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Xx98

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Reputazione Forum

  1. Premessa: non è un controbattere alle critiche, anzi, ringrazio nuovamente (e sempre) delle varie osservazioni fatte. Però, ripeto, questo è anche il mio primo racconto "lungo". Non vuole essere chiaramente una giustificazione, ma banalmente credo sia anche normale non conoscere e non eccellere su molti aspetti, no? Non è con la pratica ed il tempo che si apprendono determinate cose? Poi possi anche capire che per un occhio certamente più esperto del mio molte cose di questo racconto non funzionano: dalla forma, dalla storia, ora anche per per quanto riguarda il narratore - anche se su quest'ultimo punto, è la prima volta che sento qualcosa a riguardo - ecc. Però nessuno nasce imparato. Poi magari, ecco, forse era meglio scegliere un argomento più sulle mie corde , non lo so.
  2. Non lo so, a me sembra di capire che in questo racconto non si salvi nulla, se non forse l'idea di base, e quindi non solo per quanto riguarda il "finale" (il quale effettivamente non ha convinto per nulla neanche me, così come tante altre parti). Grazie sempre delle tue osservazioni.
  3. Intendo sul modo in cui è raccontata la storia. Come mi hai consigliato un po' nei primi due capitoli: ad esempio sul far sudare di più al lettore la storia o divagare un po' di più con le descrizioni, in modo tale da essere un po' meno diretto quando racconto. Scusa se chiedo, ma vorrei solo avere un'idea un po' più ampia anche su questo, perché in linea generale sulla forma - tempi, refusi, ecc. - ho capito quali sono gli aspetti su cui dovrò stare più attento.
  4. Oltre ai refusi e alla questione del tempo presente-passato, leggendo questo capitolo hai notato altri aspetti che andrebbero rivisti o pensi che in linea generale questo capitolo possa andare così com'è? Chiedo perché sto modificando/rivedendo le parti del di questi altri due capitoli sulla base dei consigli e delle osservazioni che mi hai gentilmente fatto.
  5. Non so, Pierpaolo, onestamente è la prima volta che leggo di questo "particolare", per quel poco che ne so io non è sbagliato, specialmente se il narratore è interno. Anche perché credo che Russotto me lo avrebbe fatto notare. Poi non saprei, alla fine questo è il mio primo racconto a capitoli e ho molte cose da imparare. Grazie dell'osservazione.
  6. Si, hai ragione. Anche se dopo aver concluso il "racconto" e poi riletto tutto d'un fiato, trovo che in generale diverse parti della storia stridano. Poi certamente si poteva fare di meglio, ma sono ancora alle prime armi e attualmente ho parecchi limiti sia nella forma che nello sviluppo, quindi credo sia anche un po' normale. Grazie come sempre delle dritte e dei vari consigli.
