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Quando io e Laura ci lasciammo era una fiorente giornata di primavera, aspettavo da tempo quel momento e pian piano che passava il tempo la mia ansia e la mia pressione salivano, ma in quel momento ero semplicemente vestito comodo che guardavo fuori dalla finestra senza occhiali ciò che seppur vedendo in modo sfuocato era di sicuro un paio di api che svolazzavano da un fiore a un’altro; forse per agitazione o per indecisione non mi accorsi che era già ora di partire per andare da lei; quindi presi i vestiti che avevo preparato la sera prima consapevole che quelli erano i vestiti con i quali io e Laura ci saremmo lasciati. Mi misi in macchina; non sapevo che fare credevo mi avrebbe dato fastidio sentire una qualsiasi canzone, o quanto meno l’avrei percepito come un mancato rispetto alla drammaticità silenziosa della situazione, provando a capire che canzone mettere misi poi a ripetizione ininterrottamente una playlist triste di 5/6 canzoni. Passava il tempo in macchina e via via sentivo sempre meno il profumo che mi ero messo. Arrivai da lei. Un dubbio mi colpi all’istante, Come dovrei salutarla? Un bacio era ovviamente fuori discussione con tutto quello che sapevamo sarebbe successo, un sorriso forse? Non credo, avrebbe fatto intendere che ero allegro; cercai quindi di rallentare il passo per avere più tempo dal cancello dell’ingresso a quello del suo giardino. Arrivato al suo cospetto capii che tutte le mie paure e tutti i miei terrori erano da sciocchi, pensavo a lei come a un mostro potentissimo e pauroso che avrebbe sentenziato e deciso il mio destino, invece davanti a me c’era una ragazza che con un timido mezzo sorriso e un “ciao” detto a bassa voce non solo mi salutava ma affermava che mi vedeva e che dovessi entrare. Risposi anch’io con un “ciao”, non puoi sbagliare se non sei tu a prendere le decisioni. Entrati l’aria in casa faceva amplificare tutto il silenzio che esprimevano i nostri corpi; infatti a differenza del solito non ci eravamo neanche toccati, anche quando inizio a preparare un caffè muovendosi nella cucina per prendere l’occorrente e le tazzine sembravamo (io suppongo lo sembrassi di più) due stunt-man di Hollywood che cercavano di schivare dei proiettili. Quindi ci sedemmo e iniziano a guardarci. Entrambi sapevamo esattamente tutto del discorso che si sarebbe compiuto: tempo, pause e concetti; ma sopratutto sapevamo che era un qualcosa da dover affrontare per forza, non avremmo potuto fare finta di niente (e forse neanche lo volevamo) era come sentire che devi saltare del bunjijumpping perché ormai hai pagato il biglietto e hai detto a tutti che l’avresti fatto, ma nonostante tutto la tua paura lotta con la tua voglia di saltare. Ci guardammo per qualche istante e pensai che da un momento all’altro senza che io potessi sapere con precisone quale tutto sarebbe iniziato e non avrei potuto più fermarlo. Nessuno dei due voleva iniziare; come se chi parlasse per primo perdesse il diritto a essere ricordato come quello “buono”. Con astuzia (probabilmente non voluta) lei mi chiese “mi devi dire qualcosa?” Contrariato ma sopratutto stranito incalzai non facendomi fregare, “in realtà speravo che tu mi dicessi qualcosa” risposi. Lei quindi inizio; fu molto dolce seppur scontata in alcuni punti: mi ripeteva che non era una mia colpa ma un periodo che stava passando, che non era sua intenzione ferirmi e che lo avrebbe fatto con chiunque altro si sarebbe potuto trovare nella mia posizione (questa frase mi ferii ma decisi di non darlo a vedere). Mi volle rassicurare che non lo faceva per andare con qualcun altro ma appunto perché il periodo che stava passando era abbastanza stressante, forse lo disse remora di relazioni di sue amiche con ex che poi venivano pervasi da sentimenti simili alla frustrazione e all’impotenza o forse perché voleva rafforzare i punti che aveva citato prima. Spesso ripeteva che non voleva che io avessi qualche remora nei suo confronti e ripeteva che per lei andava bene anche rimanere in buoni rapporti (il che mi faceva ridere perché sembrava un permesso dato dalla sua altissima misericordia). Mi disse che avrebbe anche voluto propormi una pausa ma le sembrava una cosa ridicola da proporre a me. Ma sopratutto una cosa che mi colpi è che diceva che ogni volta che provava a cambiarmi o che quando era aggressiva con me si sentiva cattiva. Non ho ancora capito se fosse un’accusa a me o una sua ammissione di colpa in quanto non disse scusa ma solo che le dispiaceva esserlo. Finito questo discorso ritornammo al punto di partenza seppure con qualche peso in meno. Eravamo di nuovo seduti in silenzio a non saper che dire e per di più ora avevamo finito anche il caffè, non potevo