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Ho apprezzato la furbizia e la saggezza popolare che si è data alle figure dei contadini e, di contro, la superba pomposità e la superficialità della classe nobile. Mi sono piaciuti gli scambi di battute tra i personaggi, dalla conversazione sulla grammatica fino allo snobbismo dell'Imponente Cavaliere. Per me è stato un crescendo di umorismo fino ai tre paragrafetti finali, che ho adorato, soprattutto quello riguardante la storia di caduta e redenzione della viverna... geniale!
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«Oh Inesistente Cavaliere, aiutaci! La nostra Principessa è tenuta prigioniera da un drago!» The End. L'Inesistente Cavaliere.docx
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Avanzava in groppa al cavallo che procedeva tranquillo, al passo. Inspirò da sotto l’elmo l’aria fresca dei campi di prima mattina. Espirò piano, chiudendo gli occhi e rilassando al contempo le spalle. Quella passeggiata lontano dalla corte e dagli obblighi era una manna dal cielo. Il passatempo perfetto, a dirla tutta: solitario, quieto, rinvigorente… «Oh Possente Cavaliere, aiutaci!» Non era vero… ancora? Un manipolo di contadinotti gli si apprestava trafelato, gridando a gran voce. Più si avvicinavano e meglio si delineavano i loro volti: le solite, onnipresenti, stesse facce di sempre. A qualsiasi ora uscisse a cavallo da quelle parti finiva per ritrovarseli sul suo sentiero. Aveva da qualche tempo a quella parte come l’impressione che, in verità, quasi lo aspettassero. Mica mica era divenuto vittima del fenomeno che lə fanciullə odiernə definiscono… stalking? In ogni caso, sapeva già dove volevano andare a parare. Erano ormai prevedibili. «“La nostra Principessa è stata rapita da un drago!”» Li canzonò, anticipando la loro ovvia richiesta. «È stato indetto un possente torneo di scrittura!» «Come?» Qual novella era mai quella? Tirò le redini, facendo fermare il cavallo sul posto. «Eh, sì.» Gli risposero. «Ma… e la Principessa?» «Cosa?» «Non è stata, ecco, rapita? Al solito?» «Beh, no.» «Ma come no?» «Cioè sì, però…» «Però?» «Ricchi premi sono in palio in questo torneo e —» «AH AH! Vi ho palesati, villici! Avidi di ricchezze e sleali al regno, incuranti delle sorti della Principessa! Che avete da dire a vostra discolpa?» «Ma…» «Ebbene, bifolchi?» «Ti senti bene?» «Che andate blaterando?» «Togliti l’elmo che sentiamo se ti scotta la fronte.» «Oh che voi fate, villani? Giù le mani!» «Ci accertiamo della tua salute.» «Ma io sto bene!» «Eppure sei preoccupato per la Principessa.» «Sono un cavaliero, è normale —» «Eh no!» «Come no?» «Tu non vuoi mai salvarla. Attacchi sempre un pippone per evitarti la fatica.» «Io… oh, per tutti i procrastinatori! Voi zappaterra dite il vero.» «Già.» «Però anche voi vi comportate in modo inconsueto.» Replicò loro il Possente Cavaliere. «Cioè?» «Non mi avete chiesto della Principessa, ma di questo… come l’avete chiamato?» «Possente torneo di scrittura?» «Quello. Come mai?» «Ecco…» «A cosa vi serviva il mio aiuto?» «A vincere il contest così da ricevere averi e onorificenze.» «Non ne siete in grado da soli?» «Non sappiamo scrivere.» «Perché?» «Apparteniamo alla classe contadina di un regno medievale, mentre tu all’aristocrazia. Che dici, pensi che l’educazione impartitaci sia la stessa?» «Giusto, scusate.» «Non preoccuparti.» «Grazie. Ma… un momento! Era forse un pippone questo? Cioè, voi a me?» «Per tutti i granai… Che ci è successo?» «Si sono invertiti i ruoli!» «E quindi? Che si fa?» «Lo ignoro, ma non possiamo restare qua senza far nulla. Ne va di noi stessi, della nostra integrità! Seguitemi, plebei!» «È un po’ troppo audace rispetto al solito…» Parlottarono tra loro i contadini. «Oh Possente Cavaliere, verremo con te, d’accordo. Per curiosità, dato che l’hai nominata: nel mentre salverai la Principessa?» «No.» «Meno male… c’è speranza!» *** «Sono la Principessa del Paese Lontano Lontano e sono fuggita dal regno perché lo padre mio, il