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Ciao @Gigiskan e ben trovato. Ti ringrazio per il tuo feedback, che come la scorsa volta non cessa di essere molto puntuale, e per la guida che mi hai linkato. Ho trovato adeguate alcune delle migliorie che mi hai segnalato e anche alcuni limiti. Devo dirti, tuttavia, che la messa in forma estetica lineare e rispondente ai criteri canonici di costruzione sintattica non incontra la mia simpatia. L'italiano in cui scrivo, essendo passato anche per la linearità della scrittura, è intriso di forme dialettali e vernacolari. Per questo, molte delle tue proposte non possono essere applicate al testo, perché ne stravolgerebbero quella che mi sembra la scelta adeguata in termini di prosodia. Anche dal punto di vista dell'impalcatura sintattica, come chiarirò a breve, mi ispiro ad alcune forme del sostrato popolare, le quali mi affascinano da sempre. Idem per le scelte lessicali. Considera che, per esempio, l'edizione italiana de La guerra dei bottoni di Louis Pergaud è piena di elementi lessicali tratti dai dialetti lombardo e piemontese. Anche a me piace farne largo uso. Mi spiegherò meglio. No, intendevo proprio moccolo. Significa bestemmia. Si tratta della forma di più largo uso nella cultura popolare toscana, la quale è testimoniata anche dal vocabolario Treccani: 3. (fig., pop.) [espressione ingiuriosa contro Dio, i Santi e le cose sacre] ≈ bestemmia, (non com.) blasfemia, imprecazione. ● Espressioni: tirare un moccolo (o dei moccoli) → □. □ tirare un moccolo (o dei moccoli) [insultare Dio] ≈ bestemmiare, imprecare, (pop.) smoccolare, (pop.) tirare giù madonne. Anche in questo caso, sebbene la forma verbale più adeguata sia quella da te proposta, la mia scelta è dovuta a una preferenza vernacolare, come più volte avviene nei miei testi. Lo noterai anche in quelli che pubblicherò successivamente. Hai ragione. Vero, ma nel vernacolo è una forma legittima, in cui almeno viene anche sostituito da perlomeno. Per il resto, diverse tue segnalazioni possono essere facilmente accolte, compresa quella sui trattini lunghi. Ti ringrazio molto per il graditissimo apprezzamento e ti rassicuro dicendoti che leggerai presto altro. Concordo inoltre sul fatto che si scriva sul forum per migliorare. Che dire, sono felice che abbia deciso di orientare la tua attenzione sui miei racconti. A rileggerci, Freedom-Writer
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Ciao @Gigiskan e grazie per il tuo feedback. Fa sempre molto piacere essere letti e porre lo sguardo su diversi punti di vista. Le tue proposte mi hanno offerto una diversa prospettiva, cosa che trovo sempre molto utile. Sulle questioni di stile ovviamente, ma questo lo saprai da te, c'è poco da farci, uno scrive così come gli viene. Personalmente quando ho letto Ravasio su La Nuova Verde, ben prima che pubblicasse con Quodlibet e ottenesse il beneplacito di Cavazzoni, ho trovato molto da obiettare. Glielo scrissi anche, salvo poi ricredermi dopo aver riletto i suoi racconti un paio di volte. L'uso a tratti stravolto della lingua mi sembrava eccessivo, ma il fatto è che dal suo punto di vista era tutto perfettamente coerente. Naturalmente ho rimaneggiato i miei testi più volte, per anni, poi però sono arrivato a una diversa interpretazione del fare scrittura, dunque oggi credo che non sia molto funzionale preoccuparsi di "adeguare" il testo al lettore. Sono stato fortunato perché, nonostante la mia arroganza stilistica (decisamente in linea col mio temperamento sovversivo), la gente generalmente apprezza le mie parole. Un po' come è successo a te. Questo per dire che eventuali verbosità o ridondanze sono assolutamente intenzionali. Gli a capo sono uno dei diversi tratti del testo che dovrei riguardare e puntualmente non faccio, quindi grazie per averlo evidenziato. La questione dialoghi è un po' spinosa per me. Essendo un giornalista, abituato quindi a una certa impostazione del dialogo nel testo, sono portato a usare i trattini nel modo che ho usato (e che solitamente uso). Certe volte la cosa è stata corretta, altre volte no. Ciononostante, so che la forma corretta è quella che mi hai proposto. Caporali e virgolette li ho un po' antipatici, ma in passato usavo le seconde. Quando scrivevo sul WD, ad esempio. Però nel periodo che hai evidenziato ho rinvenuto una disattenzione che dovrò correggere. Anche in questo caso, grazie. Per il resto, per i motivi che ho esposto sopra, mi scomoderebbe intervenire sul testo perché le scelte che ho adottato hanno un ruolo nella costruzione sintattica. L'unico passo che cambierei è, in effetti, quello che hai segnalato tu: Non userei tuttavia aggettivi come "perplesso" o "dubbioso", e non abbrevierei passando direttamente al parlato. Credo questo sia riconducibile al gusto. Concordo sulle onomatopee. Ti ringrazio molto per le belle parole che hai speso in conclusione. Sì, di scrivere non ho mai smesso, di pubblicare sui forum sì, perché c'è poco flusso e non si legge spesso roba nuova. Onestamente questo mi fa dolere il cuore, ma i tempi sono cambiati, e rinvenire scrittura di qualità mi sembra sempre più difficile. Una grande scoperta, come ho scritto sopra, è stato Alberto Ravasio, che apprezzo davvero molto. Per il resto mi consolo con quel di cui ci fa dono il passato. Concordo. Sono tempi molto difficili. Mi scuso per essermi speso in lungaggini forse non necessarie. Aspetto con trepidazione il tuo feedback su quel che ho già pubblicato e quel che pubblicherò. A rileggerci, Freedom-Writer
