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PierpaoloR

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Reputazione Forum

  1. I miei collaboratori sono seduti attorno al tavolo di legno, circondati da laptop, documenti e bicchieri d’acqua. «Sappiamo che i campi magnetici si intrecciano, creando una forza che fa ruotare la turbina e genera elettricità continua. Un’energia pulita, illimitata, circa un gigawatt con una sola.» Stringo i denti, la mascella si contrae. Sfilo uno dei progetti e lo lancio al centro del tavolo. Il tonfo fa sussultare Gianni, che finalmente solleva lo sguardo. «Allora?» Il ticchettio delle sue unghie sul tavolo mi innervosisce. «Abbiamo un motore che potrebbe cambiare le carte in tavola, e voi cosa fate? Continuate a parlare di problemi.» Gianni nasconde le dita sotto il tavolo, Sara beve un sorso d’acqua. Roberto solleva appena la testa. «Funziona sfruttando il movimento della Terra e della Luna, quindi se noi…» «Lo so, cazzo! Ditemi qualcosa che mi sorprenda, fatemi felice una volta tanto.» Roberto deglutisce. «Stiamo ancora cercando di risolve…» «Cercando?» Mi giro e vado verso la finestra, dando una manata alle foglie della dieffenbachia. «Vi state nascondendo dietro questo dannato problemino.» Un ragnetto sgambetta lungo l’angolo del vetro. «È un ostacolo insormontabile? Lo è davvero?» Con la penna lo faccio cadere sul pavimento. «Perché vi pago proprio per superare i casini.» Lo schiaccio con la punta della scarpa. Le teste si abbassano. Cammino intorno al tavolo, nell’aria aleggia un leggero profumo di pesca e lavanda. «Chi si è spruzzato addosso questo lezzo di pesca?» Francesca finge di prendere appunti sul tablet. «Non possiamo permetterci di rallentare. Abbiamo già perso troppo tempo.» Sara accavalla le gambe. «Giorgio, ci stiamo lavorando. Innovare richiede tempo, è un processo–» «Tu sei la responsabile del progetto e chiedi tempo!» Abbasso il tono della voce. «Non ne abbiamo, Sara. O risolviamo questo problema, o tutto il lavoro non sarà servito a niente. Voglio un piano, e lo voglio oggi.» Lascio la stanza, sbatto la porta con un colpo secco e mi dirigo al mio ufficio. Incrocio Alberto, che si appiattisce contro la parete per farmi passare. Le parole di Sergio continuano a rigirarmi in testa; la sua visione mi ronza dentro. Devo saperne di più. Mi siedo alla scrivania e apro il laptop. Lo schermo si illumina, mostrando una cascata immersa nella natura; la luce azzurra mi acceca per un attimo. Non so nemmeno da dove cominciare. Nel motore di ricerca digito “esperienze di pre-morte.” Sembra stupido, eppure non ho altre parole. Scrivo, cancello, riscrivo. Premo invio e mi compare una sfilza di siti, blog, forum; gente che racconta storie… strane testimonianze di luci, tunnel, di pace. Alcuni sembrano folli, e li leggo, divorandoli uno dopo l’altro. Una cimice verde svolazza intorno al ficus accanto alla scrivania, si posa sul davanzale, forse in cerca di libertà. Molti dicono di aver visto qualcosa, di aver sentito una presenza, qualcuno che aspetta dall’altra parte. Clicco su un articolo: “La luce alla fine del tunnel: una spiegazione scientifica o spirituale?” La mia mano resta ferma sul mouse, e la testa mi scoppia. Sul lato dello schermo compare la foto di una donna sorridente, una testimonianza: “Sono stata in un luogo di luce, ho sentito amore, pace.” Il mouse si sposta a scatti, e la pagina si apre a rallentatore, forse ce ne sono troppe. Video in pausa, documenti in download, PDF, studi e articoli pseudo-scientifici che parlano di coscienza, di anime, di qualcosa che va oltre la vita. Un labirinto di portali pieni di termini tecnici, la