  7. Sono le sei del pomeriggio. Ci troviamo al Good Cafe, il bar preferito di mio padre. Questa è la prima volta che mi invita a prendere qualcosa insieme. Ordino al titolare un cappuccino, Carlo un caffè espresso. Mentre ognuno di noi beve la propria bevanda, iniziamo a chiacchierare del più e del meno, come in un normale rapporto tra genitore e figlio. «Sei stanco, Manuel?» «Giusto un po'.» «Beh, è normale. In fondo questa è la tua prima giornata lavorativa. A poco poco ci farai l'abitudine, fidati.» «Grazie!» Carlo mi guarda con un'aria un po' sbalordita, come se avessi detto qualcosa di strano. «Grazie? E per cosa?» «Per aver messo una buona parola per me con il tuo capo. Lo sai, no? A Vorigo trovare lavoro, e soprattutto tenerselo stretto, è difficile.» «Era il minimo che potessi fare. Anche se, per quanto possa sembrare strano, non è la prima volta che metto una buona parole per te.» «Dici? Eppure ogni volta che ripenso ai momenti in cui eri distaccato, mi vengono in mente solo le tue frequenti assenze, quando giocavo a calcio da ragazzino, ad esempio. Solo una volta eri venuto a trovarmi, e te ne sei andato subito. Lo ricordo perché era lo stesso giorno in cui ho smesso definitivamente.» «Però, ecco, ti avevo iscritto io lì. E sempre io ti accompagnavo e prendevo a calcio. Così come ogni mattina a scuola» Proprio in quel momento preciso arriva il cameriere che porta via i bicchieri di plastica e le tazzine. «Non mi riferisco a quello. Parlo di come, nonostante ciò, mancavi ad ogni allenamento, partita e, in sostanza, del tuo scarso interesse in generale. La differenza tra adesso e quei momenti è proprio questa.» «Cioè?» «Quando acconsentivi alle mie richieste, o ti presentavi alle riunioni scolastiche, vedevo come per te o erano momenti in cui non potevi mancare ai tuoi doveri o per tenermi il più distante possibile. Adesso, invece, sento più partecipazione nei miei confronti, una vera mano. È l'approccio ad essere diverso, ecco...» «Capisco.» Dal taschino del camice, Carlo inizia a tirare il pacco di Malboro rosse, accendo una sigaretta, mentre io guardo le mie mani sporche di vernice e penso al futuro. Rifletto su questi anni persi ad oziare dopo il diploma e se questo nuovo inizio poteva dare dei risultati. Non ho il tempo di continuare a pensare che sento la voce acuta del vecchio dire qualcosa: «Comunque, so che continuare a scusarsi non risolverà le cose, motivo per cui sto provando a rimediare» «Si» «Dimmi, hai ancora intenzione di fare il ragioniere?» «Certo! Proprio per questo mi sto dando da fare e sempre per il medesimo motivo, due anni fa, ti avevo chiesto di aiutarmi.» «Bene. Andiamo a casa?» Tornati a casa, Carlo chiude la porta e mi dice di seguirlo in cucina. Senza rendermene conto tira fuori circa quattrocento euro. «Tieni. Sono soldi che avevo messo da parte. So che non è sufficiente per pagare complessivamente le varie spese universitarie, ma credo siano abbastanza per iniziare ad iscriverti a Settembre.» «Ma... ma... perché? Ti ho già ringraziato per l'aiuto, ora tocca darmi da fare. Non voglio essere mantenuto e gradirei...» Carlo interrompe il mio discorso mettendo una mano sulla mia spalla. «Ascolta, Manuel. Quello che dici ti fa onore e nessuno, tantomeno io, ti impedirà di continuare a lavorare per pagarti gli studi. Però, permettimi di aiutarti il meglio che posso. Non voglio sforzarmi di fare quello che non ho mai fatto per tutto questo tempo. No. Voglio aiutarti davvero. Voglio riparare alla mia assenza in maniera concreta.» «Ti voglio bene, papà» «Anch'io, Manuel», frase accompagnata da un nostro abbraccio. Dalle sue parole avverto davvero un affetto sincero. Sono felice perché finalmente quella indifferenza se ne era andata per sempre. Felice perché finalmente Carlo non era più indifferente. Fine.