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Ciao @Ayame. Da qualche parte, dovunque sia il WD, c'è un piccolo pezzo della nostra anima. Diciamo che il WD è un mega-Orcrux. Per il resto già avevo sentito voci sul tuo conto. Sapevo che avevi contribuito a fondare UP. Me lo disse una delle penne più celebri del WD: Ospite Rica. L'ho contattata proprio un paio di giorni fa per persuaderla a unirsi alla Compagnia dei Pochi Scrittori Rimasti. Avendola conosciuta un pochetto, sono certo che non abbia appeso la penna al chiodo. Grazie per l'augurio; dovunque si faccia scrittura è clima di casa. Un saluto, Nicola Di Nardo
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Freedom-Writer ha incominciato a seguire Buonasera! , Ciao! , L'uomo rosso. e 3 Altri
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Ciao @AngelaS, molto piacere di conoscerti
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Link al commento. C’era un uomo che non era mai stato praticante, nonostante fosse cresciuto in una famiglia e in un paese di baciapile come non ce n’erano da nessun’altra parte. Sin da quando era bimbetto quest’uomo, che si chiamava Eusebio, si metteva sull’uscio della chiesa e ci buttava dentro i botti, oppure tirava un moccolo durante la funzione, oppure metteva la salsa di pomodoro nell’acquasantiera. Tutto questo era durato fin quando, una volta che s’era fatto giovanotto, non aveva trovato moglie. Una figliola dabbene, Rosetta, la cui famiglia era tutta nelle grazie del vecchio sacerdote di Cavalacapra. Era stato lui ad affidarle l’onerosa missione di recuperare lo scalmanato e farlo avvicinare alla croce, contrariamente a quanto avevano deciso per lei i due anziani genitori, che la volevano in moglie a un giovane di cert’altra caratura. E lei giù pianti, perché non voleva saperne di avvicinarsi a uno che aveva quella foggia lì, che dovunque andasse aveva la fama di bestemmiatore e che in qualunque paese della regione si vedeva chiudere sul muso i battenti delle parrocchie. Si pensi che il parroco di Cavalacapra si era rifiutato persino di comunicarlo, perché, a suo dire, “quel giovane aveva tre o quattro diavoli in corpo, tutti insieme e ben baldanzosi”. Comunque, per rispettare i voleri di quel parroco che aveva sempre tenuto un atteggiamento di gran riguardo verso la sua famiglia, la giovane aveva acconsentito. Col tempo aveva scoperto che quell’Eusebio non era nemmeno così malvagio come si pensava, e che non faceva quel che faceva perché ce l’aveva con Dio, ma perché la gente si comportava in una certa maniera in suo nome, salvo poi fare tutto il contrario di quel che professava. E questo non gli garbava. L’aveva messa persino davanti alle prove. Era venuto fuori, per esempio, che il giovane Pirolo chiamava babbo il padre sbagliato, cioè Firante il macellaio, mentre invece era figlio di Caspio il falegname. O che la pettinatrice Betta, moglie di Caspio, era coinvolta in un rapporto di intima cordialità con Savino l’organista. O che la gatta Dorinda, di proprietà della signora Gruccetti, che ne aveva tanto pianto la scomparsa, faceva le fusa davanti al camino nel salotto della signora Valbioli, che davanti alla casa del Signore aveva platealmente confortato l’amica per la sua perdita. E le rose che la signora Frumino aveva trovato tutte spampanate? Il “vento” era stata la mano della corpulenta signora Tambucci. Ma l’evento degli eventi, cioè la scoperta delle scoperte, era stata la collezione di certi opuscoletti sotto un’asse del pavimento in sagrestia, che avevano aperto una breccia nell’aurea di ascetica innocenza che da sempre ammantava il vecchio parroco. Eusebio e la Rosetta avevano riso tanto e, nelle vesti di unici detentori della verità in merito ai rivolgimenti che occultamente erano a governo del paese, avevano finito con l’innamorarsi. Si erano versati un po’ dell’uno nell’altra, cosicché la Rosetta dopo un po’ dava l’impressione d’essere meno bacchettona e l’altro, Eusebio, di non essere così apostata come fino ad allora si era creduto. E così alla fine avevano vissuto una vita insieme, non sempre d’accordo, ma sempre felici. Almeno fin quando la Rosetta non decise, in una bella e silenziosa mattina d’autunno, di affrontare l’ultimo viaggio. La grande desolazione che piovve addosso a Eusebio lo costrinse, più per attaccamento alla sua Rosetta che non per un’irreprensibile fede, a riscoprirsi nel desiderio di prendere la via della chiesa tutte le domeniche, e a fermarsi in dialogo col Cristo. E così, tramite lui, gli pareva di comunicare con quel che di lei doveva essere rimasto. Un giorno, già ad inverno inoltrato, durante quella che sembrava un’interminabile tempesta, un gran fragore fece tremare la casa. Sicché Eusebio, temendo che il grosso ippocastano lì fuori avesse sfondato il portico, si avventurò sotto la pioggia scrosciante e, con sua grande meraviglia, scorse poco lontano un grosso affare inabissato nel terreno per quasi la metà. Infilò gli stivali e una volta sul posto, cercò