maggior parte dei quali non capisco. Un post. Non ha nemmeno un titolo chiaro: “Il progetto che tutti aspettavamo.” Sposto il cursore sopra il link e clicco. È scritto da qualcuno che si firma “M.O.” Un team di scienziati sta lavorando a un progetto che potrebbe cambiare per sempre la nostra comprensione della vita e della morte. La compagnia afferma di essere vicina allo sviluppo di un dispositivo in grado portarci dove va l’anima dopo la morte. La notizia, ancora top secret, ha già attirato l’attenzione di ricercatori, filosofi, e gruppi religiosi, scatenando un acceso dibattito su questioni etiche e scientifiche. Mi sembra assurdo. Stiamo sviluppando una tecnologia che potrebbe aprire una finestra su ciò che succede dopo. «Buongiorno, Signor Giorgio.» Mi volto. Stefania spinge il carrello con stracci, bastoni e prodotti per le pulizie. «Ciao, prestino oggi.» Lei afferra la scopa. «Solita ora per me... forse per lei è tardi.» Mi giro verso la finestra. Il cielo si schiarisce a est, e il riflesso arancione traccia i contorni delle case. Sul marciapiede, una signora in tuta rosa strattona un Border Collie, deciso a infilare il naso nei bidoni della spazzatura. Un signore con lo zaino di Pikachu aspetta il primo tram della giornata. Allargo il nodo alla cravatta. «Dammi due minuti ed esco, così puoi fare il tuo lavoro indisturbata.» «Posso tornare dopo, faccio prima quello del signor Renzo.» Torno al computer e apro il sito della società. «Non serve.» La pagina si carica lentamente, lasciando intravedere poche informazioni: un gruppo di ricerca specializzato nello studio della coscienza umana. Scorro fino alla sezione contatti e noto una breve nota: Stiamo cercando personale motivato per unirsi al nostro team. La posizione aperta è per manutentore elettrico. Potrebbe essere l’occasione che aspettavo, una possibilità concreta per sapere come stanno le cose. C’è davvero qualcosa dopo? Compongo il messaggio, allego il curriculum e clicco su “Invia”. Alle sei e mezza spengo la sveglia con una manata. Mi alzo, trascinando i piedi fino al bagno; sollevo la tavoletta, premo la fronte contro la mattonella per non ribaltarmi e svuoto la vescica. Inserisco la cialda con la cornice dorata nella macchinetta del caffè; la radio trasmette notizie sul traffico. Indosso i pantaloni, la camicia azzurra, e finisco la bevanda calda. Due giri di chiave nella toppa, per sicurezza. Sul marciapiede, zigzago tra le auto parcheggiate e faccio un salto per evitare una merda di cane. Due ragazzi con l’orecchino al naso e giubbotti di pelle borchiati mi vengono incontro; stringo la ventiquattrore, mi faccio da parte e li lascio passare. Arrivo allo studio e digito il codice nel tastierino numerico per disattivare l’allarme. Sono il primo. Il cestino è vuoto; Stefania ha già sistemato tutto. Passo davanti al diffusore, che mi spruzza addosso un profumo dolce e nauseabondo. Lo afferro e lo lancio nel cestino. Accendo il computer e poggio la ventiquattrore ai piedi della scrivania. Bussano alla porta. «Buongiorno, Giorgio,» dice Giovanni entrando. «Giova, hai controllato le specifiche del motore?» «Sì, sto finendo di rivederle.» «Quanto ci vuole? Dovevi consegnarmele lunedì! Se non riesci a stare al passo, la porta è lì; con la tua statura, dovresti riuscire a saltarla senza problemi.» «Ma... Giorgio, io…» «Datti una mossa, i clienti non li porta la cicogna.» Stefano sbuca all’improvviso. «Stasera si esce, ci sei, Sergio?» Invio il progetto alla stampante. «Non lo so, vediamo.» Il plotter cattura il foglio A3, lo risucchia nel rullo e avvia i suoi ticchettii ritmici. «Dai, vieni! Ci siamo tutti.» «Esattamente chi? Alessandro? Le