Vai al contenuto

Manu_ela

Utenti
  • Numero contenuti

    22
  • Iscritto

  • Ultima visita

Su Manu_ela

  • Grado
    Contributor
    Contributor
  • Compleanno 04/05/1992

Visite recenti

292 visite nel profilo

Obiettivi di Manu_ela

Contributor

Contributor (5/14)

  • One Year In
  • Collaborator
  • One Month Later
  • Week One Done
  • Reacting Well

Badge recenti

8

Reputazione Forum

  1. Manu_ela

    Seduti al bar {incipit}

    Ehi Chester! Grazie per aver letto il mio racconto e per le critiche utili che mi hai portato alla luce! Eh sì, hai davvero ragione, cercherò di fare più attenzione alle incongruenze e ai termini che uso. Sono contenta lo stesso che ti sei preso del tempo per leggermi
  2. Manu_ela

    Seduti al bar {incipit}

    Sì, chiedo scusa. Mi rendo conto che la donna nel testo viene oggettifica dai clienti. Se dovesse funzionare come dici si dovrebbe provare una sorta di 'non è giusto'. Alternato da un momento di piccolo sorriso nella parte del discorso su Frank per ritornare di nuovo a provare fastidio nella parte finale. Poi non so se viene trasmesso questo. A mia discolpa posso dire che nella mia idea il protagonista si trasformerà e si renderà conto che lui che non è meglio rispetto all'uomo di cui parla e la ragazza avrà la sua rivincita.
  3. Manu_ela