  8. Chiedo venia per la ripetizione ridonante. Grazie mille per avermelo fatto notare e soprattutto ti ringrazio dei consigli su come utilizzare meglio i tempi. Rispetto magari ad altre lacune delle quali magari ero già al corrente, questa ammetto che mi è sempre passata in secondo piano. Come per tutti gli altri utilissimi consigli che mi hai dato, anche qui vedrò di fare più attenzione ed essere più coerente. Sulla punteggiatura, sì, sono io ad aver chiesto dei consigli sul come utilizzarla meglio, specialmente la virgola. Fin quando si tratta di periodi brevi, o comunque non complessi, non ho particolari difficoltà. Fortunatamente quando scrivo riesco a ricordarmi di dover utilizzarla per i vocativi, eventuali apposizioni composte, incisi, elenchi/enumerazioni, frasi per asintedo e via dicendo. Riscontro, invece, diverse problematiche quando devo usufruirla in periodi lunghi - ad esempio la descrizione fisica di luoghi e/o personaggi - e/o in altri casi dove spesso finisco per chiedermi se va utilizzata o meno, finendo per "impazzire". Chiaramente vale anche per altri segni di interpunzione, ma con la virgola ho più difficoltà. Non so, forse per via della sua multifunzionalità. Per questo avevo chiesto delle dritte, almeno in relazione a questi testi. Scusami se mi sono dilungato un po' col discorso. Comunque ascolterò il tuo consiglio di fare più attenzione ai verbi, prima di tutto. Ma no, figurati. Anzi, grazie alle tue critiche costruttive sto già iniziando a capire meglio quali sono gli aspetti sui quali devo prestare maggiore attenzione o comunque migliorare. Ma soprattutto, ecco, grazie sempre per il tempo che hai dedicato anche solo nel leggerli. Sisi, esatto, ma infatti è una sorta di menzogna iniziale di Carlo Difatti, dopo, Manuel gli dice che è un bugiardo, dato che passa tutte le sere con le altre persone, per poi proseguire con le altre sequenze dialogiche.
  9. Xx98

    Salve

    Grazie.
  10. Grazie mille, Rusotto, soprattutto per il tempo che hai dedicato. Su alcuni aspetti come quello della scuola-calcio e la professione del padre, hai ragione. Nel proseguo cercherò di approfondirli e chiarirli. E, soprattutto, grazie per avermi fatto notare alcune ripetizioni, contraddizioni nelle varie proposizioni come quella iniziale e quell' "invece" prima della descrizione caratteriale, perché effettivamente stona non poco. Se non sono indiscreto (spero di no e nel caso chiedo scusa in anticipo), oltre a fare più attenzione all'uso di qualche tempo verbale, da un punto di vista meramente grammaticale hai notato altre lacune che magari potrebbero essere migliorate o dove comunque dovrei fare più attenzione? Mi riferisco principalmente all'uso della punteggiatura, la virgola in particolare. Chiedo venia se chiedo, ma un aspetto che, insieme ad altri, sto cercando di migliorare e su cui ho ancora un po' di difficoltà nel riscontro. Nuovamente grazie dei consigli, spero di poter leggere altri dei tuoi consigli. *nell'utilizzo
  11. Avresti gentilmente qualche altro consiglio da darmi in vista dei nuovi capitoli? Mi piacerebbe sapere se ci sono altri aspetti che potrebbero essere migliorati.
  12. La notte è insonne. Le lancette dell'orologio posto di fronte al letto sembrano immobili, come se il tempo si fosse fermato. È sarcastica la concezione che abbiamo di esso. A volte le giornate paiono fugaci, corrono così veloci che l'individuo non si avvede del loro cessare; altre, invece, sembrano perpetue. Ma lo è ancora di più come la più anonima tra le cose possa ricondurre ad un pensiero o ad un evento passato. I numeri che costituiscono l'orario rimandano al periodo quinquennale passato sopra libri di economia e matematica. E, ovviamente, questo riporta al momento in cui avevo chiesto ausilio alla mia figura paterna, il quale a sua volta si lega al suo