata, in una ripetizione senza fine come nei labirinti di specchi. Non era interessante; non importava che lo fosse. L'unica irregolarità - ma trascurabile - era quel battito. Non era veramente un battito biologico, ma Ian non poteva pensare a una definizione più adatta per quel suono pulsante ed elettrico che ogni tanto gli capitava di sentire. Un tonfo ritmico, meccanico nel suo modo di riverberarsi; greve abbastanza da tremare nello stomaco come musica. Non poteva mai prevederlo. Semplicemente arrivava, e montava rapidamente in un crescendo fino ad assordarlo e annullare ogni altro suono nel mondo, prima di svanire nel silenzio in cui era venuto. Ian si svegliava; apriva gli occhi sulla sua camera. Ne catalogava gli elementi conosciuti e confortanti come faceva in biblioteca con i nuovi arrivi: la libreria vuota, i vetri puliti delle finestre senza tende, la scrivania di cedro perfettamente spolverata. Nessun armadio, nessun abito lasciato in giro: Ian si vestiva con gli stessi abiti ogni giorno, e quegli abiti non erano mai stati realmente comprati da qualche parte e non avevano mai bisogno di essere lavati o stirati. Ogni mattina Ian li indossava con un'attenzione che piegava gentilmente i limiti del plausibile, e che gli permetteva di non toccare mai il proprio corpo da nessuna parte dal mento in giù. Non toccare il proprio corpo più del necessario era molto importante. Nella sua stanza era tutto al proprio posto. Ian ne traeva un consueto piacere: ma nelle ossa del suo cranio, nei denti, nello stesso pulsare del sangue percepiva ancora l'eco di quel suono, come se il suo intero organismo fosse un diapason messo in vibrazione da una mano sconosciuta. Un secondo battito cardiaco, quindi - ma elettrico, ed enorme, e senza armonia. Non accadeva spesso, non troppo almeno, ma quando il pulsare si presentava tendeva a rimanergli incastrato nella testa per tutta la giornata, scandendo con il suo grave ritmo metallico le sue giornate a lavoro, il fruscio della penna sulle pagine del registro della biblioteca o i suoi passi contro il parquet del pavimento. Non c'era mai un sogno legato a quel suono, nessuna immagine o ricordo. Eppure un sogno doveva esserci, anche se non lo ricordava, come non ricordava d'altronde nessuno dei suoi sogni. Doveva essere così perché il suono si presentava quasi sempre al mattino, e di notte Ian faceva qualcosa che assomigliava al sognare. Ma il suono non era importante. Era una buona vita. Fuori dalla finestra alle volte il cielo era inondato dalla luce del mattino, altre volte la città brillava nel buio; la gente al lavoro diceva buongiorno e poi buonanotte. Nel suo attico di pareti bianche accanto alla libreria c'erano un letto singolo, un comodino con un libro e nient'altro. Era abbastanza. Non c'erano né la cucina né il bagno. Non ce n'era bisogno. Ian non ne aveva bisogno. * Lo Sconosciuto si era presentato alla biblioteca di prima mattina, come aveva preso l'abitudine di fare da quando era arrivato lì. Quando Ian emerse dalla torre libraria, in mano tre grossi volumi sulla letteratura inglese del Seicento da dare in prestito, si bloccó ingoiando un soffio. Le sue scarpe di pelle diedero uno stridio contro le assi del pavimento. "Ancora tu" "Ancora io, sì" Ian poggiò i libri sul bancone del punto prestiti. Erano gli stessi tre identici volumi presi ogni mattina da quando lo Sconosciuto era approdato in quella terra di nessuno. Gli stessi identici libri ogni mattina, lo straniero ne era sicuro anche senza averlo dovuto chiedere. "Che libri desideri?" "Non cerco libri" rispose lo Sconosciuto, "cerco altro" "Io non so chi tu sia" iniziò Ian con un filo di voce (lo straniero non seppe mai se il suo modo di parlare fosse una condizione medica o una sua scelta deliberata), "ma desidero che tu sparisca. Sei qui, ogni mattina, mi dai il tormento e non riesc-" "Ti va di fare un salto alla caffetteria qui davanti? Credo di averne vista una. Oppure, beh, ce ne sarà sicuramente una se tu la desideri, giusto?" Ian tentò di ribattere con qualcosa che fosse più efficace di un 'sei un impertinente', ma non ne uscì nulla di più significativo di un boccheggiare senza suoni. Lo Sconosciuto prese quella breve agonia per un assenso. "Molto bene. Andiamo allora" "Io qui sto lavorando" "Oh, oh certo. Giusto". Fece una pausa, si guardò nuovamente attorno con fare distratto e canzonatorio. "Beh, sbrigati, ti aspetto fuori" tagliò corto. Non gli diede tempo di ribattere. Lo Sconosciuto attraversò il salone della biblioteca con il suo solito passo disordinato e puntò verso le porte girevoli da cui era entrato. Poi, per caso, il suo sguardo cadde su delle librerie al di là di un paio di tavoli in mogano lucido. Si fermò. Osservò le sezioni di Musica, Teatro e Architettura. Nella biblioteca del suo quartiere, lo Sconosciuto era un assiduo frequentatore della sezione dedicata all'architettura e all'urbanistica, dato che nella sua vita vera - quella formata da giornate reali e tangibili e complesse tanto quanto la metropoli in cui viveva - era all'ultimo anno del suo dottorato in Architettura e design urbanistico. Sapeva bene, dunque, che secondo la catalogazione decimale Dewey storia dell'arte si collocava esattamente fra la sua amata architettura e la fotografia. Ma lì non c'era niente. Lo trovò parecchio strano. "Hey, cosina" chiamò tornando al bancone dei prestiti, "avete libri di storia dell'arte?" Ian trasalì. Per un momento pensò di iniziare una nuova discussione interamente dedicata al fatto che fosse sconveniente oltre ogni ragionevolezza chiamare un estraneo cosina, come se fosse una bambola di porcellana nel salotto di una nonna inglese. Preferì, tuttavia, far cadere la faccenda. "I volumi di architettura sono là in fondo, a destra" "Non architettura, storia dell'arte. Parlo di pittura, scultura, affreschi. Tutta quella roba lì. Avete libri delle opere di, che ne so, Hopper? Caravaggio? Raffaello?". Lo Sconosciuto fece mulinare le mani nell'aria come per afferrare qualcosa di invisibile. "...Rembrandt? Almeno lui lo conosci?" Fu quel nome, quel Rembrandt, a farlo trasalire. Qualcosa in quella sola ultima frase aveva toccato e offeso Ian molto più di quanto non avessero fatto le parole dello Sconosciuto da quando era approdato in quel mondo. Il suo viso si trasformò in una maschera di gesso. Strinse le labbra in un'unica linea rosa, i muscoli della mandibola tesi sotto la pelle chiara e i grandi occhi blu puntati dritti in quelli dell'altro. Il suo cambiamento d'espressione in qualcosa di più duro e spigoloso e, se possibile, più irraggiungibile, colpì lo Sconosciuto con la stessa rapidità di un treno in corsa. Ne fu stupito e scosso allo stesso tempo. Almeno era qualcosa di nuovo. "Non abbiamo niente del genere qui" rispose alla fine, monocorde. "Come ho detto, la sezione di architettura è là in fondo, a destra" Ian prese i libri e sparì nuovamente nel retro. Dopo un silenzio lungo minuti, lo Sconosciuto si voltò di nuovo verso le scaffalature. Ian sarebbe venuto comunque con lui: non ne dubitava. Si incamminò di nuovo verso l'uscita con le mani premute nelle tasche dei jeans. Mentre lasciava scorrere gli occhi sulle sale - deserte e popolate al tempo stesso, al modo disturbante di quella città - sui soffitti alti e le travature di pietra bianca, più quelle di un college britannico che di una biblioteca di provincia, allo Sconosciuto venne in mente il concetto di chiave di volta. Perché Ian avrebbe dovuto eliminare la sezione d'arte dalla sua biblioteca? Perché non c'è arte nella sua mente? Perché ha reagito così? Non doveva esser stata una scelta casuale: niente lo era in quel mondo adatto a tenerlo sospeso in eterno. Niente lo era se riguardava Ian. Lo Sconosciuto diede un'ultima occhiata alla sala prima di uscire nel sole. Niente storia dell'arte… come se fosse qualcosa a cui avesse voluto smettere di pensare. L'unica cosa che Ian ha avuto premura di censurare nella sua buona falsa vita sospesa. E Rembrandt? Gli sovvenne di nuovo l'immagine della chiave di volta, della pietra portante su cui tutte le