    Seduti al bar {incipit}

    Ciao ragazzi, volevo sapere il vostro parere su questo parere. Potreste dirmi se è chiaro quello che ho scritto? Si capisce tutto? Lo stile è okay? Le reazioni sono realistiche? Ecc... Eccolo: «Vi porto il solito, ragazzi?» Mary Boobs, uno spettacolo di donna. Sta in piedi dietro al bancone con quel balconcino soffocato nel reggiseno e pulisce un calice di birra con un canovaccio unto. Le montagne degli dei sballonzolano e mi chiamano in paradiso. «Allora?» «Sì Mary, portaci un paio di Heineken.» La voce sicura di Hermis spezza l’incantesimo. Da quando si è sposato è immune alla magia femminile. Mary si volta, il girasole del suo didietro mi saluta e si allontana. «Lo sai, Dan?» Cosa Hermis, che devo sapere? Ha lo sguardo perso fra le bottiglie di alcolici nella teca davanti a noi. Detesto quando lo fanno, iniziano un discorso con ‘Lo sapevi che?’ o ‘Lo sai cosa ha fatto tizio?’ come se dovessi essere nella loro testa. «No, non lo so. Dimmi.» «Corre voce che sia tornato.» Parla di Frank? Spero che sia uno scherzo. Mary ritorna e lascia sul bancone birre e calici, fa saltare i tappi con un apribottiglie e la sua scollatura si allarga. Un infarto. «Alla salute, ragazzi!» ci dice con l’ampio sorriso della sua angelica bocca dipinta di rosso. «Grazie Mary.» Versiamo le bionde nei bicchieri. «Cosa mi stavi dicendo?» porto il calice alla bocca, il liquido mi pizzica le labbra e scende ghiacciato nella gola. «Frank è tornato, lo hanno visto scendere dal treno in paese. Lo sai, le voci corrono.» Non posso crederci. Appoggio un braccio al bancone e ticchetto il quadrante dell’orologio scucito. Per colpa di quel bastardo di Frank non me ne posso permettere neanche uno nuovo. «L’ultima volta che l’ho visto scappava da casa mia.» lo ricordo come fosse ieri. Hermis spalanca la bocca, sembra abbia visto un fantasma.«E sentiamo, come avrebbe fatto a entrarci?» «Non lo so.» La schiuma scoppietta nel bicchiere, i ricordi si riavvolgono. «Era notte, mi aveva svegliato il fottuto chiwawa del piano di sopra. Vado in cucina e lì, in ombra, c’era una figura accucciata dietro al tavolo.» Faccio una lunga sorsata, le gocce scivolano sul pigmento verde del vitreo. Hermis mi fissa, ho catturato la sua attenzione. «prendo il mattarello di mia mamma, pace all’anima sua.» Hermis sputa la birra che schizza sul bancone, «È morta tua mamma?» gli occhi gli si sgranano. «Non me lo avevi detto.» «No, Hermis. È un modo di dire.» «Ah…» «Alzo il mattarello e corro, urlo per picchiare il ladro. L’uomo si mette in piedi…» La frase rimane a metà, aleggia fra i brusii degli altri avventori del bar; un uomo a un tavolo dietro di me ordina un amaro, qualcuno sbiascica parole senza senso fra i deliri dell’alcool. «E poi?» «Niente, era quel ciccione di Frank in mutande. Si è messo a urlare, sembrava un maiale al macello. Un altro po’ e gli avrei provocato un trauma cranico con il mattarello.» Hermis si mette a ridere. Il bicchiere gli trema fra le mani. «Ehi, ma che cazzo fai?» «Scusa amico, è che…» si passa una mano sugli occhi, «Non riesco a togliermi dalla mente il grassume pieno di peli di quell’orso dalla testa stempiata e te in pigiama con il mattarello.» «Già, è un vero coglione…» Finisco la birra. È piacevole stare qua, a parlare con un amico. Il nettare amaro inizia a fare il suo effetto, mi solletica i neuroni. Sfilo un filo fuoriuscito dal cinturino di pelle. «Hermis, ti ricordi di quando io e Frank lavoravamo per il fioraio e lui se n’è scappato via con tutti i soldi della cassa?» Lui fa un sogghigno divertito. «Come scordarselo, ne abbiamo parlato per tutta la sera qui al bar.» Mary porta via le bottiglie vuote. «Cara, ce ne porti altre due? Ancora gli fischieranno le orecchie per quante gliene abbiamo tirate.» Stringo il filo fra le dita e lo spezzo. «Già, il titolare alla fine mi ha dato la colpa e mi ha licenziato.» Il brusio del locale si fa intenso. Il fondo della bottiglia ha lasciato un alone umidiccio sul legno, ci immergo un dito e scarabocchio, è una bella sensazione. «Mi dispiace, amico.» All’improvviso, la porta del bar si apre con lo scampanello del contagente all’ingresso. Una sferzata di vento mi schiaffeggia il