Noi menestrelli cantiamo di tante storie fantasiose e fantastiche di creature mistiche e mitologiche: avventure di draghi e principi, principesse intrappolate nelle torri, orchi, goblin, fate, gnomi e meritocrazia sotto il capitalismo. Quest’oggi vi racconterò di un villaggio, Perdutonellastoria, governato da un re, Ippocrite de Mendacis, che viveva a suo bell’agio nel suo castello con piscina facendo la bella vita del parassita. Nel tempo libero si divertiva a giocare a schiaccia il povero e a tiro al rivoltoso, e vantava un rispettabilissimo secondo posto nella classifica locale di disinfestazione da zecche rosse (il primo posto era ormai pienamente meritata residenza fissa del monarca Gefferio Besosso, dallo stemma del volto ghignante).
Vi racconterò, con il suono melodioso della mia fidata mandola, come il re del villaggio Perdutonellastoria ottenne questi ambitissimi titoli, di cui vantarsi nei tornei di bridge tra un biscotto e un sorso di the alle lacrime di popolano.
Il re Ippocrite de Mendacis era molto attento al suo popolo, e soprattutto si interessava dei giovani virgulti del villaggio che così benevolmente governava. Si assicurava che i giovincelli imparassero fino dalla tenera fanciullezza le più importanti nozioni che, nella sua infinita munificenza, egli poteva fornire loro, dai rischi del parlare di politica in pubblico, all’importanza educativa delle travi metalliche sul collo.
Nella scuola del villaggio si parlava a volte di una certa figura che non veniva mai identificata pienamente oltre lo specificare con una ripetitività snervante che essa faceva parte dei “buoni”: la figura del cavaliero. Essa era rappresentata secondo tutte le regole dell’iconografia celebrativa delle migliori accademie d’arte classica del regno: eroica, magnifica e dalla sfolgorante armatura, completa di scudo antiproiettile e di una speciale spada forgiata nell’oscuro metallo delle caverne dei draghi pagati
un dollaro al giorno, dalla curiosa forma simile a una lettera “L”. Il ruolo dei cavalieroi era molto, molto semplice: compiere atti eroici, per il bene della comunità. Non si contano le gesta indomite che questi magnifici eroi hanno compiuto per proteggere chi glielo chiedeva (nota del menestrello: e non chi ne aveva bisogno), mettendo anche a repentaglio la propria vita e sicurezza, mettendosi contro alla furia distruttiva di barbare armi tra le più letali, come le terribili mele e le ancor più infami bottigliette di plastica. Il vostro umile menestrello ve ne farà alcuni esempi: proteggevano le sempre più bistrattate comunità delle vetrine dei negozi di lusso, si assicuravano che i covoni di fieno raccolti in piccoli gruppi e legati strettamente (noti ai più con la forma volgare “fasci”) potessero dare il loro personale tocco d’arredamento ai sindacati dei villaggi locali e lottavano contro i terribificanti draghi rossi sputa-schiuma (noti ai più con l’altrettanto volgare forma “estintori”).
