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Dopo un po' di latitanza sono tornato... grazie BladeRunner, condivido le tue osservazioni, "pendantemente" precise (LoL) e sono d'accordo sul fatto che la frase riscritta scorre meglio. Ne terrò conto. A Scrittoremanontroppo invece un apprezzamento: hai buon gusto! Battute a parte è stato uno sfogo più che un racconto, se non si era capito, e come tale avrebbe avuto bisogno di qualche tempo per sedimentare e magari sarebbe uscito meglio. Comunque per una cosa scritta di getto (o quasi) pensavo peggio... Se cerchi nel forum ne trovi altri tre o quattro... in quei giorni avevo un po' di tempo e ne ho approfittato. Tempo che purtroppo ora trovo quasi più... e ovviamente proprio quando mi sarebbe venuta una bella idea per un romanzo. Accidenti!
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Ho pubblicato con loro nel "lontano" 2019. Devo subito dire che hanno una coda di stampa piuttosto lunga, o perlomeno l'avevano in quegli anni, per cui dall'invio del manoscritto alla loro valutazione positiva sono trascorsi un paio di mesi e poi dall'ok alla stampa quasi 2 anni. Mi è stato detto fin da subito quindi da parte loro totale correttezza, e io ho accettato sapendo bene che il mio romanzo sarebbe uscito dopo tutto quel tempo, comunque puntualissimi rispetto ai tempi preannunciati all'inizio. Il contratto è standard per una prima opera, di sicuro non ci si arricchisce, ma Il Ciliegio ha due valori aggiunti: 1) la copertina professionale, creata da uno studio grafico che mi aveva sottoposto un paio di bozze dopo che il grafico si era pure preso l'impegno di leggere il manoscritto per capire come impostarle (alla fine ha partorito una terza bozza secondo le mie osservazioni); 2) l'editing professionale, da parte di uno studio e un'editor professionista con la quale ho avuto un bellissimo rapporto che ha portato alla fine a un prodotto che mi ha pienamente soddisfatto: stampa perfetta, nessun refuso, ottima qualità. La promozione, considerando che il libro è uscito alla vigilia della bufera "Covid", è stata quel che è stata, così mi sono arrangiato sui social senza aver mai fatto una vera presentazione dal vivo, comunque la CE so che fornisce supporto laddove si volessero fare, o almeno così mi era stato detto. Allo stand del Salone di Torino 2019 però è andata molto bene, con tutte le copie che si erano portati che si sono esaurite nei primi due giorni. I titolari sono due persone fantastiche, che amano ciò che fanno e cercano di farlo al meglio, per cui se proprio devo trovare un difetto posso solo dire che le grandi CE soffocano il mercato, quindi ai piccoli restano poche speranze. La gente legge poco e male, soprattutto nomi già affermati, blogger analfabeti, libri stranieri, e se non appartenete a queste categorie lasciate perdere se sperate nel successo, ma se invece pubblicate per soddisfazione e vorreste che il vostro libro fosse prodotto con cura, allora Il Ciliegio fa per voi a condizione che il manoscritto rientri nelle sue linee editoriali (libri per bambini/ragazzi, gialli anche se un po' strani come il mio ecc.). Ma soprattutto se non avete fretta. Secondo me ne vale la pena, non vi costerà nulla, e tra copertina e editing la CE ci investe pure dei soldi, ma la scelta è vostra.
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Grazie Blade. Premesso che hai colto nel segno ("Si vede che è scritto di getto"), perché non ci perdo tempo sui racconti brevi, anche se ammetto che questo è un mio difetto, si trattava precisamente di un'idea "in nuce" per qualcosa di più lungo (e personale) che ho intenzione di sviluppare quando avrò finito il romanzo su cui sto lavorando ora... e se continuo con gli stessi ritmi direi che se ne parla in una prossima vita. Sugli 8 minuti e rotti (veramente doveva essere quello il titolo) è un po' una pignoleria... so bene quale sia il tempo esatto ma scrivere 8'19" mi sembra un po' come le offerte dei supermercati a 7.99 e quindi ho preferito arrotondare, anche perchè suonava meglio, perlomeno nella mia testa. Idem per la precisazione "tecnica" rispetto allo scoppio della nostra stella. Pignoleria per pignoleria, se una razza aliena lo bombardasse potrebbe esplodere mentre ci stiamo crogiolando sulla spiaggia, senza aspettare necessariamente 4 o 5 miliardi di anni. Hai detto, giustamente, "passaggio poetico"... se avessi voluto fare un trattato di astrofisica temo non sarei riuscito a farcelo stare in poche parole e soprattutto mi sarei addormentato scrivendolo. Si tratta di un'immagine, come un po' tutto il racconto, una metafora della vita. Stesso discorso per la luna che, ovviamente, non viene verso di noi ma essendo l'immagine del romanticismo ho volutamente scritto questa "imprecisione astrofisica" per significare che, appunto, NON è la luna a venire verso di noi ma la sua luce, tuttavia noi ci illudiamo che sia lei ad avvicinarsi... forse non sono riuscito a trasmettere questa immagine, quindi dovrò lavorarci se non è così immediata. "Sono simulacri dell’amore che ispirano: brillante e caldo (l'amore che ispirano), ma forse già morto da tempo (l'amore che ispirano), per ragioni a noi sconosciute, al di fuori di ogni nostro possibile controllo e volontà, spesso distanti (controllo e volontà) persino dalla nostra immaginazione." Non ci vedo questa confusione, e la ripetizione avrebbe allungato troppo a mio giudizio. Ammetto comunque che l'ultima frase possa essere considerata "imprecisa" e necessiterebbe di qualche aggiustamento per renderla più chiara. Sulla virgola non concordo, perché è un "soliloquio" abbastanza sciolto e potrebbe essere sostituita da una "e" congiunzione ma perderebbe il ritmo che volevo (oltre ad essercene un'altra poco dopo che a questo punto avrei dovuto togliere). Forse un punto e virgola dopo "meglio" avrebbe reso più corretto il ritmo, oppure la costruzione che hai proposto tu che effettivamente suona bene. Sull'imperfetto perchè si collega alla frase precedente e secondo consecutio non sarebbe stato corretto un tempo diverso, soprattutto perché l'azione "seppur definita" è qualcosa che trasmette ancora effetti nel presente, che poi è il succo del mio ragionamento alla base del racconto. Usare un tempo diverso (passato) sarebbe suonato più o meno "Quante famiglie... , mentre uno o entrambi gli amanti si crogiolavano nell’illusione... ci fosse ancora.... Tornando a casa per trovare il tuo amore trovasti(?) un biglietto, quando non qualcun altro nel letto, e improvvisamente quella luce che fino a poco fa illuminò (?) il tuo cammino si trasformò (?) in un luccichio di morte...". Scusa ma così è orribile e poi denota azione fatta e conclusa, senza strascichi... mentre invece "a quel punto tutto implode". Ovviamente non difendo l'indifendibile, da un punto di vista prettamente tecnico/grammaticale hai ragione, ma a me piace anche giocare un po' con le regole (non stravolgerle, ma spingerle al limite proprio perché, immodestamente, credo di conoscerle abbastanza bene). Non tutti gli esperimenti ovviamente riescono bene, soprattutto se non ci si lavora sopra adeguatamente (e ammetto di non averlo fatto), per cui senz'altro proverò a rivedere le cose dal tuo punto di vista decisamente molto più distaccato e quindi tecnico rispetto al furore che mi ha fatto scrivere quel testo in quel modo. Ma ci sta... qualche maestro (mi pare Frescaroli ma non ne sono certo) affermava che un buon testo andrebbe scritto, poi riposto in un cassetto e lasciato raffreddare, e solo dopo epurarlo di ogni emozione, così che possa essere letto anche con distacco. Ne parlava a proposito dei Promessi Sposi mi pare (episodio sulla morte di Don Rodrigo e poco dopo su quello della madre che consegna la figlia ai monatti), ma io non sono Alessandro Manzoni e neppure gli somiglio (anche se lo adoro)... e quando scrivo di getto a volte rido, a volte piango, a volte semplicemente mi sfogo. Uso la scrittura per questo, ecco perché ho pubblicato solo una volta e l'ho fatto per sfida, perché scrivere mi fa risparmiare un sacco di soldi di analisi. Però hai ragione, pubblicando lavori incompleti o comunque non scritti al meglio delle mie possibilità (che puoi credermi o meno ma sono certamente superiori a quello che hai letto qui), non é corretto e, rispettoso nei confronti di chi legge. Forse per questo non ho più pubblicato nulla e sono tornato alla mia "autoanalisi" romanzata. Grazie comunque per il tempo che hai speso per leggermi e scrivere il commento; anche se può sembrare che non lo abbia apprezzato, non è affatto così. Ho provato a spiegarti le mie ragioni, ma implicitamente questo testimonia solo che non ho raggiunto l'obiettivo di trasmettere il mio pensiero chiaramente. Per cui terrò presente ogni tua osservazione per il futuro.
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Mi ripeto: avercene di lettori come te! Un paio di puntualizzazioni, perché in linea di massima credo tu abbia ragione, ma dietro alcune scelte c'è un ragionamento. Come nel caso di "Amore", volutamente maiuscolo. Intendo quello idealizzato, quello "non da tutti ma io ce l'ho...". Quello in un certo modo adolescenziale e assoluto, che quando crolla (e crolla sempre) lascia ferite profonde. Altro appunto (corretto) sulla consecutio: ho volutamente usato quel tempo perché non è una "dubitativa" ma una certezza (almeno dal pdv del protagonista... ehm...) Sulla rilettura già ti ho detto. Preciso però che il romanzo, per esempio, è rimasto nel mio PC per circa 8 anni, comprese ovviamente le pause di maturazione, e ha avuto altrettante stesure, riletture, modifiche e continui aggiustamenti. Con l'editor della CE ho avuto una accesa discussione su un punto, dove paragonavo domare un cavallo con il gestire una donna, ma lei, evidentemente da donna, non riusciva a digerirlo. A parte questo e un paio (ma giuro un paio di numero perché avevo ripulito con word...) di eufoniche, non ha quasi messo mano al testo ritenendolo a posto. Va detto che lo avevo mandato (ehm... contemporaneamente) a 10 CE, e ho ricevuto altrettante proposte, ma lo avevo fatto per scommessa, per ripicca, non perché lo ritenessi pronto. E se lo riprendessi in mano oggi lo modificherei ancora... ecco perché non mi perdo in troppe riletture quando pubblico sul forum, e sia dannato per questo!, ma se non facessi così non pubblicherei nulla, come infatti da un po' di tempo a questa parte sta succedendo. Il che però non significa che non stia continuando a scrivere, anzi! (N.d.R. quando scrivo in modo colloquiale non esagero solo con le eufoniche ma anche con puntini, parentesi, virgolette e punti esclamativi. Lo so... ma sto "parlando" con te, non ti sto scrivendo) Per il resto ti ringrazio per l'apprezzamento. Racconto scritto di getto, come base per un romanzo per ora abbozzato soltanto. Volevo giocare su questo "tempo", e il protagonista non è certamente un vampiro, anche se scrivo spesso di questi esseri, ma un uomo deluso e incavolato che decide di vendicarsi "depredando" le donne, succhiando loro la vita per annientarle e trasformarle in esseri cupi come lui. Per chiarire basta aggiungere che l'ho scritto pensando a una donna, la madre delle mie figlie, che ora ha infoltito la schiera delle "ex" dopo che per 20 anni e passa mi ero illuso che fosse quella giusta. Da qui la cattiveria che credo un pochino traspaia. In realtà sono un tenero cucciolotto, ma come i gremlins quando prendo acqua divento terribile... poi torno ad essere come prima. Quando ho scritto quel racconto aveva piovuto molto, ero caduto nel fiume e mi avevano asciugato con una secchiata d'acqua gelida... Come già detto confermo: grazie Freedom!