braccio. «Ehi, ragazzi, sono tornato!» No, la voce nasale di Frank. La riconoscerei ovunque. I musi dei clienti seduti di fianco a noi si voltano, alcuni si mettono una mano alla fronte, altri sbuffano. «Vi sono mancato?» I suoi passi si avvicinano, spero che non ci riconosca. «Ehi, ciao Dan. Come stai amico?» Tuffo la testa nel braccio. «Ma che fai, ti nascondi?» le sue mani grassocce mi perculano la nuca, la accarezzano. Accartoccio le dita dentro le scarpe. Vorrei averlo colpito in mezzo alla fronte quella volta. Alzo la testa: «Vattene, Frank.» gli do una gomitata, «Nessuno ti vuole qua.» Ride. Si sbraga accanto con il busto sul bancone, Mary serve un altro tipo più avanti, lo sguardo di Frank si sofferma sul suo sedere e si lecca le labbra. «Ehi Mary, portami una rossa. » Le urla, poi si volta nella mia direzione. I piccoli occhi da porco di Frank mi fissano, puzza di alcool, i peli del petto arricciati sulla camicia aperta. «Allora, Dan, mi ospiti tu stasera? Ci siamo divertiti l’ultima volta.» Hermis si gira dalla parte opposta, lo conosco. Se dovesse intervenire ne uscirebbe fuori una rissa. Non riesco a controllare la rabbia.«Lasciami in pace, Frank.» Lui alza le sopracciglia e gli si allunga un sorriso sulla faccia. «Hai una bella collezione di vinili. Adoro gli ACDC, avresti potuto prestarmene qualcuno.» Ride. Che cazzo si ride. Mary Boobs lascia una Menebrea doppio malto e le nostre birre sul bancone e ne fa saltare i tappi. Lo schifoso non la guarda in faccia. «Ehi, Mary.» le parla senza staccare gli occhi dal suo seno, «Che ne dici se stasera ti do una mano qua, eh? Posso farti da guardiano notturno.» Mary si sfiora il collo. Deve essere abituata agli sguardi bavosi, non sembra provare il minimo imbarazzo. Si mette le mani ai fianchi ed espone il petto florido sotto al grembiule: «Non se ne parla Frank.» Imbroncia il viso, passa uno straccio su una macchia incollata sul piano che non va via, «L’ultima volta mi hai scolato seicento dollari di alcolici». Frank guarda il soffitto, si porta due dita sulle labbra sottili. «Mary, non ho idea di cosa stai parlando. Stai sicuramente incolpando la persona sbagliata.» Lei sbuffa e ci mostra la schiena, fa per andarsene. «Sei una maleducata, lo sai? Non dovresti trattare così una persona in difficoltà.» Torna indietro, ha gli occhi fissi sulla faccia suina di Frank. Lo punta con un’unghia. «Tu. Ma come ti permetti? Lo sanno tutti che ti fotti l’invalidità da trent’anni e non hai un cazzo.» Una ruga di rabbia le si disegna in mezzo alla fronte. Nel suo locale lei è la regina e detta le regole. Frank si schiarisce la gola: «Non lo sai che la maggior parte della gente in America soffre di ansia?» si scola a canna la Menebrea e la sbatte sul bancone. «Ansia cronica, è questa la mia diagnosi. Mi hai veramente deluso, non pensavo fossi una come quei coglioni che giudicano senza conoscere. » Frank mi guarda, stringe gli occhi in due fessure. «Proprio dei codardi.» Sputa sul pavimento, «Gente che ti sparla dietro perché ha troppa paura di dirtele in faccia.»
  4. Eh sì, è un po' frenetico , di quali descrizioni (a parte quelle parole) ti è mancato il bisogno? P.s. è normale che quelle parole ti si sono catapultate come venute dalle nuvole perché la spiegazione della loro esistenza sta nella parte precedente. Io sento che manca sicuramente la parte centrale da quando mangia alla fine del lavoro.
  5. Sono d'accordo con voi però a volte può sembrare un po' violento come passaggio in alcune situazioni. Faccio un esempio più concreto così riesco a spiegarmi meglio. Prendo le mie cose e torno a casa. Infilo la chiave nella serratura della porta ed entro. Cavolo, ho lasciato l'insalata fuori dal frigo! Non sentite anche voi questo cambio di scena troppo repentino ?