forze di un arco si concentrano. Tolta quella, crolla tutto. Non era forse lo scopo della sua missione quello di trovare la chiave di volta dentro Ian Harlow, paziente della stanza 206? Immaginare l’ascetico rigore di quell’uomo che stava solo cominciando a conoscere mescolato alla calda morbidezza dei quadri fiamminghi lo fece sorridere. Sembrava un incendio dannatamente giusto. Lo Sconosciuto si mise ad aspettare Ian all'ombra di un albero accanto alla biblioteca. Prese un respiro e si preparò a togliere la chiave di volta. * Lui e lo Sconosciuto sedevano nel dehor del caffè. Avevano già ordinato senza aver dovuto pronunciare una sola parola; i tavolini intorno al loro erano occupati da un modesto numero di persone che non prestavano loro attenzione. Stavano facendo il loro solito gioco. Ian parlò guardando il bordo di porcellana della sua tazza. "Credevo non potessi dare troppi dettagli sul luogo da cui vieni" "Non ne ho dati. Il resto l'hai dedotto tu. Ho solo parlato di cose che in realtà tutte le città del mondo hanno - biblioteche, università, negozi di dischi. Musei. Hai musei, qui?" "No" rispose Ian, la voce appena percepibile sopra il mormorio degli altri clienti. "Non ne ho bisogno" "Mi sembra strano che un uomo come te non abbia bisogno di un museo" "Hai un'idea altamente sfalsata del tipo di uomo che sono"
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Titolo: K-112 Autore: Franco Bruno Editore: Edikit ISBN: 9791280334022 ASIN: B08W7DWNDM Genere: Urban Fantasy, Fantascienza, Thriller. Pagine: 384 Trama: Fresno, 2020. Per Nathan Hawkes è l'ennesimo noioso appostamento: una ricca signora l'ha ingaggiato per scoprire i tradimenti del marito e tutto sembra darle ragione. Di colpo, nella stanza che l'investigatore sta tenendo d'occhio irrompe una squadra di militari, messa subito fuori gioco da una misteriosa ragazza con degli incredibili poteri che si trovava all'interno. Lei si chiama Xenya e incrocerà la sua strada con quella di Nathan nel momento in cui troverà rifugio nell'auto dell'uomo. Sarà l'inizio di un'avventura che sconvolgerà le vite di tutti. Ma chi è veramente Xenya? Perché a lei sono interessati l'esercito, la malavita organizzata e l'agenzia privata WeSYP? Fiancheggiati da alcuni amici hacker e da Cheryl, la vitale amica e assistente dell'investigatore, i due dovranno combattere una guerra senza confini contro nemici immensamente potenti. Biografia: Franco Bruno nasce ad Asti, il 14 maggio del 1970, cresce a Govone (CN) e ora vive a Caselle Torinese (TO), con la famiglia. Nel luglio del 1993 inizia a lavorare presso le "Edizioni Il Capitello" di Torino. Ama da sempre la letteratura e il cinema (soprattutto horror, gialli, thriller e fantascienza) e, vicino al traguardo dei cinquant'anni, ha provato l'ebbrezza di riuscire a scrivere un romanzo e condividerlo con il mondo esterno. "K-112" è stato l'opera di esordio. Link per estratto (lettura e/o download): chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/viewer.html?pdfurl=https%3A%2F%2Fwww.edikit.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2021%2F02%2FK-112-di-Franco-Bruno-Anteprima.pdf&clen=1979125&chunk=true Link per acquisto: Casa editrice: https://www.edikit.it/prodotto/k-112/ Amazon flessibile: https://www.amazon.it/K-112-Franco-Bruno/dp/B08W7DWNDM/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr= Amazon ebook: https://www.amazon.it/K-112-Franco-Bruno-ebook/dp/B08WPNWG8N/ref=tmm_kin_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr=
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fantasy James Biancospino e Le Sette Pietre Magiche
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- Titolo: James Biancospino e Le Sette Pietre Magiche - Autore: Simone Chialchia - Editore: APOREMA EDIZIONI - Genere: Fantasy - N° di pagine: 310 - Link per l’acquisto/download: CLICCA QUI - Preview online o scaricabile di minimo 10 pagine: CLICCA QUI - Trama: Agli albori del XVI secolo l’eterna lotta tra il Bene e il Male non si svolge solo con spade e pugnali, ma anche attraverso il dominio di antiche e misteriose pietre magiche: la vittoria arriderà a chi si dimostrerà più abile nel controllarne l’arcano potere. James Biancospino, un timido ragazzo del terzo millennio, si trova suo malgrado coinvolto nella guerra senza esclusione di colpi tra la Confraternita della Luce e la terrificante setta degli Oscuri. Attraverso viaggi avventurosi e mirabolanti battaglie, James scopre un po' alla volta il valore di parole come onore, dovere, coraggio, sacrificio, amicizia e amore, che doneranno un nuovo senso alla sua vita. - Booktrailer: - Estratti: ... Per fortuna non tutti gli esseri umani sono corrotti, alcuni hanno ancora la forza e la tenacia di perseguire il Bene a ogni costo. Ed ecco per quale ragione è sorta la Confraternita della Luce.» «E cosa sarebbe?» «L’ordine che da sempre combatte i non-morti o, come vengono da noi chiamati, gli oscuri … La maggior parte dell’umanità ignora la mostruosità e il Male che proliferano ogni giorno sulla Terra. In molti con-dannano la magia e diffidano di chi intende praticare e tramandare gli antichi riti di difesa dell’ordine naturale, ma noi non siamo eretici, siamo persone che cercano in ogni modo di garantire la pace e di fermare l’avanzata degli oscuri. Come, ti chiederai? Esattamente come tu stesso hai potuto vedere l’altra notte … Sette sono le grandi pietre superiori. Una da ogni pianeta, un potere distinto per ciascuna. Se unite, tutte e sette, si ottiene la capacità di utilizzare tutti i poteri senza l’uso di ciascuna di esse. Ci si trasforma, in tutto e per tutto, in divinità. In tanti ci hanno provato. Centinaia, migliaia, e quasi tutti sono piombati nella corruzione dello spirito. Oggi quegli uomini sono non-morti.» In quel febbraio le saline di Barletta sembravano cumuli di neve accantonati in spazi geometricamente delimitati. Il luccichio del sale sotto i raggi della pallida luna segnava la via nella notte ai membri della confraternita. James rabbrividì nel passare accanto a una pozza. Il colore dell’acqua era rosso come il sangue. «Per modificare lo stato fisico di un vegetale hai convogliato l’energia mentale e della pietra sull’aurea della pianta. Ora devi provare un procedimento inverso. È la forza dell’essere vivente animale che hai nelle mani a dover entrare in sintesi con il potere della pietra. Tu devi essere il tramite e, al momento giusto, raccogliere la potenza di questa unione e farla tua… Ci sei?» gli spiegò il generale. «Eh, una parola…» «Prova! Infondo tu e quel povero topolino avete molto in comune. Siete entrambi animali. Due istinti che sono riusciti ad adattarsi al mondo.» «Beh, c’è una discreta differenza. Io sono un uomo intelligente. Lui è, anzi era, un animale privo di ragione…» «E chi dice che il suo istinto non sia più saggio del nostro intelletto?» obiettò il maestro. «Almeno lui non vive di illusioni. Non può mentire, non può ingannare, non può fare e subire crudeltà o peccati. Ci avevi mai pensato a questo?» «No.» «Alla base dei nostri poteri ci deve sempre essere il rispetto per il mondo naturale. Non dimenticare mai questa legge. Su, voglio solo che ci provi.»- 7 risposte
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fantasy James Biancospino e I Giorni dell'Ardesia
Simone Chialchia ha pubblicato una discussione in In Vetrina