sue battute mi fanno cagare! O Francesca, con quelle labbra nuove che sembrano copertoni di camion.» Recupero la stampa, sposto tastiera e mouse per fare spazio e la poggio sulla scrivania. «Passo. Non ho voglia di sentire i soliti discorsi su politica o calcio; si finisce sempre lì.» Stefano picchietta la Bic sui denti. «Fa’ come vuoi.» Lascia la stanza sbattendo la porta. È tardi, e non riesco a concludere niente. Meglio andarsene, o rischio di impazzire. Salgo le scale e supero il pianerottolo del terzo piano in punta di piedi, sperando di passare inosservato. La serratura scatta, e appare la signora Teresa. «Giorgio caro, il condizionatore non funziona.» «Mi faccia vedere.» Entro nell’appartamento. Un gatto nero, appollaiato sul bracciolo del divano, si lecca il sedere e miagola. Seguo la signora fino alla cucina, e il profumo del sugo che gorgoglia sul fuoco mi fa venire l’acquolina in bocca. Lei mi passa il telecomando. «È tutto giusto, Giorgio caro?» Imposto l’orario e la temperatura. «Ora è a posto, mi raccomando, non stia a toccare niente.» Teresa si sfila il grembiule a quadretti rossi e bianchi. «Grazie, Giorgio caro, vuoi un po’ di sugo?» Mi agita sotto il naso il mestolo di legno. «No, sto bene così. Grazie davvero.» Si mette in punta di piedi e mi pizzica la guancia. «Sei così magro, ma stai mangiando abbastanza?» «Certo, signora, anche troppo.» Entro in casa e mi avvicino alla finestra. Fuori, il cielo è una distesa di nuvole arancioni e rosa, divisa dal blu scuro dell’orizzonte. I lampioni si accendono, due falene cadono sul marciapiede. Un odore pungente di letame mi invade le narici. Tappo il naso, abbasso la serranda e mi butto sul divano, al buio, fissando il soffitto. Un lamento acuto mi attraversa la testa.
  2. Il rumore dell’apparecchiatura di monitoraggio scandisce il tempo con un ritmo costante e monotono. Una luce fredda illumina la stanza, il bianco delle pareti è spezzato da macchie giallastre. L’aria è satura di un odore di pesca. Sergio è immobile, la pelle pallida, le labbra appena socchiuse. Sembra così fragile, il suo respiro è lento, regolare. Gli stringo la mano, reagisce con un debole lamento. «Sono qui.» Il rumore delle ruote del carrello, arriva l’infermiera; si china su Sergio, dà un’occhiata alla flebo ed esce. «Potrebbe dirmi co–» «Mi scusi, devo andare,» dice la donna, senza girarsi, e sparisce in fondo al corridoio. Sergio schiude gli occhi e mi regala un debole sorriso. È ancora qui, con me. «Giorgio...» Mi piego su di lui, avvicino il viso al suo e lo bacio sulle labbra. «Sì, amore, sono qui. Come ti senti?» Gli accarezzo la guancia. Rilassa la schiena al mio tocco, contrae la bocca in una smorfia di dolore. «Voglio... andare via da qui,» sussurra. «Portami... fuori, ti prego.» «Lo farai, tu pensa a stare un po’ meglio.» Il bip delle macchine cambia, si fa più rapido, più acuto. La sua mano scivola dalla mia, il corpo si tende in un arco innaturale, spalanca gli occhi, fissi sul soffitto. Il terrore mi paralizza. «Sergio!» urlo. Qualcuno mi afferra per le spalle, mi spinge via. Mi aggrappo a Sergio, voglio restare con lui, ma è inutile. Sono fuori. Chiudo gli occhi e prego con le mani tremolanti. Non so nemmeno a chi pregare, chiunque, basta che lo riportino indietro, che non se ne vada via da me. Sergio è disteso, due cannule nelle narici, coperto da un lenzuolo, con un monitor vicino che scandisce i parametri vitali. Il tempo si dilata; i secondi diventano ore. All’improvviso, tutto tace. Le voci dei medici si abbassano, il rumore della macchina torna a quel bip... bip... regolare. Le infermiere con le uniformi blu e mascherine, sono rivolte al