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Sempre d'accordo, ma in realtà gli indizi c'erano eccome... Se il focus (pdv) era sul "don" mafioso, proprio citare "il prete" che si avviava verso l'altare, e l'omelia sul fondamentalismo non è obbligatoriamente attribuito al "don" esplosivo... il mio gioco era proprio lì: portare a pensare che il "don" e il prete fossero la stessa persona (ma evidentemente non lo erano). Quindi il mafioso si attarda davanti alla chiesa, il don entra alla messa celebrata dal "prete", e poi si fa saltare in aria (tra i banchi, non dal pulpito). Quella doveva (nelle mie intenzioni) essere la chiave di volta che avrebbe dovuto suggerire la lettura in modo diverso, appunto dividendo le figure del prete e del don... Ammetto che a volte sono un po' cervellotico, ma credimi che questa è una dei parti della mia testa meno "complicati". Ne ho fatti, ahimè!, di peggiori. Alcuni così complicati che scrivendo mi ci perdevo pure io... (e chi ha letto La chiave di smeraldo forse alla fine ha capito di cosa parlo). Però in quel caso mi è stato detto: "Cavolo, avevamo la soluzione davanti agli occhi per tutto il tempo..." (ma l'ho nascosta bene in piena luce. Come un buon mafioso...)
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Innanzitutto grazie per l'approfondita e interessante analisi. Ammetto, mea culpa, che ci hai azzeccato su molti miei "difetti", in primo luogo le eufoniche. Forse dipendono dalla mia passione per la letteratura ottocentesca, che ormai mi è entrata nelle orecchie, o forse perché ho il vezzo di usarle anche se so che sono ormai desuete (un po' come "lo lievito", ben sapendo che si usa "il" ma personalmente mi suona male! Siamo tutti un po' matti a modo nostro, e finchè non si fa del male...). Ciò detto resta comunque il fatto che hai ragione, ed infatti è stata in pratica l'unica cosa significativa che mi aveva corretto l'editor quando ho pubblicato il mio primo romanzo. Altra colpa che ammetto è la fretta... quando scrivo lo faccio di getto, e se poi si tratta di racconti brevi non ci perdo molto tempo a rimestare per 4000 parole. So che sembra brutto ed è quasi una mancanza di rispetto per chi legge, ma se dovessi rileggere e correggere finirebbe che non pubblico nulla, perché mai nulla mi soddisfa appieno. Ci metto cura e attenzione solo se vedo che la bozza ha avuto un certo successo, allora ci torno su e ci lavoro, ma se passa rapidamente nell'oblio generale lascio perdere e passo oltre. Ovviamente un testo così breve non mi permetteva di fare gli approfondimenti che suggerisci, anche se effettivamente utilizzando alcuni degli accorgimenti che mi hai proposto avrei risparmiato qualche parola. Tu sei un giornalista vedo, e quindi è naturale che ami la "verità" del racconto, ma io vivo nel fantasy e in un mondo più onirico e uso la realtà come traccia ma non come gabbia. Concordo quindi pienamente sulle valutazioni riguardanti la mafia e le sue regole, ma la "mia" era una provocazione innanzitutto: come affronteremmo la questione di un attentatore suicida nostrano invece che musulmano? Ho provato a condensare in poche parole un tema complesso e un'idea che mi pareva "divertente" (almeno dal mio punto di vista), non avevo pretese particolari di realismo, ma certamente alla luce del tuo commento direi che non ho raggiunto lo scopo (a parte il divertirmi a scriverlo). Nella tua analisi del testo, che condivido quasi del tutto, ci sono però un paio di questioni che non posso sposare perché evidentemente in contrasto con il mio intento e con il senso del mio racconto (soprattutto in relazione alla "sorpresa" finale). Ecco quindi che non potrei mai scrivere "Come tutte le mattine, Don Gaetano si alzò per celebrare messa" oppure "indossò l'abito sacerdotale" perchè non indossava alcun abito sacerdotale, non è un prete ma un mafioso. Se quindi lo avessi fatto vestire da prete ovviamente sarebbe venuto meno il senso finale. Ho giocato con il "don" mafioso Vs. "don" sacerdotale, utilizzando il malinteso per ingannare chi legge e portarlo a pensare che fosse un prete (e direi che un po' ci sono riuscito, visto il tuo commento). Ma tutte le varie correzioni riguardanti pensieri o comportamenti del "don" mafioso li ho volutamente tenuti in bilico, anche se ammetto fosse possibile scriverli meglio e con minor spreco di parole. Se vogliamo il "don" mafioso è stato frutto proprio dell'idea che hai scritto tu, quella che mi ha fatto scattare la scintilla per il racconto: il controsenso dell'ortodossia cattolica dei mafiosi, che da un lato pregano la Madonna (o la Santa di turno) e dall'altra sciolgono i bambini nell'acido. Ci vedevo un parallelismo con i musulmani che predicano la pace e poi tagliano le teste o si fanno saltare in aria. Non saprei come "approfondire" di più un argomento che fortunatamente non conosco, infatti ho lavorato per anni sulle sette sataniche e conoscevo bene la storia della mia città (Torino) per cui di quello ho parlato nel mio romanzo, potendo in quel caso davvero approfondire. Ma sulle regole mafiose so quello che si legge sui libri o sui giornali, quindi poco o nulla. Sugli altri appunti invece concordo, e quasi mi verrebbe da scusarmi per averlo pubblicato di getto senza troppa cura. So scrivere meglio, questo mi rincuora, ma ci devo passare tempo, troppo tempo, e purtroppo non sempre ne ho a disposizione. Anzi quasi mai. Mi sarebbe piaciuto intraprendere un lavoro come il tuo, amando tanto la scrittura, ma la vita mi ha portato a scrivere altro, in cui poco posso metterci di passione, anche se da un punto di vista approfondimento "investigativo" probabilmente siamo pari. Spero sinceramente che tu vada a cercare gli altri miei obbrobri scritti in questo forum e abbia voglia di dedicare loro la stessa attenzione, la considererei preziosa. Grazie ancora Freedom. Mi auguro di leggere presto un altro tuo commento. Stefano
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Innanzitutto "Bella Zio!"... ehm, scusa, volevo dire "Grazie Zio!", mi hai fatto riflettere su alcuni aspetti non secondari del mio modo di scrivere. Potrei dire che è stato scritto "di getto", riletto poco e pubblicato in un attimo di vena (e di tempo), ma resta il fatto che ciò che dici è fondamentalmente vero sul mio "stile" e ci devo lavorare su. Ovviamente se avessi revisionato opportunamente tutto molto di ciò che hai rilevato sarebbe sparito (perlomeno quando scrivo "seriamente" succede, anche a detta del mio editor), ma la retorica di getto è una brutta bestia per me, le immagini mi vengono ma solo dopo revisioni su revisioni. Mi si sbloccano tardi e normalmente nelle prime stesure sono orribilmente banale. Non condivido però il discorso finale sull'approfondimento, perché nella brevità del racconto non ci potrebbe stare se non rubando troppe parole al racconto. Ammetto che mi hai fatto girare le scatole al pensiero che le frasi che hai suggerito sarebbero state oltretutto più brevi ed efficaci... mea culpa. Grazie ancora.