- Titolo: James Biancospino e I Giorni dell'Ardesia - Autore: Simone Chialchia - Editore: APOREMA EDIZIONI - Genere: Fantasy - N° di pagine: 482 - Link per l’acquisto/download: CLICCA QUI - Preview online o scaricabile di minimo 10 pagine: CLICCA QUI - Trama: Dopo le mirabolanti avventure affrontate nel sedicesimo secolo, James Biancospino torna al presente ed è di nuovo costretto a destreggiarsi nell’eterna guerra tra la setta della Confraternita della Luce e quella degli Oscuri. Tra duelli mozzafiato, affetti contrastati ed estenuanti iniziazioni, l’epopea del protagonista si snoda attraverso tre continenti, alla ricerca dell’arcano potere nascosto nell’ardesia, l’unico che sembra in grado di risolvere in modo definitivo le sorti del conflitto. - Estratti: Quando fu pronto, James seguì l’incappucciato lungo un secondo corridoio, che sembrava interminabile o così appariva per via dei riflessi e dei giochi di luce. Un suono teso e profondo di timpani ben accordati scandiva il tempo dei passi dei due confratelli: tum, tum, tum. La percussione diventava sempre più forte, sempre più vicina. La figura misteriosa si fermò, tirò una tenda bianca per far passare il ragazzo e gli fece segno di proseguire. Il viaggiatore si sistemò i capelli e fece un gran respiro. «Siete voi a governare le pietre e non il contrario, ok?» riprese lo scozzese. «Il potere della pietra risucchia la vostra energia, entrando in contatto con il profondo del vostro essere. E se avete raggiunto il limite massimo, mollate il contatto. So che avete già giocato con alcune di queste pietre, ma ora la musica cambia. Pensò di avere due alternative: sfracellarsi con l’aereo contro la gigantesca montagna innevata, o consegnare il suo corpo all’abisso, lanciandosi dal portellone. Nessuna delle due, sul momento, gli parve preferibile all’altra. Le ginocchia tremavano e il cuore batteva a mille. Non poteva più indugiare. Doveva fare qualcosa. Recuperò una goccia di coraggio dalle riserve di disperazione che colmavano i suoi pensieri e si affacciò. «Quando vi trovate completamente soli, senza munizioni, senza cibo, magari nell’attesa di essere giustiziati dal nemico, capite che a salvarvi può essere solo la vostra testa. E vi assicuro che non c’è bisogno di nessuno strumento speciale per tirarsi fuori da un impiccio: basta ragionare e investire tutta la propria forza d’animo. È questo che il potere delle pietre avrebbe dovuto insegnarvi. Le pietre si attivano solo se riuscite a canalizzare la vostra forza interiore. E non serve a niente essere invincibili. Bisogna essere umili e consapevoli dei propri limiti. Solo con questa coscienza potrete diventare dei degni confratelli.» «Questa penso debba tenerla tu. È la chiave dell’appartamento di Gabriel, è tuo compito ora cercare dov’è. Me l’ha affidata prima del suo ultimo viaggio. Io non ho mai avuto il tempo né la possibilità di scoprirlo.» Il ragazzo si alzò e raccolse il mazzo dalle mani del vecchio. Questi, allora, ne approfittò per parlargli all’orecchio e aggiungere parole che non voleva che gli altri ascoltassero: «Gabriel mi disse di non sentirsi più tranquillo, parlava di una cospirazione. Ancora oggi rimpiango di non avergli dato ascolto, considerando lo stato attuale. So che eri insieme a lui durante il suo ultimo viaggio. So anche che gli volevi bene. È il motivo per cui ti affido questo fardello.» Il viaggiatore vide lo stregone oscuro accarezzare la testa del traditore e sorridere: festeggiava il ritorno a casa del figliol prodigo. Lentamente, poi, il capo dei non-morti si avvicinò a James e si inginocchiò in modo tale da essere alla sua stessa altezza. «L’offerta è ancora valida, sei un’ottima risorsa: perché sprecare il meraviglioso potere del tuo sguardo di Venere per servire quella setta di ipocriti e ingrati? Passa alle tenebre e vi risparmierò la vita» sussurrò all’orecchio. «Scappa, James! Io ti troverò, te lo prometto. Ti troverò perché ti amo» concluse tra le lacrime, mentre gli infilava al braccio sano un bracciale carico di pietre e chiudeva nel suo palmo destro l’artiglio di un falco. «Che cosa sto diventando?» provò a dire lui, con quel poco di voce che gli restava in gola. «Va’ via, James. Loro stanno arrivando, ti hanno già trovato, e non sarai mai libero. Va’ via!» urlò lei fino a perdere la voce.- 7 risposte
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Suvvia, non vergognatevi, parliamo della vostra biblioteca? Ovvero le vostre collezioni di libri...in un forum che parla di libri mi sembra una discussione adatta, comincio io? Nella mia stanza ho una vagonata di harmony (comprati da adolescente) però da grande ho acquistato altro tipo di libri Stephen king Shining, Il talismano, Dolores Claibourne, Insomnia, Rose Madder, Christine JRR Talkien Lo hobbit, La compagnia dell'anello, Le Due Torri, Il ritorno del Re, Il Silmarillion Dan Brown Angeli e Demoni, Il Codice Da Vinci, Il Simbolo Perduto, Inferno, Origin, Crypto Gabriel Garcia Marquez L'amore ai tempi del colera Joe Nesbo L'uomo di Neve Henry Miller Il Tropico del Cancro, Il Tropico del Capricorno Vladimir Nabokov Lolita El James 50 sfumature di grigio, nero e rosso Alice Sebold Amabili Resti Margaret Mazzantini Non ti muovere Milan Kundera L'insostenibile Leggerezza dell'essere Wilbur Smith La Spiaggia Infuocata Roberto Saviano Gomorra Sylvia Day A nudo per te, riflessi di te, nel profondo di te, in gioco per te, insieme a te, marito amante, sette anni di peccato, Chiedimi di Amarti, Stregata, I Piaceri della Notte, Il Calore della notte. Fedor Dostojewsky Delitto e Castigo Ok, non è proprio numerosissima, ma ce la sto mettendo tutta per ampliarla Gli unici libri che mi pento di aver comprato sono i tre di El James, il resto mi sa che è roba che merita
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- Titolo: James Biancospino – Ritorno Oscuro - Autore: Simone Chialchia - Editore: Aporema Edizioni - Genere: Fantasy - N° di pagine: 370 - Link per l’acquisto/download: https://www.amazon.it/Ritorno-oscuro-Biancospino-Simone-Chialchia/dp/8832144824/ - Copertina flessibile: 14,90 euro – Ebook: 2,79 euro - Preview online o scaricabile: https://jamesbiancospino.com/scarica-contenuto-gratuito/ - Sito web: https://jamesbiancospino.com/ - Pagina Facebook: https://www.facebook.com/jamesbiancospino/ - Profilo Instagram: https://www.instagram.com/james_biancospino/ - Trama: Le forze che dovrebbero contrastare il Male, invece di creare un fronte comune, sembrano destinate a scontrarsi tra loro e all’orizzonte si profila il trionfo della Setta degli Oscuri. L’unica speranza di riscatto è affidata a James Biancospino. Travolto dalle precedenti battaglie, gravato dal fardello della maledizione, deve misurarsi col proprio passato e la propria coscienza. Tra nuovi incontri e inattese rimpatriate, continua l’epopea del coraggioso ragazzo di Cividale, alla scoperta di se stesso e dello strabiliante potere delle pietre magiche. - Biografia: Simone Chialchia classe ’91 vive a Cividale del Friuli. La voglia di inventare e raccontare storie per trasmettere emozioni lo spinge alla scrittura. Tra le cose che ha fatto, ciò che lo rendono più orgoglioso sono le sue figlie. La Saga delle Pietre Magiche è il suo primo libro nato proprio durante una passeggiata col suo cane Briscola. - Booktrailer: - Chi è James Biancospino? James è un ragazzo come tanti altri. Forse solo un po’ più chiuso e riflessivo rispetto alla norma. Vive a Cividale del Friuli con sua madre Kathleen e il suo cagnolone Brewal. Il papà non lo ha mai conosciuto… Di mattina si deprime sui banchi di scuola, di sera lavora in un ristorante come cameriere o, se è libero, passa il tempo a suonare la chitarra e a fantasticare. Di amici non ne ha molti. Da un po’ di tempo gli capita di sognare cose strane: terribili battaglie che contrappongono un esercito di cavalieri splendenti e orde di mostri feroci. Nulla di particolarmente sconvolgente, se non fosse che la sua partecipazione è quasi reale, tanto che al risveglio è facile che si ritrovi dolente in qualche punto del corpo, proprio come se avesse combattuto. Ah dimenticavo, a James piace fare lunghe passeggiate con il suo cane ai bordi del fiume Natisone, dove nessuno può vederli o disturbarli. Ed è lì che, una sera d’inverno, il ragazzo rinviene una strana pietra, dal taglio piramidale. Non immaginate neppure cosa provocherà quel ritrovamento… - Estratti: «Anche io ho avuto paura, Victor» disse James, abbassando la voce. «E sai come è andata a finire? Ho bruciato la mia vita per una causa in cui neanche credevo. Ho visto i miei affetti più cari morire, ho perso la mia anima... e per chi? Perché sono ancora qua? Non lo so nemmeno io, ma stai pur certo che non mi fermerò fino a che non avrò tolto di mezzo Wilburn. Lo farò, che tu lo voglia o no.»