  6. Salve, sto cercando di utilizzare il pov in prima persona. Questo è un estratto di un racconto più lungo. Il mio interesse è nel sapere sia se sto utilizzato il maniera corretta il pov in prima persona focalizzato con lo stile show. Soprattutto volevo sapere se fosse chiaro o se stucca e tutto quello che non va bene. Le descrizioni scelte sono corrette? ... Concept: Carla arriva un ufficio con una scarpa rotta e si mette a lavorare. Premo i tasti della tastiera meccanica senza sosta. Nome cliente - invio. Indirizzo abitazione - invio. Cosa ha acquistato? Quanti colli servono per la spedizione? Quante scorte rimangono in magazzino?... Continuo a rispondere al questionario e scoccano le tredici. Il tempo passa veloce. Apro la borsa, mi aumenta la salivazione: i due tramezzini al salmone e Philadelphia del discount impacchettati nella plastica sono là. Dò un morso al primo. La cremosità del formaggio si impasta al pesce tiepido. Chiudo gli occhi e sono in un ristorante a cinque stelle davanti a una spiaggia. Il garrito di un gabbiano sopra la mia testa. Succhio la carne dell'ostrica spruzzata di limone. Magari! Finisco i tramezzini, butto l'incarto nel cestino sotto la scrivania e riprendo il lavoro con un sospiro. Riempio pagine di excel, sono alla numero trentasei. Mi fermo e scrocchio le dita. I numeri sullo schermo si sfocano, mi bruciano gli occhi e strofino le palpebre. Sono le diciannove e un minuto. È arrivato il momento di andarmene. Premo il bottone di spegnimento sul case e acchiappo i miei effetti personali. Stringo la scarpa rotta nella mano, apro la porta piano piano e faccio capolino con la testa: nessun altro sta uscendo dal suo ufficio; staranno ancora facendo le loro cose. Sgambetto fino alla Hall: nella stanza c'è solo la tizia con la faccia anonima dietro al bancone. Non ricordo il suo nome. Dice: «Buona serata.» Faccio un cenno con la testa, le do le spalle e vado verso l'uscita in vetro di fronte a lei. Quando la porta scorrevole inizia muoversi una voce sguaiata dietro di me fa: «Ehi, Carla! Ti va di...» Giorgia. Se sentissi di nuovo le parole 'pupa', 'anello' e 'fidanzato' nella stessa frase potrei mettermi a urlare, perciò aumento il passo e senza voltarmi supero i gradini d'ingresso. Il buio mi investe e le dita del piede si accortocciano al contatto del porfido sul marciapiede. Si vedono le stelle, un lampione rischiara la strada. Supero vetrine di negozi con luci spente, il ronzio di una mosca fa avanti e indietro vicino l'orecchio. Sventolo la mano. Arranco, i fari di una macchina sbucano da un incrocio più avanti, l'auto imbocca la strada principale e le ruote girano sull'asfalto con un fruscio costante sempre più forte via via che la figura si ingrandisce. Una specie di Caparezza giovane tira fuori la testa dal comodino. «Ah, splendida! Faccele vedere!» Alzo le sopracciglia e vado avanti. Al portone di casa mia, schiaccio la testa sul legno e inserisco la chiave nella serratura. Mi tolgo anche la scarpa intera e corro per le scale. Raggiungo il secondo piano, varco l'ingresso del monolocale con alcune giravolte, lancio la borsa sulla montagna di vestiti appoggiati alla mia personalissima sedia porta-oggetti e con l'ultimo giro mi butto sulle lenzuola disfatte. Odore di cipolla e aglio aleggia in tutto il locale. Il mio stomaco gorgoglia. Chissà cosa stanno cucinando i vicini? Combatto contro la forza di gravità e alzo il corpo con una protesta lamentosa del letto. Lancio le scarpe sotto il lavandino dell'angolo cucina. A mai più arrivederci! Mi siedo davanti al tavolo a incasso e tiro fuori il cellulare. Fisso il contatto di Thomas su WhatsApp e sospiro. Non cederò questa volta. Lo sblocco; giusto per sbirciare quando fosse stato online l'ultima volta. La sua foto profilo. Le mie pupille seguono i lineamenti della figura. Passare le dita nella capigliatura alla Johnny Depp e fargli i grattini sulla schiena. Quando gleli facevo lui diceva: «Gratta più a destra, ora a sinistra. No, un po' più giù.» «Ma dove? Non capisco!» Ci mettevamo a ridere... Carla smettila, non devi farti questi pensieri ! No! *Finestrino, non comodino
  7. Non parlo di flashback. Parlo di quando il tuo Hero svolge un'azione e poi devi cambiare scena per la prossima. Esempio: il tuo pg è a lavoro e alla fine del lavoro torna a casa. Se non succede niente di rilevante nel tragitto, per non fare sembrare troppo veloce il cambio di scena dal lavoro alla casa come fate? Caspiterina, doveva andare solo in 'supporto scrittura' ma qualcosa è andato ed è finito nella documentazione. Scusate, qualcuno dovrà spostarlo nella sezione giusta
  8. Manu_ela