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La caccia (racconto a capitolo unico di 9000 caratteri)
Steve666 ha risposto a Steve666 nella discussione Racconti a capitoli
"I brevissimi", che hanno come limite i 10000 caratteri!... a me risultano 5000. Io normalmente nei racconti cerco sempre di stare entro quel limite, ma qui devo tagliare parecchio per rientrare nei 5000, per cui se i tagli vanno oltre il limite di tolleranza per non perdere la storia, allora avevo pensato di metterli qui... Anche se ammetto che avevo il dubbio che potesse essere una forzatura. -
@Patrizia D'Errico Innanzitutto grazie per il feedback. Sul pane non ben lievitato posso concordare, ma ti ricordo che è un raccontino di 4000 caratteri, quindi se avessi aggiunto lievito sarebbe necessariamente stato superiore ai 5000 massimi per questa sezione (anche se non ho capito, altrove mi dicono che il limite sia 10000, quindi non ci capisco più nulla!). Refusi e sviste derivano dai tagli che ho fatto e le continue riletture: abitualmente scrivo i racconti in word, poi quando ho una versione più o meno soddifacente copio incollo qui e rileggo ancora una volta. Errore, perché correggo nuovamente qualcosa e alla fine succede il macello! L'eufonica è una mia pecca, anche nel romanzo in pratica è stata la parte più dura da correggere (leggo molto romanzi ottocenteschi e in quelli le regole erano un po' diverse). So bene come funziona, e non è una scelta stilistica ma proprio un errore, anche se qualche volta me ne scappa qualcuna. Grazie ancora, e attendo volentieri i tuoi riscontri anche sugli altri racconti.
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Don Gaetano come tutte le mattine si alzò per la messa. Si sbarbò, si vestì con il suo completo nero, preparò quelli che chiamava “gli attrezzi” e li mise nella sua borsa di cuoio nero. Poi si avviò verso la chiesa. Quando si trovò fuori dal portone della piccola chiesa parrocchiale notò sul sagrato alcuni bambini giocare. Si avvicinò a loro e con i suoi consueti modi un po’ burberi ed un po’ affettuosi li invitò tutti ad entrare per ascoltare insieme la parola del Signore. La funzione domenicale era la più lunga ed iniziava alle 11.00. C’era tutto il quartiere e lui restò nei pressi della porta osservando i fedeli entrare. Le anziane comari si sistemarono in prima fila, mentre i loro mariti, per quelle che ancora l’avevano, si andarono a sedere verso il fondo, sulle ultime panche. Le famigliole si sedettero in modo ordinato, riempiendo le file secondo un sistema che ormai conosceva a memoria: avrebbe persino potuto disegnare lo schema con cui le varie file si sarebbero via via riempite. Quando ormai fu chiaro che erano arrivati tutti e la funzione stava per cominciare, calò il silenzio. Due giovani ragazze ed un giovanotto della stessa età entrarono a passo svelto facendo rimbombare i loro passi. Cercarono di sedersi il più in fretta possibile quando si accorsero di essere al centro dell’attenzione di tutti i fedeli girati a guardarli. L’organo iniziò a suonare ed il prete si avviò verso l’altare. Il coro delle giovani prese a cantare una canzone di gioia e di speranza, che fece allargare il cuore all’anziano parroco, particolarmente oppresso dai fatti degli ultimi giorni. La sua benedizione iniziale, infatti, la rivolse subito verso le vittime delle stragi dei giorni precedenti: vittime di attentati perpetrati nel nome di un Dio che non aveva certo mai ordinato tali azioni, e che anzi gridavano vendetta al suo cospetto. La funzione proseguì normalmente e solo al momento dell’omelia il prete ritornò sul tema del fondamentalismo religioso, che fosse islamico o cristiano, e sugli omicidi commessi nel nome di un dio crudele e spietato, che avrebbe condannato all’Inferno chi li avesse compiuti. Poi però, dopo un attimo di silenzio per sottolineare le sue ultime parole, riprese a parlare di Amore, di speranza, di pace, e di tutti quegli argomenti che sapeva ben usare per sollevare i cuori dei suoi parrocchiani. Vedendo i loro visi spaventati pensò provòa rassicurarli: “Nessuno potrà mai alzare la sua mano contro la casa del Signore perché Egli non lo consentirà!” esclamò con ardore alla fine dell’omelia. Poi restò immobile per qualche istante, in silenzio e con il dito puntato verso il cielo, osservando i fedeli ammutoliti. Don Gaetano osservò compiaciuto tutti quanti: come erano belli, e come si sentiva bene in mezzo a loro, consapevole di accompagnarli sulla via della santità verso il Paradiso. La predica era stata particolarmente ispirata, e nei suoi occhi si vedeva chiaramente la scintilla divina. Se la scintilla ci sia stata lo dovranno accertare i periti, ma quello che è certo è che un uomo, identificato come Gaetano Miccichè, noto nell’ambiente mafioso con il soprannome di “don Gaetano”, si è fatto esplodere nella terza fila di destra, accanto all’organo, causando una vera e propria strage di fedeli. L’uomo al termine dell’omelia si è alzato in piedi ed urlando “Dio è grande!” ha attivato una carica che presumibilmente deteneva in una borsa di pelle accanto a sé. Esclusa la matrice islamica, sono ancora ignote le cause del folle gesto, forse attribuibile a una nuova strategia della tensione.