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- Immagine di copertina - Titolo: Inno Cannibale - Autore: Andrea Zanotti - Editore: DZ Edizioni - Genere: weird western - N° di pagine: 300 - Link per l’acquisto/download: https://amzn.to/3iNJVgp - Preview online o scaricabile di minimo 10 pagine: https://www.amazon.it/gp/product/B096TRVSH5?ie=UTF8 - Trama: Black Mamba, donna-medicina a capo della tribù dei Senza-lingua, ha convocato il cerchio degli Elders, gli anziani capi di tutte le genti pellerossa. Nuovi alleati sono disposti ad aiutare le tribù contro i visi pallidi, è sufficiente unirle per innalzare l’inno cannibale. Poco conta se l’intero ordine del creato verrà sconvolto dal rito, dato che Black Mamba vuole risvegliare Yužáža, «Colui che sgozza gli Dei». Ma le grandi manovre dei selvaggi non passano inosservate al colonnello Souther, gerente della Clinica psichiatrica federale nr. 51. Sta a lui risolvere il problema dei «musi rossi». Ma chi spedire in Sierra Nevada, nel covo della sciamana? La scelta cade su Marc Trementina De La Cruz, il suo compare Jo Occhiomoscio e il resto della loro improbabile banda di antieroi. Solo serpi di quella risma potranno resistere a ciò che li attende in quelle lande infestate: Wendigo, Skinwalker, Si-Te-Caha e tutte le leggende da incubo dei nativi, riportate in vita dalle malie di Black Mamba.
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- Titolo: Voodoo - Autore: Andrea Zanotti - Editore: DZ Edizioni - Genere: weird western - N° di pagine: 170 - Link per l’acquisto/download: https://amzn.to/2XeZvWP - Trama: Come ci è finito in quel saloon, e perché quel bruto col cappellaccio da cowboy lo sta aggredendo? Davide non ricorda nulla, né ha il tempo per rifletterci. Certo il cielo grigio nel quale brillano costellazioni rosse sangue non promette nulla di buono. Possibile che quel luogo alieno sia realmente l’oltretomba, un dannato purgatorio-western, così come gli vogliono far credere i bizzarri componenti del gruppo capeggiato dallo stregone voodoo che lo salvano dalle grinfie del suo aguzzino? Un macumbeiro al soldo di un Dio avvolto dall’anonimato, che gli promette, niente meno, di poter tornare alla sua vecchia vita e dai propri cari. Ogni atto magico però necessita di adeguate offerte di sangue, e Davide lo scoprirà a proprie spese, trovandosi innanzi a scelte che determineranno il futuro della sua stessa anima. . Estratto: Un brusio di sottofondo mi tormenta le orecchie. Un pigo- lare ossessivo che pungola la mia mente, cercando di ridestarla. Ho sonno e nessuna intenzione di alzarmi. La sveglia non ha ancora suonato, lasciatemi stare, dannazione ! Le lagnanze però non cessano. Una nenia molesta e ripetitiva fatta di parole che non riesco a cogliere, perché solo bisbigliate. Un mantra che sa di preghiera petulante. Non mi sarò mica addormentato durante la Santa Messa ? Cerco di aprire le palpebre, ma le sento pesanti come sara- cinesche rugginose. Paiono incollate. Combatto, le sollevo a forza e mi riscuoto, sentendo le gambe formicolare. Cazzo, luci soffuse, candele, ombre e persone dai volti cupi. Devo proprio essere in chiesa, che figura di merda ! Una mano mi afferra la spalla e mi strattona, facendo tra- ballare la sedia sulla quale intuisco di essere seduto. Chissà da quanto, a giudicare dal formicolio che mi rende le gambe due pilastri di cemento insensibili. Ancora non riesco a mettere a fuoco, ma il naso mi funziona bene, purtroppo. Un’ondata di lezzo da cloaca mi investe, un misto di alcool di pessima qualità e letame. Un volto rugoso e sporco mi si para innanzi, sbraitando parole che surclassano e azzittiscono per qualche istante il vociare molesto. La voce è roca, incrinata da una sbronza tonante, e ogni sillaba mi per- fora i timpani. « Ben arrivato, ragazzo. » Sputi viscidi e maleodoranti mi bagnano il viso. La bocca dell’uomo che rumina tabacco è orrida, una parata di denti marci e spazi vuoti. La barba è un inferno di filo spi- nato nero, bisunto ; gli occhi folli nel loro reticolo di capillari scoppiati. La paura mi scuote, cerco di alzarmi, di allontanarmi, ma il bruto mi strattona costringendomi a sedere. È alto, forte e muscoloso, nonostante l’enorme ventre. Dalla mia postazione a sedere mi pare un titano, un demone uscito da qualche abisso fetente. « Dove credi di andare, anima candida ? » dice sprezzante, infilandomi un laccio al collo. Non capisco che diavolo stia facendo, cerco di fermarlo, ma ho le braccia deboli. « Cazzo fai ? » Mi rifila un ceffone che per poco non mi stacca la testa. Lo sconosciuto mi sovrasta, mi sento un Bambi appena nato in balia di un orso idrofobo. La canapa del lazo mi smeriglia le carni del collo, mentre mi guardo attorno terrorizzato, in cerca di aiuto. Ora sono sveglio, l’adrenalina mi scorre a fiumi nelle vene. Osservo speranzoso : sagome tetre sono sedute ai tavoli di quella che sembra una taverna, un locale angusto e fumoso con finestrelle minuscole dalle quali non entra alcuna luce. Sono delle lampade a olio e un candeliere in un angolo a fornire la blanda illuminazione di quest’antro. La luce, assediata com’è dal fumo di mille sigari e pipe, potrebbe essere soffocata in qualsiasi istante, lasciandoci al buio più completo. Nessuno pare interessarsi al ceffo che mi sta brutalizzando. « Lasciami, bastardo ! Qualcuno mi aiuti ! » urlo con voce tal- mente effeminata da farmi ribrezzo. Nessuno reagisce, nessuno alza neppure il capo nella mia direzione. L’uomo ride, rifilando una scarpata alla mia sedia e facen- domi volare all’indietro. Il cappio si stringe segandomi il collo e attutendo la caduta. Boccheggio in cerca d’aria. La botta in testa l’ho sentita bene. Il pavimento di legno, duro come marmo, puzza di vomito e segatura. Il bruto mi è sopra e sorride compiaciuto. Cerco di respirare, la gola sigillata in una stretta soffocante, quando una sfera brillante mi compare davanti agli occhi, dal nulla, sostituendosi al brutto muso. Tutta la mia attenzione viene catturata da quell’oggetto, facendomi dimenticare il pericolo : è magnifica. Non ho mai visto nulla del genere. Una luce calda pulsa al suo interno sotto forma di nebbia cristal- lina contenuta in un involucro traslucido. Danza nell’aria ed emette un brusio, parole che ora riesco a cogliere. “Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte…” Mi sento rinfrancato, ogni parola un balsamo capace di lenire lo stordimento che mi affligge. Quasi dimentico il mio aggressore, sennonché la mano callosa di questo si stringe sulla sfera e me la porta via. Mi pare di assistere a uno stupro, men- tre osservo impotente. Vedo la mano carezzare il globo lascivamente, la lingua dell’uomo, fessurata e chiazzata dal tabacco, spunta dalla barba per passare sulle labbra in un gesto osceno. Poi porta la sfera all’altezza del cuore e la schiaccia con forza contro il tessuto lordo del suo pastrano marrone. L’oggetto cantilenante spa- risce fra le pieghe della veste, mentre l’uomo viene scosso da brividi di piacere. « Ottima questa profferta, roba pura. Lo sapevo che saresti stato un buon investimento. Ora in piedi, però ! » Mi strattona come fossi un cane al guinzaglio. A fatica mi sollevo, le gambe che stentano a reggermi. Mi gira la testa e mi manca l’aria. Vertigini e stordimento sono concetti vaghi. Non ho idea di dove diavolo mi trovo, né di come ci sono finito. Tutt’attorno gli astanti sono rimasti impassibili, i volti grigi e smorti che fissano il vuoto. Il barman sta servendo un altro cliente e finge di non aver neppure visto la scena, indifferente persino alla sedia mandata in frantumi dal gorilla. Non riesco a far altro che seguire l’energumeno verso l’uscita, sollecitato dai rudi