macchinario e somministrano i farmaci nella flebo. I medici si allontanano, il più anziano, con due occhiali rotondi calati sul naso, mi dà una pacca sulla spalla. «È fuori pericolo. Siamo riusciti a riportarlo indietro.» Mi precipito al suo fianco. Gli occhi di Sergio sono chiusi, il suo petto si solleva piano. Gli stringo di nuovo la mano, più forte stavolta. Ho paura di lasciarlo andare. «Giorgio...» dice, la voce appena udibile. «Sai... dove sono stato?» Scuoto la testa. «Dove?» «Vedevo le due infermiere e i dottori dall’alto, tu, invece, pregavi fuori dalla porta. Poi mi sono ritrovato sulla barca.» I suoi occhi si illuminano appena. «Era tutto tranquillo... il mare calmo. E io... io sapevo che tutto sarebbe andato bene.» Si interrompe, tossisce. «Una barca a vela, come l’abbiamo sognata. L’acqua era calma, con leggere increspature sulla superficie, rifletteva l’arancione e il blu del cielo.» Socchiude gli occhi. Lo smuovo. «Sergio,» grido. Ha uno scatto improvviso. «In lontananza, si intravedevano le sagome scure di colline delineate appena dalla luce residua del giorno.» «Mi raggiungerai. E saremo insieme sulla nostra barca. Lontani da tutti, lontani da qui.» Le sue parole mi si piantano nel petto. Dà un battito di ciglia. «Un giorno... sarò lì, ad aspettarti. Verrai da me? Lo prometti?» Chiude gli occhi, un sorriso appena accennato gli increspa le labbra. Gli accarezzo i capelli. «Sei arrivato, amore,» sussurro, la voce che mi si rompe in gola. «Te lo prometto, aspettami.» Il mio uomo non risponde, il suo respiro si fa sempre più debole. Appoggio la fronte alla sua, un’ombra passa sul volto di Sergio, i suoi occhi si spengono, opachi. Il monitor emette un suono acuto e continuo; tace. Nella stanza arriva l’infermiera. «Vada fuori,» urla. Tutto intorno a me si dissolve.
  3. Buongiorno, mare. Grazie per avermi lasciato andare quando ero fragile. Socchiudo gli occhi allo sciabordio delle onde. I granelli bianchi rotolano, spinti su per la battigia. «Giorgio!» urla Sergio. «Vieni a fare il bagno.» Sputa sul vetro della maschera. «Più tardi, forse.» La schiuma, ritirandosi, deposita una striscia scura di posidonia che serpeggia lungo le delicate curve della costa. Il sole bacia la pelle, la brezza scivola sui frangenti, portando con sé il profumo del mare. Sergio corre da me, si mette sopra, a gambe aperte e gocce gelide d’acqua mi cadono sul ventre. «Ti sei già stufato di rompere le scatole ai poveri pesci?» Si china e mi bacia. «Vedi di farti la barba, poi ti resta il segno.» «Pensa alla tua.» Si sdraia accanto, con gli occhi chiusi, la testa sui palmi e un sorriso leggero, appena accennato. Si gira su un fianco, i capelli gli scivolano sul viso, coprendo la cicatrice sullo zigomo che mi fa impazzire. Schiude le palpebre e sospira. «Questa è vita, eh?» Solleva una mano verso il cielo limpido. «È il paradiso e potrei rimanere qui per sempre.» Due vele gonfie spuntano dalle onde, la prua punta all’isola piana. «Potremmo farlo.» Mi sollevo sui gomiti. «Compriamo una barca, via da tutto e tutti.» Sergio ride. «Sì, solo per noi, senza stress.» Si volta sul golfo dell’Asinara, gli occhi seguono le linee dell’orizzonte. «Svegliarsi ogni mattina con questo panorama, il sole che ci saluta sull’acqua e noi... liberi.» Lascia scivolare la sabbia tra le dita, il suo profilo si staglia nitido contro il blu del cielo. Mi siedo, incrocio le gambe e afferro la borsa frigo. «Allora facciamolo davvero.» Prendo due birre. «Non sto scherzando. Compriamo una barca e giriamo la Sardegna. Ci fermiamo dove ci va.» Due bambine e un bambino sono accovacciati accanto a tre castelli di sabbia. «Dici davvero?» Solleva