più nascondere i piccoli spasmi del mio labbro appoggiandolo sulla tazzina e non potevamo neanche più trovare un espediente per parlare. Fu molto generosa e ruppe il silenzio chiedendomi di mia madre; le raccontai di come il lavoro era un po’ sospeso e di come qualcuno aveva avvelenato il suo gatto. Da li iniziammo a parlare delle nostre famiglie amici e tutto ciò che li assomigliasse; più ne parlavamo più mi sembrava che quello fosse l’ultimo bollettino di notizie che avrei avuto, le ultime notizie di persone che conoscevo, ma oltre questo credo che volessimo anche dimostrare bontà tra di noi e interesse per ciò che orbitava nella vita ormai parallela dell’altro. Era come guardare uno spioncino della vita dell’altra persona. Quindi fu un’ora circa di “quindi che scuola farà tua sorella? E invece tuo padre alla dine ha trovato una macchina che li piace? Quindi dove andrai in vacanza con gli amici?”. Passammo in elenco tutte le persone che entrambi conoscevamo per essere sicuri di lasciare un piccolo monito di quella persona all’altro, perché da li a poco sarebbero diventati soltanto conoscenti. Una volta che furono finiti i parenti amici e orami sconosciuti ex compagni di classe il silenzio esprimeva il concetto semplice e basilare (in modo altrettanto semplice e basilare) che il tempo della chiacchierata era finito e che come galeotti nella loro ora d’aria da li a poco saremmo dovuti andarcene anche se non lo volevamo. Prima di farlo però ci tenevo a chiudere il discorso oscurato da tutti quei convenevoli; quindi le dissi che ora era libera e che se avesse trovato qualcun altro la pregavo di essere felice con lui. Lei rise e mi ringrazio ridetti anch’io. Orami avevo teso i muscoli delle gambe adibiti al sedersi o all’alzarsi. Quindi il momento della fine era sempre più concreto man mano che le fibre del mio corpo si contraevano. Alzato presi il cappotto che mi porse lei gentilmente. E con disinvoltura mi accompagno alla porta continuando a ripetere che nel futuro mi avrebbe voluto rivedere, io intanto mi allacciavo le scarpe e ripetevo che di sicuro ci saremmo rivisti. Non so se lo intendesse davvero ma dalla leggera malinconia della sua voce sembrava avesse capito che sarebbe del tutto improbabile il rivederla. Finito di allacciarmi le scarpe un compito simile all’inizio si presento (in forma ben più grave ora visto che da circa mezzora non stavamo più insieme ufficialmente) come avremmo dovuto salutarci? Decisi che era troppo difficile da decidere da solo quindi lo chiesi a lei; e con disinvoltura e dolcezza sorrise come se avessi fatto una delle domande più sciocche che potessi fare ma come ad un bambino che ti fa tenerezza per questo provi solo più affetto. Quindi si avvicino e mi diede un bacio sulla guancia; fu un bacio veramente bello; sanciva tutto l’affetto che avevamo ma allo stesso tempo il fatto che non fosse sulla bocca quello era finito per sempre. Io quindi afferrai il suo bacino mostrando per la prima volta la volontà di avere qualche secondo con lei in quello che in quel momento potevo avere. Fu il primo istante che mi mostrai quanto meno debole, forse sbagliando perché sarebbe stato l’ultimo contatto con lei; quindi ci salutammo con un suo “ci vediamo” fiaccamente speranzoso. Insieme al caffè avevamo bevuto circa un litro d’acqua infatti mi scappava la pipì in modo veramente irritante, ma non potevo chiederle di andare al bagno perché anche se avesse accettato (di sicuro lo avrebbe fatto) mi sarei sentito un eterno stupido. Quindi presi la macchina e me ne andai a Treviso che era distante una decina di minuti. Parcheggiata la macchina feci una corsetta nel bar più vicino che vidi su Google Maps. E una volta fatta anche l’ultima cosa che mi distraeva da quello che era successo era scomparse, pian piano che usciva sentivo che mi rendevo sempre più conto di quello che era successo. Bevetti il mio ginseng preso un paio di minuti prima per avere il permesso ad utilizzare il bagno. E dopo un paio di chiacchiere con una sorridente barista cinese su qualche tipo di Gin e su quanto costassero in giro decisi di passeggiare per la città (il mio scopo originario). Quindi iniziai a camminare ma dopo pochi minuti si era già messo a piovere quindi andai nella prima cosa coperta che vedessi, dunque entrai in una libreria. Nella quale passai più tempo di quanto mi resi conto, osservando libri che io non avrei mai letto e che pensavo non avesse più senso leggerli perché non avrei più avuto nessuno da stupire di come un dislessico li avesse letti e volesse parlartene. Decisi di acquistarne uno per rompere questo pensiero, ma per paura di poi legarlo al ricordo della rottura ne presi più di un paio in modo quasi da frammentare la colpa o il rammentare che