I bambini della scuola crescevano imparando a fidarsi dei cavalieroi e a non fare nulla che potesse alterarli, ond’ evitare che i loro draghi sputa-gomma si rivoltassero contro la disobbedienza dei popolani che, tutti sapevano, se avessero bevuto anche una sola goccia al calice della disobbedienza, avrebbero certamente oltrepassato il punto di non ritorno. Se i cavalieroi del re Ippocrite de Mendacis avessero lasciato correre, la situazione sarebbe presto degenerata: i contadini e i fabbri e i sarti e i lavandai, di ogni etnia e genere (oh! Lo scandalo! Oh, l’indecenza! E i ruoli di genere? E il nazionalismo sciovinista?? Dove andremo a finire?? In una società equa per tutti?? Dico, ma son cose da dirsi??) avrebbero potuto organizzarsi autonomamente in collettivi di popolani lavoratori e presto avrebbero potuto impossessarsi dei mezzi di produzione del business contadino del villaggio! tutti quei martelli e quelle falci, alla mercè di contadini abili e competenti, senza la più vaga possibilità di guadagno per il re Ippocrite de Mendacis! Quale visone terribile, terrificante, terrorizzante! Tutto il suo guadagno passivo invidiatogli da tutti i draghi seduti sulle loro montagne d’oro, completamente svanito, nelle ingorde bocche di sporche masse ignoranti, come se avessero il diritto di mangiare a loro comodo! Che storia sarebbe mai questa? Forse che le masse ignoranti non sanno che la vita va guadagnata? Forse che non conoscono la fatica e le tribolazioni che il re Ippocrite de Mendacis aveva passato per nascere in una famiglia ricca? Forse che esse ignorano il lavoro incessante che gli ci era voluto per ottenere il trono, suo di diritto per discendenza? Sempre a pretendere, sempre a richiedere, sempre a domandare, e una volta è il pane, e una volta è il tetto per i poveri sfrattati dalle cascine occupate, e una volta è, o almeno così era parso di capire al re Ippocrite de Mendacis, il vil denaro… Ma poi cos’era questa “inflazione” di cui tanto si lagnavano? Nelle sue spese mensili il re Ippocrite de Mendacis aveva riscontrato un aumento di pochi milioni di monete dorate, null’ altro. Non potevano quelle masse ignoranti spendere qualche moneta in più? Vendessero la loro macchina sportiva, ipotecassero la seconda casa, licenziassero metà dei loro dipendenti, senza avvisarli se non la mattina stessa e smettessero di comprare il caffè la mattina a colazione! D’altronde il re Ippocrite de Mendacis si era fatto da solo, e fin da giovanissimo non aveva mai avuto difficoltà a lavorare come consigliere per re in persona! (Certo, suo padre non ascoltava spesso i suoi consigli, ma comunque era un’astuta mossa carrieristica, che gli era valsa la posizione di re Ippocrite de Mendacis, sua di diritto, per discendenza) Perché mai i popolani non avrebbero potuto fare lo stesso? Dovevano certamente essere intrappolati nella tela di pigrizia e di fannullosità dove maligne creature a otto zampe, serve dell’amor proprio, attiravano gli ingenui, sospirava il re Ippocrite de Mendacis, ripromettendosi di fare tutto quanto fosse in suo potere per aiutare quei poveri insetti intrappolati nelle maglie dell’amore per la vita a uscirne senza che la loro produttività ne fosse danneggiata.
Ma come fare? Come fare comprendere ai popolani che avere come unico scopo di vita l’arricchimento del re Ippocrite de Mendacis era premessa di una vita nobile e piena e soddisfacente, per il loro re. Come fare comprendere alle teste dure del popolo che il piacere del re si sarebbe presto tradotto in piacere per la comunità tutta? Come inculcare nelle teste dure della plebe il concetto di mano invisibile della cupidigia dei re, che tutto vede e a tutto provvede? Come provare l’esistenza di una cosa improvabile e inesistente?
Per il re Ippocrite de Mendacis certo non era semplice: nonostante la manifesta ragionevolezza e comprensione del re Ippocrite de Mendacis nei confronti dei suoi propri indegni rappresentanti della classe plebea, questi ultimi, per ragioni incomprensibili, mal sopportavano i doni che il loro re offriva loro. Le giornate di lavoro da 18 ore, per dare loro la possibilità di crescere in determinazione e vivere una vita appassionata e piena di sfide, gli stipendi calcolati al ribasso per incentivare l’impegno al miglioramento personale delle infime masse popolari, la privatizzazione di fiumi e alberi da frutto, per insegnare loro l’umiltà e la pazienza… tutti questi doni sembravano non essere bastanti per le infinite ed incontentabili pretese del popolo capriccioso del villaggio Perdutonellastoria. Perciò il re Ippocrite de Mendacis dovette ingegnarsi per tenere sotto controllo quelle masse recalcitranti all’obbedienza incondizionata. Formulò dunque delle idee innovative, servendosi del suo acutissimo cervello formatosi, nella culla di mille battaglie dialettiche, all’ uso impeccabile di armi formidabili forgiate nei meandri delle più oscure fonderie cerebrali: lo scudo sfavillante d’ ignoranza, la sfolgorante spada dell’analfabetismo funzionale e l’impenetrabile elmo donatogli dagli antichi stregoni protettori della supponenza, nato dall’incantesimo del contraddittorio su argomenti divisivi. Giunse infine a un’epifania degna dei migliori pedagoghi dell’epoca: era necessaria una figura che il popolo stimasse e al contempo temesse, per sua stessa definizione. Una figura che difendesse le sue adorare proprietà private, ma che si presentasse come paladina della giustizia uguale per tutti (il re Ippocrite de Mendacis ridacchiava all’illusione). Nacquero così i cavalieroi.