Re, voleva che mi maritassi col Malvagio Imperatore Oscuro. Ma io mi ribello ai loro disegni politici e alla visione del corpo femminile come mero garante di procreazione per la continuazione darwiniana della specie.» «Affascinante davvero, sì. Encomiabile. Ma adesso io ti ho rapita, pappappero! Che, guarda caso, è anche il mio nome: Pappappero, che in draghese significa “dalla padella alla brace”!» «Mi hai rapita?» «Eh sì.» «Va bene.» «Davvero?» «Sì.» «Quindi non vuoi reclamarmi come cavalcatura per abbruciare li nemici del regno tuo come fa quella platinata nutrice di draghi della serie tv?» «Nel rispetto del tropo cavalleresco un filo stereotipato del drago sputafuoco che tiene prigioniera la principessa indifesa, no, mi sta bene così.» «Grazie, apprezzo molto questa tua accondiscendenza. Così farò bella figura con gli altri draghi.» «Figurati.» «…» «Che succede?» Chiese la Principessa di fronte alla reticenza di Pappappero. «Non me l’aspettavo.» «A pensarci, neanche io.» «E poi…» «Cosa?» «Ecco, devo rivelare che bramavo di farti da destriero nella guerra contro li mercenari nemici.» «Davvero?» «Sì.» «A cosa si deve questo tuo mutamento d’intenzioni?» «Voglio incenerirli al grido “Io sono fuoco, io sono… Morte.”» «Come?» «È una citazione del mio idolo, Smaug il Terribile. Fa figo.» «Se lo dici tu…» «È così, pappappero! Che poi, è anche il mio —» «Me l’hai già detto.» «Ah, scusa.» «Che poi, il tuo nome ha sempre un significato molto lungo, oltre che mai uguale. Ma non stavolta.» «Non è vero.» «Invece sì.» «Invece no.» «E invece sì.» «Specchio riflesso senza ritorno! Te l’ho fatta, pappappero! Che guarda caso è anche il mio nome, Pappappero, che in draghese significa “abboccare all’amo”.» «Per l’appunto.» «Ma…» Il drago si silenziò, pensieroso. «Già.» «Oh, per le mie scaglie! Cosa mi sta succedendo?» «Non lo so.» «Credo di non sentirmi molto bene.» «Cos’hai?» «Sto iperventilando.» Iniziò a inspirare ed espirare velocemente, emettendo al contempo scintille dalle fauci. «Calmati, te ne prego, sennò mi abbruci con lo fiato tuo fiammeggiante!» «Ho avuto una crisi, ora sto meglio. Scusa tanto.» «Una crisi di mezza età?» «Non si chiede l’età a un drago, è scortese.» «Scusa.» «E comunque è una crisi identitaria. Non la provi anche tu?» «Io?» «Sì. Io ti ho rapita senza volerlo davvero, e tu scappi inseguendo il tuo sogno di emancipazione ma poi accetti di essere mia prigioniera. Le basi fondanti del nostro stesso rapporto si sono incrinate.» «Per tutte le bandiere anarco-femministe… Qual sortilegio è mai questo?» *** «Oh Possente Cavaliere, ammira! Qualcuno siede in cima a quella colonna!» «Lo vedo, avviciniamoci.» Il trio si appropinquò al pilastro, mettendo ad ogni passo sempre più a fuoco il volto dello strano figuro là in alto. «Ma… Oh Ardito Cavaliere, sei tu? Che ci fai lassù?» Gli chiesero i contadini. «Ho guardato dentro me stesso e ho abbracciato la via ascetica dei monaci cristiani anacoreti: non più Cavaliere, ma Ardito Stilita sono.» «Per tutti gli aratri, è uscito di senno?» «Ascoltami, Ardito Cavaliere —» Gli si rivolse il Possente Cavaliere. «Ardito Stilita, ho detto.» «D’accordo, Ardito Stilita... Hai dunque preferito una vita di preghiera a quella della spada?» «Sì.» «E di penitenza?» «Sì.» «Il tutto per testimoniare la tua fede?» «Esatto.» «Lo sai che è però anche una vita dedita alla purezza?» «Che intendi?» «Mi riferisco alla castità.» «Castità?» «Già.» «Mica intenderai, ecco, niente…» «Sì.» «Neanche un pochino?» «No.» «Neppure se infilo solo la pun—» «Oh Ardito Stilita, no!» «Ma quale stilita e stilita.» Scese dalla colonna rivestito della sua armatura. «Rieccomi, l’Ardito Cavaliere io sono. A che andavo pensando? Rinunziare ai dolci inviti delle donzelle non è da me.» «Ma infatti nessuna mai ti ha fatto delle avances.» «Invece sì, cadono tutte ai miei piedi.» «In verità sei tu che le importuni.» «Loro mi amano per lo charme da maschio alfa perpetuato dal maschilismo intrinseco alla società patriarcale in cui viviamo.» I