strattoni del cappio. Passiamo di fianco a un tavolo al quale stanno seduti tre uomini. Anzi, una è una donna, lo intuisco solo dai lunghi capelli e dalle spalle esili ; per il resto hanno tutti volti scavati, occhiaie profonde e un colore della pelle malsano. Fissano il vuoto, inebetiti. Forse sono terrorizzati dall’energumeno quanto me e tentano di diventare invisibili, stando immobili. All’improvviso innanzi alla donna compare un’altra sfera. È bella, luccica di un bagliore perlaceo e parla. “Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il…” Il mio carceriere l’agguanta prima che la mano della donna la raggiunga. Questa emette un verso incomprensibile, di stizza, si alza, forse vuole reclamare ciò che le appartiene, ma l’uomo estrae un coltellaccio e le apre il collo da parte a parte. Un gesto rapido, preciso e brutale. Quasi svengo mentre la donna crolla al suolo. Anche l’as- sassino distoglie lo sguardo, ma non faccio in tempo a chie- dermi se sia il rimorso a farlo muovere, che un lampo accecante mi brucia gli occhi. Fitte dolorose mi invadono la testa, quasi strali divini mi fossero passati attraverso i bulbi oculari, ince- nerendo tutto. Ne sarei quasi lieto. Quando la vista si decide a tornarmi, il corpo della poveretta è svanito e il troglodita si sta comprimendo la sfera nelle carni. Gode. « Giornata fortunata, ragazzo » grugnisce, strattonandomi avanti. Incespicando lo seguo, mentre con mano tremante mi rovi- sto nelle tasche in cerca del cellulare. Il panico fa di me ciò che vuole. Perché non ci ho pensato prima ? Devo chiamare la polizia ! Concentrato nella mia cerca infruttuosa non mi accorgo che il bruto si è fermato e gli sbatto contro. Si volta e mi spinge indietro fino a tendere la corda ; il cappio torna a mordermi le carni. « Eh, campione, il ragazzo viene con me, liberalo. » La voce proviene da un altro ceffo. Ritto al bancone, un uomo sulla quarantina, dai capelli lunghi e neri è intento a fumare una sigaretta e a bere da una bottiglia di birra con una flemma surreale. La sua voce è calma, cristallina. Porta un cap- pello a tesa larga e un poncho dalle varie tonalità del marrone. È la metà del bisonte che mi impicca a ogni passo, ma sembra sicuro di sé. Per un istante credo di essere finito su un set di Cinecittà, ma il dolore a testa e collo, e la poveretta sgozzata, mi ricordano che c’è ben poco di finto in questa situazione assurda. « Parli con me, ometto ? » Il gorilla ghigna, la mano che ripone il coltellaccio per calare rapida sulla fondina dove mi accorgo alloggia il calcio di una pistola. Ancor prima che arrivi a impugnarla, un tuono fa vibrare le pareti della bettola. Mi tappo le orecchie. Troppo tardi. Vedo il corpo massiccio del mio aguzzino volare all’in- dietro con una voragine aperta nel petto. Con fragore rovina al suolo prima che un nuovo lampo faccia sparire anche lui. Rimango accecato per qualche istante, poi porto lo sguardo sul cowboy : ha un lembo del poncho sollevato sopra la spalla e il braccio scoperto impugna un fucile a canne mozze, fumante. Rovino sulle ginocchia sentendo lacrime scorrermi sulle guance. Dove diavolo sono finito ? L’uomo si avvicina, ogni passo scandito dal tintinnare degli speroni. Le altre persone di questo saloon grottesco non bat- tono ciglio, immobili e perse nei propri fottuti pensieri da mentecatti. Delicatamente il cowboy mi solleva e fa per spol- verarmi le vesti. Solo ora mi accorgo di indossare quello che sembra un sacco di juta. Che mi è successo ? « Ti capisco ragazzo, sei confuso, vero ? » Ragazzo ? Avrà sì e no qualche anno più di me. « Non temere, ora sei in buone mani. » Lo fisso negli occhi vedendo solo un misto di determina- zione e follia. Per lo meno non mi ha ancora aggredito. « Vieni, prendiamo da bere, ti farà bene. » Sono talmente fuori di me, spaventato e confuso, che l’i- dea di ingollare un po’ d’alcool mi pare la soluzione migliore. Ci accomodiamo al bancone e il tizio mi offre una sigaretta. « Purtroppo il bastardo » dice indicando il posto dove sarebbe dovuto giacere il cadavere dell’energumeno, dissoltosi nel nulla, « ha fatto fuori il tuo canarino, altrimenti ti avrebbe spie- gato tutto. » Il mio canarino ? Il mio canarino mi avrebbe spiegato tutto ? « Due, mister, per cortesia » dice l’uomo al barman non disto- gliendo lo sguardo dal mio volto. Devo ispirare compassione nello stato confusionale in cui verso, ma questo tizio pare abbia il volto intagliato nel basalto. « Io sono Sparviero » si presenta, forse cercando di farmi coraggio, di farmi capire che è un amico, non ha cattive inten- zioni, ma sono sotto shock e comunque non potrei risponder- gli neppure se volessi : non ho idea di come mi chiamo. 13 Questa constatazione non fa che gettarmi ancor più nello sconforto. Sento il panico montare nell’addome risalendo i polmoni e bloccando le vie respiratorie. Boccheggio. Il tizio mi posa una mano sulla spalla, a confortarmi, poi un altro globo luminescente e cianciante mi appare innanzi. Mi ritraggo, certo che il pistolero mi faccia lo scalpo pur di impossessarsene. Il barman nel mentre ci ha portato due boccali di terracotta e fissa la sfera con cupidigia. « Mettila via » mi consiglia Sparviero, « è tua. » Trovo il coraggio per posare la mano sull’oggetto incan- tato. È magnifico, liscio, piacevolmente tiepido e la voce è una melodia soave. “Accoglilo e fagli trovare tante caramelle…” Sento una fitta al cuore, mentre il ricordo della mia piccola mi invade la mente. È la voce di Nicoletta, certo, la mia bimba ! La stavo accompagnando a scuola… « Sai, ragazzo, i nuovi arrivati sono preziosi. Tu sei prezioso. Finché i tuoi cari saranno affranti e ti penseranno, le preghiere non mancheranno di certo. Sarai una fonte di sostentamento preziosa, finché non ti dimenticheranno. A ogni modo, forse sei il tale che attendeva El Roi. » Non ho ben afferrato quelle parole, concentrato come sono nel tentativo di ricordare i lineamenti di Nicoletta. Ha sei anni la mia bimba, quasi sette anzi… Sparviero mi invita a un brindisi e così lo imito portandomi il boccale alle labbra. Un liquido tiepido e praticamente insa- pore mi invade il palato. « Piscio di bue… sakè lo chiamano. È una vera sfortuna che il culto degli antenati prosperi soprattutto nelle terre di quei dannati musi gialli » sbotta il pistolero ingollando il contenuto in un sorso. « Ora andiamo però, devo presentarti agli altri. » Non ricordo il colore dei capelli della mia bimba… biondi e ricci ? Forse… cosa ? Il culto degli antenati ? Mi dimenticheranno ? Sono una fonte di sostentamento preziosa ? Ha detto proprio così… di che cazzo parla ? Gli afferro il braccio riportando su di me la sua attenzione. Si volta e mi inchioda con sguardo severo, imponendomi di mollare subito la presa. Così faccio. « Senti, ragazzo, quel pazzo di El Roi è lì che arringa le folle con i suoi spettacolini da circo per tentare di attirarti a sé, invece tu mi vieni quasi a sbattere sul muso. Bella fortuna » si tocca le palle in un plateale gesto scaramantico, « speriamo solo che questa botta di culo non mi costi cara. Sai come si dice, la ruota gira e tutto ha un prezzo in questo posto di merda. » Non capisco nulla di quello che dice. « Dove diavolo siamo ? » sbotto, isterico. Sparviero mi prende per le spalle e mi scuote come per sve- gliarmi da un incubo. Punta i suoi occhi magnetici nei miei. « Non c’è un modo più delicato per dirtelo, ragazzo : sei morto. »
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Il 23 aprile uscirà il capitolo conclusivo di un'era cinematografica che dura da più di dieci anni. Non so voi, ma io sono in fibrillazione e mi tengo molto lontana dagli spoiler. C'è qualcuno messo male come me?