un sopracciglio e dà un buffetto alla spalla. «Tu e le tue idee pazze.» Si fa serio, il sorriso più dolce. «Sì, mi piacerebbe davvero. Io, te e una barca nel Mediterraneo.» Si tira su, si avvicina e appoggia la fronte contro la mia. «Un giorno lo faremo.» Apro la lattina e gliela passo. «Ci riusciremo, vedrai.» Sergio si mette in piedi, scrolla via la sabbia dall’asciugamano e lo posa, si lascia cadere all’indietro aprendo le braccia. Lo osservo per qualche secondo e mi sdraio accanto a lui. Le nostre dita si intrecciano, restiamo così, con la cantilena del mare interrotta dalle urla dei gabbiani in cerca di cibo. *** Mi siedo sul divano e scruto l’interno della teca. Dentro, i ragni si muovono lenti sui rami secchi che Sergio ha disposto a diversi livelli, incastrati l’uno sull’altro, formando piccoli nascondigli e passaggi. Stare vicino a loro mi mette a disagio. «Stai tremando.» La voce di Sergio è calma. Mi accarezza la guancia. «Vuoi che li tolga dalla stanza?» «No, no...» Sbuffo. «È solo che... non capisco come fai a trovarti bene con queste bestie.» «Se avessi la tua allergia forse neanche io li adorerei così tanto.» I suoi occhi brillano nel riflesso del vetro. «Ma non ti faranno niente, promesso.» «Certo. E poi, una sera, mentre dormiamo, uno scappa e viene a darmi il bacio della buonanotte.» Ride. «Sono chiusi bene, non hai nulla da temere.» Solleva il coperchio, rivelando un ragno nero, lucido. «Questo è uno dei più pericolosi per te.» Mi lancia uno sguardo. «Non male, vero?» «A me sembra un incubo a otto zampe.» La pelle d’oca corre lungo le braccia. «Perché tenerne uno in casa?» Sfiora il vetro con le dita. «In foto non è la stessa cosa. Non vedi come si muovono, come reagiscono. Sono eleganti, perfetti. Creature che pochi capiscono.» All’interno, il mostriciattolo solleva due zampe. «Certo, ma c’è differenza tra capirne uno e tenerlo come animale domestico, no?» Mi stringe a sé e mi bacia. «Ho sempre avuto gusti particolari.» Mi squadra da capo a piedi. E tu ne sei la prova.» Ridacchia. «Che simpatico.» Si avvicina. «Ho una cosa per te. Chiudi gli occhi.» Rumore di carta; sta aprendo un pacco. Cosa ci sarà? «Puoi aprirli,» dice. Davanti a me appare un modellino di barca a vela. «È bellissima. E questa?» «Sarà la nostra casa, è così che l’ho immaginata, ed è così che la farò costruire.» Posa il modellino sul comò e si sdraia accanto, appoggiando la testa sulla mia coscia. «Stanno per arrivare i nostri amici.» Ci sono tutti. Sgombero il tavolino di legno scuro dalla pila di libri, rimuovo il segnalibro e ripongo Space Mission Analysis and Design sulla mensola. Al loro posto, dispongo i piattini con salatini, olive e tramezzini al centro. Ci sediamo attorno al tavolo. «Sì, certo che hai vinto tu,» dice Francesca, scuotendo la testa e versando altro vino nel bicchiere di Sergio. «Ma vorrei proprio sapere come hai fatto a convincere quel vecchio con la bancarella di pesce che i tuoi due ficus sono bonsai!» Sergio alza le mani. «Gli ho solo detto che erano della mia collezione privata. Se poi lui ha creduto che valessero così tanto... beh, non è colpa mia.» Alessio, dall’altra parte del tavolo, si piega in avanti. «Ah, sei sempre il solito, Sergio! Riusciresti a vendere acqua di mare ai pescatori.» Si gira verso di me. «Sei fortunato, Giorgio, lo sai, vero?» Mi appoggio allo schienale della sedia, con un bicchiere di vino tra le dita. «Certo, lo so.» Francesca sorride e aggiusta i capelli arruffati, Alessio gesticola come farebbe un pittore davanti alla sua tela. E Sergio... beh, Sergio illumina tutto, come sempre. Mi alzo per portare via i piatti vuoti. Sergio mi afferra il polso, facendomi