struggente "Arrangiati!". È tutto un procedimento a catena. Come se avessero uno strano rapporto. Un po' come le parole di una lingua: possono diversificarsi per significante e significato, ma in esse esistono delle relazioni dove una può richiamare l'altra. A ventre in su, con una mano dietro la calotta, le gambe distese sino alla punta del letto e le pupille rivolte al soffitto buio, non riesco a chiudere occhio. Mi trovo in un bivio similmente ai forestieri che si accingono ad entrare a Vorigo. I quali sono spesso indecisi se prendere la sinistra – che conduce direttamente al luogo e alle sue meraviglie architettoniche e artistiche – o la destra che conduce direttamente al bosco della città. Quest'ultimo è costellato da alberi di vario tipo, sebbene sia circoscritto perlopiù da eocalipto. Sono maestosi dato che superano abbondantemente i dieci metri di altezza; nel periodo estivo l'enorme fogliame caratterizzato da un colore verde con riflessi azzurri rende vivace il panorama alla vista dei turisti. L'aria è sempre un toccasana, così come lo è passeggiare al suo interno . Sfortunatamente non so molto a riguardo, dato l'aver passato molti anni della mia vita rinchiuso in quattro mura. Ne ricordo nemmeno di esserci mai stato. E quelle poche informazioni che ricordavo erano frutto di alcuni discussioni fatte dai miei ex compagni. Sono però a conoscenza del fatto che quello che davvero preme la gente a visitarlo è la presenza del gatto selvatico. Esso è molto raro e quasi mai è stato avvistato. Solo una volta un fotografo – un turista di origini inglesi – è riuscito a scattargli una foto, mentre l'animale cercava di cibarsi di un pettirosso, uccelli molto presenti nel bosco di Vorigo insieme ai passeri, picchi rossi, ghiandaie e gli alocchi al calar del sole. La mia mente non sa se virare verso la via della soddisfazione o in quella della frustrazione. Dovrei essere contento che almeno questa notte non sia frastagliato dal solito incubo, dove rincorro inutilmente quell'ombra lesta come un falco pellegrino. Ma dovrei essere anche arrabbiato per tutto ciò che mi ha raccontato Carlo un'ora fa. Il mio animo dovrebbe trovare un po' di pace, visto che finalmente il quesito di una vita – il perché dell'indifferenza di mio padre – è venuto a galla. Ma dovrebbe essere travagliato da quella verità scomoda. Non lo so. È come essere in uno stato apatico: non sento niente. Il sonno, fortunatamente, in seguito ha preso il sopravvento. Avendo fatto le ore piccole, il mio risveglio si è dilungato di tre ore in più rispetto al suo ordinario. Tendenzialmente mi alzo alle sette, lo stesso orario del "vecchio", ma una volta aperte le palpebre ho notato che erano le dieci in punto. Con gli occhi gonfi, la testa confusa e le gambe aggranchiate, procedo a ritmo lento verso la cucina. La stanchezza originata dall'insonnia è evidente. I miei arti posteriori sembravano rigidi pezzi di legno, un po' come quelli di Pinocchio la prima volta che hanno iniziato a muovere i loro primi passi. Solo che lui era soretto ed aiutato da Geppetto, anche quando ha venduto il suo Abbecedario per vedere i burattini di "Mangiafuoco", nonostante quel buonuomo avesse venduto la sua casacca per farlo studiare. Io invece dovevo reggermi da solo, senza l'appoggio di nessuno. Come sempre. Una volta aperta la porta della cucina, noto mio padre seduto sul tavolo a fumare una Malboro rossa, vestito con il solito indumento da pittore edile. Non sapevo che domanda porgli. Quella relativa al motivo per cui è rimasto in casa o quella legata al fumo. Anche se, nel primo caso, potevo arrivarci da solo, visto ciò che era successo qualche ora fa. Nel secondo, invece, ne sono rimasto meravigliato. Non sapevo minimamente che avesse il vizio delle sigarette. Non l'ho mai visto fumare dinnanzi a me per tutto questo