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È la prima cosa che pubblico qui, sono un po' in ansia è un racconto che ho scritto moooolto tempo fa, e non so bene cosa pensarne. Mi date un parere? Grazie <3 La prima cosa che sentì quando riprese conoscenza fu un dolore acuto alle spalle. Realizzò di essere su una sedia, con le braccia legate dietro di sé. Le tempie le pulsavano dolorosamente. Chiuse gli occhi piegando la testa in avanti, cercando di ritrovare un minimo di equilibrio; si era resa conto che la percezione dello spazio era completamente sfasata, il cervello non raccoglieva correttamente gli stimoli visivi e le mostrava una scia indistinta e confusa, contornata da macchie di vari colori. Finalmente riuscì a mettere a fuoco il luogo dove si trovava, probabilmente una caverna al di sotto della città. Doveva avere un po’ di sangue secco sulla palpebra destra, quando la muoveva sentiva la pelle tirare. All’improvviso capì che era stata catturata. Di nuovo. Il suo sguardo saettò da una parte all’altra della caverna, ma non vedeva nessuno. Alzò lievemente il viso, d’un tratto consapevole. Non voleva voltarsi, non voleva assolutamente, ma alla fine lo fece, slogandosi il collo. Non ci fece quasi caso. Tutto ciò che temeva e odiava era dietro di lei, e lei lo stava guardando in faccia. Un dito gelido le sfiorò la guancia, facendola rabbrividire. “Che c’è, Roux, sono qui per soddisfare le tue pulsioni sessuali? Non ci sono più gli angeli asessuati di una volta” sbottò. Il dito fu sostituito da un violento manrovescio che le fece voltare il capo dall’altra parte. Cassandra strinse i denti. “Forse, e dico forse, dovresti essere un tantino meno arrogante e sfacciata, se vuoi avere qualche possibilità di uscire viva da qui” le sussurrò lui, avvicinandosi al suo orecchio. “Sei tanto bello quanto stronzo, cazzo.” Imprecò lei, tirando su con il naso. “Ma non prendermi per stupida, so benissimo che non uscirò viva da qui. Tanto vale prendermi le mie soddisfazioni.” Si voltò di nuovo verso di lui. Stava sorridendo, quel figlio di puttana, e solo Phandros sapeva quanta voglia aveva di saltargli addosso e strappargli la carne dal viso. Ma anche di farselo. D'altronde Eros e Thanatos vanno sempre d'accordo, pensò. Roux si legò i lunghi capelli rossi. “Non voglio che mi siano d’intralciò” spiegò “e soprattutto non vorrei si macchiassero del tuo sangue”. Prese una coltello dalla cintura e le si inginocchiò di fronte, appoggiando la lama sulle labbra di Cassandra. La donna teneva saldamente piantati gli occhi in quelli dell’angelo, impassibile. “Sai che farò tutto quanto è in mio potere per guastarti la festa, vero?” “Sai che per me non è un problema, vero?” ribatté. Si alzò in piedi e si portò di nuovo dietro di lei. Le afferrò le mani, sollevandole verso l’alto. Porca puttana avrebbe voluto urlare mentre le giunture schioccavano dolorosamente. Sentì la lama gelida sfiorarle la pelle, e si ritrovò con le mani libere. Non riusciva a muovere le braccia, ma doveva riprendersi. “Liberati le gambe” ordinò Roux. Sì, cazzo, doveva assolutamente far funzionare quelle maledette braccia. Si chinò e con uno sforzo enorme riuscì a slegarsi la gamba sinistra. Le braccia le tremavano e si rifiutavano di obbedire ai suoi comandi. Finalmente si liberò anche l’altra gamba. Si alzò in piedi e si girò verso il suo carnefice. Cercò di allargare le braccia, ma il dolore che sentiva la fece desistere. “Fa male?” chiese Roux, togliendosi un pugnale dalla cintura. Lo afferrò per la lama e glielo porse. “Spero di sì.” Cassandra osservò confusa l’arma che l’angelo le stava porgendo. Lo guardò in faccia. “Prendilo, prima che decida di piantartelo in fronte. Hai una possibilità di difenderti e fuggire, non sei felice?” Lo guardò a bocca aperta. “Sii serio, idiota, ti sono scappata già due volte” disse prendendo però il pugnale. “Vuoi rischiare che ti faccia fuori?” Roux ghignò e Cassandra capì perché l’aveva liberata e le aveva messo un’arma in mano. Finora lei era stata l’unica in grado di gabbarlo e sfuggirgli, e dato che era in trappola voleva divertirsi ancora un po’ prima di dare l’addio alla sua cara nemica. Socchiuse gli occhi e gettò via il pugnale con noncuranza. Roux sollevò le sopracciglia. “Che ti prende? Dov’è finita la tua combattività?” le chiese prendendole un braccio e torcendoglielo dietro la schiena. Cassandra soffocò un’imprecazione e la trasformò in una risata goffa. “Non ti darò la soddisfazione di combattere” soffiò “non giocherai con me.” L’angelo le sferrò una gomitata allo stomaco. “Cassy, tesoro, volevo darti la possibilità di uscire di scena a testa alta. Non ho bisogno della tua collaborazione per divertirmi.” Si leccò le labbra e la lasciò andare. Cadde a terra, vicino al pugnale, e per un attimo lo guardò, incerta se prenderlo o meno. Roux prese un altro pugnale e le si inginocchiò a fianco, sorridente. Cassandra digrignò i denti e meditò di sputargli in faccia. No, meglio di no. Sentì le lacrime bruciarle gli occhi e cercò di ricacciarle indietro, ma lui le vide e il suo sorriso si allargò. “Non piangere, Cassy. Dopotutto, sei l’unica che è riuscita a scapparmi non una ma due volte. Una degna avversaria” “Piango perché mi mancherai, figlio di puttana” lo apostrofò lei. Roux scoppiò a ridere e, cazzo, l’avere i minuti contati non le impedì di meravigliarsi per quanto fosse fottutamente figo. “Forse mi mancherai anche tu” le disse poi. Si attorcigliò una sua ciocca di capelli intorno a un dito e la tagliò. “Guarda come sono romantico. Terrò questa ciocca per ricordarmi di te.” Fulminea, Cassandra afferrò il pugnale che era ancora a terra accanto a lei e lo colpì al viso. Roux imprecò ma non si mosse. La guardò furibondo, ma Cassandra sostenne lo sguardo feroce dell’angelo. “La ciocca rischiavi di perderla. Questo te lo porterai dietro a vita.” L’espressione di Roux si ammorbidì. Lo faceva sempre ridere, c’era da pensare che sarebbero stati ottimi amici, in altre circostanze. Le avvicinò il pugnale alla gola. “È proprio necessario?” chiese gettando un’occhiataccia alla lama. Roux si sedette sui talloni e la fissò. “Scusa?” Cassandra si rimise a sedere e lo guardò stranita. “Voglio dire… il tuo divertimento sta nella caccia. Hai cacciato, mi hai presa due volte, io sono scappata. Ti ho dato dei brividi ben maggiori di tutte le tue vittime. E mi ripaghi così?” non sapeva cosa stesse dicendo. Voleva prendere tempo, non voleva morire, e Roux era un dannatissimo, fottutissimo chiacchierone. “Hai altre argomentazioni?” “Sì, certo. Vediamo… a cosa serve che mi ammazzi? Ti toglierai una soddisfazione?” “Sì.” “Ah, beh… e poi come farai?” “Mh?” “Come farai, dopo che mi avrai ammazzata?” insistette. “Sono anni che mi dai la caccia, tornare alla routine quotidiana sarà avvilente” Roux la guardò con sufficienza. “Mi stai deludendo, Cassy.” “Oh, cazzo, non voglio morire! Prenditi qualcun'altra da sacrificare, porca puttana!” L’angelo sollevò le sopracciglia. “E che dovrei, secondo te? Liberarti?” “Ma che ne so… tienimi come schiava sessuale” buttò lì. “Cassy, ti sto per uccidere.” “Ma dai, ti sono più utile come schiava sessuale.” “Non ne sono sicuro.” “Proviamo?” Roux la guardò in silenzio con aria indefinibile. Cassandra gli si avvicinò e gli mise le braccia attorno al collo. Cazzo, quant’era bello quell’uomo… no, quell’angelo. Lo baciò con circospezione, ma dopo un istante Roux le passò un braccio intorno alla vita e ricambiò il bacio. “Non sono convinto che la scelta mi convenga” sibilò staccandosi. Cassandra socchiuse gli occhi e lo spinse a terra, salendogli a cavalcioni. “Vediamo se riesco a farti cambiare idea.” “Certo che è ridicolo.” Commentò Cassandra rivestendosi. Roux sollevò le sopracciglia. “Sei stata tu a proporlo. Fosse stato per me eri già morta da un pezzo.” “Non ho detto che mi dispiace” precisò, piccata “ho solo detto che è ridicolo. E comunque continui a essere un dannato figlio di puttana.”