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Carlotta stava singhiozzando in silenzio, seduta composta al suo banco. Un gocciolone scese lungo la guancia destra, e con un fazzolettino di carta l'asciugò. - Perchè piangi? - la voce del suo compagno di banco la fece voltare. - Perchè mamma e papà litigano sempre e si dicono tante brutte parole - disse, ma non riuscì a terminare la frase. Un groppo alla gola sembrò soffocarla. - Anche i miei litigano sempre - rispose Luca sorridendo - Ma poi vedo che dopo un po' si danno i bacini e fanno pace - - Mio papino invece no. Quando litiga con mamma poi va via e non torna per tanti giorni - disse Carlotta, soffocando un altro singhiozzo. - E quando va via lui a casa non mangiamo più le cose buone e mamma prende le pizze - - Come non mangiate più? Tuo papà è un cuoco! - rispose sorpreso Luca - Mia mamma fa le torte buonissime. Meglio del tuo papà! -. - Papone fa il cuoco in televisione - Carlotta sorrise orgogliosa - Tutti dicono che è il più grande cuoco dell'Universo e ha tante stelle come il cielo - - E allora perchè tua mamma non ti fa da mangiare? - chiese il compagno. - Mamma non sa cucinare. Ha sempre fatto papà le cose buone e mamma si arrabbiava e allora non fa niente e quando siamo sole e viene zio Giovanni facciamo arrivare la pizza. Qualche volta invece papone lascia le cosine buone che mi piacciono tanto in frigorifero - - Zio Giovanni? - Domandò incuriosito Luca - E' il fratello di tua mamma o di tuo papà? - - Papà non vuole che lo chiamo zio, e si arrabbia. Ma anche mamma si arrabbia se non lo chiamo zio perchè dice che lui mi vuole bene come se fosse uno zio vero - Carlotta rimase in silenzio qualche secondo, pensierosa. - Però papino dice tante cose brutte su zio Giovanni perchè dice che mamma gli vuole troppo bene e che io devo non devo volergli bene perchè io sono la sua principessa. Così io lo odio zio Giovanni - - Perchè lo odi? - chiese Luca incuriosito. - Perchè quando c'è lui mamma non mi guarda più e pensa solo a stare con lo zio, e si chiudono in camera di mamma e papà perchè devono parlare tanto, e io sto sempre sola nella mia cameretta tutto il giorno e mi annoio - - E tuo papà? - domandò ancora Luca. - Quando torna litigano tanto lui e mamma se papino si accorge che c'è stato zio Giovanni - gli occhi tornarono a gonfiarsi per le lacrime - E l'altro ieri papà ha dato uno schiaffo a mamma, che lei è caduta per terra e gli ha urlato un sacco di brutte parole e gli ha detto che poi andava dalla polizia e lo faceva portare in prigione dai carabinieri. Io non voglio che papino vada in prigione! - - E tu? - chiese premuroso Luca, prendendole la mano per farle coraggio. - Io piangevo perchè lo vedo poco il mio papino, e se lui va in prigione poi non lo vedo più e così zio Giovanni viene tutti i giorni e io non voglio perchè mamma poi sta sempre con lui - - Ma non è vero - cercò di rassicurarla Luca - Poi vedrai che faranno pace e si daranno i bacini come mio papà e mia mamma - - Mamma e papino non si danno i baci - rispose pensierosa Carlotta. - Però una volta quando facevo finta di dormire ho visto che zio Giovanni ne ha dato uno lungo a mamma, che rideva e gli diceva di smetterla. Ma rideva tanto e poi facevano strani rumori tutti e due - - E adesso dov'è tuo papà? - domandò Luca. - Papà è andato via da ieri pomeriggio, forse è andato in televisione a insegnare a fare le cose buone - rispose Carlotta - Che bello, allora ieri hai mangiato la pizza! Io non la mangio mai perchè mia mamma non la compra - commentò Luca con una punta di invidia nella voce. - No - Carlotta sorrise felice - Prima di andare via papà mi ha fatto le lasagne che mi piacciono tanto e sono il piatto che mi piace più di tutto il mondo. E poi ha fatto anche il suo risotto speciale, quello buonissimo che tutti dicono che è il più buono dell’Universo. Persino mamma lo dice che il risotto è il suo piatto preferito e ne mangerebbe un camion intero - - Da quando mangi il riso? - commentò Luca - Quando siamo in mensa non lo mangi mai perchè dici che ti fa schifo e ti fa venire tutti i puntini rossi in faccia - - Lo hanno mangiato tutto mamma e zio Giovanni - rispose Carlotta - E ridevano dicendo che papino era bravo solo a fare il risotto! - - E come mai stamattina sei venuta da sola a scuola? - domandò Luca. - No, stamattina mamma dormiva e non ha sentito la sveglia. C'era anche zio Giovanni e dormivano abbracciati e non si è svegliato neanche lui e io avevo paura che si svegliavano perchè mamma mi sgrida come quella volta che sono entrata in camera e ho visto zio Giovanni che faceva fare ginnastica a mamma - - E allora? - domandò Luca. - Ho chiamato papino - rispose Carlotta con un sorriso - E lui mi ha detto di fare piano e non disturbarli, che sarebbe venuto lui a prendermi con la macchina grande e nera che mi piace tanto - Quando Alphonse Renoir entrò nello studio televisivo con il codazzo di aiutanti, la sua giacca bianca con il nome ricamato in oro ed il cappello che lo faceva sembrare più alto, calò il silenzio. Lo chef Alphonse, cinque stelle Michelin, era il re della cucina e lo sapeva. - Quanto è fico! - commentò l'assistente della bellissima presentatrice. - Niente da fare - rispose la bellissima con una punta amara nella voce - Bello ma fedelissimo alla moglie e mi ha detto che se io sono stata solo miss Mondo, ma lui è già fidanzato con la più bella donna del mondo - - Ma stava parlando di Carlotta, sua figlia! - rise l'assistente - Per quella bambina farebbe di tutto. Un uomo così non si meritava quella puttana di moglie! - Tutto era pronto, e la presentatrice sorrise verso la telecamera: - Buongiorno a tutti - esordì - Oggi lo chef Renoir ci svelerà il segreto della ricetta che lo ha reso famoso - Fece una pausa e si avvicinò allo chef gonfiando il petto per cercare di sembrare ancora più slanciata, decisa ad impressionarlo con la sua linea perfetta. - Allora chef - riprese con un sorriso che mise in luce la sua bocca sensuale - Oggi ci insegnerà la ricetta del suo famoso risotto Alphonse tartufi e funghi? - - Certamente - rispose lui - Ho già preparato gli ingredienti, e ricordo che per questo piatto devono essere tutti freschissimi, soprattutto i funghi - - Mi raccomando fate sempre controllare i funghi - intervenne la conduttrice - Ci sono degli uffici apposta ed è importante perchè ogni anno muoiono centinaia di persone per non aver fatto questo controllo - - Certamente - commentò Alphonse iniziando a cucinare - E soprattutto in piatti così elaborati ci sarebbe il rischio di non percepire neppure l'amarognolo tipico dei funghi mortali. Basterebbe una sola Amanita Phalloide, una sola, per uccidere un'intera famiglia - Finita la preparazione lo impiattò e lo presentò con orgoglio alle telecamere. La bellissima presentatrice ne assaggiò un pochino portando la forchetta alle labbra in modo molto provocante, fissando intensamente Alphonse negli occhi. - Mi piace da morire - sussurrò con un tono che non lasciava spazio a dubbi. - Ti credo. E non sei l'unica... - Alphonse rise in modo sinistro, quasi diabolico - E potrei farti provare in esclusiva le altre mie specialità - La ragazza arrossì violentemente nonostante il trucco e sentì le gambe vacillare sugli altissimi tacchi. Finalmente lui l'aveva notata, avrebbe cucinato solo per lei, e lei in cambio avrebbe organizzato un dopocena speciale per farlo impazzire, così che anche lui potesse apprezzare le sue di specialità, come il piatto che l'aveva reso famoso. Il piatto che l'aveva reso libero.