tempo. «Da quando hai iniziato?» «A fare che?» «A fumare.» Non so se quella domanda l'ha messo in imbarazzo, ma, poco prima di rispondere, ha spento la mezza sigaretta che ancora gli restava nel posacenere. «Questa mattina» «Non ti ho mai visto farlo. Quella roba è cancerogena.» «Sarà» «Non bastava il vizio dell'alcol, ora anche quello del fumo?» «Uno mi serve per rilassarmi, l'altro per non pensare» «Che stupidaggine.» «Sarà...» «Comunque, prima ero un fumatore accanito, ma dopo aver sposato tua madre ho smesso. Tuttavia, stamani ho ripreso.» «Sono ancora molte le cose di cui ignaro» «Beh, tu non mi hai chiesto nulla di lei, quindi non credi sia anche un po' colpa tua?» «Colpa mia!? Sono vent'anni che non riesco ad avere un approccio con te. Vent'anni di indifferenza totale. Anche se te l'avessi chiesto cosa sarebbe cambiato? Avanti, forza, dimmelo! Sono tutto orecchie» Il suo sguardo era rivolto verso il mio. Questa mattina è più strana di quella precedente. I nostri occhi si sono incrociati e, senza rendercene conto, stavamo adirittura conversando, sebbene più che una chiacchierata sembrava un battibecco. Dopo qualche secondo i suoi occhi sono passati dal mio viso al pacchetto di Malboro posto sul tavolo. Ne presa una ed iniziò a fumarne un'altra. Io, voltandogli le spalle, mi versavo nel mentre il mio solito caffelatte. «Comunque, non mi riferivo ad Asia» dissi. «E allora a chi?» «A te ovviamente. Certo, ogni tanto capitava di pensare anche alla madre di cui non ho alcun ricordo, ma come ti ho già detto la mia mente è sempre stata indirizzata al motivo della tua freddezza, del tuo distacco. E, onestamente, non riesco ad aver chissà quale pensiero verso di lei, è andata via quando avevo solo tre anni. Ma tu... tu invece...» Non sono riuscito a completare la frase, poiché Carlo ha appoggiato la sua mano nella mia spalla. «Ascolta, Manuel. Ieri ti ho già detto come si son svolti i fatti e, a dirla tutta, non ho voglia di riprendere il discorso. Sarò stato anche ubriaco, ma quell'individuo che hai visto alle prime ore del mattino era il vero me. Il vero Carlo. Non sei l'unico ad averne pagato le conseguenze. » «Ti riferisci all'innesco della tua indifferenza nei miei confronti?» «Si. Credevo seriamente che questa fosse l'unica soluzione, l'unico scudo per proteggermi dal fatto che tu, in un modo o nell'altro, mi riportavi in mente lei. Mi sono già scusato e, nuovamente, ti ripeto che mi dispiace.» «Come se le scuse possano sanare un rapporto» «Infatti proprio per questo io, che dovrei essere a lavoro, sono qui.» «Che vuoi dire?» «Come, non ti sei chiesto perché io sia qui invece di essere sul posto di lavoro?» «Beh, si, ma pensavo che il motivo fosse legato a ieri.» A malapena il tempo di concludere la frase che Carlo si è alzato dalla sedia. «Stamattina mi sono preso un giorno libero e il capo dopo mille storie ha acconsentito. Ma il motivo per cui sono andato lì non era tanto per prendermi una giornata di vacanza per ciò che successo ieri, bensì per fargli una proposta.» «Proposta?» «Si, gli ho chiesto se potevi iniziare come apprendista nella nostra impresa e se ti avrebbe messo in regola. Ha accettato...» «Non capisco...» «Non mi avevi chiesto, tempo fa, di mettere una buona parola per il mio lavoro di lavoro, poiché volevi pagarti le spese universitarie? Ecco... » Non sapevo descrivere la mia reazione, era un misto tra stupore e incredulità. «Sarò sincero con te, Manuel. Ora come ora non so come comportarmi da padre e non voglio neanche che tu mi perdoni così su due piedi. Voglio solo...» «Cosa?» «Voglio solo che tu accetti la mia richiesta. Non è tardi. Aiutami a divenire un buon genitore, aiutami a fare ciò che non sono stato in grado di fare per molto tempo. Proviamo a diventare padre e figlio.» *capo
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