un’apertura. Ne tirò fuori un ometto, simile in tutto agli esseri umani se non per il fatto che era tutto rosso e alto non più di quattro o cinque spanne. Siccome era esanime, lo portò in casa e lo pose davanti al fuoco. Si rinvenne che era sera tardi e farfugliò qualcosa che Eusebio non capì. Allora l’esserino si infilò qualche cosa nell’orecchio e cominciò a parlare in un italiano che neanche il meglio linguista. - Mi conferma almeno che sono arrivato sulla Terra? - Sì, sì. Questa è ben la Terra. E poco dopo, davanti a un bel bicchierone di vin brulé bollente, avevano avviato una chiacchierata che qualche professorone avrebbe trovato parecchio interessante. Parlarono del mare, parlarono della televisione e parlarono di come sul pianeta di Xotykulkag (questa una possibile pronuncia del nome dell’uomo rosso) fosse ormai chiaro che la morte è un concetto che non esiste. - Anche noi si credeva in Dio qualche milione d’anni fa. Certo, non era quello il nome che gli si dava, ma il concetto era lo stesso. Poi finalmente si scoprì dov’è che abitava questo presunto Dio, e venne fuori che era uno dei Fusgherlenghi. - Uno dei che? -, fece Eusebio tutto stranito. - Fusgherlenghi. Un popolo di creatori di mondi che pare abbiano l’appalto da qualche miliardo di anni. - L’appalto da parte di chi? - Non lo sa nessuno. Però è certo che non si muore. Nel loro disegno è previsto un sistema d’evoluzione per questo universo, che quando il nostro corpo è troppo vecchio – pare che su qualche pianeta li abbiano già aggiornati e ora non invecchino più – si spenge e noi si va da un’altra parte. C’è un pianeta così grosso che nemmeno da tutta la distanza di tutti gli universi si potrebbe vedere tutto, perché è così grosso che persino il nome sarebbe troppo lungo da pronunciare. E così si va tutti lì. - E allora Dio non esiste? - Non per come lo intendete voi, almeno. Eusebio fu rincuorato dalle parole dell’omino rosso e ora non vedeva l’ora di morire per rivedere la Rosetta ma, a un tratto, gli venne un dubbio. - Ma se è come dici chi li ha architettati i Fusgherlenghi? - Bisognerebbe incontrarne uno e chiederglielo. Eusebio lo guardò con tanto d’occhi: - Ma come, non li avete mai visti? - Solo il nostro profeta, Kotzikalga. - E a lui gliel’avete chiesto? - Non si può. È esistito milioni di anni fa. - E come fai a sapere che quel che hai detto è vero? L’ometto rimase un po’ lì a rimuginarci. - Dev’essere così per forza, sennò quando il corpo si spenge dov’è che si va? Ed Eusebio l’essere umano, quello cioè che apparteneva a quel gruppo di creature che non aveva ancora imparato ad andare da un mondo a quell’altro, non ebbe cuore di disilluderlo. E in fondo era quello che sperava anche lui sebbene non conoscesse nessuno al mondo, e a quanto pare anche fuori del mondo, che potesse averne la certezza. E così disse solo: - Dev’essere proprio un bel pianeta quello dove tutti ci si rincontra -. E rimase lì, a guardare l’ometto rosso che annuiva mentre sorseggiava il suo vin brulé.
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Ciao @Steve666 e ben ritrovato. Ecco, devo dire di non comprendere il motivo per cui nessuno abbia ancora lasciato un commento sotto questo tuo racconto. Ma non importa, sarò ben lieto di essere il primo. Anzitutto, a mio avviso, non c'è paragone con il racconto, sempre tuo, che ho avuto modo di leggere in precedenza. Questo è di qualità superiore, è maggiormente curato, c'è sentimento ed è retto da una struttura più organica. Mi è piaciuto molto il pensiero dal quale origina la storia, cioè il frangente di tempo (otto minuti e trenta secondi) entro il quale la nostra vita potrebbe venire stravolta. E' una riflessione esistenziale che ha come personaggio chiave, in sottofondo ma sempre presente, il Tempo. Bravo dunque per aver saputo coniugare struttura del racconto e flusso del pensiero. Non ho solo complimenti, sebbene le perplessità non siano che un'eccezione in relazione all'idea che complessivamente mi sono fatto del tuo racconto. In verità ne ho solo una: a raccontare questa storia è un vampiro? Perché non è ben chiaro, nell'intreccio, se quella dell'oscuro personaggio sia una delle molte metafore di cui agghindi il racconto o la sua viva voce narrante. Detto questo, in attesa di un tuo chiarimento, passo a spulciare il testo. Forse sarebbe meglio "Dei suoi raggi". Leggere "amore" in riferimento a una persona non lo trovo avvincente. Mi sembra un po' smielato. Avrei usato un'altra forma, ma si tratta di una preferenza dettata dal gusto. "Ancora di più", "ancor più" o "ancor di più". Molto bello. Non è necessaria la maiuscola. Non è una personificazione. Se il tuo scopo era di dargli rilievo, potevi farlo col corsivo. Toglierei da. Perché il passato? Li fa ancora innamorare. Avrei usato una forma leggermente diversa, ma è molto bello. Bello. Qui noto che "amore" lo hai scritto senza maiuscola, e infatti la trovo una scelta più adeguata. Un bel periodo davvero. Troppo lungo e senza un punto. Si arranca nel leggere. Va composta meglio la frase. Suggerirei di fare come nell'esempio che ti ho proposto. "Sia". Anche qui ci va il congiuntivo. Bello. Stessa cosa di prima. Non mi convince. Se vuoi mantenere entrambe le forme di "trovare", bisogna che adotti una