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La caccia (racconto a capitolo unico di 9000 caratteri)
Steve666 ha risposto a Steve666 nella discussione Racconti a capitoli
Innanzitutto ringrazio @Clara Battiston per gli utili feedback e segnalazioni. Ammetto che quando scrivo di solito tendo a rileggere cento volte, e correggere 101, quindi l'ultima lascia sempre qualche imprecisione determinata dai tagli e dalle modifiche. Concordo su tutti i punti, per cui... grazie! Ti assumo come editor personale (ovviamente "aggratis" come nello spirito del forum :-D ) Scrivo per diletto, da sempre, quindi non c'è pericolo che smetta. Anche se non amo pubblicizzare quello che scrivo. Ho pubblicato per scommessa e non per "voglia", per cui ormai non c'è neppure più pericolo che si possano trovare altri miei libri nelle librerie. Qui mi piace ogni tanto sottoporre qualcosa che ho scritto, spesso di getto, giusto per vedere l'effetto che fa. Grazie ancora quindi, e se riesci fammi sapere cosa pensi delle altre due "brevissime" (ti pagherò un caffè se passi da Brescia). @PierpaoloR Grazie per il tuo commento, anche se ovviamente non lo condivido. Fa parte del mio stile quando scrivo testi brevi rivolgermi in qualche modo al lettore: lo trovo più coinvolgente, lo "trascina" nella storia. Comprendo come questo modo di scrivere possa esserti antipatico, anche a me certi modi di scrivere non piacciono per principio, ma dissento sul pensiero di Flaubert, che amo come scrittore anche se ovviamente è un po' datato. Premesso che non mi paragonerei mai a "dio" (minuscolo), e il mio nick dovrebbe suggerirlo e il brevissimo "il cucciolo" potrebbe spiegarlo meglio, in un racconto voglio ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, e questa tecnica narrativa me lo consente. Ci sono racconti epistolari anche nel periodo di Flaubert che di fatto usano tecniche simili (non li amo particolarmente, ma ci sono!), e raccontare in terza persona non mi coinvolge come scrittore, figurarsi come lettore. Nel mio romanzo ci sono due storie che si intersecano, quella contemporanea, raccontata in prima persona, e quella ambientata nel 1600 che è raccontata in terza. Tra le due quella che mi ha visto più coinvolto è stata quella in prima persona, però a parere di tutti la più appassionante è stata l'altra, quindi... forse hai ragione tu. Ma dato che scrivo per piacere mio e non per piacere agli altri, temo che pur dandoti ragione continuerò a sbagliare a modo mio. Ma spero che tu mi legga lo stesso... -
La caccia (racconto a capitolo unico di 9000 caratteri)
Steve666 ha pubblicato una discussione in Racconti a capitoli
Il mondo non è mai quello che sembra. Quante volte vi siete sentiti ripetere questa frase? Ebbene è la verità. Quello che vedete, che vi sembra di vedere, non è reale; si tratta di un velo che cela l'ombra dietro di sè. Vi sentite al sicuro, credete di avere il controllo, ma non è così, perché dietro il velo ci sono quelli come me, e siamo in tanti. Siamo in mezzo a voi, perfettamente mimetizzati, e siamo pronti a colpirvi in ogni momento, saltarvi addosso per succhiarvi ogni alito di vita. Non ci potete vedere ma siamo qui, ed aspettiamo l'occasione buona per prosciugarvi, per sacrificare la vostra vita sull'altare dei nostri padroni. Lo facciamo per sopravvivere, per il nostro status ma anche, talvolta, per puro piacere. Vampiri, sanguisughe, incubi, sono questi i nomi con cui ci avete chiamato da sempre, ma nessuno di voi conosce il nostro vero nome. Preferite chiamarci così, senza curarvi di sapere chi siamo veramente, “cosa” siamo veramente. Noi invece sappiamo tutto di voi, delle vostre vite, ogni più insignificante particolare noi lo possiamo percepire, perché abbiamo il Potere, sappiamo svelare i vostri più intimi segreti e li usiamo contro di voi. Potete fingere di essere qualcun altro, ma non ci potete sfuggire. Potete nascondervi, ma non sarete mai davvero al sicuro perché sappiamo come trovarvi, non riuscirete mai a sfuggirci se vi abbiamo scelto come preda. Non vi lasceremo scampo, inizieremo seguirvi da lontano, nascosti nel buio, per osservarvi e carpire ogni informazione possibile, le vostre abitudini, le vostre manie, i vostri vizi. E poi le useremo per ghermirvi. Sapere tutto di voi renderà la caccia più dolce e stuzzicante, scoprire i vostri segreti, le cose che nessuno sa di voi, ci permetterà di stendervi intorno una rete dalla quale non potrete fuggire, e come ragni vi avvolgeremo in un bozzolo fatto di sottili fili invisibili ma forti come l’acciaio, da cui non potrete evadere e che potremo usare per potervi succhiare via con calma la vita, fino a che non sarete svuotati ed esangui, inutili, e come rifiuti vi abbandoneremo per la strada. Non ci credete? Fate come volete, anzi è meglio se siete convinti che la mia sia una storia irreale, abbiamo sempre contato molto su questo scettiscismo per ottimizzare la caccia. E come vi ho detto dalla caccia dipende la nostra sopravvivenza. La nostra, appunto. "Guarda quell'uomo laggiù!” ricordo mi disse la prima volta il mio mentore, il mio Sire. Eravamo nascosti dietro alla siepe da oltre due ore, nel buio, e la sua voce che sembrava quasi un sussurro fu capace di gelarmi il sangue. Il momento della mia prima caccia si stava avvicinando e, lo ammetto, avevo paura, ero nervoso, ma soprattutto affamato. ”Cosa noti?” mi domandò dopo qualche istante. La preda che mi stava indicando sembrava un uomo come tanti, con vestiti dimessi e un’andatura rapida, leggermente