girare. «Dove vai? Lascia stare, siediti. La domenica è fatta per rilassarsi, non per fare il cameriere.» Mi siedo e spingo i piatti al centro del tavolo. «Qualcuno dovrà pur farlo.» Francesca si distende sul divano e poggia i piedi sullo sgabello. «Ci penserà Alessio,» dice, puntando un dito su di lui. «Dopotutto, ha mangiato come se non ci fosse un domani.» Alessio fa una smorfia e incrocia le braccia al petto. «Ehi, un momento! Io sono l’ospite.» Scuote la testa. «Non so voi, ma io voto per far pulire Giorgio. Lui è sempre così organizzato... sempre preciso, no?» Faccio spallucce. «È quello che stavo facendo.» Sergio ride, si avvicina e mi sussurra all’orecchio. «Ti amo quando fingi di darmi retta, ma alla fine fai come vuoi.» Mi bacia sulla guancia. «Questa barba inizia a pungere.» Il suo respiro caldo mi sfiora il collo. «Pensa alla tua.» Alessio si sporge sulla sedia e indica lo strumento appoggiato contro il muro. «Ehi, Sergio, non è ora di tirar fuori quella chitarra?» Sergio mi lancia uno sguardo e si alza, allungando la mano, non ci arriva. Alessio lo anticipa urtando il comò, il modellino della barca dondola pericolosamente, sta per cadere. Sergio si alza di scatto e la prende al volo. «Okay, ma niente richieste strane.» Mi giro verso Alessio. «Hai rischiato la vita, se avessi rotto quel modellino ti avrei ucciso.» Alessio spalanca gli occhi. «Esagerato, per una barca.» «Non è solo una barca, è la Barca.» Francesca si alza, apre il congelatore e prende la bottiglia di mirto. «Chi ne vuole un po’?» Passa lo straccio asciutto sul vetro ricoperto di brina. «Fa' come se fossi a cassa tua eh!» Mi accomodo meglio sulla sedia. «Per me solo un goccio.» Sergio inizia a suonare; le prime note sono lente, delicate, la sua voce si unisce alla melodia, morbida e calda. Alessio batte le mani a ritmo sulle cosce, Francesca canta il ritornello con il bicchierino in mano. Sergio ha la testa leggermente piegata e gli occhi socchiusi. Ecco il futuro che vorrei: le domeniche da passare insieme, a ridere, cantare, a vivere. Mi sembra tutto così semplice. Le cose semplici sono le più difficili da ottenere. La canzone finisce con una nota lunga, stonata; a nessuno di noi importa. Sergio si appoggia allo schienale e mi guarda con quel suo sorriso furbo, che trova il modo di rilassarmi e farmi stare bene. «Giorgio,» dice. «La felicità è tutta qui. Un po’ di vino, gli amici, e qualcuno da amare.» *** Le candele sono ormai alla fine, il loro profumo di vaniglia si è diffuso in tutto il soggiorno. La luce illumina i quadri e i libri sparsi sulle mensole. Seduto sul tappeto con Sergio, la bottiglia di vino tra di noi, i bicchieri abbandonati accanto ai piatti sporchi della cena. Ha la testa leggermente inclinata all’indietro, i capelli ricci sfiorano le spalle. «Ricordami domani di sfilare il bastone dal culo di Marta.» Scoppia a ridere e mi spinge con la mano. «Sempre serio, e poi te ne esci con queste cavolate.» «È lei che mi fa uscire di testa. Possiamo licenziarla, ti prego.» Le sue labbra sfiorano il mio collo, si spostano sulla guancia. Le dita si infilano tra i miei capelli, e i suoi occhi mi fissano con quell’intensità che mi fa sentire unico. Mi lascio andare, lo abbraccio forte, le nostre mani scivolano l’una sull’altra, cerco ogni millimetro di lui. Sbottono la sua camicia; il corpo è caldo contro il mio, i nostri respiri si incontrano, affannati. Lo bacio, e lui risponde con una fame che mi fa perdere la testa. Le sue dita si fanno più veloci, e la mia bocca scende lungo il suo torace. Sergio si blocca. Si irrigidisce. Si porta una mano al petto e mi guarda, gli occhi vuoti. «Tutto a posto?» «Sto... sto