soluzione tipo quella che ti ho proposto in grassetto, altrimenti, per far sì che non strida, sarebbe preferibile cambiare verbo. "Prima". Non mi convince la scelta lessicale. Mi piace molto l'assonanza, ma al posto della virgola userei la congiunzione e. Sostituirei con e. Troppo vicini. Non mi sembra la scelta lessicale migliore. Ci va il congiuntivo. L'incenerimento è già di per sé un evento abbastanza irreversibile e rende bene l'idea del definitivo. Non occorre il "per sempre". Oltre a ciò che ti ho scritto, è un periodo molto bello. Questo nominativo è fin troppo consueto nella narrazione fantasy a tema vampiri. Secondo me puoi trovare qualcosa di più originale, forse anche più in linea con il groove del tuo racconto. Molto bello. Unico appunto è la ripetizione del "voi". Eliminerei, naturalmente, il primo per mantenere la struttura sintattica. Mi piace, ma qualcosa andrebbe cambiato per migliorare la prosodia. Toglierei quello che ti ho indicato in grassetto e rimuoverei l'eufonica. Manca la virgola. Avrei trovato più adeguato, per prossimità semantica, "morire". Ok, Steve. Non c'è che dire, questo racconto mi ha coinvolto. Mi è piaciuto. Intuisco che tu abbia giocato un po' in casa sfoggiando l'argomento, ed è il nick che hai scelto a rivelarmelo. Un po' inquietante in effetti ma, ehi ehi, siamo in democrazia. Tolto questo, confermo quel che ho scritto nel commento al tuo altro racconto: devi rileggere più accuratamente i tuoi testi, in quanto la maggior parte degli appunti che ti ho fatto non è riconducibile ad altro che a palesi sviste e a un lavoro di revisione poco accurato. So che si tratta della parte più tediante, ma un lavoro curato è ciò che sancisce la differenza tra l'autore che verrà letto con piacere e quello di cui si parlerà con un'alzata di spalle. Il principio è sempre lo stesso, un prodotto di qualità è quello per cui vale la pena spendere risorse. E' un punto di vista che a mia volta a tratti repello, ma funziona così. E comunque a nessuno, tu compreso immagino, fa piacere incespicare durante la lettura di un testo. Ci sono gli editor, è vero, ma personalmente trovo piacere nell'essere l'ultimo ad avere la parola definitiva su ciò che scrivo, ragion per cui passo molto tempo a revisionare i miei testi. Poi certo, non è detto che ne salti fuori un lavoro brillante, ma si fa quel che si può. Per quel che mi riguarda, infine, questo tuo racconto è riuscito nel suo intento. E' incisivo, intenso ed è strutturato in modo da attrarre il lettore nel flusso di pensiero che propone. Proprio come farebbe, a ben pensarci, un vampiro. Ben fatto. A rileggerci, Freedom-Writer
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Buonasera @zio rubone, e molte grazie per il tuo feedback. Inizio dicendoti che sono molto lusingato che il mio stile ti abbia ricondotto, in qualche maniera e per qualche motivo, ad autori come quelli che hai citato. In effetti è qualcosa che mi viene detto da sempre, da ben prima che mi cimentassi nella lettura dei loro testi. Sono sempre stato dell'avviso che non si scriva per, ma si scriva per. Cosa intendo? La ricerca e l'accostamento a questo o a quel filone non originano necessariamente un prodotto di qualità, e per come la vedo io lo scrittore che cede all'imborghesimento nella narrazione andando alla continua, estenuante e tormentata ricerca di un senso altro, corre il rischio di smarrire sé stesso. Questo per dire che dell'"imperante ideologia narratologica" me ne è sempre importato il giusto (molto poco, in effetti) e più vado avanti e meno mi importa, più vado avanti e più mi discosto dai discorsi sopra i massimi sistemi che si affrontano in ambiente letterario. Oramai tutti parlano di critica letteraria ma, considerando che il self-publishing è al vertice mentre riviste e forum letterari contano gli spiccioli, mi sembra evidente il generale deterioramento qualitativo della narrativa contemporanea (discorso che non può essere naturalmente esteso a tutta la narrativa). Sono concorde col fatto che "omologo" strida col contesto, e in effetti mi ero già proposto di modificarlo. Tuttavia, e questo è quanto mi rincuora di questa tua perplessità, il testo non si rivolge affatto a un giovane pubblico. Ho scritto anche qualcosa di narrativa per l'infanzia, ma non è questo il caso. Credo anzi che la semplificazione di macro-concetti come questo sia più utile agli adulti che non ai bambini. Le scelte lessicali non sono certo sempre adeguate, e nel caso che hai riportato, ahimè, devo darti ragione. L'evenienza è voluta, ma mi spiace che ti abbia confuso a tal punto. Vedrò, stando anche all'eventuale feedback di altri utenti, se è il caso di modificarlo. L'interpretazione è volutamente lasciata libera e, in effetti, in apertura del tuo commento hai scritto: "Far risaltare l'assurdità insita nella guerra". Forse era quello, o forse che conviene fare il comandante, o forse che in guerra ci tocca morire anche quando non se ne ha voglia. Tecnicamente non si sa neanche a chi dei due comandanti sia toccato morire, quindi chissà. Anche in questo caso, tuttavia, se anche altri utenti (compresi quelli fuori dal forum) considereranno il passo difficilmente comprensibile, ne leggerai una versione rivista. Ti ringrazio molto per avermi dedicato del tempo. A rileggerci, Freedom-Writer