zoppicante. Forse era un pendolare, un operaio. "Sciocchezze!” mi redarguì quando glielo dissi. “Non vedi come cammina? Troppo calmo per essere un operaio, troppo veloce per essere un dirigente" “Un impiegato allora?” azzardai. "Un professionista, che vestito in quel modo non vuole dimostrarlo. Però si vede che ha soldi, parecchi" sentenziò lui, senza distogliere lo sguardo dall’uomo. Sorrisi pensando a quanta esperienza avesse accumulato con le migliaia di cacce che aveva fatto fino ad allora. Ero fortunato ad averlo come maestro, e sarei voluto diventare come lui. Lo ammiravo per la sua freddezza. "Da quanto tempo cacci?" domandai a bassa voce, quasi timoroso. "Il tempo vola quando ci si diverte” disse, e un leggero sogghigno gli deformò il viso. “Sono secoli ormai, e mi sembra sempre la prima volta. E’ ancora lontano il tempo per la pensione!” Quelle parole, o forse il ricordo delle prime cacce che gli avevo instillato con la mia domanda, sembrò ringiovanirlo. “Il segreto è farlo senza porsi troppe domande. Devi farlo per sopravvivere, punto. Prestare attenzione ai dettagli ma una volta partita la caccia, non devi più fermarti fino a che non sentirai che non c’è più nulla da succhiare. A quel punto, e solo a quel punto, potrai mollare la presa” Indicò con il mento il tizio ormai poco distante da noi. "Sembrano tutte pecorelle innocenti. Sempliciotti. Ma fai attenzione perché se ti distrai anche solo per un istante sei smascherato, e se ti smascheri ti riconosceranno e saranno loro a dare la caccia a te. Se invece li tieni a bada lotteranno fino alla morte pur di salvarsi, il genere umano ha la lotta e la difesa scritte nel DNA, ma tu sei un cacciatore, e il tuo DNA è più forte” "Hai mai avuto un tentennamento, un rimorso?" domandai "Alcuni di loro hanno famiglia, figli..." Con un cenno della mano mi zittì innervosito. "Ti ho appena detto di non porti domande. Sono prede. Nessun rimorso, nessuna pietà. Solo prede, cibo, status superiore, benessere, sopravvivenza. La tua sopravvivenza dipende dalla loro distruzione. Nulla di più, nulla di meno" "Torniamo a lui" proposi indicando il tizio, ma con un tono dimesso per rabbonirlo. Non volevo si adirasse e il mio status era inferiore al suo, avrebbe potuto farmi del male se avessi esagerato. In fin dei conti era la mia prima volta, e potevo contare su un po’ di indulgenza. Lui sorrise benevolmente, quasi avesse compreso il mio imbarazzo. "Guardagli le mani, il dito: cosa vedi?” “Il segno sull’anulare. Una fede” mormorai aggrottando la fronte. “Si è separato da poco, quindi è un uomo solo" concluse, con un visibile compiacimento per la mia inaspettata abilità di osservazione. "Quindi nessuno che lo stia aspettando a casa, nessuno che potrebbe difenderlo" continuai. "Non solo" aggiunse il mio mentore. "Ci dice anche altro: cosa fanno gli uomini soli?" "Cercano donne" tentai. “Quindi usa la sua debolezza contro di lui". Fece una pausa e poi riprese osservandolo attentamente. "Guarda come è vestito: sembra dimesso ma osservagli la cintura di pelle firmata, le scarpe di marca" riprese. "E' uno che ci tiene all'aspetto, e significa anche che sta bene economicamente" “Questo come può aiutarci?” domandai. "Se sei appena separato e puoi permetterti certi lussi, allora vuol dire che nascondi qualcosa... e sei alla ricerca di una donna. Quindi la nostra preda ha una doppia vita, ed è qui in piazza per trovare una compagna per la notte" Ero stupefatto dalla sua abilità, un misto di intuito e deduzione. Un predatore nato, prudente e spietato. "Ecco, sta salendo sull'auto: un'utilitaria neppure nuova, quindi tutto lascerebbe pensare che si tratti di un uomo solo, abbastanza povero, un reddito basso e una separazione che lo sta prosciugando. Un uomo finito insomma, Uno che vuole solo rintanarsi in casa ed attendere domani, un'altra giornata di duro lavoro per pagare i debiti. Ma nulla è come appare: devi sempre tenere i tuoi sensi all'erta" mi ammonì mentre la nostra preda si allontanava. L'uomo ricomparve verso mezzanotte, proprio come aveva previsto il mio mentore. Sembrava diverso, vestiva un giubbotto in pelle firmato, un paio di pantaloni fatti sicuramente su misura da un sarto, e la camicia di seta bianca sgargiante sotto le luci dei lampioni lo rendeva simile ad un attore americano. L’abbronzatura metteva in risalto i capelli biondi scarmigliati dal casco, perché era arrivato a cavallo di uno scooter di grossa cilindrata nuovo fiammante, che poteva valere da solo tre o quattro volte l'utilitaria con cui si era allontanato nel pomeriggio. "Mai fidarsi delle apparenze" ripetè soddisfatto il mio mentore. "Come ti dicevo ha una doppia vita, quindi puoi aspettarti di tutto da uno così. Fai attenzione!" Si trattava effettivamente di una preda di tutto rispetto, e con uno come lui avrei potuto soddisfare le mie esigenze per un bel po'; di sicuro non sarebbe stato facile sopraffarlo perchè avrebbe combattuto fino alla fine e si sarebbe difeso alla morte pur di non soccombere, ma era comunque spacciato: o lui o noi, e di sicuro non gli avremmo lasciato scampo. Il mio mentore mi guardò e fece un cenno. "Prendiamolo prima che si mescoli con gli altri avventori di quel locale, adesso che sta scendendo dalla moto”: Risposi con un ghigno. Avevo paura di sbagliare e deludere il Maestro, ma lui mi lesse nel pensiero. "Fai come ti ho insegnato, lasciati guidare dall’istinto ed andrà tutto bene: passa dietro e avvicinati alle sue spalle, io per questa volta lo affronterò. Guarda e impara, poi