    Diario di Manu_ela

    5 Settembre Stato d'animo: Oggi l'umore creativo è un po' giù perché sto litigando con i miei personaggi: non sono abbastanza interessanti. O sono io incapace di dargli una voce? Ecco qua. Siamo sempre allo stesso punto: non mi sento abbastanza per questo ambiente. Sono un pesce fuor d'acqua. «Ancora con questi racconti?» Mi chiedono le persone vicino a me. Incrociano le braccia, guardano da un'altra parte o sbuffano quando provo a parlare delle fantastiche parole trovate sulla pagina di un libro. Ne segno alcune qui prese dai miei memo digitali: spurio, soperchierie, lacustre. Lo sapevate che la popolazione vicino ai laghi ha una cultura lacustre? Io no. Tant'è, forse il problema è questo: non conosco nessuno nella mia 'realtà reale' con la passione della scrittura. C'è anche il problema grammatica: la coerenza dei tempi verbali, le virgole e la D eufonica. Quella maledetta la sbaglio sempre. Bho, forse il problema maggiore è che a me piacciono i miei racconti. Li ho riletti. Non una ma cinque, dieci, cinquanta volte. Ho aggiustato, migliorato e sistemato fino ad averne la nausea ma anche la prima versione continua a suonare bene nella mia testa. Eppure sono un'egoista perché non mi basta. Non è sufficiente se piace a me perché ogni figlio è bello a mamma sua. Voglio sia interessante per qualcuno lì fuori che offre il suo tempo prezioso nel leggerlo e non si senta di averlo perso. A proposito del tempo: quanto ne sto utilizzando per la scrittura? Eppure non sembra abbastanza. Quando riuscirò a buttarmi nell'oceano e imparare a nuotare fra i suoni delle parole? Dove 'Era un uomo davvero molto buono' sembra stonato all'orecchio, al contrario delle tonalità vintage di 'Era un uomo buono', vogliamo parlare del 'Tutti i giorni l'uomo dava una moneta al barbone accasciato al suolo' che con le sue forti influenze Pop scala la classifica delle HIT Parade? Non lo so, forse sono solo stonata però a me non basta più "cantare sotto la doccia".
  9. Manu_ela

    Ritorno alle origini!

    Ciao, benvenuta nel forum! Spero tu possa ritrovare te stessa e continuare a pensare alla scrittura come un rifugio oltre che come un modo per affinare i tuoi talenti e la tua creatività!
  10. Manu_ela

    Zucchero Filato

    Hai esplicitamente richiesto le criticità e i consigli quindi te li do con molta umiltà e da semplice lettrice: La parte che mi è piaciuta di più è stata immaginarmi la piazzetta con il palco e il venditore. Anche il significato di fondo mi piace però secondo me la parte critica sono le ripetizioni un po' dappertutto. Il consiglio che darei io è usare dei sinonimi o eliminarne alcune perché secondo me non perderai il senso della storia. Un'altra critica: Personalmente credo che il testo necessiti di qualche variazione stilistica perché è completamente raccontato. E il consiglio: Non so...Un discorso diretto anziché una spiegazione da qualche parte gli avrebbe dato sicuramente più emozione.
  11. Molto bello, un racconto molto tenero e che trasmette amore!
  12. Manu_ela

    Nanà e Totò

    Sì, sono contenta che ti abbia ricordato un episodio del passato! La frase 'figlia come un coniglio' è esatta, non è solo un modo di dire! Eheheh! Sono rimasta davvero contenta del tuo commento! Mi aspettavo già una valanga di correzioni a dir la verità🤯! Sono anche contenta se ti ho lasciato un poco di curiosità 🤗 quindi grazie di aver usato un po' del tuo tempo per aver letto questa parte del racconto e anche di aver commentato!🎉🎉
  13. Manu_ela