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Ciao @Steve666 e ben ritrovato. Abbiamo certamente due punti di vista molto diversi riguardo alla scrittura, ma d'altronde è proprio questo l'obiettivo ultimo del confronto. Onestamente non avevo capito il senso del racconto, ma intuisco che la trama deve essere, se vogliamo, ancor più complessa di quanto avessi pensato in origine. Vero, ma nonostante la mia deformazione professionale non sono affatto estraneo al fantasy, e personalmente trovo di grande ispirazione lo straniante e il fantastico. Il fatto è che quel che è plausibile per noi, cioè per lo scrittore, deve esserlo anche per il lettore, altrimenti si rompe il patto di fiducia che si è difficilmente cercato di instaurare. Poiché non si scrive mai soltanto per sé stessi, è necessario che l'elemento straniante sia inserito in un contesto di generale plausibilità. Tu hai citato giustamente il fantasy: ebbene, se iniziassi leggendo di un singolare personaggio, in tutto simile agli esseri umani, ma con piedi grandi e pelosi che vive in una contea dove le case hanno porte rotonde, non troverei nulla di strano nell'incontrare degli orchetti poco più avanti. Ma nel tuo racconto non c'è nulla che si discosti dall'ordinario, anzi, propone un contesto di effettivo realismo, in quanto è purtroppo una drammatica evidenza l'esistenza di persone che si fanno saltare in aria per motivi religiosi. Ma nel momento in cui scopriamo che non si è trattato di un fondamentalista, bensì di un mafioso, non possiamo fare a meno di andare a ritroso e cercare nel testo quegli elementi che forse non abbiamo considerato, non trovandoli perché in effetti non ci sono. Nessun malinteso, lo hai testualmente scritto tu che è un prete, nei passaggi seguenti. Naturalmente, tolte alcune perplessità che ti ho rivolto e che tu giustamente imputi al gusto personale, il testo risente di una scarsa consecutività logica. Ora che ho capito quel che intendevi, e rileggendo il tuo racconto, sono semmai ancor di più le domande che mi pongo. Per esempio, non sarebbe stato più efficace il testo se non avessi parlato di chiesa, ma di edificio di culto, essendo che la mafia può essere, a suo modo e almeno per gli adepti, considerata un culto? E a questo punto non sarebbe stato più efficace se non avessi inserito le famigliole e le anziane comari, ma semplicemente i fedeli? La borsa di cuoio dell'inizio è dunque la borsa di pelle della fine e "gli attrezzi" sono l'esplosivo? E poi, perché i fedeli avrebbero dovuto fidarsi di uno che, a tutti gli effetti, "era noto in ambiente mafioso col nome di Don Gaetano"? Perché urlare "Dio è grande" proprio in una chiesa? Tu hai affermato di non aver dato eccessiva importanza al testo perché in fondo sono quattromila caratteri, ma per come la vedo io, che ho probabilmente un punto di vista differente in merito alla resa in forma estetica tendendo quindi a una certa e forse eccessiva puntigliosità, hai sprecato una buona cartuccia. Poi, certamente, hai raggiunto pienamente il tuo obiettivo, nel momento in cui, come scrivi, ti sei "divertito a scriverlo". L'unica cosa che può fare chi ti legge è individuare le criticità del testo, ma è evidente che poi sia tua la decisione di cosa tenere e cosa scartare. Per finire, non ho il minimo dubbio che la tua scrittura renda meglio in certi contesti. Lo rendi palese nella risposta al mio commento. Ti rileggerò senz'altro. Freedom-Writer
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Link al commento. Si combatteva una guerra da qualche parte in Europa, forse qualche anno fa o tra qualche anno, importa poco. In questa guerra, come in ogni altra guerra, c’erano i soldati che di lontano, in una grande città ormai irriconoscibile, si ammazzavano con i fucili e con le bombe. Questi soldati molto giovani erano stati radunati in fretta e furia, perché pare che fosse successo qualcosa tra due Capi di Stato e che la guerra bisognasse farla con grande urgenza. Allora erano partiti, alcuni con un po’ di reticenza, e in breve si erano ritrovati tutti bardati, con gli elmetti e i gilet imbottiti, con questi grossi e pesanti fuciloni a tracolla che rallentavano loro il passo e toglievano il respiro. Camminando e camminando fino alla zona designata per fare questa guerra, a una certa distanza, dietro alcuni palazzoni alle cui finestre c’era affacciata la gente di quel posto, questi soldati avevano visto i loro omologhi dell’altro esercito. Erano tutti camuffati come loro e come loro avevano indosso gli elmetti e i gilet. Allo stesso modo gli stivaloni affondavano nella fanghiglia per via del peso del mortifero arsenale. Il comandante di una delle due parti si era fermato per considerare cosa fosse più opportuno fare, perché quella era la sua prima guerra e non aveva ancora un piano. Vide che il comandante dell’altro esercito faceva lo stesso, allora gli venne l’idea di andarsi a confrontare con lui. Si incontrarono sul confine. - Senti, siccome io la guerra non l’ho mai fatta e stamattina mi hanno svegliato col dire che sarei dovuto venire qui a combattere contro di voi, mi sapresti dire com’è che si inizia? L’altro lo guardò con un par d’occhi. - Allora, se è per questo -, disse, - Bisogna che