bene.» La sua voce trema e il volto diventa pallido in un istante. Mi ritraggo. «Sergio!» Lui si piega in avanti: una mano stringe il tappetto, l’altra si aggrappa a me. Si alza, barcolla, urta il comò, e rovescia il diffusore, il profumo di pesca invade la stanza. Il vaso con l’orchidea cade sul pavimento, mandandolo in frantumi. «Sergio!» Lo scuoto. Piega la testa all’indietro, gli occhi spalancati, persi nel vuoto. Non risponde e respira a fatica. Corro in cucina, afferro il telefono con mani tremanti e digito il numero dell’ambulanza. «Per favore, venite subito... il mio ragazzo... non riesce a respirare, ha dolore al petto... non so cosa fare, per favore, fate presto!» Torno da lui, mi inginocchio accanto al suo corpo; le labbra bianche, chiude gli occhi. «Sergio, per favore... stai con me. Respira, ti prego... l’ambulanza sta arrivando.» Le lacrime cadono senza sosta; non posso perderlo, non ora, non così. Sergio apre gli occhi per un istante; le labbra si aprono appena, senza produrre un suono. Le dita cercano la mia mano, gliela stringo forte. Ogni secondo è un’eternità. La sirena dell’ambulanza arriva ovattata. «Non mi lasciare, ti prego, resta con me...» Finalmente la porta si spalanca; irrompono le ombre dei paramedici che corrono da noi. Lo sollevano, gli parlano, gli danno ossigeno, ma io non capisco niente. Lo portano via. Resto in ginocchio, solo.
  4. PierpaoloR

    Il dolore nelle parole

    Autore: Pierpaolo Rubiu Editore: Independently published Pagine: 218 Link per acquisto Amazon Ezio era una promessa del calcio italiano, ma un infortunio ha spezzato il suo sogno e lo ha allontanato da tutto ciò che amava. Anni dopo, la vita lo ha ridotto a un uomo che lotta per ritrovare il suo posto nel mondo e per riconquistare il rapporto con i figli, Marco e Luigi. Quando accetta di allenare una squadra giovanile, la Sansevieria, Ezio vede un'opportunità di riscatto. In un piccolo paese dove il calcio è più di un semplice gioco, Ezio dovrà affrontare vecchi rancori e nuove sfide, guidando i suoi ragazzi in un torneo che li metterà alla prova come mai prima. Tra campi polverosi e spogliatoi carichi di tensione, imparerà che la vera partita non si gioca solo in campo. Un romanzo che racconta la forza dello spirito umano, il valore dell'unità e la bellezza del riscatto, in cui ogni lettore potrà ritrovare un pezzo di sé. Ildolorenelleparole.pdf
  5. Cerco beta-lettori per il sequel di un mio romanzo di fantascienza. Mi rendo conto che iniziare direttamente dal secondo potrebbe generare confusione, per questo motivo offro gratuitamente una copia in formato e-book del primo volume a chi fosse interessato. Concept Alieni vogliono impossessarsi del pianeta e creano una razza ibrida per i loro scopi. Elevator Pitch Duecentomila anni fa un popolo extraterrestre si avvicina alla Via Lattea e ha l’occasione di sfruttare la Terra. Creano una razza e insieme minacciano l’equilibrio dell’ecosistema. Sette ragazzi combattono per difendere il pianeta. Un evento ha reso gli invasori più potenti e la Terra reagisce minacciando la distruzione totale. La fine è vicina, l’albero sacro sta morendo e favorisce la nascita di una bambina per aiutare i ragazzi. Entrambi i romanzi sono scritti in prima persona presente, attraverso il filtro del personaggio aderendo rigorosamente alla regola dello show, don’t tell. Lo specifico poiché a molti questo stile di scrittura non piace. Grazie
  6. Robi, una donna di trentacinque anni, un lontano pomeriggio in un locale della mia città d'origine, aveva condiviso con me un calice di vino. La stessa sera, senza particolari preamboli, mi aveva donato il suo corpo.