mi potessero dare; la commessa mi fece i complimenti perché senza accorgermene avevo speso un centinaio di euro in grandi classici; e mentre prendevo il cellulare per pagare ridendo vidi il messaggio della madre di lei che mi diceva che era dispiaciuta e che le sarei mancato visto che era molto affezionata a me. Tornato a casa cenai con un po di avanzi del girono prima e risposi con cura al messaggio della madre. Provai a leggere un paio di righe di un libro appena comprato ma mi continuava a venire in mente la stessa domanda “perché mi ha lasciato?” D’altronde sono sempre stato un fidanzato modello: mi preoccupavo del suo piacere a letto struggendomi quando non riuscivo, ai suoi compleanni facevo bellissimi regali a lei e alla madre mandavo bouquet di fiori per festeggiare la sua maternità, e quando eravamo fuori non la facevo mai pagare nulla; quindi perché? Perché mi aveva lasciato? Cosa avevo sbagliato? Non capendolo decisi di provare con un’altro libro “Storie di ordinaria follia” di Bukowski e leggendo di Coss mi sembrava ironico leggere di un’altra ragazza bellissima che stava con un ragazzo molto più brutto di lui. Ma il tempo passava e in poco tempo si fecero le ore piccole, per la precisione l’ora piccola essendo l’una. Quindi andai in salone e decisi di brindare da solo con un Jack Daniels al miele. E avendo il computer vicino al mio braccio lo presi per provare a distrarmi ma finii per scrivere ciò che mi ricordavo di come ci eravamo lasciati.
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- autobiografia
- drammatico
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(and 1 più)
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Con te avevo solo intenzioni violente anche quando ero dentro di te era più che altro un'interruzione del tuo corpo decidevo sempre io quando fare sesso
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Come una cavalletta Fermo Fissavo il tuo corpo nudo espandersi La pelle ermetica ai tuoi muscoli Mentre le ossa la tengono in tensione E nel frattempo dell'ego mi riempiva il petto
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Il nostro rapporto era come con un Tamagotchi Avere io la decisione di nutrirti E quello distruttivo di farti una carezza Cambiare il tuo mondo per noia Guardarti senza che tu possa dire niente
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A volte mi fa strano vedere il tuo corpo respirare Quasi mi dimentico che tu sia viva E che sotto la tua pelle scorre del sangue ogni secondo E che i tuoi polmoni si aprono e chiudono ogni volta che respiri Il mio cervello ogni tanto pensa che tu sia una statua
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spero abbia preso un po' più di bellezza rispetto a prima
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Beh grazie mille, ma stai attento perché se dici cosi ne pubblico altre
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intendevo che il cielo nascondendosi dietro i palazzi (quindi guardandolo per esempio in città) il cervello lo compara rendendolo nel cervello molto più grande; comunque hai ragione questa vorrei riscriverla meglio
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si, anche se gli Haiku sono molto complessi da scrivere io vado più di freestyle ahahaha, ma hai ragione il mio punto di vista era simboleggiare qualcosa che nella tua intimità (come nella tua stanza) è presente essendo "esterno" (non come per esempio i mobili) è così presente che diventa una specie di sicurezza
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Beh penso che almeno all'inizio fosse una recensione positiva, comunque qui parlo di una "relazione" che ho avuto quando siamo arrivati al punto che (sopratutto da parte mia) non era più presente nessuna tenerezza e romanticismo quindi l'unica cosa che ci legava, il sesso, era macchiato dalla rabbia
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I miei occhi sono abituati a vederti (nuda) nella mia stanza Ne fai parte come i poster alle pareti
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comete ha cambiato la sua immagine del profilo
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Agli ordini capo, è che era una raccolta, comunque ora mi devi dire quanto le trovi orride <3
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Ti afferro l’intero corpo tenendoti il collo per dimostrarti come ti posseggo Conoscere la densità e il sapore della tua saliva E il tuo respiro tremolante e profondo che mi riempie l’orecchio Mentre il mio sangue della schiena ti macchia le unghie Adoro avere ematomi per colpa tua Afferrarti l’addome quasi stritolandoti i fianchi Sentirti chiedere di farti lividi che poi avrai paura di far scoprire E darti colpi forti come picchiarti