ti confessi che la guerra non l’ho mai fatta nemmeno io e son venuto sul confine per chiedere a te com’è che si facesse. Considerando che non sarebbero venuti a capo di nulla, fecero per lasciarsi col proposito che uno si sarebbe messo da una parte e avrebbe sparato il primo colpo, e il resto sarebbe venuto da sé dopo il primo morto. C’era un vecchietto però, affacciato a una delle finestre, che di guerra ne sapeva tutto perché aveva combattuto a Gadevertengo, a Santa Pastulia e nella guerra di Giufinzio. - Fermi, ve lo dico io come dovete fare! -, disse. I due giovani comandanti si fermarono allora col naso all’insù. - Dovete fare come nel nascondino, ce l’avete presente? Quelli annuirono. - Bene. Voi dite ai vostri eserciti che si nascondano dietro codesti palazzi e nei campi tutt’intorno. Fate passare un po’ di tempo, anche un’ora se è necessario, dopodiché, all’ora che avrete pattuito, fate uscire i soldati allo scoperto e gli ordinate di ammazzare quelli dell’altra parte che incontreranno sulla loro via. Non c’è cosa più facile di fare la guerra! - E noi? -, chiese uno dei due comandanti. - E voi dovete fare una scelta -, disse il vecchio portando un dito avanti e mettendo un’espressione da gran dotto in viso. - Vedete che gli uomini di comando sono di due tipi. Ci son quelli che sopravvivono e mandano i propri uomini a morire e ci sono quelli che muoiono con i propri uomini. Io li ho visti di entrambe le qualità e i primi li ho sempre avuti in antipatia, ma questa è la guerra e più di un certo numero di morti non si può evitare né in un caso né in quell’altro. - E come si sceglie? -, domandò l’altro comandante. - Tutto dipende dalla paura che si ha di morire e dalla voglia che si ha di vivere. Io sono stato comandante a Santa Pastulia, e allora decisi di essere della seconda qualità. Ero pronto a morire perché in quel periodo di vivere non è che ne avessi tanta voglia, però sopravvissi. Ebbi la fortuna che l’altro comandante era della mia solita qualità, ed essendo anche lui sopravvissuto mi graziò. Così facemmo la conta dei morti e venne fuori che avevo vinto io. Ci salutammo e la guerra finì. - Sembra proprio facile! -, fece un comandante. - Ve l’ho detto. E più la fate più diventa facile. L’altro comandante però era assorto in riflessione. Disse a un certo punto: - Sì, però se questi palazzi verranno distrutti, morirà anche tutta questa gente affacciata alle finestre. - Sì -, fece il vecchio, - La guerra costa un prezzo che forse non smetterete mai di pagare, però se i vostri Capi vi hanno detto che va fatta, allora dovete farla. - Ma morirà anche lei. - Sì, ma a me non dispiace. Io ho vissuto per parecchio e mi sono levato tutte le soddisfazioni. Non è per me che dovete aver premura, ma per i bimbetti. Loro nelle guerre non ci dovrebbero entrar nulla. - Allora facciamo così -, disse uno dei comandanti, - Se il mio omologo è d’accordo io farei sfollare tutti i bimbetti con le loro mamme e nei palazzi ci lascerei solo gli uomini, perché tutti non si possono salvare. - Io sono d’accordo. E così fecero. Ringraziarono il vecchio e gli augurarono un sereno trapasso, poi aspettarono che tutti i bimbetti e le donne si fossero allontanati e dissero ai soldati di andare a nascondersi. Iniziò la guerra. Fu tutto un Pim, un Pum e un Pim-Pum-Pam e nel mezzo di quello scambio di fuoco non si riusciva a capire nulla. Tra bombe che cascavano e lanciarazzi che vomitavano le loro capsule di morte, sembrava che tutta la lietezza del mondo fosse ormai estinta. I comandanti, dalle loro rispettive postazioni, controllavano la situazione e annotavano i morti della loro fazione. Si guardavano da lontano e si facevano dei cenni, per capire se la guerra la stessero facendo come si doveva. Poi tornavano a concentrarsi sull’andamento del conflitto. I palazzi vennero giù. C’era gente che cascava insieme alle macerie con ancora il pentolino del latte in mano, oppure chi era ancora a letto e non s’accorgeva di nulla. Quando il terreno ebbe cambiato colore, perché si erano mescolati il rosso e il marrone originando il tipico color conflitto, i comandanti seppero riconoscere che la guerra poteva finire lì. Si rincontrarono sul confine. - Io volevo essere della seconda qualità di comandante, però ora che ci penso non mi è riuscito perché la guerra l’ho solo vista e non l’ho combattuta. - Anch’io -, rispose l’altro, - ma non me ne sono nemmeno accorto. Pensavo ci fosse più tempo. - Non è stata una guerra lunga, in effetti. - Dipende dalla gente che c’è coinvolta. Ma forse il vecchio aveva torto. Non è che si sceglie di essere quella qualità di comandante o quell’altra, lo si è e basta. E poi, forse, siamo comandanti proprio perché non si aveva voglia di morire. L’altro sembrava convenire, ma gli venne un dubbio: - E quindi pensi che i nostri soldati avessero voglia di morire? L’altro rimase lì, con un po’ d’incertezza ben spalmata in viso. - Sai che facciamo? Glielo chiediamo -, disse a un tratto, e si mise alla ricerca di un soldato ancora vivo. Trovò un ragazzo che era lì lì per morire, con la bocca contorta perché stava provando un gran dolore. - Ragazzo -, disse, - Prima che tu muoia bisogna che ti faccia una domanda. Tu avevi voglia di morire? Il giovane ebbe qualche spasmo, si