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«Credo tu stia sbagliando…» provò a dire, ma poi lo vide. I due entrarono nel Foot Locker, si sporsero appena intravedendo un uomo vestito in tuta mimetica aggirarsi con una balestra. Filippo lo riconobbe all'istante. «È il signor Virna!» Lei lo guardò sbigottita. «Lo conosci?» «Certo, è il mio vicino di casa!» Sbirciò di nuovo, era proprio lui. Fece per uscire allo scoperto e chiamarlo, magari lui poteva aiutarli, ma la ragazza lo fermò. «Che stai facendo? È lui che ci bracca!» Filippo la guardò basito, poi guardò il vicino, la balestra non sembrava finta. «Cosa facciamo?» «Dobbiamo nasconderci da qualche parte. Vieni!» Filippo la seguì lungo il negozio, entrarono assieme nel magazzino e chiusero piano la porta, poi Filippo sbirciò attraverso il buco della serratura. «Dov'è? Cosa vedi?» lo incalzò, la voce acuta nonostante sibilasse. «È davanti al negozio, sta guardando dentro… è entrato!» La ragazza gli tappò istintivamente la bocca, stava diventando una prassi, poi lo scansò per poter guardare anche lei. Filippo non sapeva che stesse succedendo, e non sapeva tantomeno che avrebbero fatto se fosse entrato nel magazzino. Che diamine ci faceva il signor Virna con una balestra? Voleva ucciderli? E perché non era rimasto bloccato? Non capiva che stesse succedendo, era tutto sbagliato, non doveva andare così. «Via via via!» La ragazza lo prese di nuovo per mano e scattarono in fondo al magazzino, nascondendosi dietro a una scaffalatura piena di scatole. La porta un attimo dopo si aprì. Rimasero in silenzio, controllando il respiro asmatico. I passi del suo vicino armato, che probabilmente avrebbe voluto infilargli una freccia in testa, erano lenti e pesanti. Filippo guardò la ragazza, la ragazza guardò Filippo. Neanche sapeva come si chiamasse, e stavano per morire assieme. I passi si fermarono. Un istante in cui la sua mente gli diceva che poteva essersene andato, ma sapeva che non era così. Infatti lo sentì allontanarsi, riaprire la porta e chiudersela alle spalle. La ragazza dai capelli scuri provò a guardare. Filippo avvertì una sensazione assurda di terrore che lo investì da capo a piedi, poteva essere una finta. Non la bloccò in tempo, lei tirò fuori la testa e si immaginò una freccia saettare per la stanza e colpirla. Non successe. «Andiamo.» Lei si alzò, Filippo non si mosse di un centimetro. Si voltò verso di lui. «Che fai, dobbiamo andarcene.» «Non ce la faccio, ho troppa paura» ammise, accorgendosi di tremare, incapace di controllarsi. Lei si inginocchiò, gli prese la mano per confortarlo. «Come ti chiami?» «Filippo, Filippo Faragli, ma i miei amici mi chiamano Lu.» persino la voce gli tremava e non sapeva neanche perché gli aveva detto anche il cognome. «Io mi chiamo Laura, adesso ho bisogno che ti alzi, ce la fai?» «Io…» «Anche io ho paura Lu, ma devi essere forte adesso, puoi farlo? Dobbiamo trovare qualcuno che ci possa aiutare.» E in quel momento capì che quel qualcuno era lui. Lui aveva bloccato tutto e lui poteva sbloccarlo. Se lo avesse fatto la gente sarebbe tornata a muoversi e il suo vicino non avrebbe più potuto cercarli. Laura gli diede una mano per alzarsi, poi raggiunsero assieme la porta, la aprirono piano e uscirono. Filippo si sentì all'istante afferrare per il collo e venne tirato indietro. Il signor Virna lo bloccò con il braccio, appostato da quando era uscito accanto alla porta in attesa che uscissero. «Ferma ragazzina.» Puntò la balestra verso Laura, facendo sentire Filippo responsabile. Era colpa sua, lui aveva provocato tutto quel trambusto. «Lasciala, lei non c'entra nulla!» Virna strinse di più il braccio attorno al collo di Filippo. «Oh invece credo di sì. Pensavo di essere l'unico a poter sfuggire dal tuo raggio di azione, ma poi scopro lei. È interessante, non trovi?» Filippo incrociò lo sguardo confuso di Laura, stava arrivando alla conclusione. «Sei stato tu?» gli chiese, incapace di capire. «Non lo sapevi?» intervenne Virna. «Il tuo amichetto ha la capacità di congelare tutto attorno a sé per chilometri e chilometri! E io voglio sapere come fa. Dimmelo o ammazzo la ragazza.» Filippo esplose. «Cosa sta facendo! Lei è il vicino! La salutavo ogni giorno! Le facevo accarezzare Puzzola!» «Okay, ammetto che quel cane mi piace, però ciò non toglie che voglio sapere come fai e di solito il modo migliore per ottenere ciò che si vuole è minacciare una persona cara, almeno così fanno vedere nei telefilm.» «Si fermi! io non conosco quel ragazzino, non so neanche come si chiama! Ci siamo incrociati per caso, mi lasci andare la supplico!» «È vero! Lei non c'entra nulla! La lasci andare e le dirò tutto ciò che vuole sapere.» Virna sembrò prendere in considerazione la proposta, uccidere una ragazzina non era necessario. «L'idea è buona, tuttavia con lei ho la certezza che tu mi dirai tutto.» Sistemò la direzione della balestra, che nel tempo era diventata pesante dato che la stava tenendo a braccio teso. Filippo non sapeva se lo avrebbe fatto davvero, ma non voleva di certo vederla morire. L'unica cosa che gli restava da fare era scongelare la gente, questo lo avrebbe distratto e lui avrebbe potuto scappare. «Non ho mai capito come mai quando tutto era congelato io riuscivo a muovermi, e per un pezzo ho creduto che fossi io a farlo…» Filippo capì che stava facendo il classico monologo da cattivo, quindi pensò che non c'era altro momento per sistemare tutto. Si concentrò, bastava che pensasse di scongelarli e il gioco era fatto, quindi lo fece. Ordinò all'infinito di ridare il movimento a tutti quanti, bambini, donne, uomini, vecchi, cani, tutti. Ma non successe un bel niente. «…E non capivo come ci riuscisse, ma sapevo che lo volevo anche io quel potere. E quindi eccoci qui, alla resa dei conti.» Il ragazzino sguardò Laura, con amarezza, quasi volesse comunicarle che non aveva altra scelta. «Lascia andare immediatamente mio figlio.» D'improvviso mamma e papà comparvero davanti a loro, l'unica arma era il dito del padre con cui minacciava Virna. «Ti ho detto di lasciarlo andare.» Di fronte a tanta gente Virna perse la ragione, il dito si strinse troppo contro il grilletto e la freccia partì da sé. Sferzò l'aria, schivò non di tanto una signora immobile e puntò dritta verso Laura. Poi rallentò la corsa fino ad arrestarsi del tutto. Rimase immobile, come tutto il resto. Come anche Virna, senza che se ne rendesse conto. «Papà, mamma!» Filippo corse verso i genitori, li strinse in un forte abbraccio come mai aveva fatto. «Va tutto bene» lo rassicurò la madre, osservando interessata la ragazza che stava prendendo la freccia bloccata a mezz'aria. «E tu chi sei?» «Io… mi chiamo Laura, non c'entro niente con questa storia.» Sollevò le mani chiamandosi fuori. «Tranquilla, ogni tanto succede che qualcuno sia immune, Filippo è ancora giovane e il suo raggio non è molto preciso. Ma adesso sistemerà tutto, non è vero?» Filippo arrossì e annuì, con meno ansia nel corpo. La ragazza li stava ancora guardando stranita. «Quale raggio?» Mamma e papà si guardarono l'un l'altra, la stessa idea che balenava nelle loro teste. «Non è che ti serve un lavoro per caso?» Fu più o meno così che Filippo trovò la sua prima amica, nonché babysitter, l'unica che riuscisse a capire le sue strambe idee sul perché la gente sarebbe più interessante se fosse congelata. Cerco, avrebbero potuto contattare qualcuno su internet o qualche conoscente, ma nessuno sarebbe stata all'altezza di Laura. In fondo lei sapeva il suo segreto, e ci doveva essere sempre qualcuno di fidato che lo sapeva, come accadeva nei telefilm.