  7. Ti ringrazio Daniela.
  8. Titolo: Silgiu alla ricerca del Custode Autore: Pierpaolo Rubiu Editore: Self Genere: Fantascienza Tipo: Romanzo N° di pagine: 472 Link per l’acquisto Amazon Prime dieci pagine Silgiu.pdf
  9. Ti ringrazio per i consigli.
  10. Mi dispiace Steve666, non riesco a leggere quando ci si rivolge direttamente al lettore. Condivido il pensiero di Gustave Flaubert : L’autore, nell’opera sua, deve essere come Dio nell’universo, presente dappertutto e visibile in nessun luogo.
  11. Usa focalizzazione interna con filtro del personaggio. Dovrebbe vedere quello che vede il personaggio e pensare come il personaggio. Le descrizioni di un ambiente famigliare senza motivo sono una forzatura. In genere si usa la tecnica del nuovo arrivato. Nuova scuola, nuovi amici, nuova casa nuova palestra ecc. ecc. Tutto per giustificare le descrizioni di nuovi ambienti che altrimenti non avrebbero senso. Poi, ovviamente, ognuno fa come vuole.
  12. orologio posto di fronte al letto perché dovresti pensarlo? L'orologio è sempre stato lì, non è cambiato. Quando entri a casa tua non pensi dov'è il frigo o la cucina o la fotografia sul comodino perché sei in un ambiente che conosci bene. Vuoi parlare dell'orologio? Trova un motivo. Per esempio il vetro rotto da cambiare, la polvere, una lancetta storta. Qualcosa che attira l'attenzione sull'oggetto. Altrimenti non hai motivo di scrivere che è di fronte al letto. Sono informazioni per il lettore e lui lo sa. Le lancette dell'orologio sembrano immobili come se il tempo si fosse fermato.
  13. Potrei anche essere d’accordo, ma se dovessi prendere in mano una chitarra e facessi un giro di accordi, sarei un musicista? E se prendessi un pennello? Quattro o cinque linee e una curva sarei un pittore? In fondo a scuola ho studiato musica e arte.
  14. Entriamo nel locale, il barista da dietro il bancone solleva una mano, mio padre si avvicina al banco, «ciao Marco, come sta Maria?» Marco sorride e pizzica la radice del naso, «molto meglio, grazie. Ti preparo il solito? E per lui?» Mio padre mi guarda, solleva gli occhi al soffitto e passa le dita sul mento, «per me sì, mio figlio non so cosa prende, chiedo». Saluta il barista per nome, gli chiede di Maria e li prepara il solito. Non ho scritto che è il bar preferito del padre, non c’è l’autore che lo spiega ma ho costruito una scena dove si vede che è un locale abituale. Mio padre mi guarda e passa le dita sul mento, «per me sì, mio figlio non so cosa prende, chiedo» Non dico che è la prima volta che lo invita a bere insieme, costruisco una scena dove il padre non sa cosa il figlio prende di solito, quindi o è la prima volta o non vanno spesso. Non ho aggiunto descrizioni del locale, che sono da fare perché entri per la prima volta, più descrivi e più osservi i dettagli, meno descrivi e meno osservi o sei gi stato lì. E anche se il lettore pensa ad altro scenario va comunque bene. Il lettore deve costruire il suo film mentale. Solo un esempio.
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