contorse un po’. I due comandanti attesero finché, proprio prima di tirar le cuoia, non diede il suo responso, scotendo gravemente la testa. - Va bene -, disse uno dei comandanti, - Allora vuol dire che si muore anche quando non se ne ha voglia. Ora che ci siamo tolti questo dubbio, se non abbiamo voglia di morire anche noi, nelle prossime guerre ci converrà continuare a fare i comandanti. L’altro assentì. - Ora bisogna fare la conta dei morti per vedere chi ha vinto. Sicché si misero a fare questa conta. Si scambiarono i taccuini e lessero i numeri. Contarono e ricontarono, ma veniva sempre fuori lo stesso risultato, cioè erano pari. Gli stessi morti da una parte e da quell’altra. - E ora come si fa? -, chiese uno. - Bisognerà continuare la guerra con i soldati che ci son rimasti. Ma l’altro non era d’accordo. - Senti, siccome non è detto che i nostri uomini abbiano voglia di morire e in fin dei conti i comandanti siamo noi, potremmo scegliere di diventare comandanti della seconda qualità e di giocarcela a sorte. - Cosa intendi? - Intendo che potremmo fare testa o croce, e chi perde l’altro l’ammazza e ottiene il vantaggio. L’altro proprio di morire non n’aveva voglia, ma il ragionamento non era sbagliato. E poi c’era il cinquanta per cento di possibilità che di morire toccasse all’altro. E infatti, tirando la moneta, venne fuori che era proprio l’altro a dover morire. - Va bene -, disse, - Ormai è andata così. Ora io mi inginocchio e te mi spari, così la guerra l’hai vinta te. - Mi dispiace che sia andata a questa maniera -, disse l’altro con sincera compunzione. - Lo so, ma non importa. Qualcosa da questa guerra l’ho imparato lo stesso, mi dispiace solo che non lo potrò mettere in pratica. - Lo posso fare io per te. - Te ne sarei grato. Così si inginocchiò e l’altro gli sparò. Mentre gli eserciti si disperdevano e le mamme coi bimbetti tornavano a quello che rimaneva delle loro case, giunsero tutti trafelati un paio di ambasciatori. - Ma la guerra l’avete già finita? -, chiese uno di questi al comandante superstite. - Parrebbe di sì -, rispose lui guardandosi intorno. - Ah, peccato -, fece allora l’ambasciatore, - I Capi hanno fatto la pace e hanno detto che di fare la guerra non ce n’era più bisogno.
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Ciao Steve. E' la prima volta che leggo un tuo racconto. Ho dato un'occhiata anche ai precedenti feedback, ma certamente non mi lascerò influenzare nel giudizio. Come sono solito fare, mi esporrò in una prima considerazione generale per poi passare a una disamina più dettagliata del testo. In conclusione, vagliando tutti gli elementi, riporterò nel complesso le mie impressioni. Il racconto, così come presentato, non mi è piaciuto. Hai scelto di affrontare un tema effettivamente troppo articolato e complesso per essere contenuto in appena quattromila caratteri, ragion per cui ti suggerirei di revisionarlo ed eventualmente ampliarlo. L'impressione che ho avuto è che avessi fretta di esprimere il concetto, senza tuttavia la pazienza di renderlo efficacemente in forma scritta. La conseguenza di questo è un gap tra testo e lettore, o meglio, tra personaggi e lettore. Intendo dire che in un racconto il plot non ha rilievo se non sono i personaggi a darglielo. In questo caso, da lettore, non ho avuto modo di entrare in contatto con i personaggi. Ho compreso il punto verso cui ti stavi dirigendo, ma senza un'adeguata e coinvolgente struttura narrativa, quando ci sei arrivato, non ho potuto apprezzarlo. I presupposti per il colpo di scena finale, che di fondo è una buona idea, sono saltati. La colpa di questo va all'eccessiva stringatezza del testo che, ripeto, non è compatibile con il tema scelto e che, secondo la mia opinione, rimane il principale vulnus. Passo adesso all'analisi del testo. Delle virgole avrebbero migliorato l'attacco. O forse una forma diversa avrebbe reso più fluidità al testo: "Come tutte le mattine, Don Gaetano si alzò per celebrare messa". Avrei evitato l'anafora, preferendo magari la forma: "[...] indossò l'abito sacerdotale...". Eliminando la parte che ti ho indicato si capisce ugualmente che le parole sono sue, grazie al virgolettato. Piuttosto macchinoso. Avrei lasciato solo "parrocchia", considerando che appena prima avevi già usato "chiesa". Superfluo. Si capisce a chi si stesse avvicinando. Periodo lungo (considerando la parte che lo precede) senza una virgola. La d eufonica non ci vuole, anche se io avrei direttamente cambiato la forma per rendere il testo più scorrevole. Mi permetto un esempio: "[...] con i suoi soliti modi, burberi e affettuosi a un tempo, li invitò a entrare per...". Non ci va la d eufonica. Avrei usato la forma scritta. Ci sono due soggetti, il che può andare bene, ma la struttura sintattica non è molto efficace. Potresti rendere più fluido in un modo simile: "[...] restò sulla porta osservando i fedeli entrare. Stava arrivando tutto il quartiere". C'è molto di superfluo, Questo è il modo in cui semplificherei il periodo senza snaturarlo. La d. Suggerirei: "Tre ritardatari, due ragazze e un giovanotto, entrarono in un rimbombare di passi". Macchinoso. Suggerisco di tagliare la parte o cambiare forma: "[...] al centro dell'attenzione. Tutti i fedeli si erano infatti girati