    Nanà e Totò

    Ciao a tutti, Come detto nel primo post, pur mantenendo un numero di caratteri limitato, ho allungato il racconto. Non sapevo se scriverci 'prima parte' o 'seconda parte' siccome il primo post era davvero cortissimo e in un'altra sezione e la seconda parte ancora non esiste! Vorrei far sapere che utilizzo il virgolettato per il parlato perché non possiedo il PC e in altro modo sarei scomoda da telefono! Sono curiosa di sapere gli errori e le vostre opinioni su questa piccola storia, Grazie in anticipo a chi volesse rispondere,buona giornata! In paese il 'Piccolo shop del pet' vendeva animali divisi in gabbie a seconda del tipo e della quantità. Quello stesso giorno il negozio aveva aperto da poco, le bestiole si erano addossate ai cancelletti per accaparrarsi la loro razione giornaliera di cibo mentre uno dei conigli era rimasto in un angolo con gli occhi spalancati a sentire schiamazzi e clangore metallico dal suo vicino di gabbia: un cacatua che svolazzava da una parte all'altra e sbatteva sulle listelle di ferro. La notte passata aveva fatto cadere la pallina di plastica con cui aveva giocato e non aveva più smesso di starnazzare e garrire. Un commesso si era avvicinato all'uccello, si era grattato la testa, aveva preso il gioco da terra e glielo aveva riportato al becco. "Oh...Finalmente ti sei calmato! Mi spaventi tutti i clienti se fai così!" Aveva esclamato. Il coniglio si era stiracchiato, si era disteso, aveva osservato gli altri suoi simili disperdersi e la ciotola del cibo svuotata. Aveva scosso la testa, aveva sfloppato da un lato e aveva chiuso gli occhi. Dormiva quando una mano gli aveva cinto il corpo, lo aveva trascinato fuori e lo aveva sollevato da terra. Si era dimenato chiedendo aiuto ma nessuno sembrava averlo sentito. L'odore acre della mano sudata era del commesso che lo aveva appoggiato su un tavolo, lo aveva spinto dentro una scatolina aperta di cartone forata ai lati e prima che avesse potuto riprendere il controllo delle zampe tremanti gli aveva chiuso l'uscita. "Adesso avrai una vita migliore, vedrai..." gli aveva sussurrato. La scatola venne sollevata e oscillava mentre veniva spostata all'esterno del negozio, il coniglio aveva sussultato e aveva conficcato le unghie nel cartone. Non si trovava più in un luogo famigliare: sentiva passi sconosciuti di molte persone, voci di donne, uomini e bambini, odore di asfalto e il battito del cuore accelerato. I padroncini erano rientrati a casa e Totò aveva saltellato e aveva girato attorno alle loro gambe prima che si arrendesse e tornasse nella cuccia scodinzolando perché erano troppo impegnati in una fitta conversazione. "...Ti ho detto di appoggiare a terra la scatola." Disse il ragazzo buttando il cappotto sul letto. "È una cosa sbagliata, hai sentito quello che ci hanno detto al negozio." "Dai, vedrai che non accadrà niente!" La ragazza lo fece. "Ok, ma se rimangono traumatizzati è colpa tua." "Fidati." "Si ok, tu intanto puoi dare il fieno a quello scemetto che ha finito tutto così libero la piccolina?" "Sei sicura che sia femmina?" "No, ma ha un faccino troppo delicato per non esserlo, approposito come la chiamiamo?" "Calimera? È tutta nera!" "Sì ma è troppo lungo...Ci metterebbe dei mesi a capirlo!" "Che ne pensi di Nanà?" "Nanà e Totò? Suona bene! Ah, guarda! Eccolo che arriva..." Totò aveva sentito il suo nome ed era tornato indietro per sapere perché si stesse parlando di lui. Notò la scatola sul pavimento, allungò il corpo ed il muso verso la parete di cartone e arricciò il naso: odorava di pellet, aveva compreso non fosse un nuovo gioco e sgambettò via. La ragazza osservava la scatola, si grattava una mano e si mordicchiava il labbro inferiore, poi la aprì e rimase in attesa seduta sul bordo del letto. "Guarda, secondo me stiamo facendo una stupidaggine per cui ci pentiremo tutta la vita" disse al ragazzo occupato a richiudere la busta del fieno dopo che lo aveva versato nella ciotola. "Sei sempre così pesante e pessimista, sai è questo il tuo grande problema. Sei troppo negativa." "Sarò pure negativa, solo che a differenza tua io mi sono andata a studiare i comportamenti dei conigli..." Totò rosicchiava un filo di fieno, alzò le orecchie e mise il