quattro si guardarono l’un l’altro, in religioso silenzio. «Forse lo preferivamo quand’era l’Ardito Stilita.» S’intromisero i contadini. «E quello è un commento che non farebbe mai, mentre è tipico mio!» Notò il Possente Cavaliere. «Prima l’ascetismo, e ora le argomentazioni decostruenti. È caduto vittima dello stesso maleficio che ha colpito noialtri!» *** Nel loro viaggio senza meta, i quattro si trovarono a risalire il pendio d’una collina. Raggiunta la cima, il loro sguardo si posò su uno scenario finora solo sperato, rischiarato dall’imminente albeggiare. «Oh Possente Cavaliere, oh Ardito Cavaliere, guardate! Ai piedi della collina c’è la Principessa prigioniera del drago!» «Invero è così. Presto, andiamo a molest… ehm, a salvarla!» Propose l’Ardito Cavaliere. I due guerrieri discesero urlando a gran voce al fine d’intimidire l’orrida bestia e rincuorare l’animo terrorizzato della Principessa. Si precipitarono a spade sguainate giù per il pendio col sole che sorgeva alle loro spalle, a Est, come Gandalf all’alba del quinto giorno al Fosso di Helm. Il primo raggio di sole, però, non accecò il drago come fece con gli orchi, bensì illuminò la Principessa e il drago abbracciati e piagnucolanti. «Ma… cosa vedono i nostri occhi?» Si stupì il Possente Cavaliere. «Oh Possente Cavaliere, oh Ardito Cavaliere, siete voi?» «Principessa del Paese Lontano Lontano, sì, noi siamo, pronti a salvarti dalle grinfie del drago!» Le rispose l’Ardito Cavaliere. «Grazie ma… non ce n’è bisogno.» «Come no? Non ti ha rapita?» «Sì.» «Allora fatti salvarti.» «No.» «Dai.» «No.» «Ma così non puoi mostrarmi la tua gratitudine dandomi —» «Non è necessario: Pappappero mi ha rapita ma non intendeva farlo davvero.» «Chi è Pappappero?» Il drago alzò una zampa in risposta. «Io.» L’Ardito Cavaliere sgranò gli occhi. «Tu parli?» «Come tutti i draghi.» «Davvero?» «Sì.» «Allora dimmi, che razza di nome è Pappappero?» «È il mio nome, Pappappero! Che in draghese significa “chi si fa i fatti suoi campa cent’anni”.» «Io lo trucido.» «Calmati, Ardito Cavaliere!» Intervenne il Possente Cavaliere. «Oh Principessa, una stregoneria ci ha colpiti, tale da incrinare l’immagine mentale che noi stessi ci siamo stortamente costruiti nel tempo. Ne sei forse vittima anche tu?» «Per tutti gli uteri in affitto, non siamo dunque i soli!» «È rassicurante e terribile allo stesso tempo.» Disse Pappappero. «È per questo che frignavi?» Chiese il Possente Cavaliere al drago. «Non frignavo.» «Invece sì.» «Invece no.» «Invece sì.» «Specchio riflesso senza ritor—» Piovve d’improvviso una freccia dal cielo, che si piantò nel terreno in mezzo a loro. I Cavalieri, radunatisi intorno alla Principessa, subito iniziarono a sondare con lo sguardo la zona circostante alla ricerca di nemici, ma non videro nessuno. Né altre frecce furono scoccate. «Guardate!» La Principessa indicò la freccia. «C’è un messaggio legato all’asta.» I contadini si chinarono e sciolsero il legaccio, liberando la pergamena. La dispiegarono e la osservarono, muovendo gli occhi da una parte all’altra. «Dunque?» Domandò il Possente Cavaliere. «Cosa?» Gli risposero loro da dietro il foglio. «Che c’è scritto?» «Non lo sappiamo.» Il Possente Cavaliere sospirò. «Rieccoci di nuovo…» «Non l’avete letto?» Domandò l’Ardito Cavaliere. «Non sappiamo leggere.» «Allora perché avete preso voi il messaggio?» «Voialtri ve ne stavate fermi come spaventapasseri.» «Per tutti i matriarcati, date a me!» Ordinò la Principessa, che prese a scorrere con gli occhi le righe d’inchiostro. Il drago piegò la testa per provare a leggere le minuscole parole. «Che dice?» «“Se quel che avete perduto indietro volete, danari e ricchezze voi sborserete. Per liberarvi dalla vostra sventura, pagate in oro il Loquace Soldato di Ventura!”» «Chi è costui?» Chiese l’Ardito Cavaliere. «Non è chiaro, ma promette di renderci quanto abbiamo perso in cambio di soldi.» Notò la Principessa. «Sarà un farabutto, Principessa, un mercenario avido di ricchezze. Nessuno ci garantisce