a guardarli". Un inno? Prossimità semantica e lessicale di cantare e canzone che tende a stridere. Semplicemente "afflitto"? Secondo i fondamentalisti però quel Dio aveva caldeggiato eccome l'omicidio. Suggerirei una forma diversa: "[...] vittime di attentati perpetrati nel nome di un Dio che, ne era certo, non poteva aver ordinato di commettere tali azioni". Intero periodo buttato giù in modo un po' troppo frettoloso. Prima ti sei soffermato addirittura sul parroco che osservava i fedeli entrare in chiesa, e adesso in quattro e quattr'otto siamo già alla fine. Suggerisco di togliere qualcosa e approfondire il discorso del prete. Refuso. Avrei alleggerito: "[...] sulla via della Salvezza". "Santità" è eccessivo. Un mafioso che grida "Dio è grande" come i fondamentalisti islamici? La mafia, e lo dico da giornalista che si occupa anche di questo argomento, ha intrinseche un'importante osservanza del culto e una certa prossimità con gli ambienti ecclesiastici, in particolare quella siciliana. Ti invito, in merito a questo, a documentarti sul caso della patrona messinese, Sant'Agata, ricoperta ogni anno di onori dalla popolazione tra cui, in prima fila, gli esponenti delle più importanti famiglie mafiose locali. Detto questo rivedrei anche la forma dello stile giornalistico, che deve essere un tanto più scarna. Il giornalista suppone, quando non è in possesso di prove. Qua invece abbiamo addirittura l'uso del "Don", che in ambiente mafioso si riserva a personalità di un certo calibro. Non è credibile che il giornalista non sia a conoscenza, data la storia recente del nostro paese, dell'"ortodossia" di certi ambienti, tanto da parlare anche di nuova "strategia della tensione". A parte gli attentati alle chiese di Roma del 1993, che comunque avvennero all'esterno nel corso, appunto, della strategia della tensione di matrice mafiosa, nessun attentato avvenne mai all'interno di una chiesa. Suggerisco quindi di rivedere quest'ultima parte. A parte quel che ho detto su questo periodo, questa parte mi piace molto. C'è sentimento. Sei entrato nel personaggio. Concludo, come avevo anticipato, con un giudizio finale. L'idea è buona ma sviluppata maldestramente, secondo la mia opinione; l'errore principale, come ho scritto in apertura, è stato quello di voler confinare un tema come questo in un modestissimo numero di caratteri. Quest'evenienza ha penalizzato quello che a mio giudizio poteva essere davvero un ottimo racconto. Il lessico, come ti è stato già suggerito, potrebbe essere più ricercato. La struttura sintattica in certe parti è buona, in altre mal organizzata. C'è tuttavia, esclusi alcuni brevi tratti, un buon equilibrio tra paratassi e ipotassi. L'impressione complessiva è quella di un'idea iniziale buttata giù senza vagliare le sue potenzialità, e mi dispiace molto perché un'immagine così "tradizionale", elaborata in un contesto di prossimità tra matrice stragista di carattere religioso e un'altra di carattere mafioso, è davvero molto interessante. Naturalmente si tratta di impressioni personali. So di essere molto puntiglioso e mi scuso se ti ho reso l'impressione di un'eccessiva "crudezza". Credo però che la critica del testo non debba essere all'acqua di rose, proprio perché chi si espone lo fa nell'auspicio di ottenere consigli utili e punti di vista nuovi. Un saluto e a rileggerti, Freedom-Writer
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Freedom-Writer ha cambiato la sua immagine del profilo
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Salve, avevo già scritto in passato, appena dopo aver superato il trauma per la chiusura del WD. Non che fossi particolarmente attivo, se non negli ultimi tempi, ma trovavo di gran conforto leggere i racconti degli utenti e mi divertivo nell'esercitare le mie capacità di osservazione. Partecipavo a qualche contest e pubblicavo qualche racconto breve, ma nulla di più. Quando scrissi in questo forum per la prima volta gli utenti erano pochi, spero che adesso la situazione sia cambiata. Ho già letto alcuni dei vostri racconti, trovandoli davvero molto interessanti. Spero di poter instaurare con voi un bel rapporto. Per adesso vi saluto. Freedom-Writer
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Buongiorno a tutt3! Sono anch'io un reduce del WD, e ho scoperto questa nuova piattaforma che mi ha fatto quasi versare una lacrimuccia. L'interfaccia mi ha ricordato il compianto forum giallo che, devo dire, negli ultimi mesi mi è molto mancato. Ho vegetato lì per diverso tempo limitandomi a pubblicare soltanto saltuariamente e, proprio quando ho deciso di partecipare al mio primo contest (quello di Natale), il WD ha chiuso i battenti. Spero che questo nuovo spazio possa rendere giustizia a quello da cui abbiamo dovuto emigrare - noi esuli di un piccolo ecosistema decaduto - e che il tempo qui possa scorrere all'insegna dell'amicizia e della proficua collaborazione, così come avveniva nel Vecchio Mondo. Chi altri dal WD? Io ero Freedom Writer, per chi si ricordasse di me. Vi abbraccio virtualmente. P.s.: trovate qualche informazione su di me sul mio profilo. P.p.s: ottima la trovata del colour changing: sullo sfondo nero la mia talpaggine respira e non corro il rischio di lasciare gli occhi sulla tastiera. Nicola