corpo in allerta bloccandolo sul posto. "...E se lo avessi fatto anche tu sapresti che un inserimento non dovrebbe essere fatto così!" Nanà aveva fatto capolino e si era avvicinata al coniglio zompettando. Il ragazzo sbuffò: "Oh ma perché devi essere sempre così pesante?" Totò si girò, sgranò gli occhi verso di lei, rizzò la coda e appiattì il corpo. La coniglietta lo superò di fianco e si buttó di faccia nel fieno, lui la seguì e le annusò coda e orecchie penzolanti, poi fuggì nell'angolo opposto del monolocale nascondendosi fra un mobiletto e il muro, in una nicchia sfruttata da tana. Il ragazzo era scoppiato a ridere: "Quel che si dice un cuor di leone!" "Tu non capisci" La giovane donna si appoggiò una mano sulla fronte scuotendo la testa. Nanà zompettava per la casa e odorava tutti gli oggetti al suo passaggio, quando stava per avvicinarsi al nascondiglio, Totò sbucò fuori con le narici allargate, corse grugnendo contro l'intrusa e la montò conficcando le unghie nel suo corpo, lei scappò alla presa con un salto, inseguita raggiunse l'angolo cucina e si mosse a zig-zag fra le gambe del tavolo, lo depistò, tornò indietro, lo montò a sua volta, gli morse il collo e poi fuggì nel bagno con il suo assalitore addietro. I padroncini avevano cercato di acchiapparli senza risultati. "Prendi un asciugamano!" Urlò la ragazza. "Per fare cosa?!" Dal bagno provenì un urlo animalesco, e poi suoni di colpi e tonfi. "Non ho tempo per spiegarti ora, muoviti!" Lo prese e glielo diede. I conigli avevano formato una palla e si arraffavano le carni con unghie e denti. "ADESSO BASTA." Urlò avvolgendo Totò con l'asciugamano mentre lui provava a mordere un orecchio di Nanà, poi lo tirò sù con una presa salda. "Sei completamente impazzito? Non ti libero se non ti calmi." Il batuffolo di pelo fra le sue braccia si dimenava fendendo l'aria con le zampe. Il ragazzo controllò la salute della coniglietta e la rinchiuse nel bagno. La ragazza liberò l'animale e lo osservò andare nella cuccia in vimini e spingere la copertina con la testa arruffata per aggiustarsela. "...E adesso come facciamo?" Disse portandosi una mano sulle labbra. "Non lo so amore... Questo è un problema." Il ragazzo si afflosciò ad una sedia e alzò gli occhi al cielo. "...E se andassimo a comprare un recinto?" Propose. "Sì, credo sia una buona idea...Dobbiamo andare prima che chiuda il negozio." "Si, andiamoci ora." I ragazzi scesero le scale e lasciarono soli i due animali.
  14. Sì, ho capito. Anticipo il fatto passato che sto per raccontare e poi lo descrivo con lo stesso tempo mettendolo in corsivo per farlo comprendere. Mi è piaciuto il tuo racconto, molto carino devo dire. Mi ci trovo con il protagonista siccome ho lo stesso problema. Trovo questo sistema molto utile, grazie!
  15. Ciao a tutti, Spero di aver azzeccato la sezione e il titolo adatti ai miei dubbi. Non sono ferratissima della grammatica e sto scrivendo un piccolo racconto in passato remoto. Mi trovo a descrivere un evento antecedente alla storia e sto utilizzato il trapassato prossimo per i verbi. Ho tre domande sulla questione: La scena si colloca in un periodo di tempo molto lungo, quindi l'utilizzo del trapassato prossimo la appesantisce non poco. Quindi la prima domanda è: il cambio di tempo deve essere costrittivo o c'è modo di mantenere il passato remoto? La seconda è: se io devo descrivere brevi azioni in un periodo ancora prima rispetto al trapassato prossimo, che tempo devo utilizzare? La terza: quando devo tornare al tempo principale della storia, come devo fare questo passaggio? Devo solo cambiare il tempo? Esempio: L'uomo si aggiustò la cravatta allo specchio, aveva una macchia sull'abito ma non se ne curò. La lavatrice aveva smesso di funzionare e non aveva i soldi per ripararla. Uscì di casa e cominciò la giornata di lavoro. Grazie in anticipo se qualcuno vorrà aiutarmi con questi dubbi.
×
×
  • Crea Nuovo...

Informazioni importanti

Abbiamo inserito dei cookies nel tuo dispositivo per aiutarti a migliorare la tua esperienza su questo sito. Puoi modificare le impostazioni dei cookie, altrimenti puoi accettarli cliccando su continua. Privacy Policy

  • Indice
    Attività
    Accedi

    Accedi



    Cerca
    Altro
    ×