I cavalieroi del re Ippocrite de Mendacis erano molto bentemuti e malamati dagli abitanti del villaggio Perdutonellastoria. Essi avrebbero volentieri sputato in un occhio a quei figuri che facevano del loro servilismo un vanto, prestandosi a lottare per il mantenimento dello status quo con armature di ferro, elmi metallici senza numeretto identificativo e draghi dal fiato che provocava immensa tristezza e immediato scoppio in pianto, addestrati e soggiogati dai cavalieroi per mirare al viso. Il vostro umile menestrello trova molto curioso che la messa in campo di questi draghi sia un crimine di guerra, ma che essi possano essere usati in casa propria per dissuadere gentilmente dal protestare contro la costruzione di un nuovo sentiero per carrozze attraverso un monte.
Tuttavia, al re Ippocrite de Mendacis non bastava l’impedimento fisico che costituivano i suoi cavalieroi. Da grande stratega qual era ideò un arrocco ancora più subdolo, al quale avrebbe potuto pensare solo chi sa che sotto il capitalismo qualsiasi problema scompare istantaneamente, se coperto da abbastanza soldi: si comprò la rivoluzione e la rivendette edulcorata, priva di tutti quei principi che mettevano in dubbio la sua autorità di re per diritto divino. Se fosse riuscito a fare in modo che i popolani credessero di avere già tentato la strada della rivoluzione, e che questa strada si fosse rivelata impraticabile e fallimentare, si sarebbe assicurato che nessuno mai ci avrebbe provato per la prima volta…
E tuttavia i popolani ci provano. I popolani sono dotati di un coraggio indomito, e lottano contro mostri metallici e draghi sputafuoco a ricarica automatica con il lancio di pietre, pur di lottare. I popolani non si arrendono di fronte al metallo oscuro a forma di “L” e ai draghi sputa-gomma. I popolani sanno di combattere per una causa giusta, per una società migliore, per la quale vale la pena combattere. Sanno anche che il re Ippocrite de Mendacis, è un ignobile bugiardo, interessato solo al suo personale guadagno. I popolani non sono alla guisa dei mercenari al soldo dei potenti, che ancora si ostinano a vantare indegnamente il nome di “possenti cavalieri”. I popolani non temono l’oppressione del re Ippocrite de Mendacis, ché essi sanno che ogni colpo inferto al popolo va ad affilare la lama della ghigliottina. Ascoltatemi, oh gentili spettatori, ché non vi è nulla di più possente di un popolo forte, organizzato, e con una rabbia che sprizza scintille incandescenti dagli occhi di ognuno. Ed il mondo è la nostra polveriera.
Il vostro umile menestrello vi saluta, con un avvertimento: il re Ippocrite de Mendacis è destinato a soccombere, i cavalieroi non sono eterni. Avranno i draghi sputa-gomma e avranno luccicanti armature antiproiettile e avranno il metallo oscuro a forma di “L”, ma hanno anche un’altra cosa: torto. I contadini hanno visto moltissimi raccolti sopravvivere alla grandine, essi sanno che i boccioli sono più forti delle intemperie. I fabbri hanno visto il fuoco e il martello forgiare spade più taglienti dei denti del più feroce dei lupi. I sarti sanno che solo se i fili rimangono uniti possono creare i fazzoletti rossi da legarsi al collo. I popolani sanno. Anche il re Ippocrite de Mendacis sa. E il vostro umilissimo menestrello vi lascerà regalandovi un segreto: ne è terrorizzato.
Compagno Menestrello.pdf