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Filippo lasciò i soldi sul bancone e prese il cono che il gelataio gli stava passando. Cocco, banana e cioccolato: una bomba pronta a esplodere appena lo avesse assaggiato. Ma non era ancora il momento, prima doveva trovare un posto dove sedersi. Camminò per il centro commerciale, beato, cercando le scale mobili per l’ultimo piano. Non era solito venire al Mondo, il nuovo complesso commerciale in cui non avrebbe comperato assolutamente nulla. Osservò la gente passeggiare tranquilla, dalle due alle sei borse sottobraccio provenienti da vari negozi, alcuni che nemmeno conosceva. Magari quel giorno li avrebbe visitati. Saltò un paio di gradini, il gelato era ancora in perfette condizioni. Sorrise e continuò la ricerca. L’ultimo piano, il terzo, comprendeva i vari ristoranti, McDonald, una piadineria, il KFC, un ristorante emiliano e un bar dall’aspetto retrò. Al centro c’era un grosso rettangolo che permetteva di veder i piani sottostanti e attorno a questo numerose panchine che aspettavano solo lui. Avrebbe scelto una di quelle di sicuro, se non avesse poi visto la giostra a forma di macchina di Batman. Per un ragazzino di undici anni la giostra batteva la panchina dieci a uno. Ci salì alla svelta, non mise alcuna monetina per farla funzionare che tanto da lì a poco sarebbe stato inutile. Guardò il gelato, perfetto, nonostante il viaggio era ancora preciso a come l’aveva ricevuto. Il bello di essere Filippo Faragli. Si guardò attorno, aveva un’ampia veduta del posto, era strategico, e se si allungava un pochino vedeva anche mezzo piano inferiore. Forse non avrebbe trovato di meglio, quindi procedette. Si mise in mezzo alle gambe il gelato, stando attento a non farlo cadere per sbaglio, una volta che ebbe le mani libere le sollevò se le strofinò una contro l’altra. Quello era senza dubbio il momento più bello, chiudere gli occhi lo aiutava ad aumentare la sorpresa. C’era del brusio attorno, se si focalizzava riusciva a seguire anche qualche discussione. Una madre che rifiutava la richiesta di comperare un orsacchiotto alla figlia. Due bambini che correvano urlando "non mi prenderai mai!". Due ragazzi e due ragazze che decidevano se andare a mangiare al Mc o al KFC. Chiuse i pugni, aspettò alcuni secondi e distese le mani, poi si concentrò e le serrò di nuovo, ma piano. C’era della resistenza in quel gesto, l’avvertiva bene e significava che stava funzionando. Il brusio scomparve, le discussioni si arrestarono sul colpo, i bambini smisero di rincorrersi e di urlare, le coppie rimasero con il dubbio sulla scelta del pranzo. Riaprì gli occhi. Sorrise nel vedere la gente bloccata come i manichini che venivano esposti nelle vetrine dei negozi, alcuni con posizioni strane, e i due bambini a mezz'aria come se volassero. Magari se lo avessero saputo sarebbero stati stupefatti delle loro capacità. Però non funzionava così, solo a lui era concesso vederli. Prese il gelato e lo sbloccò, altrimenti non avrebbe potuto portarlo fin lì senza che si sciogliesse lungo la sua mano. Gli era permesso bloccare cose di piccola dimensione senza usare troppa difficoltà, ma per arrestare tutto attorno a lui doveva concentrarsi. Il giochetto delle mani in realtà non serviva, ma gli piaceva farlo perché nei telefilm facevano così. Si mangiò il suo bel gelato, osservando la gente immobile attorno a lui. Facce strane sospese nell'intento di finire una parola che avrebbero detto appena lui si sarebbe stufato. Di solito ci metteva poco, altre volte anche delle ore. Finì il gelato in fretta, era troppo buono per cercare di gustarselo, gli venne in mente in automatico sua mamma. «Vai piano, così non te lo gusti!» gli diceva ogni volta, puntuale, come se avesse fatto un patto che implicava qualche clausola nel caso non l'avesse detto. Si pulì la bocca con il fazzolettino e poi si alzò, cercando un cestino dove buttarlo. Ne voleva un altro. Fece un giro del piano prima di scendere, gli piaceva vedere come aveva bloccato la gente, le espressioni, i gesti, se si stavano grattando il sedere o mettendo un dito nel naso. Ogni tanto succedeva. In quei casi avrebbe voluto fare delle foto con il cellulare che gli aveva regalato papà, e all'inizio le aveva fatte ma poi aveva pensato che non era una cosa corretta e quindi aveva smesso. Trovò un uomo, sulla quarantina, intento a guardarsi il dito che si era appena tolto dall'orecchio. Era pieno di cerume, sembrava il portatore principale del cerume, colui che lo distribuiva tipo. Il grande re del cerume. Che schifo. Scese al piano inferiore, saettando tra le persone congelate, dribblandole come facevano i calciatori nelle partite che andava a vedere con il suo papà, andò di fronte al gelataio. «Mi dia un cono in stile Filippo!» Prese, passò dall'altro lato del bancone e rispose a sé stesso. «Certo, arriva subito!» Sfilò un cono dal dispenser e depositò sopra tre belle palline di gelato: cocco, banana e cioccolato. Con la ricarica decise che era tempo di spassarsela davvero. Lasciò una caramella sulla cassa, i soldi li aveva finiti ma sapeva avrebbero comunque apprezzato perché era una delle sue preferite. Entrò in vari negozi, scegliendo tra i più costosi e si provò le giacche che più trovava strane, cravatte a quadri, papillon a pallini, bretelle che non riusciva ad agganciare e qualche cappello. Rimise tutto a posto e poi uscì, osservando al piano inferiore che cos'altro poteva fare. Non si era mai chiesto come riusciva a fare quella cosa, il congelare la gente, lo faceva e basta. Un bel giorno aveva scoperto che era capace di farlo e non aveva più smesso. Ovvio che non lo aveva mai detto a nessuno, era una delle prime regole che i telefilm insegnavano: mai rivelare il proprio segreto da eroe. E lui era un eroe, più o meno. Aveva i superpoteri, una volta aveva impedito che un tizio sfilasse il portafoglio a un altro tizio, era da eroe. Certo, avrebbe voluto fare qualcosa di meglio, ma era fifone e non ne aveva il coraggio. Quindi congelava la gente e se la spassava, attenendosi alle regole, il più delle volte. Passando in rassegna la gente, pensò a quali scherzi poteva fare, quando intravide qualcosa muoversi. Si ritrasse d'istinto, sgomento, poi ritornò a guardare verso il basso. Erano capelli? Qualcuno con dei lunghi capelli neri si era mosso? Com'era possibile? Schizzò verso la scala mobile saltando i gradini, rischiando di cadere un paio di volte, poi si diresse verso il punto dove aveva visto il movimento, correndo tra i manichini umani che non potevano vederlo. Non c'era nessuno in quel punto, né attorno. Non doveva essere lontana però. Sondò tutte le persone ma non era facile capire chi fosse, perché in molti avevano lunghi capelli neri, perfino alcuni uomini. Non gli passò per la mente di aver visto qualcosa che non c'era, perché ne era sicuro al mille per mille. Lì sotto qualcuno si era mosso. Si ricordò di un metodo che usava Maria, la sua compagna di classe e amica, quando facevano la sfida su chi rideva prima. Si mise davanti a una donna che corrispondeva alla scarna descrizione che aveva in mente, la guardò in faccia e poi si mise a fare boccacce. Continuò così per un minuto, il tempo per essere sicuro che era davvero congelata. Quindi passò a una ragazza, giovane, forse una decina di anni più di lui. La guardò bene negli occhi, si infilò due dita in bocca e l'allargò emettendo allo stesso momento parole senza senso. Niente da fare, era congelata anche lei. Continuò così fino a controllare tutte le persone lì attorno, poi passò in un negozio di Intimissimi, e fece la stessa cosa. Si piazzò davanti a una ragazza, la guardò negli occhi poi sfoderò la mossa che faceva cedere ogni volta Maria: si rivoltò le palpebre inferiori. Catturò all'istante il movimento dello sguardo della ragazza, inorridito dalla scena. «L'ho visto, ti sei mossa!» le urlò contro. Lei cercò di rimanere ferma ancora, in una posizione rigida intenta a guardare il negozio. Poi però fu costretta a cedere perché il ragazzino insisteva e le urlava dietro. La ragazza gli mise una mano sulla bocca. «Smettila di urlare! Per favore, smettila!» «Perché non sei congelata anche tu?» «Shh, ti ho detto di non urlare, o ci troverà. Pensavo di essere l'unica ad essere scampata a sta cosa, come hai fatto a scappare da lui?» Filippo inarcò un sopracciglio «Di chi stai parlando?» «Di quello che ha congelato tutti! L'ho visto girare qui, sta cercando chi non è stato bloccato. Dobbiamo andarcene.» Filippo venne preso per mano e trascinato fuori dal negozio, del tutto confuso perché era stato lui a congelare la gente.