che possegga veramente quanto è nostro.» Notò il Possente Cavaliere. «Che poi, cos’è che abbiamo perso?» Chiesero i contadini. Tutti si zittirono, meditabondi. «È difficile a dirsi.» Pappappero ruppe il silenzio. «Quel Loquace Soldato di Ventura potrebbe davvero saperne qualcosa.» Suggerì l’Ardito Cavaliere. «Concordo, propongo di trovarlo e scoprirne di più.» Disse la Principessa. «Principessa, potrebbe essere una cattiva idea, oltre che pericoloso.» Consigliò il Possente Cavaliere. «Sei tu forse un cavaliere?» «Sì.» «E io la tua Principessa?» «Sì.» «Quindi l’attuale gerarchia sociale mi pone al di sopra del tuo status cavalleresco nonostante viga il patriarcato, corretto?» «Sì.» «Allora zitto e andiamo.» *** Giunsero a una grotta al cui interno erano stipate provviste e cianfrusaglie d’ogni genere. Ad attenderli, seduto su un forziere, stava uno strambo figuro che indossava una calzamaglia rossa e nera, mascherato in ugual modo. Dalle spalle si intravedevano le else a croce di due spade assicurate alla schiena, mentre le mani stringevano due balestre di modeste dimensioni, già caricate con dei dardi… e puntate verso i nuovi arrivati. «Finalmente ce l’avete fatta! Benvenuti, miei cari sei personaggi in cerca d’autore!» Li accolse. «Sei tu forse il Loquace Soldato di Ventura?» Chiesero i due contadini. «Perspicaci! Ebbene sì, son proprio io, in parole e battiture.» «Che va dicendo?» Domandò la Principessa. «Forse intendeva “in carne ed ossa”.» Propose Pappappero. «Forse.» Gli rispose lui. «Avete portato quanto ho richiesto?» «Non avrai nulla da noi se prima non ci assicuri di possedere quanto abbiamo perso.» Il Possente Cavaliere avanzò fiero di qualche passo. «Ehi cocco, abbassa la cresta. Se appari così minaccioso è solo perché sono io a renderti tale, altrimenti saresti il peso piuma di sollevatore di polemiche che sei di solito.» «Come?» «Già, fai poco il gradasso. Vuoi risposte? Eccotele!» Il Loquace Soldato di Ventura gli lanciò un rotolo di pergamena chiuso da un nastro. Il Possente Cavaliere lo afferrò al volo, vi sciolse il nodo e lo srotolò. «“Il Possente Contest?”» Lesse ad alta voce. «Ma è lo stesso per cui abbiamo chiesto il tuo aiuto!» Esclamarono i contadini. «Che cos’è?» Chiesero gli altri tre della combriccola. Rispose per loro il Loquace Soldato di Ventura. «È una sfida di scrittura a colpi di fantasy umoristico, in cui sono in palio succulenti premi in denaro! Io, il Loquace Soldato di Ventura, altro non sono che l’alter ego dell’autore di questo racconto. Questa mia versione da personaggio mi è utile per comunicare al vostro creatore che ho preso in ostaggio le sue amate creature. Capito, Leonardo Mercadante? Già, posso rompere la quarta parete, proprio come Deadpool, cui, tra l’altro, mi sono ispirato. Forse l’avevi notato dalla tutina attillata. Comunque, col tuo contest hai costretto noi partecipanti ad appropriarci di personaggi la cui complessa caratterizzazione è intrinsecamente legata alla tua persona e al tuo vissuto. All’inizio ero alla ricerca di temi socialmente e politicamente impegnati da proporre così da mantenere una più intima e coerente continuità col tuo operato, ma, ehi, non era cosa. Questo perché, molto semplicemente, siamo persone differenti, con valori diversi e una distinta prospettiva sul mondo. Non sono capace di riproporre un’analisi parimenti decostruente e riflessiva sulle tematiche a te care. Quindi ho pensato bene di mettere le mani avanti e dirtelo in questo modo, per onestà intellettuale. E sempre con sincerità ti dico che se rivuoi i personaggi caratterizzati come vuoi tu, senza crisi identitarie e quant’altro, devi elargirmi il premio in denaro e —» «Ma l’hai letto bene il bando?» Mi interruppe il Possente Cavaliere. «Solo in parte, perché?» «Guarda che non si vincono soldi.» «Come no?» «Eh no.» Fu così che il Loquace Soldato di Ventura se ne andò, maledicendo Mercadante a risolvere il casino che aveva fatto con i suoi personaggi e la sua storia. Il Loquace Soldato di Ventura.docx