toccherà a te la prossima vittima” Ci avviammo verso di lui con fare indifferente e quando gli fummo abbastanza vicino ci dividemmo: io mi posizionai alle spalle e il mio mentore puntò direttamente verso il muso dello scooter, facendo un giro più ampio. Appena fummo in posizione l’uomo alzò lo sguardo e dalla sua espressione quando si voltò verso di me capì di non avere scampo. Con un gesto fulmineo della mano destra, prima che l’uomo riuscisse ad abbozzare una qualsiasi reazione, il mio maestro afferrò le chiavi della moto e le sollevò davanti agli occhi della preda, lasciandole dondolare come se volesse ipnotizzarlo. L’uomo, colto di sorpresa, non riuscì ad azzardare neppure reazione, mentre il mio mentore sollevando la mano destra in cui si era magicamente materializzato un tesserino, gli disse beffardo: "Agenzia delle Entrate, signor Rossi, intanto la moto ce la prendiamo noi, e ora vediamo cos’altro ha il nostro caro evasore totale …” -
Otto minuti e trenta secondi è il tempo che impiega un raggio di sole per raggiungere la Terra. Ma cosa potrebbe succedere in quegli otto minuti e mezzo? Il Sole potrebbe esplodere, collassare, spegnersi e morire, mentre inconsapevole tu ti abbandoni al calore di quei raggi. E che dire delle stelle? Abbracciato al tuo amore contempli il firmamento, indichi un bagliore nel buio del cielo sperando che quel momento romantico avvicini ancora più i vostri cuori, entrambi ignari dell’evento cosmico che sta spegnendo per sempre quella piccola porzione di universo. Forse è questo il motivo per cui l’Amore è da sempre stato associato alle stelle e al sole. Brillano, si accendono, illuminano, ma nessuno può sapere se nel frattempo hanno smesso di bruciare. Persino la pallida luna, che ha fatto innamorare gli uomini fin dall’alba dei tempi, impiega più di un secondo per giungere fino a noi. Un tempo brevissimo, ma sufficiente per non essere sicuri che lei esista ancora, anche quando i nostri occhi la vedono brillare. Sono simulacri dell’amore che ispirano: brillante e caldo, ma forse già morto da tempo, per ragioni a noi sconosciute, al di fuori di ogni nostro possibile controllo e volontà, spesso distanti persino dalla nostra immaginazione. Semplicemente non ci pensiamo, preferiamo vivere nella costante illusione che tutto permane immutabile, e se proprio deve cambiare cambierà in meglio, eppure siamo tutti perfettamente consci che così non è, che qualcosa può irrompere nelle nostre vite e devastarle all’improvviso, spazzandoci via senza neppure lasciarci il tempo di domandarci perché. Semplicemente accade, ma preferiamo non pensarci. Quante famiglie, quanti amori sono stati distrutti da un destino ineluttabile, mentre uno o entrambi gli amanti si crogiolavano nell’illusione che dietro quella luce, quel calore, ci fosse ancora una stella viva e bruciante. Tornando a casa per trovare il tuo amore trovavi un biglietto, quando non qualcun altro nel letto, e improvvisamente quella luce che fino a poco fa illuminava il tuo cammino si trasformava in un luccichio di morte. Tutto implode a quel punto, il nero del cielo si confonde con quello dell’anima. Semplicemente la vita si spegne, finisce, e tutto quello che fino ad allora ti era sembrato reale si trasfigura in un’orrida illusione dai contorni confusi. TI senti ferito, finito, ti sale l’angoscia per un domani senza sole, ma poi tutto si trasforma in rabbia per averci creduto, per non aver voluto imparare a sopravvivere nel buio. A quel punto provi ad andare avanti nel buio, a tentoni, incespicando e sbattendo contro mille ostacoli, fino a che non comprendi come solo un vampiro può sopravvivere alla notte, lontano dal sole, e così inizi a succhiare vita quando puoi, dove capita, sperando di trovare la forza per sfuggire alla nuova alba che incombe e che, questa volta sì, potrebbe incenerirti per sempre. Questo diventerete quando si spegnerà il vostro sole: un essere dannato che striscia nell’ombra alla disperata ricerca di un po’ di vita, quel tanto che basta per trovare un rifugio che lo ripari dall’aurora. Ma non illudetevi guardando il sole ancora alto nel cielo, voi non lo sapete ma si è già spento anche per voi, otto minuti e una manciata di secondi fa. Vi aspetterò nel buio, ben più sincero ed accogliente della luce del vostro sole effimero, al sicuro e lontano dalle illusioni e dalle angosce. Prendete la mia mano se volete sopravvivere, strisciate tra le ombre insieme a me e vi insegnerò una strada sicura per superare il nuovo giorno che incombe. Otto minuti e ventinove secondi, il tempo è quasi finito. Il sole brilla ancora ma per quanto? Posso offrirvi la salvezza se vorrete seguirmi, oppure restate a guardarlo spegnersi. Per me non cambia nulla, perché presto sarete voi a barcollare nel buio. Io ci sono già passato, ho imparato come sopravvivere, ma voi?
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Aspiranti scrittori o scrittori aspiranti?
Steve666 ha risposto a Steve666 nella discussione Un topic tutto per sé
Hai ragione Niji, ma il mio post era più che altro rivolto all'ambiente degli scrittori, dove quelli "arrivati" (dove poi?) definiscono "aspiranti" coloro che girano alla ricerca di pubblicazione. Usare quell'aggettivo su di sè da parte di uno scrittore "pubblicato" ma ancora alle prime armi è certamente un encomiabile segno di modestia, ma se usato nei confronti di uno che ancora non ha visto la sua opera in libreria è solo inopportuna presunzione, perché quel manoscritto potrebbe essere migliore del nostro libro.